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Nuovi contratti di finanziamento

Capitolo 4. Finanziamento

2. Principali strumenti per il finanziamento

2.5. Nuovi contratti di finanziamento

Alle esigenze finanziarie dell’esercizio provvisorio si può in ipotesi sopperire anche con la stipula di nuovi contratti di finanziamento, in linea generale, almeno in passato si era radicato un atteggiamento, prima di tutto culturale, che considerava irrealizzabile una forma di finanziamento di questo tipo, considerando

l’autofinanziamento, ossia l’utilizzo delle risorse interne alla procedura, come l’unica modalità attraverso la quale si potesse ottenere assistenza finanziaria per l’impresa nel contesto dell’esercizio provvisorio. In realtà il legislatore non pone nessun divieto rispetto alla possibilità per la procedura di stipulare nuovi contratti di finanziamento con soggetti esterni al fallimento stesso, quindi non ci sono dubbi circa la loro ammissibilità, diversa è poi la considerazione che in concreto sarà difficile che sussistano le condizioni economiche per ottenere aiuti esterni di questo tipo, considerando che la disponibilità di concedere credito sarà assai ridotta una volta aperta la procedura. L’apertura all’eterofinanziamento è dovuta anche al nuovo contesto normativo che ha rivitalizzato l’istituto dell’esercizio provvisorio, nell’ottica di tutelare l’interesse generale alla conservazione dei complessi aziendali anche nell’ambito della procedura fallimentare. L’esercizio provvisorio ha, per definizione, la funzione di conservare il valore dell’impresa del debitore, anche

72Inzitari, Il leasing nella disciplina dei rapporti pendenti della novella fallimentare (art. 72 quater

176 limitatamente ad alcuni specifici rami d’azienda, in vista della sua migliore

liquidazione. La conservazione del valore può richiedere l’immissione di nuova finanza, ad esempio per il pagamento dei dipendenti o per l’acquisto delle materie prime per le quali i fornitori rifiutino di fare credito. In quest’ottica, al curatore, con le debite autorizzazioni, è consentito contrarre un finanziamento, che godrà dello status di credito prededucibile ai sensi dell’art. 104 comma 8. Data questa

possibilità, promuovere l’iter per la stipulazione del finanziamento è un atto dovuto se il curatore si renda conto che l’impresa ha un valore d’avviamento e tale valore può essere conservato solo con un finanziamento. Sembra da ritenere che

l’autorizzazione al finanziamento, data la sua funzionalità e la sua inerenza all’esercizio provvisorio, debba seguire le stesse modalità previste per

l’autorizzazione a tale esercizio, e dunque: se l’esercizio provvisorio è disposto con la sentenza dichiarativa di fallimento al fine di evitare “un danno grave” (art. 104 comma 1 ), e sia già evidente che l’impresa necessita di nuova finanza,

l’autorizzazione a contrarre il finanziamento prededucibile rientra nei poteri del tribunale, che può concederla contestualmente alla sentenza e al provvedimento che dispone l’esercizio provvisorio. Lo scenario in cui è verosimile che ciò accada è quello in cui l’esigenza di nuova finanza sia già chiaramente emersa in sede di istruttoria prefallimentare; se l’esercizio provvisorio è disposto successivamente (art. 104 comma 2 ), o se l’esigenza di assicurare nuova finanza emerge quando l’esercizio provvisorio è già stato disposto (dal tribunale o dal giudice delegato), l’autorizzazione a contrarre il finanziamento prededucibile deve essere sottoposto al previo parere favorevole del comitato dei creditori e deve essere autorizzato dal giudice delegato. Qualora il curatore ritenga opportuni l’esercizio provvisorio e l’ottenimento di nuova finanza, egli potrà segnalarlo nel programma di liquidazione (art. 104-ter, lett. a). Stante il disposto della norma speciale sull’esercizio

provvisorio, tuttavia, tale segnalazione non ha valore vincolante né per il comitato dei creditori né per l’autorità giudiziaria, il cui consenso sulla proposta del curatore è necessario affinché l’esercizio provvisorio ed il correlativo finanziamento vengano

177 disposti73. Una volta eliminati i dubbi circa l’ammissibilità di queste soluzioni di finanziamento, il problema centrale, nel fallimento, rimane quello delle garanzie. Per quanto riguarda le garanzie in senso proprio, personali e reali, la prestazione delle prime, a favore della procedura e in funzione dell’esercizio provvisorio, pare poco probabile o comunque destinata a realizzarsi solo in circostanze particolari. Pure la prestazione di garanzie reali, direttamente da parte della procedura, si presenta molto problematica, sarà difficile rinvenire nel patrimonio del fallito beni adeguati allo scopo, se però si riescono a trovare beni capienti, in linea di principio non ci sono ostacoli alla loro costituzione in garanzia, ed è possibile che beni da costituire in garanzia siano reperiti all’esito di azioni recuperatorie fallimentari. Con riguardo alla costituzione di garanzie reali da parte della procedura si pone il

problema delle autorizzazioni necessarie. Se la garanzia riguarda un debito inerente all’attività d’impresa esercitata dal curatore nel fallimento e se essa è costituita su beni o diritti compresi nel complesso aziendale utilizzato nello svolgimento di tale attività, l’autorizzazione del comitato dei creditori non è necessaria, considerata l’ampia autonomia del curatore, nel svolgere la gestione dell’attività d’impresa in esercizio provvisorio, inoltre anche l’urgenza di ottenere un finanziamento può ridurre la necessità di autorizzazioni. E’ possibile che la costituzione di una garanzia reale assuma una certa rilevanza nell’economia della procedura per cui il curatore anche se non è obbligato, può considerare opportuno rappresentare tale scelta nell’ambito del programma di liquidazione, che sottopone nella sua globalità all’approvazione del comitato dei creditori. Se invece, in altra ipotesi, il bene che si costituisce in garanzia non afferisce al complesso aziendale utilizzato per l’esercizio provvisorio, ma fa parte del patrimonio personale del fallito persona fisica o sia inerente ad altri rami d’azienda assoggettati all’esecuzione fallimentare ma non oggetto del provvedimento di esercizio provvisorio, occorrerà un’integrazione dei poteri del curatore ai sensi dell’art. 35 l.fall., tramite un’autorizzazione del comitato dei creditori per gli atti di straordinaria amministrazione.

73 Università degli studi di Firenze, Linee-guida per il finanziamento delle imprese in crisi, 2010, in www.ilfallimento.it, 41, dove viene data per scontata la possibilità di ricorrere nell’esercizio

178 La evidente difficoltà per la procedura di ottenere o di prestare garanzie in senso proprio, personali e reali, porta a chiedersi quale spazio ci sia nel fallimento e nell’esercizio provvisorio per garanzie in senso lato o più genericamente incentivi, come l’attribuzione convenzionale al finanziatore di diritti di prelazione e diritti/ poteri di controllo e di direzione, il problema principale riguarda la compatibilità di questi meccanismi con i principi, le finalità e le regole del procedimento di

liquidazione, in assenza di specifiche previsioni normative sul tema. In particolare, per quanto riguarda l’attribuzione al finanziatore di dritti di

prelazione sull’azienda o su singoli beni o rapporti assoggettati all’esecuzione fallimentare, il dubbio che emerge è se questo meccanismo sia compatibile o meno con l’obiettivo di massimizzazione dell’attivo fallimentare proprio della procedura di liquidazione e con i principi di trasparenza e di concorrenzialità che devono

governare, secondo l’art. 107 l. fall., le vendite fallimentari. Si può osservare che in materia fallimentare il legislatore prevede l’attribuzione di un diritto di prelazione convenzionale all’affittuario nell’affitto dell’azienda endofallimentare. Tale

previsione si giustifica poiché l’affittuario assume, a differenza che un semplice finanziatore, un vero e proprio rischio d’impresa, considerato il rischio sostenuto, l’affittuario potrebbe non avere un incentivo sufficiente, se non gli fosse

riconosciuta una prelazione sull’azienda, a porre in essere i necessari investimenti per la continuazione dell’attività d’impresa e per far durare l’affitto; naturalmente il rischio assunto dal finanziatore è differente e ridotto. Si può dare però una lettura diversa della circostanza che la legge attribuisca alla curatela la possibilità di

riconoscere un diritto di prelazione sull’azienda all’affittuario, ossia la si può leggere come un’indicazione di principio che apre all’ammissibilità dell’attribuzione di tale incentivo a terzi che in generale contribuiscono in modo effettivo alla conservazione dell’impresa, ma siano disposti a farlo dietro l’incentivo della garanzia di venir preferiti nella vendita dell’azienda. In concreto emerge che l’attribuzione di un diritto di prelazione al finanziatore risulterebbe sproporzionato rispetto all’utilità che dal finanziamento possa derivare alla procedura, inoltre andrebbe a contrastare con l’interesse dei creditori circa l’applicazione di quei principi di trasparenza e di

179 concorrenzialità che devono governare necessariamente la liquidazione delle

attività fallimentari. Si può concludere che in concreto difficilmente si realizzerà l’attribuzione di questi tipi di incentivi ai finanziatori, ma non essendo vietato in modo esplicito dal legislatore essi non possono che essere considerati ammissibili, nel caso in cui diritti di prelazione fossero concessi al finanziatore sarebbe

comunque necessaria l’autorizzazione del comitato dei creditori che potrà essere concessa contestualmente al provvedimento autorizzatorio dell’esercizio

provvisorio, in ragione della rilevanza che una scelta del genere del curatore assume nell’ambito dell’economia della procedura. Rientra sempre nella categoria di

incentivi in senso ampio, l’attribuzione al finanziatore di diritti/poteri di controllo e di direzione sull’impresa in esercizio provvisorio (covenants). Non ci sono dubbi circa l’ammissibilità di questi strumenti, è evidente l’utilità di essi che costituiscono non solo una fonte negoziale di disciplina dell’attività di erogazione del credito e, in particolare, di finanziamento dell’impresa, ma anche una fonte di disciplina

convenzionale dell’esercizio di un’attività di impresa, si prestano a facilitare il reperimento dei mezzi finanziari necessari e a favorire una gestione efficiente dell’impresa sovvenzionata. Se ciò vale per i covenants in generale non potrà che valere anche nell’ipotesi in cui essi vengano utilizzati nel contesto dell’esercizio provvisorio, anzi in questo specifico ambito il ricorso a questo strumento potrebbe facilitare l’erogazione di finanziamenti di per sé molto difficili da ottenere

considerando la difficoltà o l’impossibilità per il finanziatore di ottenere garanzie in senso proprio; considerando l’incertezza sullo stato di salute e sulle prospettive future dell’impresa in esercizio provvisorio, e, in generale, sulla capacità della procedura di far fronte ai debiti di massa e, infine, rilevante è anche la circostanza che la gestione dell’impresa viene assunta nell’esercizio provvisorio da un soggetto nuovo, il curatore, di solito privo di famigliarità con l’organizzazione e l’attività di quell’impresa o anche con quel settore in cui essa opera. E’ proprio il curatore, l’organo investito della legale rappresentanza dell’impresa, che ha la competenza a stipulare i covenants per la procedura, se quest’ultimo serve in maniera specifica per finanziare l’esercizio provvisorio non dovrebbe essere richiesta neppure

180 l’autorizzazione del comitato dei creditori, in ragione dell’ampia autonomia di cui gode il curatore quando agisce come gestore dell’impresa in esercizio provvisorio. Questa conclusione rimane valida anche nell’ipotesi in cui i diritti che il covenants attribuisce al finanziatore, si sovrappongono o comunque interferiscano con le prerogative del comitato; tale collegamento con le competenze del comitato potrà rilevare successivamente ai fini della validità della clausola o dell’intero contratto e anche per la revocabilità dell’incarico del curatore e della sua successiva

responsabilità, ma non anche ai fini della legittimazione del curatore alla stipula dell’accordo. L’accordo naturalmente non potrà che vincolare solamente la procedura, esso non può essere considerato inerente all’impresa né vincolare il soggetto che in un momento successivo la acquisti. Inoltre si deve ritenere che l’accordo produca nei confronti della procedura un’efficacia solo obbligatoria, in caso di violazione, esso fonderà al massimo un obbligo di risarcimento del danno per equivalente, e non potrà anche travolgere gli atti interni o esterni alla procedura o giustificare ordini di esecuzione in forma specifica. In questo senso depone

soprattutto la natura propria delle decisioni degli organi fallimentari nell’esercizio provvisorio, di atti di organizzazione, per di più inerenti ad un’attività d’impresa, e quindi, l’esigenza di prevenire effetti paralizzanti per la gestione dell’attività. Dal punto di vista dei contenuti dell’accordo, essi devono essere compatibili con la funzione e la struttura della procedura; vanno perciò considerate illecite tutte quelle pattuizioni che in vario modo perseguano finalità eversive dello scopo tipico della procedura, da individuarsi con il massimo soddisfacimento possibile per i creditori. Quanto alla compatibilità del covenant con la struttura della procedura il problema più ovvio è probabilmente quello delle possibili interferenze con i doveri e le prerogative degli organi fallimentari. La valutazione di tale compatibilità sarà differenziata a seconda del contenuto dell’accordo posto in essere, così sarebbe da considerare illecito un accordo che pretenda di limitare i flussi di informazione tra curatore e comitato richiesti dalla legge, o addirittura di limitare i poteri del

comitato. Tali doveri e prerogative sono previsti dalla legge a tutela dei creditori, e il curatore non può svuotarli di consistenza con la stipula di accordi con terzi

181 finanziatori. Invece, accordi volti a limitare l’autonomia del curatore nel

compimento di atti di natura gestoria di massima dovrebbero considerarsi leciti, almeno finché non risultino incompatibili con i principi di corretta gestione

dell’impresa in esercizio provvisorio oppure con gli obiettivi stabiliti nel programma di liquidazione. Nella pratica sarà molto difficile che si attribuiscano a terzi

finanziatori dei diritti/poteri di direzione e controllo sull’impresa in esercizio provvisorio, sicuramente il curatore per ottenere assistenza finanziaria sceglierà strade più semplici meno costose ed onerose per la procedura, poiché accordi di questo tipo non potranno che generare difficoltà interpretative e attuative rispetto ai principi che reggono la procedura e in maniera più specifica con le regole di funzionamento, che presuppongono una certa ripartizione di competenze e doveri tra gli organi della procedura, nell’esercizio provvisorio. Inoltre la predisposizione di regole di controllo dell’attività di impresa non può che riguardare le grandi imprese e i finanziamenti di cospicui dimensioni, infatti, tipicamente, sono le grandi imprese ad avere strumenti di rilevazione e controllo tali da assicurare il rispetto o il

monitoraggio degli impegni assunti con i convenants; o, se si preferisce, il rispetto degli impegni assunti con i covenants presuppone un apparato organizzativo e contabile articolato e oneroso che solo le grandi imprese possono sostenere74. Per queste considerazioni si esclude che sussistano le condizioni economiche concrete affinché tali accordi vengano stipulati per ottenere finanziamento da imprese in esercizio provvisorio.

74 Giannelli, Covenants finanziari e finanziamento dell’impresa di gruppo in crisi, in Riv. dir. soc.,

182

CONCLUSIONE

In seguito alla riforma della legge fallimentare possono delinearsi due differenti modelli di fallimento. Nelle procedure, che tuttora costituiscono la maggioranza, nelle quali la dichiarazione di fallimento sopraggiunge quando l’impresa è da tempo cessata ovvero non vi è alcuna ragionevole prospettiva di riallocazione del

complesso aziendale sul mercato, la questione della opportunità della prosecuzione endofallimentare non ha proprio ragione di porsi. In tal caso è anche abbastanza improbabile che si riesca a costituire il comitato dei creditori, in ragione di un’obiettiva carenza di interesse, considerate le limitate prospettive di

soddisfacimento in procedure di questo tipo, è prevedibile quindi che il curatore proceda alla liquidazione dell’attivo secondo uno schema sostanzialmente analogo a quello regolato dalla abrogata disciplina. Sembra evidente che l’unica modalità di liquidazione realisticamente praticabile risulta essere quella della vendita frazionata dei singoli cespiti, la procedura si adopererà affinché questa avvenga per ciascuno alle migliori condizioni possibili, tenuto conto delle condizioni del mercato. Risulta inevitabile quindi attribuire alla finalità del fallimento , sinteticamente

rappresentata dall’espressione “maggiore soddisfazione” dei creditori, di cui all’art. 105 comma 1, una valenza prettamente quantitativa, nel senso di “pagamento della percentuale più elevata del credito”. Diversa dovrebbe essere la situazione nei fallimenti nei quali la crisi dell’impresa non è tale da escludere la possibilità che essa sia riallocata sul mercato. In questa prospettiva l’esercizio provvisorio appare

direttamente strumentale a rendere concretamente realizzabile una fra le molteplici conclusioni della procedura di liquidazione che, per lo più, pure si in modo diverso, appaiono connotate da un alta percentuale di probabilità circa la continuazione dell’attività anche oltre la chiusura del fallimento. Si tratta in sostanza delle varie opzioni delineate dall’art. 105, alienazioni dell’azienda o di singoli rami, cessioni in blocco di beni o rapporti giuridici, conferimento

dell’azienda, di singoli rami, di beni o di crediti con i relativi rapporti contrattuali in corso a società preesistenti o di nuova costituzione. La salvaguardia dei valori imprenditoriali, privilegiata nella disciplina vigente, fa assumere alla procedura

183 fallimentare una peculiare connotazione, che solo tradendo lo spirito della riforma può essere costretta nella limitata prospettiva secondo la quale il fallimento sarebbe finalizzato esclusivamente a far conseguire ai creditori concorsuali il soddisfacimento del credito nella misura più elevata possibile. Si deve ammettere infatti che, quando il fallimento si configura strutturalmente anche come

opportunità di prosecuzione di rapporti giuridici tanto nel corso della procedura, quanto oltre la cessazione di questa, nonché, ovviamente, come occasione di investimento per il mercato in generale, innegabilmente coinvolge direttamente pure altri interessi dei creditori, la cui realizzazione per certe categorie di questi può avere un’importanza anche maggiore rispetto al pagamento di una percentuale più elevata del credito vantato verso il fallito. Nella tipologia di fallimento che si sta prendendo in considerazione, non soltanto appare normale che venga disposta la continuazione dell’attività d’impresa, ma è presumibile che essa solleciti una notevole attenzione da parte di tutti i creditori, che pur se a diverso titolo sono interessati alla sopravvivenza dell’impresa. Sicuramente la riforma ha posto le basi per un ampliamento dell’ambito di applicazione dell’esercizio provvisorio,

considerato uno strumento che può traghettare l’azienda in modo dinamico fino alla fase della liquidazione, dove non si potranno che prediligere modalità

liquidative per aggregati, nell’ottica di preservare il valore economico dei complessi aziendali, evitare la loro disgregazione e favorire la loro riallocazione sul mercato successivamente alla chiusura della procedura concorsuale. Questo è il mutato contesto giuridico ed economico in cui si inserisce l’esercizio provvisorio, che evidenzia come l’istituto si orienti anche alla tutela di istanze per così dire sociali, si è esposto in modo molto esauriente nella trattazione che la riforma ha codificato un orientamento già radicato in precedenza che vede l’esercizio provvisorio come strumento che può tutelare anche interessi altri rispetto a quello della mera

soddisfazione monetaria dei crediti, sempre però nel limite che la prosecuzione non pregiudichi i creditori e in modo mediato rispetto alla salvaguardia del complesso produttivo. Nella trattazione, oltre a dare rilievo a quelle che sono in effetti le potenzialità dell’istituto, sono emersi i limiti di esso e la difficoltà pratica di disporre

184 la continuazione dell’attività nell’ambito della procedura fallimentare. In particolare si deve rilevare che le imprese sottoposte a fallimento, in genere, sono di modeste dimensioni e per esse non appare praticabile la continuazione dell’attività

d’impresa, inoltre il curatore, come qualsiasi altro gestore d’impresa, necessita di finanziamenti che è difficile reperire in tale contesto, soprattutto mancano le condizioni economiche per ottenere risorse finanziarie da terzi esterni al fallimento. La difficoltà di mettere in atto l’esercizio provvisorio deriva anche dalla

configurazione dei rapporti di potere tra gli organi della procedura, la mancata riuscita di esso in genere deriva dalla incapacità e inadeguatezza della figura del curatore che non possiede le capacità imprenditoriali necessarie per la gestione di un’attività d’impresa; inoltre il legislatore ha previsto un coinvolgimento molto intenso del comitato dei creditori che in seguito alla riforma viene dominato dai creditori “forti”, i quali generalmente influenzano la prosecuzione dell’attività d’impresa e cercano di far giungere la fase della liquidazione verso quelle opzioni, fra le conclusioni possibili, che ritengono più opportune per i loro interessi. Per evitare un uso distorto dell’istituto rispetto alla corretta attuazione dello schema procedimentale previsto dalla disciplina di riferimento, il legislatore ha circondato l’esercizio provvisorio delle necessarie cautele e garanzie, stabilendo in modo preciso i presupposti e le modalità per la disposizione di questo strumento e ricercando un delicato equilibrio tra attribuzioni di poteri e ripartizioni di

competenze degli organi della procedura. In modo particolare, risolve eventuali

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