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Diverse prove suggeriscono che la nutrizione svolge un ruolo fondamentale nella prevenzione, attraverso la diminuzione dei fattori di rischio ai fini dello sviluppo della malattia di Alzheimer (AD) e di Parkinson (PD).

Da tempo è stata messa in evidenza la stretta relazione tra la carenza dei nutrienti e le malattie neurodegenerative.

L’impiego di agenti antiossidanti potrebbero essere molto utili nella prevenzione del danno neuronale, o per lo meno nel produrre un rallentamento dell’evoluzione dei fenomeni neurodegenerativi. Questa ipotesi è ora allo studio sia sperimentale che clinico.

La prevenzione attraverso l’alimentazione include evitare la carenza vitaminica e la riduzione dello stress ossidativo con la conseguente protezione e preservazione sia vascolare che neuronale.

L’alimentazione e la dieta possono essere usati come strumenti nel prevenire la malattia di Alzheimer (AD) fornendo benefici protettivi al cervello, atti a preservarne la cognizione e la memoria mediante l’attenuazione dei molteplici fattori di rischio, ma anche

riducendo la deposizione/produzione di Aβ.

Le scoperte ottenute dalla ricerca supportano fortemente le diete ricche di acidi grassi Omega 3 (ω3) per prevenire malattia di Alzheimer (AD).

La maggior parte dei dati rivelano come la combinazione tra le differenti strategie alimentari, rispetto al singolo procedimento, potrebbero esprimere il più sostanziale beneficio preventivo.

La dieta Mediterranea include l’assunzione di differenti composti nutrizionali e presenta considerevoli prove associate ad un diminuito rischio nell’insorgenza di malattie

neurodegenerative. Essa è stata inoltre collegata ad un diminuito rischio di mortalità nella malattia di Alzheimer (AD) tanto quanto un diminuito rischio di mortalità causata da altre patologie quali: malattie cardiache, cancro ed incidenza del morbo di Parkinson.

Infatti, diversi agenti antiossidanti sembrano in grado di proteggere le colture neuronali contro la tossicità recata dal β amiloide (Aβ), ma anche contro lo stress ossidativo prodotto da altri fattori importanti per la malattia. [32]

SOSTANZE SUPPLEMENTARI DERIVATE DAGLI ALIMENTI COME

AGENTI TERAPEUTICI AGGIUNTIVI PER IL TRATTAMENTO DI

MALATTIE NEURODEGENERATIVI.

Di recente, i composti naturali e le sostanze fornite tramite gli integratori alimentari sono diventati un'opzione sempre più allettante per trattare le patologie, poiché questi

costituenti nutrizionali, convalidati da prove sempre più evidenti di natura clinica, hanno potenziali effetti terapeutici aggiuntivi sia protettivi che riparativi.

Diverse sostanze supplementari ovvero: curcuminoidi, acido rosmarinico, resveratrolo, acetil-L-carnitina e acidi grassi polinsaturi ω-3, hanno dimostrato di possedere effetti terapeutici incoraggianti su malattie croniche, come il morbo di Alzheimer e la

neurodegenerazione derivata da eventi avversi acuti, come lesioni cerebrali traumatiche. La ricerca ha dimostrato che alcuni polifenoli e composti endogeni abbiano rilevanti effetti benefici sui meccanismi ossidativi ed infiammatori associati alle NDDs, essendo questi composti in grado di contrastare le anomalie metaboliche associate a questi disordini.

Tra questi composti si possono includere tre polifenoli alimentari ovvero: acido rosmarinico (RA), resveratrolo e curcuminoidi in combinazione con altri due composti endogeni cioè: acetil-L-carnitina (ALC) e omega ω-3 (n=3) PUFAs.

• Composti polifenoli

L’acido rosmarinico (RA), (Figura 14) è l'estere strutturale dell'acido coffeico e dell’acido 3,4-diidrossifenilattico, e rappresenta il principale fenolo riscontrabile nelle piante

appartenenti alla famiglia delle Laminaceae, di cui fanno parte: rosmarino, salvia, basilico, menta e timo.

Diversi studi sono stati condotti al fine di esaminare i potenziali effetti degli estratti di RA (acido rosmarinico) sulla funzione cognitiva umana.

Una singola dose (25-150 𝜇L) di S. lavandulaefolia è stata in grado di provocare

consistenti miglioramenti sia nella prestazione cognitiva sia nella valutazione dell'umore nei giovani individui in salute, con risultati simili osservabili negli individui anziani, con età maggiore ai sessantacinque anni in buona salute.

L’ aumento della dose, nello studio che interessava pazienti anziani, è compresa tra i 167- 1332 mg in confronto agli studi che coinvolgevano pazienti giovani, suggerendo che il beneficio cognitivo fosse dose dipendente dall’età dei soggetti in studio.

Una dose non definita di S. officinalis somministrata ogni giorno per oltre quattro mesi ha migliorato non solo la funzione cognitiva ma anche quella comportamentale negli

individui di età compresa tra i sessantacinque e gli ottanta anni con AD moderata clinicamente diagnosticata.

Un simile studio pilota è stato condotto su individui con AD di entità da lieve a moderata, ai quali è stata somministrata una dose crescente di S. lavandulaefolia (50-150 mg) per oltre sei settimane. Dimostrando miglioramenti nella memoria e nell’attenzione, oltreché una tollerabilità e sicurezza.

Inoltre, è stato ulteriormente evidenziato che gli estratti di salvia inibiscano in vitro l’enzima acetilcolinaesterasi, enzima maggiormente implicato nei deficit colinergici osservabili nella patogenesi dell'AD, dimostrando un’azione protettiva dell’RA, mediante attenuazione dello stress ossidativo e la morte delle cellule neuronali.

Un altro polifenolo trovato in una grande varietà di piante, è il resveratrolo, (Figura 15) al quale sono state associate un gran numero di proprietà biologiche, tra le quali includiamo le proprietà antiossidante, antinfiammatoria, anticangerogenica e notevoli effetti

neuroprotettivi.

Studi clinici condotti sull’uomo hanno analizzato gli effetti biologici, esaminando diverse variabili come la farmacocinetica, il metabolismo, la sicurezza, la tolleranza, e la

biodisponibilità, evidenziando la relativa sicurezza del resveratrolo su dosi variabili da 25 mg a 5 g, con effetti collaterali lievi negli studi a breve termine od acuti.

Figura 15: Struttura del Resveratrolo [34]

Tuttavia, ad oggi, non esistono dati concreti riguardanti la tossicità dovuta ad

un’assunzione cronica di resveratrolo, sebbene i dati ricavati da studi tutt’ora in corso, potrebbero iniziare ad affrontare questo aspetto. Attualmente esistono parecchie prove cliniche in corso, che esaminano il potenziale effetto terapeutico del resveratrolo sulla funzione cognitiva e sul flusso sanguigno cerebrale nel cervello durante l’invecchiamento, con deterioramento (MCI) cognitivo lieve e AD, nonché per lesioni.

Incremento della dose tra i 250-500 mg/die, mostra un aumento del flusso cerebrale all’interno della corteccia prefrontale durante lo svolgimento delle funzioni cognitive, dimostrando l'influenza del resveratrolo sull’emodinamica cerebrale, dato che esso è patologicamente compromesso in numerosi disturbi, tra cui AD. Identificando, perciò, la

patologia come una possibile area in cui il resveratrolo potrebbe dimostrarsi clinicamente vantaggioso. In vitro, è stato dimostrato che il resveratrolo protegga i neuroni dall’azione del Aβ, il quale induce tossicità e morte cellulare, destabilizzando le fibrille del Aβ.

Altrettanto importanti sono gli effetti antinfiammatori ed antiossidanti del resveratrolo, collegati alla soppressione dell’attivazione delle vie di NF-kB, sirtuin 1 e MAPK,

attenuando il rilascio de mediatori pro-infiammatori come: TNF-a, IL-1β e NO, da parte della microglia, evidenziandone un possibile ruolo nel limitare la patologia

neurodegenerativa.

Un'altra tipologia di polifenoli è rappresentata dai curcuminoidi, contenuti principalmente nella curcuma (Curcuma longa). I tre più importanti sono: la curcumina (75-80%), la demetossicurcumina (15-20%) e bidemetilossicurcumina (3-5%).

I dati epidemiologici suggeriscono che l'assunzione alimentare di curcumina incrementi la funzione cognitiva negli individui anziani in salute. Questa evidenza clinica è sostenuta dal fatto che molteplici prove dimostrino una riduzione nelle concentrazioni di Aβ e tau nelle popolazioni che consumano grandi quantità di curcumina.

La natura idrofobica dei curcuminoidi, ha indotto a ricercare una curcumina coniugata o analoghi di essa al fine di aumentarne la biodisponibilità ottenendo, in tal modo,

potenziali effetti antiossidanti ed anti-infiammatori in condizioni neurodegenerative. Per dimostrare tali effetti benefici, sono state condotte sperimentazioni in vitro, in cui i modelli di AD hanno dimostrato come i curcuminoidi siano in grado di preservare dal danno dovuto ad un’azione a lungo termine del Aβ. Per cui la somministrazione in vivo

potrebbe ampliare la memoria spaziale nei roditori che mostrano una perdita neuronale simile a AD.

Infine, gli acidi grassi essenziali ω-3 PUFAs, sono tutt’ora ben conosciuti per essere molecole estremamente bioattive, i quali hanno dimostrato di poter regolare un certo numero di vie metaboliche ed infiammatorie, esercitando molteplici effetti pleiotropici nelle varie patologie del sistema nervoso centrale.

In particolare, DHA, l’acido docosaesanoico,(Figura 16) principalmente riscontrato in alte concentrazioni nel cervello, rappresenta all’incirca il 40% dei fosfolipidi costituenti la membrana plasmatica neurale, ed è perciò considerato un elemento prezioso nel mantenimento della neuroprotezione.

Figura 16: Struttura dell’Acido Docosaesanoico (DHA) [35]

L’importanza del composto è tale che, diversi studi epidemiologici, mostrano come significative diminuzioni del DHA siano associate al declino cognitivo sia negli individui anziani in salute che in pazienti affetti da AD.

Ulteriori diminuzioni relative alla concentrazione di DHA possono essere correlate all’invecchiamento. Tutte queste valutazioni sono state verificate a seguito di analisi effettuate su cervelli affetti da AD post-mortem.

Inoltre, popolazioni che assumono regolarmente DHA con la dieta, presentano un più basso rischio di deterioramento cognitivo o di AD, poiché si evidenziano ingenti concentrazioni del composto nel plasma. Perciò, sono state effettuate una serie di indagini cliniche al fine di valutare l'efficacia terapeutica del trattamento con acidi grassi nelle malattie neurodegenerative.

Uno studio recente riferisce che la somministrazione di DHA a 900 mg/die per sei mesi, è stata sufficiente per migliorare sia l'apprendimento che la funzione di memoria durante il progressivo declino cognitivo correlato all’età negli adulti sani.

Allo stesso modo, un più recente esame ha evidenziato come la somministrazione di DHA a 2 g/die per diciotto mesi non abbia apportato alcun beneficio ai pazienti con diagnosi di AD, a sostegno del precedente parere, secondo il quale si ipotizza che DHA potrebbe essere una terapia più vantaggiosa in una condizione di decadimento cognitivo lieve, potendo ritardare l'insorgenza del declino cognitivo correlato all'età, ma non in individui con una progressione della malattia AD già diagnosticata.

Comunque la carenza di DHA, ha dimostrato di esacerbare, nei ratti neurodegenerati, il declino della trasmissione glutammatergica correlata all’età, mediante l’attivazione delle caspasi. Mentre l’integrazione di DHA ha attenuato lo stress ossidativo, in particolare la perossidazione lipidica, proteggendo, nei vari modelli animali affetti da AD, dalla perdita di memoriadovuto all’accumulo interneuronale di Aβ e della proteina tau.

Quindi la supplementazione del DHA riduce sostanzialmente il danno assonale e l’apoptosi, migliorando la trasmissione sinaptica e la capacità di apprendimento.

Altri nutraceutici, con possibile utilizzo nel trattamento della malattia di Parkinson (PD), sono coinvolti soprattutto nel rallentare la progressione della malattia. Infatti la malattia di Parkinson è caratterizzata da una marcata disfunzione mitocondriale.

Al fine di ottimizzare la glicolisi anaerobica all’interno del cervello, i composti alimentari devono oltrepassare la barriera emato-encefalica (BEE), lavorando probabilmente alla promozione dei regolatori chiave glicolitici di fosforilazione a livello di substrato tra cui fosfoglicerato chinasi, piruvato chinasi o acido lattico deidrogenasi (LDH), che potrebbero favorire la produzione di ATP. Le compensazioni vigenti tra gli enzimi ed i nutrienti sono chiaramente alterati durante la progressione patologia, evidenziabili dal significativo aumento nei rapporti di lattato/piruvato, NAD+/NADH e NADP+/NADPH. Suggerendo la

comparsa dello "stress metabolico" e l’uso accelerato di nicotinammide riducenti equivalenti per guidare i processi di sopravvivenza nel produrre ATP attraverso i cambiamenti anaerobici, in particolare l'ischemia.

• NIACINA (vitamina B3)

La mancanza di niacina (Figura 17) determina un aumento del rischio di degenerazione per i neuroni DAergici, ed una tossicità indotta da MPTP probabilmente dovuta ad un’alta richiesta di NAD+ in numerosi processi biochimici tra cui glicolisi e apoptosi per sovra-

attivazione di PARP-1.

La somministrazione, in vivo, di niacina ha dimostrato una marcata protezione cellulare del SNC contro la tossicità indotta da MPTP e dalla deplezione di DA striatale. Tali effetti sono probabilmente dovuti alla prevenzione di un calo dell'ATP, alimentando la glicolisi e prevenendo la deplezione di PARP-I NAD+.

Pertanto, l'uso di niacina come agente terapeutico potrebbe essere ulteriormente esplorato, poiché i suoi vasti benefici biochimici all’organismo, incluso il contributo

addizionale alla via del pentoso fosfato, regolano la rimozione endogena di H2O2, un fattore

determinante per la patologia PD, attraverso il sistema GSH-Px.

Comunque la somministrazione di niacina, ha destato qualche preoccupazione, in quanto potrebbe portare alla sintesi di nicotinammide N-metilata endogena, un composto con similarità strutturale a MPP+, maggiormente implicato nella patologia di PD. Il composto

similare a MPP+ è ottenuto dalla conversione delle piridine in sostanze tossiche per mezzo

• Magnesio (Mg

+

)

Il magnesio alimentare (Mg+) svolge un ruolo fondamentale nel metabolismo umano ed è

principalmente coinvolto nella produzione e utilizzazione di ATP nel cervello umano. Un certo numero di studi suggeriscono che un deficit alimentare di Mg+ sia associato a una

maggiore perdita di neuroni DAergici all’interno del tessuto cerebrale. Infatti nei pazienti affetti da PD sono state rilevate più basse concentrazioni dello ione Mg+, il quale risulta

essere indispensabile nel favorire l’appropriato riassorbimento, lo stoccaggio vescicolare e il trasporto del mediatore dopaminergico.

Una elevata concentrazione di Mg+, nella dieta, potrebbe essere fondamentale per i

pazienti PD, dato che contrasta la neurotossicità indotta dalle correnti ioniche del Ca2+,

aumenta la funzione del trasportatore VMAT2 per il sequestro della DA e fornisce un blocco non competitivo voltaggio-dipendente del recettore NMDA, responsabile dell'eccitabilità dei neuroni.

Le vitamine, soprattutto quelle del complesso B, possono essere utile nel contrastare il Parkinson, dato che questi nutrienti svolgono un ruolo fondamentale nel metabolismo del glucosio e nella respirazione mitocondriale.

I derivati della vitamina B2 come flavina adenina dinucleotide (FAD) o la flavina mononucleotide (FMN) regolano il metabolismo mitocondriale aerobico mediando le reazioni redox attraverso la catena di trasporto degli elettroni. L'uso orale di integratori a base di riboflavina negli esseri umani possono invertire i sintomi clinici associati a molteplici

patologie, quali miopatia e patologie mitocondriali, che coinvolgono principalmente il complesso I-II, nei quali la riduzione di lattato e la funzione mitocondriale ripristinata sono associati a miglioramenti clinici.

Una funzione per la vitamina B6 attinente alla patologia di PD è la sua coniugazione con la vitamina B12 ed ai folati, che regolano il metabolismo dell'omocisteina favorendone la degradazione a metionina e tetraidrofolato.

Questi effetti potrebbero attenuare la neurotossicità associata all'iper-omocisteinemia, una condizione che non è solo associata alla patologia PD, ma anche alla tossicità di MPTP sia nei modelli sperimentali che come un possibile effetto collaterale della L-DOPA.

I livelli elevati di omocisteina potrebbero aumentare la gravità della malattia, poiché induce tossicità stimolando i recettori NMDA, scatenando lo stress ossidativo, il sovraccarico di Ca2+ e l’apoptosi.

Nei modelli sperimentali, sono ben noti gli effetti dell'iperomocisteinemia nel potenziare gli effetti neurotossici di MPTP. I più alti livelli di omocisteina nel plasma, sono stati evidenziati nei pazienti affetti da PD, quando un nutriente critico, come il folato, è carente. Per questo motivo, il folato, la vitamina B12 e la vitamina B6 potrebbero essere combinati con un nutraceutico come betaina e/o serina, al fine di ridurre i livelli di omocisteina, aiutando nella sua conversione normativa a metionina o cisteina, rispettivamente.

L'uso delle vitamine per supportare la funzione energetica potrebbe inoltre essere combinato con composti polifenolici derivati dalle piante (PDPC), i quali mirano specificamente a contrastare effetti tossici risultanti dalla perdita di ATP. Questi includono

il collasso del traffico di DA, l'ossidazione DA, la generazione di ROS, le reazioni di fenton, neurotossine DAergiche, ed infiammazione gliale nel SNC.

I prodotti nutraceutici che ottimizzano le riserve di stoccaggio di ATP potrebbero rafforzare ulteriormente la capacità di energia richiesta dai sistemi.

Nella malattia di PD sono state osservate alterazioni riguardanti la colina e la creatina, dimostrando come gli integratori di creatina possano proteggere dalla tossicità indotta da MPP+/MPTP, 6-OHDA e dalla privazione di glucosio. La creatina potrebbe essere utile

nell’aumentare la conservazione di ATP, mentre i sali di cromo sarebbero ugualmente importanti nel mantenere il glucosio fisiologico. Infatti un adeguato apporto di cromo nella dieta sembra essere importante al fine di evidenziare un corretto metabolismo sistemico del glucosio, nonostante la mancanza di prove a suggerire le aberrazioni del cromo nel liquido spinale cerebrale di pazienti con PD.

Come affermato in precedenza, si ritiene che i metaboliti derivanti dall'ossidazione iniziale di DA al chinone DA, o dal chinone DA nei suoi metaboliti tossici contribuiscano alla degenerazione di DAergica. Tuttavia questi processi potrebbero essere bloccati mediante somministrazione di molteplici nutraceutici, i quali presentano un’importante inibizione enzimatica nei confronti della tirosinasi, della COX, della lipossigenasi, della PLA2, della

xantina ossidasi, maggiormente implicati nella conversione / metabolismo della dopamina DA o funzionando sia da antiossidanti che da chelanti metallici.

Un’aumentata attività enzimatica della tirosinasi potrebbe comportare un aumento del rischio di insorgenza di PD oltreché disordini alla pelle quali iperpigmentazione. Entrambi sono coinvolti nell'ossidazione intensificata di L-DOPA per formare il dopacromo.

Altri inibitori naturali, influenzano in negativo l’attività della COX potendo, in tal modo, bloccare lo stadio iniziale dell'ossidazione enzimatica della DA, determinando la

formazione del DA chinone mediante l’attività enzimatica di PGH2 sintasi. I composti

polifenolici (PDPC) possono essere considerati come promettenti inibitori della COX come anche della LOX, anch’esso implicato nello stadio iniziale dell’ossidazione enzimatica di DA.

Gli inibitori della PLA2 attenuano le reazioni di ossidazione della DA, svolgendo una

duplice funzione nella patologia PD poiché bloccano la liberazione dell’acido arachidonico dalla membrana plasmatica, impedendone la processazione con conseguente mancata formazione dei mediatori pro infiammatori quali le prostaglandine.

Gli inibitori della PLA2 potrebbero essere combinati alla somministrazione di acidi grassi

omega-3, riducendo in tal modo la concentrazione di PGE2, una prostaglandina pro-

infiammatoria specificamente associata alla patologia PD. La co-somministrazione di

vitamina E potrebbe migliorare l'assorbimento degli acidi grassi omega-3, prevenendone

l’ossidazione.

Lo stadio iniziale dell’ossidazione enzimatica DA a DA chinone potrebbe essere attenuata dagli inibitori della xantina ossidasi.

Inoltre i neutralizzatori dei radicali liberi combinati tra xantina ossidasi/superossido potrebbero ridurre lo stress ossidativo, prevenendo la formazione di ONOO- ed

attenuando il processo degenerativo.

Si ritiene che i composti a base di tiolo aiutino a rallentare l'auto-ossidazione non

DA a 6-OHDA (una potente neurotossina) e O2- può essere letale in presenza di NO,

poiché la loro combinazione determina la formazione del perossinitrito ONOO-.

Quest’ultimo può quindi riossidare DA ed esaurire il glutatione ridotto disponibile e l'acido ascorbico. Il possibile contro intervento dietetico potrebbe includere antiossidanti tiolici come NAC che in modelli sperimentali bloccano l'auto-ossidazione di DA,

prevenendo la tossicità indotta da MPTP nei topi, attenuando gli effetti patologici di 6- OHDA, ONOO- e bloccando la formazione di DA o-semichinone ed i radicali neurotossici.

I nutraceutici con valenza antiinfiammatoria potrebbero essere potenziali agenti terapeutici poiché la risposta infiammatoria nel SNC è sotto il controllo finale delle chinasi come la tirosina chinasi, PI3K / Akt e vie di segnalazione della chinasi della proteina attivata da mitogeni come JNK, ERK ½ p38 MAPK. Gli agenti anti-infiammatori possono antagonizzare gli effetti complessivi puntando attraverso l’antagonismo di un numero di molteplici vie di segnalazione. Infatti, le sostanze naturali che potrebbero fornire protezione includono quelle che possono inattivare le MAPK’s fosforilate come ERK ½ chinasi, p38 MAPK, JNK, inibizione della chinasi IkappaB, degradazione di IkappaB, NF-κB, attivazione AP-1, antagonizzare COX-2/PGE2/iNOS e ridurre l'espressione di TNF-alfa e altre proteine proinfiammatorie in cellule immuno-competenti, alcune delle quali sono elencate come segue:

Inoltre, per proteggere il SNC dalla tossicità indotta da MPTP si potrebbero utilizzare degli inibitori della fosfodiesterasi (PDE), in particolare le isoforme I e IV, poiché modificando cAMP potrebbero ridurrei livelli di iNOS.

Al fine di prevenire l’accumulo di α-sinucleina, sono state studiate potenziali terapie nutraceutiche, aumentando il sistema ubichinone-proteasoma (UPS) o inibendo il bersaglio mammifero di rapamicina (mTOR) segnalando l’aumento dell'autofagia, che potrebbe nel lungo termine rallentare la progressione di questa malattia. [29] [36]

TERZA PARTE

Studi clinici

12. UTILIZZO DEI NUTRACEUTICI NEL TRATTAMENTO DELLE

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