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Il “Nuovo” mercato del credito

L’esigenza di tutelare il patrimonio bancario e di ridurre il rischio di insolvenza, si concretizza con la

stesura, nel 1988, da parte del Comitato di Basilea di un documento teso a definire degli strumenti per

valutare l’adeguatezza patrimoniale degli istituti creditizi. Alla base di tutto, si avverte la necessità di

adeguare il patrimonio della banca ai rischi reali e potenziali, attraverso la costituzione di un “capitale

di vigilanza” nel rispetto di criteri stabiliti dalla Banca Centrale Nazionale.

Con il primo accordo sul capitale (Basilea 1) si ha come precipuo obiettivo quello di limitare la condotta,

in alcune circostanze spregiudicate, di alcuni istituti di credito, introducendo il requisito patrimoniale

minimo, in quota pari ad almeno l’8% dei crediti alla clientela. Così facendo si vuole far fronte, in ordine

di importanza, al rischio di credito (o di controparte), al rischio paese e al rischio di mercato.

Il patrimonio di vigilanza (PV) è dato dalla somma algebrica di una serie di elementi positivi e negativi

relativi alla sola parte del patrimonio effettivamente disponibile e utilizzabile per fronteggiare i rischi

e le perdite dell’intermediario banca. Nello specifico:

PV = Patrimonio di base + Patrimonio supplementare – Deduzioni.

A sua volta, il Patrimonio di base (o primario) è caratterizzato da:

• capitale sociale (versato);

• riserve di utile;

• sovrapprezzo di emissione;

• fondo per rischi bancari generali;

• strumenti innovativi di capitale.

Il totale di questi elementi, previa deduzione delle azioni proprie, dell’avviamento, delle

immobilizzazioni immateriali, delle perdite registrate in esercizi precedenti e quelli in corso, costituisce

il patrimonio base.

Il patrimonio supplementare è costituito, invece, dai seguenti elementi:

• riserve di rivalutazione;

• strumenti ibridi di patrimonializzazione e le passività subordinate;

• fondo rischi su crediti, al netto delle minusvalenze nette su titoli e degli altri elementi negativi;

• plusvalenze o le minusvalenze nette sulle partecipazioni.

Dalla somma del patrimonio di base e del patrimonio supplementare sono sottratti gli elementi di

deduzione, cioè le partecipazioni, gli strumenti ibridi di patrimonializzazione e i prestiti subordinati

detenuti nei confronti di banche e società finanziarie, così determinando il patrimonio di vigilanza.

Esso costituisce il supporto per la formulazione dei parametri di operatività dettati dall’organo di

vigilanza e rappresenta il presidio quantitativo ai rischi tipici dell’attività bancaria.

Rimasto in vigore per circa due decenni, l’Accordo di Basilea 1, che presenta una semplicità di

applicazione, non sempre riesce a fronteggiare i repentini cambiamenti in atto del sistema mercato e

delle esigenze della clientela.

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Nel gennaio del 2001 il Comitato di Basilea pubblica il documento The New Basel Capital Accord. Si

tratta della prima bozza dell’accordo conosciuto come Basilea 2, che diventa operativo dal 2008 dopo

un biennio di sperimentazione.

Con Basilea 2 si assiste ad una modifica sostanziale dei criteri per la determinazione della solidità

patrimoniale delle banche e, rispetto al precedente accordo, in questo caso si vuole incentivare le

banche a sviluppare procedure interne di gestione del rischio di credito. A questo proposito,

prevedendo diverse metodologie per il calcolo dei citati requisiti patrimoniali, il capitale di riserva inizia

a dipendere dalla qualità e dalle peculiarità dei prestiti concessi alle imprese. Ciò vuol significare che

le imprese “più rischiose” devono scontare una maggiore onerosità dei finanziamenti attinti perché la

stessa banca ha necessita di congelare parte della raccolta ovvero patrimonio di vigilanza. Da qui

l’esigenza di applicare una serie di restrizioni, che ancor oggi è possibile constatare nella concessione

del prestito al cliente finale.

Il “nuovo” patrimonio di vigilanza così definito è dato dal seguente rapporto:

Patrimonio di vigilanza/ A * RW ≥ 8%

in cui A*RW sono espressione delle attività ponderate al rischio di credito, di mercato ed operativo.

Volendo riassumere, l’accordo di Basilea 2 si fonda su tre fondamenti, ovvero:

• i requisiti patrimoniali, con cui le banche riformano la regola dell’8%, per porre maggiore

attenzione al rischio di credito, relativamente al portafoglio clienti, al rischio di mercato, con

riferimento al portafoglio investimenti diretti e al rischio operativo, in merito all’organizzazione e

gestione dell’istituto di credito;

• il controllo prudenziale, con cui si prevede un più attento controllo delle Autorità di Vigilanza, non

solo sui requisiti minimi patrimoniali, ma anche sulle politiche adottate dall’istituto di credito con

riferimento alle procedure organizzative atte a garantire un monitoraggio dei propri rischi;

• la disciplina di mercato, in funzione della quale le banche devono offrire maggiori informazioni al

mercato, rendendo più trasparente la loro attività a vantaggio di investitori e di risparmiatori.

Entrando maggiormente nel merito dei requisiti patrimoniali ed in particolare dei rischi di credito, con

Basilea 2 si pone maggiore attenzione sulla valutazione del merito creditizio del cliente, traducendolo

in un rating, ovvero valutazione del rischio.

Per la determinazione del rating è possibile adottare tre metodi di calcolo:

• il metodo standard;

• il metodo Internal Rating Based di base (IRB Foundation);

• il metodo Internal Rating Based avanzato (IRB Advanced).

Il metodo standard si basa su un’attività di analisi svolta da agenzie di rating esterne (definite ECAI

ovvero Eligible exsternal Credit Assessment Institution) autorizzate dalle Autorità di Vigilanza, che

hanno la finalità di ponderare il rischio di insolvenza del cliente, considerando, ad esempio, i prestiti

scaduti, l’appartenenza o meno ad uno specifico settore a rischio, la presenza o meno di garanzie

personali e/o reali.

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Gli IRB sono invece metodi interni di rating, pensati per quelle banche di più grande dimensione. Per

la strutturazione del modello di rating interno vi sono quattro requisiti:

• propability of default (PD), ovvero la probabilità che si registri un’insolvenza della controparte in

un lasso di tempo non molto ampio;

• loss given default (LGD), inteso come la possibilità di recupero in caso di default della controparte,

anche in relazione alle garanzie da questi prestate;

• exposure at default (EAD), correlato al rischio registrato con l’aumento dell’importo prestato

rispetto all’inizio e che quindi si potrebbe trasformare in insolvenza;

• maturity (M), che interessa la durata dell’operazione e la sua vita residua in relazione alla quale

potrebbe variare il rating della controparte e con esso la probabilità di una sua insolvenza.

La differenza tra l’IRB Foundation e IRB Advance risiede nel fatto che, nella prima circostanza, la

determinate PD è stimata dalla banca mentre le variabili LGD, EAD ed M, sono indicate dall’Autorità di

Vigilanza. Con riferimento, invece, alla IRB Advance i quattro requisiti sono stimati tutti dalla banca.

La modifica degli scenari economici e finanziari che risentirono della crisi post 2007/2008 indussero il

Comitato di Basilea a prendere ulteriori provvedimenti a garanzia del processo di patrimonializzazione

delle banche. Ne consegue un nuovo accordo, denominato Basilea 3, che coinvolge gli intermediari

finanziari e che impone provvedimenti che riguardano:

• l’introduzione di standard minimi di liquidità;

• la fissazione di requisiti più elevati con riferimento al patrimonio nel rispetto di un nuovo vincolo

di leva finanziaria;

• la definizione di regole più rigide per la copertura dei rischi di mercato e di credito;

• la promozione di misure anticicliche per ridurre la “prociclicità”.

Cerchiamo di analizzarli brevemente.

Gli standard minimi di liquidità richiamano due indici, ovvero il Liquidity Coverage Ratio (LCR) e il Net

Stable Funding Ratio (NSFR).

Il LCR è dato dal rapporto tra:

Attività liquide di elevata qualità ≥ 100%

Deflussi di cassa totale netti in 30 gg

Esso impone vincoli con riferimento alle attività finanziarie, sotto forma di riserva di liquidità, e

stabilisce un limite qualitativo del portafoglio in termini correlati alle uscite nette stimate. Si pone in

una logica di gestione della liquidità basata sul market liquidity risk, e richiede alle banche di

mantenere una base di liquidità tale da permettere loro un deflusso di risorse finanziarie nette della

durata di 30 giorni senza che vi sia il ricorso al mercato o alla Banca Centrale.

Il NSFR è dato dal rapporto tra:

Provvista stabile disponibile (Fonti) ≥ 100%

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L’indice NSFR si focalizza sull’equilibrio di struttura finanziaria (funding liquidity risk) e quindi sulla

gestione della liquidità strutturale della banca, diversamente a quanto indicato dall’indice LCR, che

invece si focalizza sulla gestione della liquidità operativa, di breve termine. È bene precisare che, per

quanto concerne la raccolta, è necessario che la medesima sia preservata in termini quantitativi, per

quanto non dev’essere considerata statica. Pertanto, può sicuramente subire cambiamenti, purché sia

rispettata la correlazione con gli impieghi a cui si riferisce.

Alla luce di quanto sopra esposto, è evidente che i due indici rappresentano vincoli da rispettare con

riferimento alla gestione della liquidità, di copertura e di fondi indispensabili per la salvaguardia

dell’equilibrio finanziario su orizzonti temporali sia di breve (LRC) che di medio e lungo termine (NSFR).

La fissazione di requisiti più elevati con riferimento al patrimonio nel rispetto di un nuovo vincolo di

leva finanziaria rappresenta un secondo elemento su cui si fonda l’accordo di Basilea 3. Il presupposto

è dettato dal fatto che l’indebitamento delle banche, dato dalla raccolta non può superare determinati

limiti rispetto al patrimonio proprio della banca. Il principale timore, con l’applicazione dell’indicatore

di leva finanziaria, è che la banca possa andare a limitare l’attività di impiego anche per attività con

rischi molto bassi, vincolando gli obiettivi di crescita. A ciò si aggiunga che il leverage non è certo uno

strumento che garantisce l’istituto contro i rischi di insolvenza.

Con rifermento alla migliore copertura dei rischi di mercato e di credito, l’accordo di Basilea 3 ha

sviluppato una serie di proposte per modificare e quindi migliorare i requisiti minimi patrimoniali,

cercando di non sottostimare il valore del rischio in correlazione alle attività.

Per concludere, uno degli elementi principali per ridurre la “procliclicità” prevede la promozione di

misure anticicliche mediante cui le banche dovrebbero riservare risorse patrimoniali superiori a quelle

minime. Si tratta di prevedere delle riserve “cuscinetto” di capitale oltre i minimi regolamentari (2,5

per cento di common equity in rapporto all’attivo a rischio).