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UTILIZZO DELLE SOSTANZE NUTRACEUTICHE NELLA PREVENZIONE DI MALATTIE NEURODEGENERATIVE: ALZHEIMER E PARKINSON

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

Utilizzo delle sostanze nutraceutiche nella prevenzione di

malattie neurodegenerative:

Alzheimer e Parkinson

Relatore: Candidata:

Prof.ssa Maria Claudia Gargini Martina Dumas

Dott.ssa Ilaria Piano

(2)

AI MIEI NONNI

(3)

RIASSUNTO ANALITICO

Le malattie neurodegenerative riguardano principalmente il sistema nervoso centrale (SNC), le quali comportano la perdita progressiva e selettiva delle cellule nervose con conseguente perdita di funzionalità o morte delle cellule irrimediabilmente danneggiate.

I sintomi che si manifestano durante il decorso delle patologie, possono variare ma l’esito finale è sempre gravemente invalidante, tanto che esse compromettono lo stile di vita del paziente che ne risulta affetto.

Tra le malattie neurodegenerative che andremo ad analizzare in questa tesi sono la malattia di Alzheimer(AD) e la malattia di Parkinson (PD).

La malattia di Alzheimer (AD) consiste in un’inevitabile quanto progressiva compromissione delle funzioni cerebrali. Il deficit neuronale è principalmente dovuto dalla degenerazione di una popolazione particolare di neuroni chiamati colinergici, i quali rilasciano acetilcolina, il neurotrasmettitore principale per lo svolgimento di funzioni complesse come la memoria ed il ragionamento.

La malattia di Parkinson (PD) è caratterizzata principalmente dalla degenerazione di particolari cellule nervose situate nella zona profonda del cervello definita substantia nigra.

Queste cellule producono un neurotrasmettitore, la dopamina, responsabile nel mantenimento dell’equilibrio del tono muscolare e il movimento.

(4)

Per queste malattie non esistono trattamenti efficaci per la risoluzione, dato che l’eziopatogenesi non è stata completamente definita.

I trattamenti finora applicati sono solo sintomatici, ovvero atti ad alleviare i sintomi, auspicando ad un rallentamento della progressione della malattia.

Al fine di rallentare il declino cognitivo, parallelamente al trattamento farmacologico, sono state integrate con l’alimentazione le sostanze nutraceutiche, sulla base di sperimentazioni cliniche.

È stata dimostrata una stretta correlazione tra l’alimentazione e le malattie neurodegenerative. Infatti, una carenza alimentare, comporta uno squilibrio fisiologico nella produzione di neurotrasmettitori e/o un aumento nella produzione dei radicali liberi e stress ossidativo, determinando carenze funzionali a livello cerebrale e un aumento dei processi infiammatori che inducono morte cellulare a livello neuronale.

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RINGRAZIAMENTI

Questa tesi, segna la fine di un cammino lungo e faticoso per certi aspetti, ma che comporta una grande soddisfazione.

Desidero vivamente ringraziare il mio relatore, la Prof.ssa Maria Claudia Gargini, per la disponibilità e gentilezza dimostratami in questi mesi. Similmente volevo ringraziare il relatore, la Dott.ssa Ilaria Piano per avermi aiutato nella realizzazione e scrittura di questa tesi.

Un importante ringraziamento deve essere fatto alle persone più importanti della mia vita: la mia famiglia, i miei genitori, che sono il mio punto di riferimento e che mi hanno sostenuta sia economicamente che emotivamente permettendomi di percorrere e concludere questo cammino.

Altra figura importante è mia sorella Francesca, che anche se siamo come il sole e la luna, siamo sempre disponibili l’una per l’altra nei momenti di bisogno.

Il mio storico fidanzato Gianluca, con il quale ho iniziato questo cammino, e che mi è accanto anche oggi in questo importante traguardo.

Un grazie va alla mia grande famiglia, ai Nonni, agli zii, ai cugini, ai parenti acquisiti e grazie a chi, come sempre, anche se lontano mille chilometri, mi ha sempre sostenuto ed è corso qua a festeggiare con me anche questo traguardo.

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Ringrazio i tutor della farmacia Marco e Roberta, i quali mi hanno insegnato, supportato e soprattutto sopportato durante i mesi di tirocinio, facendomi innamorare della professione. Grazie per questo bellissimo anno trascorso insieme pieno di emozioni; grazie per l'accoglienza, per il supporto e per i consigli che mi avete dato di cui farò tesoro. Inoltre, ma non meno importanti voglio ringraziare tutti gli amici cari, con i quali ho condiviso pomeriggi spensierati, pieni di risate ed allegria.

(7)

SOMMARIO

1. TERMINAZIONI SINAPTICHE ... 3

2. MALATTIA DI ALZHEIMER (AD) ... 5

EPIDEMIOLOGIA ... 5

PATOLOGIA CEREBROVASCOLARE ... 7

FASI PATOFISIOLOGICHE DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER: ... 8

FISIOPATOLOGIA DELLA MALATTIA... 11

LA PROTEINA PRECURSORE L’AMILOIDE (APP) ... 12

BETA AMILOIDE (Aβ) ... 14

ANOMALA AGGREGAZIONE DELLA PROTEINA TAU ... 18

APOLIPOPROTEINA E (ApoE) ... 21

CAMBIAMENTI NELLA FUNZIONE MITOCONDRIALE ... 21

AUTOFAGIA CELLULARE... 25

3. DIAGNOSI ... 26

METABOLISOMO NEURONALE E RILEVAZIONE MEDIANTE PET ... 28

4. TRATTAMENTO ... 30

5. CELLULE NERVOSE CHE CONTRIBUISCONO ALLA DEGENERAZIONE NEL SNC ... 32

MICROGLIA ... 32

ASTROCITI ... 33

6. MALATTIA DI PARKINSON (PD) ... 37

EPIDEMIOLOGIA ... 37

FISIOPATOLOGIA DELLA MALATTIA... 38

α-SINUCLEINA (α-Syn) ... 42

INFIAMMAZIONE ... 45

(8)

MANCANZA DI ENERGIA: PERDITA DI OXPHOS, AUMENTO DELLA GLICOLISI

ANAEROBICA E LATTATO, DEPLEZIONE DI ATP ... 51

PERDITA DELLA REGOLAZIONE DEL TRASPORTATORE DELLA DOPAMINA (VMAT2) . 53 OSSIDAZIONE DELLA DOPAMINA ... 55

OSSIDAZIONE ENZIMATICA DI DA, VIA DELLA NEUROMELANINA E DA-CHINONI ... 56

OSSIDAZIONE NON ENZIMATICA DI DA, 6-OHDA, RILASCIO DI FERRO E STRESS OSSIDATIVO ... 59

OSSIDAZIONE ENZIMATICA DA DI ALDEIDI MAO-DA E H2O2 ... 60

7. DIAGNOSI ... 61

TEST UTILI NEL DIAGNOSTICARE LA MALATTIA ... 62

8. TRATTAMENTO ... 65

9. DEFINIZIONEDI NUTRACEUTICO ED ALIMENTO FUNZIONALE... 68

10. ALIMENTAZIONE E NEUROTRASMISSIONE ... 72

11. NUTRIZIONE E MALATTIE NEURODEGENERATIVE ... 74

SOSTANZE SUPPLEMENTARI DERIVATE DAGLI ALIMENTI COME AGENTI TERAPEUTICI AGGIUNTIVI PER IL TRATTAMENTO DI MALATTIE NEURODEGENERATIVI. ... 76

12. UTILIZZO DEI NUTRACEUTICI NEL TRATTAMENTO DELLE MALATTIA NEURODEGENERATIVE ... 93

LA SUPPLEMENTAZIONE PRECOCE DI MELATONINA ALLEVIA LO STRESS OSSIDATIVO IN UN MODELLO ANIMALE TRANSGENICO MURINO AFFETTO DA MORBO DI ALZHEIMER. ... 94

IL SUCCO DI MELOGRANO RIDUCE IL CARICO DI AMILOIDE E MIGLIORA IL COMPORTAMENTO IN UN MODELLO MURINO AFFETTO DA MORBO DI ALZHEIMER ... 107

L'ESPERIDINA MIGLIORA LA DISFUNZIONE COGNITIVA, STRESS OSSIDATIVO E APOPTOSI INDOTTO DA CLORURO DALL’ALLUMINIO IN UN MODELLO ANIMALE DI RATTO AFFETTO DA MALATTIA DI ALZHEIMER. ... 120

AZIONE NEUROPROTETTIVA DELLA CURCUMINA NELLA MALATTIA DI PARKINSON. 135

(9)

13. CONCLUSIONI ... 142 Bibliografia ... 143

(10)

INTRODUZIONE

La presente tesi ha lo scopo di dimostrare come l’alimentazione, ed in particolare l’assunzione cronica di sostanze nutraceutiche possa in qualche modo rallentare o ritardare l’insorgenza delle malattie neurodegenerative, migliorando le condizioni di vita dei pazienti.

COSA SONO LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE (NDDs)

L’insieme composito di patologie del sistema nervoso centrale (SNC) caratterizzate da un processo cronico e selettivo di morte cellulare a carico dei neuroni. L’eziopatogenesi di queste malattie non è ancora definita, tuttavia sembrano giocare un ruolo fondamentale i fattori di rischio sia di origine genetica, colpendo più membri di una stessa famiglia, che ambientale.

Il termine degenerativo è un termine generico che indica un cambiamento patologico lento ma inesorabile. Il deterioramento neuronale è causa di un irreversibile quanto inevitabile danno alle funzioni cerebrali che si manifestano, a seconda del tipo di patologia con deficit cognitivi, demenza, alterazioni motorie, disturbi comportamentali e psicologici più o meno gravi.

(11)

La classificazione e la definizione di queste malattie, sia a causa della sovrapposizione della sintomatologia, che talvolta nella condivisone di alcune fasi del processo patologico, risultano tutt’oggi difficili da diagnosticare.

Sebbene alcune malattie neurodegenerative, insorte a seguito di forme sporadiche ed ereditarie, non abbiano un quadro clinico del tutto sovrapponibile, in esse sono state spesso individuate sia caratteristiche patogenetiche che biomolecolari comuni, aspetto questo forviante al fine di ricercare i potenziali sviluppi terapeutici futuri.

Tuttavia, sotto questo nome possiamo raggruppare diversi tipi di patologie tra cui:

➢ Malattia di Alzheimer ➢ Morbo di Parkinson ➢ Morbo di Huntington ➢ Sclerosi laterale amiotrofica ➢ Paralisi sopranucleare progressiva ➢ Demenza fronte-temporale ➢ Demenza di Lewy

Le patologie neurodegenerative che andremo ad analizzare in questa tesi sono: la malattia di Alzheimer ed il Morbo di Parkinson e la loro azione a livello cerebrale in particolare sulle sinapsi.

(12)

1. TERMINAZIONI SINAPTICHE

Le sinapsi sono le strutture di base e le componenti funzionali per una corretta comunicazione neuronale. I terminali presinaptici rappresentano l’area essenziale da un punto di vista sia funzionale che strutturale, ed avviano il corretto flusso di informazioni a livello neurale, attraverso il rilascio di molecole, di diversa natura chimica, chiamati neurotrasmettitori.

Quest’ultimi sono stoccati all’interno di vescicole presinaptiche (circa cento/duecento), e successivamente rilasciati all’interno del vallo sinaptico, meccanismo fortemente controllato dalla concentrazione di ioni Calcio all’interno del terminale sinaptico. (Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.)

Tuttavia la normale fisiologia e morfologia neuronale risulta essere facilmente alterata in molteplici malattie neurologiche, che coinvolgono principalmente la deplezione sia delle vescicole che delle proteine sinaptiche implicate nella neurotrasmissione.

Di fatto, queste disfunzioni neurologiche sono alla base di manifestazioni precoci utili nel diagnosticare le patologie. [1]

(13)

Figura 1: Rappresentazione della liberazione di un neurotrasmettitore all’interno di

(14)

2. MALATTIA DI ALZHEIMER (AD)

La malattia di Alzheimer, scoperta nel 1906 dal neuropatologo e psichiatra tedesco Alois Alzheimer, è un disordine neurodegenerativo caratterizzato da un graduale, progressivo danneggiamento cognitivo e comportamentale, conseguentemente associato ad un accumulo a livello cerebrale di Beta Amiloide e proteina Tau.

I sintomi più comuni sono rappresentati da deficit cognitivi, quali memoria a breve termine, disfunzioni esecutive e visio-spaziali. [2] [3]

EPIDEMIOLOGIA

La patologia è in rapida crescita e colpisce circa 25 milioni di persone in tutto il mondo. Essa costituisce approssimativamente il 70 % dei casi di demenza. L’incidenza aumenta con l’avanzare dell’età, raddoppiando ogni cinque o dieci anni (dallo 0.6% di incidenza tra 65-69 anni fino a 8.4% al disopra degli 85 anni). (Figura 2)

Oltre all’età, altri fattori di rischio includono una storia familiare di demenza, lesioni cerebrali, fattori genetici (quali mutazione della apolipoproteina E ε4 allele), disturbi vascolari e fattori ambientali. [4] [5]

(15)

Figura 2: Il tasso di incidenza annuale relativo a cento persone l’anno colpiti da malattia di Alzheimer.

(16)

PATOLOGIA CEREBROVASCOLARE

Le disfunzioni cerebrovascolari, riscontrabili nella malattia, potrebbero presentarsi con manifestazioni cliniche compatibili con la demenza, ma queste disfunzioni coesistono contemporaneamente durante la progressione della malattia di Alzheimer.

I cambiamenti che possono avvenire a livello cerebrovascolare come infarti emorragici, infarti corticali ischemici di piccole o grandi dimensioni e vascolopatie potrebbero aumentare il rischio di demenza, anche se i meccanismi che determinano l’insorgenza della malattia sono tutt’ora sconosciuti. Tuttavia, gli infarti e l’ipertensione potrebbero comportare un danneggiamento a livello di regioni cerebrali fondamentali nel mantenere inalterata la funzione della memoria, quali il talamo e le proiezioni talamo-corticali.

L’insieme di tutti questi danneggiamenti potrebbe inoltre rafforzare la deposizione del Beta-Amiloide (Aβ), che a sua volta può comportare un declino cognitivo od indurre risposte infiammatorie.

Infine, l’ipoperfusione potrebbe indurre un aumento dell’espressione della chinasi dipendente da ciclina 5 (CDK5), una serina-treonina critica sia nella formazione che nella plasticità sinaptica. Successivamente l’attivazione di questa chinasi è associata all’apoptosi e morte cerebrale, essendo inoltre coinvolta nell’anomala fosforilazione della proteina Tau, la quale contribuisce alla formazione dei “grovigli” neurofibrillari (NFTs). [6]

(17)

FASI PATOFISIOLOGICHE DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER:

Lo stadio iniziale della malattia risulta essere asintomatico, rendendo perciò difficile distinguere questa condizione dal normale deterioramento cognitivo causato dall’invecchiamento.

Tuttavia, questa fase è considerata come una condizione peculiare della malattia, anche se non sono stati definiti specifici criteri diagnostici che potrebbero essere usati in condizioni tipicamente cliniche.

Vista la difficoltà di una diagnosi precoce, l'attenzione dei clinici, durante le sperimentazioni è stata rivolta nell’individuare biomarcatori e ricercare i diversi elementi peculiari che potrebbero aiutare a tracciare l'insorgenza e la progressione sia del danno cognitivo lieve (MCI) che della malattia di Alzheimer (AD).

(18)

Generalmente si ipotizza che la malattia di Alzheimer possa procedere come segue:

La seconda fase della malattia, è divenuta più semplice da diagnosticare, ed è rappresentata dal Decadimento cognitivo lieve (MCI), strettamente correlato alla malattia di Alzheimer (AD).

In particolare, le aree analizzate per valutare se un paziente ne è affetto sono:

➢ Un cambiamento nelle capacità cognitive rispetto ad un precedente livello; ➢ Compromissione di uno o più domini cognitivi (es. orientamento, lingua,

attenzione, capacità decisionali, memoria);

➢ Problemi nell'esecuzione di compiti complessi, una volta eseguiti facilmente; [7]

La demenza sviluppata a seguito della malattia di Alzheimer (AD), rappresenta il terzo stadio nel continuum della patologia. (Figura 3).

Amiloidosi

Disfunzione sinaptica e neuronale, Stimolazione dei processi infiammatori, Iperfosforilazione della proteina Tau, Accumulo "grovigli" neurofibrillari

Modifiche

cognitive

STADIO 1

1

STADIO 2

STADIO 3

(19)

Questa è spesso la fase che i clinici conoscono meglio, poiché oltre alle modifiche nella memoria episodica si ha la perdita di altre funzioni cognitive quali: capacità decisionali e disfunzioni del linguaggio. A questo stadio i pazienti hanno subito, in modo particolare, una compromissione dello stile di vita sia sociale che professionale.

Generalmente la scansione MRI evidenzia una pronunciata atrofia dell’ippocampo mentre dati volumetrici hanno dimostrato una atrofia pronunciata nella zona mediana del lobo temporale associata ad una più bassa funzione cognitiva e perdita di capacità decisionali. [7]

(20)

FISIOPATOLOGIA DELLA MALATTIA

La malattia di Alzheimer (AD) è caratterizzata da deficit progressivi sia cognitivi che comportamentali accompagnati da alterazioni diffuse del Sistema Nervoso Centrale (SNC).

Il più comune e peculiare tratto distintivo delle lesioni presenti all’interno del cervello oramai compromesso, sono le placche senili ed i “grovigli” neurofibrillari (NFTs).

In particolare, la formazione della placca neuritica è la maggiore causa per l’insorgenza della malattia; la presenza della placca è un requisito ai fini diagnostici della patologia. Un altro elemento caratteristico, è rappresentato dai “grovigli” neurofibrillari (NFTs), i quali sono generalmente descritti come globosi e rettangolari, a essi è stata attribuita una rilevante importanza, in base alla posizione occupata all’interno del cervello. [4]

Alla presenza di entrambi, si accompagna una spiccata perdita di neuroni e sinapsi a livello cerebrale.

Durante la progressione patologica sono stati riscontrati tre indicatori proteici, considerati marker specifici della neurotossicità cerebrale quali la proteina precursore dell’amiloide (APP), beta-amiloide (Aβ) e la proteina Tau.

(21)

LA PROTEINA PRECURSORE L’AMILOIDE (APP)

La proteina precursore l’amiloide (APP) è indispensabile per la formazione delle due isoforme di Beta-Amiloide (Aβ): Aβ40 e Aβ42, le quali sono ben note come fattori patogenici

per l’insorgenza della malattia.

L’APP partecipa normalmente al mantenimento della funzione pre-sinaptica, sebbene la sua principale funzione non sia ancora stata chiarita. Questa proteina modula l’iniziale formazione della terminazione nervosa. [1]

(22)

Nella Figura 4 (a) è opportunamente visibile la struttura dell’APP umano. Le frecce rappresentano i siti di taglio per mezzo dell’attività di diversi enzimi quali α, β, e γ secretasi.

GFLD rappresenta il dominio analogo al fattore di crescita, CuBD, il dominio legante il rame, Ac, il dominio acido, E2, dominio extracellulare carboidrato APP, Aβ il sito relativo al peptide amiloide Aβ, e infine un frammento tagliato N-terminale di APP.

Mentre nella Figura 4 (b) si può notare come l’APP umano possa essere processato sia attraverso un percorso amiloidogenico che non-amiloidogenico.

Nel percorso amiloidogenico rappresentato sulla destra, il taglio proteolitico di APP per mezzo dell’attività dell’enzima β-secretasi produce un grosso e solubile ectodominio di APP (sAPPβ) e un frammento C-terminale associato alla membrana (C99). Il C99 una volta tagliato dall’enzima -secretasi, rilascia un -peptide amiloide (A) e un dominio intracellulare APP (AICD) [8]

(23)

BETA AMILOIDE (Aβ)

Il Beta-Amiloide (Aβ) sembra essere coinvolto in varie ed importanti funzioni nei soggetti sani. Tra queste funzioni si ricorda: l’attivazione dell’enzima chinasi, regolazione del trasporto del colesterolo, mediazione della plasticità sinaptica ed attività pro-infiammatoria.

In seguito alla sua deposizione dentro ed intorno gli elementi neuronali del cervello, si è pensato che il Beta–Amiloide (Aβ) sia in grado di mantenere l’integrità delle membrane vascolari cerebrali, per cui disturbi relativi a questa funzione potrebbero comportare un’angiopatia amiloide cerebrale.1

Nei primi stadi dell'AD, una delle prime anormalità fisiologiche riguardano l’aumentata deposizione di Aβ nelle diverse aree neocorticali, come la corteccia prefrontale, bilaterale frontale mediale superiore e temporale laterale. Questa sedimentazione ha inizio prima di qualsiasi evidente e noto sintomo clinico.

L'aumentata densità di amiloide e la distribuzione della placca, visibile in Figura 6 è spesso accompagnata da una varietà di altri cambiamenti neuropatologici e morfologici,

1

(L’angiopatia cerebrale amiloide: è principalmente causata da forme aggregate di beta-amiloide neurotossico

extracellulare che si deposita all’interno dei vasi sanguigni arteriosi di piccole e medie dimensioni, incluse le arterie penetranti leptomeningee). [46]

(24)

includendo un aumento dell’accumulo e della produzione di “grovigli” neurofibrillari (NFTs), la cui forma è visibile in Figura 5, e perdita del totale volume cerebrale ippocampale.

Simili cambiamenti sono stati riscontrati in persone che si trovano sia nello stadio prodromico della malattia che nello stadio MCI, con annessi deficit di memoria correlati all'accumulo di Beta-Amiloide (Aβ) e “grovigli” neurofibrillari (NFTs) nella neocorteccia temporale. [7]

Di fatto, la densità e la presenza di aggregati di Aβ sono stati maggiormente evidenziati nelle regioni associate alle funzioni decisionali, velocità di elaborazione, capacità verbale, deficit particolarmente pronunciati in coloro che manifestano MCI progredito o abbiano sviluppato demenza clinica. [7]

Il Beta-Amiloide (Aβ) è prodotto all’interno del neurone, per poi passare nel sangue, nel liquido cerebrospinale (CSF) ed in tutto l’organismo, ma in condizioni fisiologiche non viene depositato grazie al meccanismo di clearance dell’organismo per Aβ.

Nella situazione patologica, lo squilibrio tra la produzione e il tasso di clearance di Aβ può comportarne la sedimentazione, provocando la comparsa della malattia di Alzheimer (AD), che si verifica attraverso la tossicità delle proteine tau, compromettendo sia l'omeostasi intracellulare del calcio che il sistema nervoso colinergico. Inoltre, essa può indurre la formazione dei “grovigli” neurofibrillari (NFTs), e soprattutto l'accumulo dell’oligomero Aβ solubile può danneggiare la giunzione sinaptica e generare neuro-virulenza.

La riduzione nella deposizione di Aβ può avere effetti positivi sulla malattia e rendere possibile una terapia specifica, come l'anticorpo anti-Aβ e l'inibitore dell'enzima di scissione

(25)

della beta-secretasi (BACE), il quale essendo un enzima chiave, localizzato all’interno delle vescicole sinaptiche, determina la produzione di beta-amiloide, solo se sussistono condizioni patologiche, riconoscendo un sito specifico a livello dell’APP.

Tuttavia, contrariamente a quanto si è sempre creduto, ovvero che gli oligomeri di Aβ presentino un’elevata citotossicità, è stata condotta una ricerca con la quale si è dimostrato come l'oligomerizzazione di Aβ possa avere anche un effetto protettivo e fronteggiare eventuali infezioni da parte di microrganismi. Inoltre, la ricerca ha dimostrato che può esistere una patofisiologia sospetta non-AD, nella quale il paziente presenta una degenerazione neuronale, ma non viene riscontrata alcuna sedimentazione di Aβ, ciò suggerisce che la diagnosi di AD può non essere sempre accompagnata dalla sedimentazione del beta amiloide. [9]

(26)

Figura 5: “Groviglio” neurofibrillare

Figura 6: Raffigurazione di numerosi neuriti dilatati in una placca neuritica

(27)

ANOMALA AGGREGAZIONE DELLA PROTEINA TAU

La proteina Tau è principalmente distribuita all’interno dei neuroni una volta che essi hanno raggiunto la piena maturità, dato che questa è implicata nella regolazione sia dell’elongazione che della maturazione del trasporto assonale attraverso differenti meccanismi.

Essa è maggiormente concentrata all’interno dei terminali assonici, e risulta essere principalmente costituita da tre domini:

➢ Un dominio di montaggio, ➢ Un dominio di proiezione ➢ Un dominio di prolina.

Una piccola concentrazione di tau è stata localizzata nei dendriti, nei quali è maggiormente coinvolta nella regolazione della plasticità sinaptica.

Nella Figura 7, può essere evidenziata la differente disposizione della proteina Tau, all’interno del neurone sano e all’interno del neurone malato.

A livello cellulare, la proteina Tau regola la dinamica dei microtubuli e facilita la

riorganizzazione del citoscheletro microtubulare, modulandone le differenti funzioni in base alla localizzazione sub-cellulare.

Sebbene l’esatto meccanismo non sia ancora stato scoperto, l’anomala modificazione post-traduzionale potrebbe promuovere l’aggregazione di Tau. Tuttavia, è stato dimostrato che l’aggregazione avviene successivamente all’iperfosforilazione, suggerendo che quest’ultima possa essere la causa scatenante che provoca l’insorgenza della malattia. [10]

(28)

Importanti indicatori caratterizzanti la patologia di AD, risultano essere i “grovigli” neurofibrillari (NTFs). Essi sono formati dall’associazione tra la proteina Tau iperfosforilata, la cui iperfosforilazione è dovuta principalmente dall’aumentata attività della proteina chinasi 3β glicogenosintasi (GSK-3β), e dall’associazione con il filamento elicoidale accoppiato.

Inoltre, una mancanza di glucosio a livello cerebrale può comportare la fosforilazione della proteina Tau mediata dal segnale nella via metabolica della proteina chinasi attivata dalla mitogenesia p38 (MAPK), perciò aumentando i livelli di glucosio all’interno del cervello si potrebbe fornire un’ulteriore nuovo approccio circa il trattamento di AD.

(29)
(30)

APOLIPOPROTEINA E (ApoE)

La Apolipoproteina E risulta essere maggiormente coinvolta nel trasporto della lipoproteina, colesterolo e materiale correlato ai lipidi.

Essa può essere fortemente connessa alla patologia di AD, ed è inoltre correlata ad un altro fattore patologico, quale il beta-amiloide.

In particolare, l’allele della Apolipoproteina E4 rappresenta quello maggiormente implicato nella costituzione di ApoE, il quale ha un ruolo funzionale all’interno delle terminazioni nervose. I neuroni costituenti l’ippocampo a seguito dell’espressione dell’allele Apo4 hanno un’elevata sensibilità ai fattori ambientali esterni.

CAMBIAMENTI NELLA FUNZIONE MITOCONDRIALE

I neuroni sono le cellule maggiormente dipendenti dalla fosforilazione ossidativa mitocondriale. Pertanto, cambiamenti nella funzione mitocondriale sono strettamente correlati alla comparsa della malattia di Alzheimer (AD) dipendente dall’età. [9]

La patogenesi della malattia non è solamente ristretta al compartimento neuronale, ma interagisce fortemente con i meccanismi immunologici a livello cerebrale.

Proteine mal ripiegate ed aggregate tendono a legarsi su recettori posti a livello della microglia, innescando una risposta immunitaria innata, caratterizzata dal rilascio di mediatori pro-infiammatori, i quali contribuiscono alla progressione della malattia.

(31)

Tuttavia la neuro-infiammazione, invece di essere un mero spettatore senza nessuna capacità, contribuisce tanto quanto le placche senili e i “grovigli” neurofibrillari all’insorgenza della patologia.

I mitocondri, sono organelli cellulari costituiti da una semplice membrana esterna a doppio strato fosfolipidico, uno spazio inter-membrana vuoto, una complessa membrana fosfolipidica interna, ed una matrice mitocondriale.

All’interno del mitocondrio, visibile nella Figura 8, è possibile riscontrare la presenza di pieghe distintive proprie della membrana interna, conosciute come creste.

Le creste ad anello offrono la massima area superficiale, permettendole di contenere molteplici proteine, quali proteine di trasporto, tutti i complessi di catena deputati al trasporto di elettroni, ed il complesso di sintesi dell’ATP. Infatti, esse sono adibite alla conversione dell’ossigeno e degli zuccheri in energia mediante una serie di reazioni collegate alla catena di trasporto degli elettroni, i quali producono l'erogazione finale di energia.

La membrana interna è spontaneamente permeabile all’ossigeno, al diossido di carbonio, e all’acqua. La matrice mitocondriale interna, contiene gli enzimi ed i substrati utilizzati nella reazione del ciclo dell’acido citrico.

Normalmente in un mitocondrio sano, il suo interno è riempito dalle creste, mentre i mitocondri danneggiati o disfunzionali tendono a perdere le creste. Quindi se durante la produzione di energia una qualsiasi fase presenti un errore, esso può alterare la funzionalità degli organi determinando la compromissione dell’intero sistema.

(32)

È stato dimostrato che molteplici malattie rare sono causate principalmente da una disfunzione mitocondriale. Tra queste possiamo ricordare come il morbo di Alzheimer e il morbo di Parkinson siano sospettati di coinvolgere i mitocondri. [11]

La membrana esterna contiene VDACs, proteine mitocondriali che formano pori, le quali rendono possibile il passaggio attraverso la membrana di piccole molecole.

Lo spazio interposto tra la membrana interna ed esterna gioca un ruolo fondamentale sia nel trasporto delle proteine attraverso le membrane mitocondriali sia nella fosforilazione ossidativa.

I mitocondri producono energia, e sono quantitativamente rilevanti all’interno del muscolo cardiaco, muscolo scheletrico, fegato, rene e cellule neuronali poiché queste richiedono un considerevole quantitativo di energia al fine di espletare la loro funzione.

La disfunzione mitocondriale causa un fallimento energetico, associato ad una disfunzione multiorgano riscontrati in diversi pazienti malati.

Di fatto, i mitocondri sono maggiormente implicati nell’aumentata mortalità, danneggiamento e disfunzione d’organo associato all’invecchiamento durante eventi di ipossia ed ischemia. [12]

Quando, un neurotrasmettitore è liberato all’interno del vallo sinaptico, si determina l’apertura di diversi canali ionici a livello della membrana post-sinaptica per permettere l’afflusso degli ioni, determinando un elevato consumo di energia.

Perciò mutazioni riscontrabili nel DNA mitocondriale, che inducono funzioni mitocondriali alterate, determinano l’insorgenza di disordini neurodegenerativi a causa di un’elevata insufficienza energetica. [13]

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(34)

AUTOFAGIA CELLULARE

L’autofagia è un processo fisiologico estremamente complesso costituito da una serie di eventi atti ad eliminare proteine mal-ripiegate o danneggiate, organelli non funzionanti così come nel contribuire alla biogenesi delle membrane e trasporto vascolare.

Questo meccanismo cellulare è indotto da una varietà di segnali quali mancanza di nutrienti, stress ossidativo, e eccitotossicità neuronale.

Una volta attuato questo processo le cellule possono eliminare le cellule danneggiate, i componenti non necessari e ripristinare i substrati per il rimodellamento cellulare ed energetico che mantiene l’omeostasi cellulare. [14]

Studi recenti hanno dimostrato come una dis-regolazione del processo autofagico possa aver contribuito alla patogenesi delle malattie neurodegenerative, come malattia di Alzheimer (AD).

Normalmente l'autofagia possiede un effetto neuroprotettivo, ma in condizioni patologiche, ovvero quando la funzione autofagica è bloccata, la mancata degradazione e rimozione di Aβ ne comporta la sua deposizione con conseguente danno neuronale e insorgenza della malattia neurodegenerativa. [9]

(35)

3. DIAGNOSI

Al fine di diagnosticare la patologia, sono richiesti i seguenti requisiti:

➢ Nuova manifestazione circa il deterioramento della memoria

➢ Altro disordine cognitivo come afasia, atassia, agnosia, o funzioni cognitive alterate ➢ Graduale e progressivo decorso della malattia, che comporta una rilevante e

significativa riduzione della funzionalità

La diagnosi è stata formulata sulla base dell’anamnesi clinica, sulla documentazione concernente il declino cognitivo, escludendo le eziologie del declino cognitivo.

Gli esami preliminari riguardanti la patologia sono simili a quelli condotti per MCI.

Le diagnosi differenziale per AD include al suo interno altri tipi di demenza (demenza vascolare, demenza causata dai corpi di Lewy2, demenza frontotemporale, idrocefalo

normoteso, ed altre rare forme di demenza), delirio.

Se il clinico sospetta una demenza diversa da/o in aggiunta ad AD o un'eziologia vascolare, un riferimento specialistico dovrebbe essere preso in considerazione al fine di ottenere una diagnosi accurata, in quanto ciò influenza, in modo significativo la prognosi e l’efficacia del

2 Corpi di Lewy: Un marcatore istopatologico della malattia di Parkinson (PD) nella forma intracellulare,

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trattamento. Altri motivi per rivolgersi ad uno specialista, un clinico della memoria o centro adibito alla cura dell’Alzheimer (Alzheimer's Disease Center o ADRC) includono:

➢ Cambiamenti della memoria del paziente iniziati prima dei sessant’anni di età, ➢ Un esame neurologico focale,

➢ Una significativa storia familiare relativa alla precoce insorgenza dell’AD o di altre forma di demenza o malattia neurologica; una significativa storia psichiatrica;

➢ Disturbo neurologico associato a deficit cognitivi, come ictus, morbo di Parkinson, malattia di Huntington o lesione causata da trauma cranico.

Inoltre, il morbo di Alzheimer (AD) può essere distinto in due forme: famigliare e sporadica (SAD). Nella patologia il precursore della proteina amiloide (APP) e presenilina (PS) rappresentano gli inequivocabili geni determinanti la virulenza. Per la forma sporadica di AD che presenta un’incidenza maggiore del 90%, i geni che maggiormente possono influire sull’insorgenza della malattia includono i geni che codificano per la apolipoproteina E (ApoE).

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METABOLISOMO NEURONALE E RILEVAZIONE MEDIANTE PET

Il metabolismo del glucosio a livello neuronale comprende:

➢ L’assorbimento del glucosio mediante meccanismi che ne controllino i livelli come l’insulina e la via di segnalazione dell’insulina.

➢ Il trasportatore del glucosio (GLUT) dal quale dipende la captazione del glucosio e la reazione glicolitica.

➢ L’entrata, all’interno dei mitocondri dei punti finali glicolitici, i quali sono successivamente metabolizzati, al fine di generare ATP attraverso la fosforilazione ossidativa. [15]

La funzione principale dei mitocondri è quella di assicurare la fornitura energetica e sono particolarmente importanti per il corretto funzionamento cerebrale poiché il 90 % del glucosio introdotto è ossidato a CO2 a livello cerebrale. L’energia generata da essi è

utilizzata nel mantenere una corretta ed efficiente neurotrasmissione.

Quindi qualsiasi alterazione riguardante il metabolismo del glucosio, potrebbe influenzare le funzioni neuronali ed infine pregiudicare i processi cognitivi, la memoria e l’apprendimento. [15]

È stato dimostrato come la FDG-PET, ovvero una tomografia ad emissione di positroni con 2-deossi-2-[18F]-fluoro-D-glucosio, sia una promettente modalità diagnostica nel rilevamento di funzioni cerebrali alterate riscontrabili nella malattia di Alzheimer.

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Le alterazioni della funzionalità cerebrale possono essere diagnosticate già nelle fasi iniziali della malattia, aiutando nella differenziazione della patologia, rispetto alle altre cause che conducono alla demenza.

Nella patologia di Alzheimer, esistono evidenze che suggeriscono come il beta amiloide svolga un ruolo fondamentale nell’insorgenza della patologia.

L’accumulo delle fibrille di beta amiloide nella formazione delle placche amiloidi è un elemento distintivo neuropatologico per confermare la diagnosi di demenza causata da AD basandosi sull’analisi dei tessuti prelevati dai pazienti affetti dalla patologia post-mortem. Essendo la deposizione di beta amiloide un potenziane marcatore pre-clinico della malattia. Comunque, utilizzando questa tecnica non invasiva si può riuscire a visualizzare la deposizione dell’agente neurotossico cerebrale, mediante differenti radio-traccianti PET. Infatti, questi possono legarsi alle forme fibrillari insolubili del beta amiloide quali Aβ40 e

Aβ42, i quali rappresentano i maggiori componenti della placca neuronale e dei depositi

vascolari.

L’agente usato nella PET ad immagine-β amiloide potrebbe facilitare la valutazione clinica del clinico riguardante il danneggiamento cognitivo di mezza età, provvedendo alla misura oggettiva della patologia AD. [16].

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4. TRATTAMENTO

Attualmente non esiste una cura per la malattia di Alzheimer (AD), i farmaci usati nel trattamento della malattia sono soprattutto per trattare le manifestazioni cognitive, per alleviare i sintomi e migliorare la funzionalità al fine di ottenere un possibile rallentamento della progressione della malattia. [14]

È stato dimostrato che le classi di farmaci utilizzate a oggi, rallentino la progressione della malattia in media con un periodo di tempo dai sei ai dodici mesi da uno stadio all’altro della malattia. Anche se esistono vari tentativi al fine di rallentare la progressione, la missione più grande sarebbe quella di annullare il danno recato dalle placche e di ristabilire la funzione cognitiva. [9]

Due classi di medicinali sono stati approvati per la patologia: gli inibitori

dell’acetilcolinaesterasi ed antagonisti del recettore N-metil-D-aspartato (NMDA), quale la memantina.

I farmaci maggiormente adoperati sono gli inibitori reversibili dell’acetilcolina esterasi, i quali inattivano l’enzima che degrada l’acetilcolina, il quale è il neurotrasmettitore maggiormente coinvolto nella memoria.

Essi rappresentano la classe di medicinali utilizzati come trattamento di prima linea in tutte le fasi della malattia sia lieve che moderata. Molte sperimentazioni di controllo hanno riportato che non sono riscontrabili differenze rilevanti circa l’efficacia tra i vari inibitori dell’acetilcolinaesterasi. Contrariamente a piccoli variazioni nel meccanismo d’azione,

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questi farmaci presentano profili farmacocinetici variabili ma correlabili ad effetti collaterali. Gli effetti collaterali più comuni sono: nausea, vomito, diarrea ed effetti avversi neurologici e cardiovascolari. [17]

Diversi sono gli inibitori dell’enzima approvati quali Donezepil, Rivastigmina e Galantamina.

La memantina (Namenda), altro farmaco approvato nel trattamento, è generalmente ben tollerata ed è spesso usata in combinazione con gli inibitori dell’acetilcolinaesterasi. Essa è un parziale antagonista del recettore N-metil-D-aspartato (NMDA), ed esercita un effetto protettivo sui neuroni corticali ed ippocampali limitando il danno indotto dall’eccitazione glutammatergica. [18]

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5. CELLULE

NERVOSE

CHE

CONTRIBUISCONO

ALLA

DEGENERAZIONE NEL SNC

MICROGLIA

La microglia è costituita da fagociti residenti all’interno del Sistema Nervoso Centrale (SNC), distribuiti ubiquitariamente in esso. (Figura 9Figura 9)

La microglia contribuisce alla protezione e al rimodellamento delle sinapsi, al fine di mantenere una corretta plasticità dei circuiti neuronali. Questa attività è mediata per mezzo del rilascio di fattori trofici, includendo il fattore neutrofico derivato dal cervello, il quale concorre alla corretta formazione della memoria.

Una volta che la microglia è stata attivata attraverso stimoli patologici, quali morte neuronale o aggregati proteici, essa è richiamata nel sito danneggiato, innescando una risposta immunitaria innata.

La microglia è in grado di legare gli oligomeri solubili dell’amiloide (Aβ) e fibrille Aβ attraverso recettori appartenenti alla classe A “spazzini recettoriali” divisi in recettori integrali di membrana A1, CD36, CD14, α6β1 CD47 e recettori simili a Toll (TLR2, TLR4, TLR6 eTLR9), il quale si pensa faccia parte della reazione infiammatoria.

A seguito del legame al recettore, la microglia inizia a circondare le fibrille Aβ attraverso fagocitosi, inviandole nella via lisosomiale/endosomiale.

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Tuttavia a differenza delle fibrille Aβ, le quali sono particolarmente resistenti alla degradazione enzimatica, gli oligomeri Aβ solubili possono essere degradati da una grande varietà di proteasi extracellulari.

Infatti in casi sporadici della malattia, è stata identificata come la maggiore via patogenetica sia l’insufficiente eliminazione del Aβ.

Ciò suggerisce che aumentati livelli di citochine, nelle aree interessate dalla neuroinfiammazione, potenzino l’infiammazione a livello locale, e siano perciò i maggiori responsabili di un’inadeguata capacità fagocitica microgliale causata da una sotto-regolazione dei recettori Aβ deputati alla fagocitosi. [19]

ASTROCITI

Gli Astrociti svolgono un ruolo fondamentale nelle funzioni del sistema nervoso centrale (SNC), riguardante la formazione, mantenimento ed eliminazione delle sinapsi, in via di sviluppo. La loro disposizione all’interno del SNC, può essere osservata mediante la Figura 9.

Le risposte patologiche da parte di queste cellule sono rappresentate dall’astrogliolisi, una complessa reazione multistadio specifica per la patologia che conduce ad un rimodellamento delle stesse cellule.

Il cambiamento strutturale è generalmente finalizzato alla neuroprotezione e al recupero del tessuto neuronale danneggiato. Di conseguenza gli astrociti sono richiesti per la sopravvivenza neuronale, e la conseguente perdita della normale funzionalità potrebbe essere l’elemento scatenante la neurodegenerazione. [20]

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In prossimità delle cellule microgliali attivate, gli stessi astrociti ipertrofici attivati si accumulano intorno alle placche senili, teoria confermata dal fatto che essi sono stati ritrovati all’interno del tessuto umano affetto da AD analizzato post-mortem, così come nei modelli animali.

Gli astrociti sono caratterizzati dall’aumentata espressione della proteina acida fibrillare gliale (GFAP) e da segni di insufficienza funzionale.

Nei modelli animali affetti da AD un’immediata risposta è caratterizzata dall’atrofia delle cellule astrocitiche, le quali potrebbero avere profonde conseguenze sulla connettività sinaptica poiché essi sono fondamentali nel conservare la trasmissione sinaptica, contribuendo in tal modo ai deficit cognitivi.

Come le cellule microgliali, quelle astrogliali rilasciano mediatori infiammatori quali citochine, interleuchine, ossido-nitrico ed altre molecole potenzialmente citotossiche a seguito dell’esposizione al beta amiloide (Aβ), con conseguente esacerbazione della risposta infiammatoria.

L’importanza della infiammazione mediata da queste cellule è stata recentemente analizzata mediante la soppressione guidata da AAv nei topi.

Interferendo con il fattore nucleare/calcineurina della via di segnalazione delle cellule T attivate è stata rilevato un aumento della cognizione, riducendo l’astrogliolisi e più bassi livelli di beta-amiloide.

Inoltre, le cellule astrogliali dimostrano un ulteriore ruolo nell’internalizzazione e degradazione del Beta-amiloide (Aβ) in vivo, mediandone l’eliminazione attraverso l’apoE. La lipidazione astrocitica-dipendente aumenta la capacità della microglia di pulire Aβ.

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Inoltre, le cellule mature regolamentano l’espressione delle proteasi degradanti il Aβ-extracellulare.

Queste proteasi combinate con la funzione danneggiata e l’atrofia degli Astrociti potrebbero contribuire alla ridotta eliminazione proteolitica del Aβ. In aggiunta alla funzione che abbiamo precedentemente menzionato riguardante le vie di eliminazione, gli astrociti sono inoltre coinvolti nella rimozione del Aβ solubile dal parenchima mediante il drenaggio paravenoso.

Questa via dipende dal canale acquoso acquaporina-4 presente a livello della cellula, poiché la soppressione ha causato una diminuzione della clearance attraverso questa via. [14]

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6. MALATTIA DI PARKINSON (PD)

La malattia di Parkinson è il secondo disturbo neurodegenerativo più comune dopo la Malattia di Alzheimer(AD), caratterizzata da un disordine degenerativo che affligge il Sistema Nervoso Centrale (SNC).

Questo disturbo è stato descritto per la prima volta nel 1817 dal medico inglese James Parkinson, il quale la classifico come “Paralisi Agitante”.

La malattia è, da un punto di vista patologico, caratterizzata dalla degenerazione dei neuroni dopaminergici all’interno della substantia nigra e dallo sviluppo di corpi di Lewy nei neuroni dopaminergici residui. [22] [23]

EPIDEMIOLOGIA

La malattia insorge tra i 55 e 65 anni e si verifica con un’incidenza del 1%-2% nelle persone al di sopra dei 60 anni, aumentando al 3.5% in un’età compresa tra 85-89 anni.

Circa lo 0.3% della popolazione generale ne è affetta, colpendo maggiormente gli uomini rispetto alle donne con un rapporto di 1.5 a 1.0. [23]

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FISIOPATOLOGIA DELLA MALATTIA

La malattia di Parkinson (PD) è una sindrome neurodegenerativa, che coinvolge molteplici circuiti neurali motori e non motori.

È caratterizzata da due importanti processi patologici:

➢ Dalla prematura e selettiva perdita di neuroni dopaminergici; ➢ Dall’accumulo dei corpi di Lewy, composti da α-sinucleina.

Non è ancora del tutto chiaro quale processo si verifichi per primo, ma quando i sintomi motori diventano evidenti, è riscontrabile una perdita neuronale del 30-70% all’interno della substantia nigra.

Il fine principale della terapia è sostituire la dopamina con farmaci dopaminergici, modulandone il circuito disfunzionale. Altri sintomi quali: disfunzione cognitiva, disturbi dell'umore e disturbi del controllo degli impulsi sono tutti correlati a deficit di dopamina al di fuori dei gangli basali od in sistemi serotoninergici e noradrenergici.

Fino ad oggi non sono state accertate le cause esatte che inducono l’insorgenza della malattia, ma si presume che essa sia il risultato della combinazione fra fattori ambientali e genetici, quest’ultimi derivanti da una predisposizione o suscettibilità individuale. Tuttavia esistono prove sempre più numerose che suggeriscono come i danni recati da entrambi i fattori portino alla comparsa della patologia, ricollegandola a strutture anomale della proteina α-sinucleina, la quale sembra contribuire alla morte cellulare. [23] [24]

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Figura 10: Nell’immagine sono riportati sia i fattori di rischio che le caratteristiche precoci della malattia di Parkinson.

Nella Figura 10Figura 10 sono rappresentati sia i fattori di rischio che le caratteristiche distintive della malattia di Parkinson (PD), associati ad un aumentato o diminuito rischio della successiva diagnosi.

I fattori di rischio sono stati evidenziati con diverse colorazioni: rosso per i fattori genetici, arancione per i fattori ambientali, verde per le caratteristiche pre-diagnostiche e le caratteristiche di immagine blu.

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Tuttavia la comparsa della malattia di Parkinson (PD) può essere classificata come:

➢ Giovanile: con relativa età di insorgenza inferiore ai ventuno anni.

➢ Insorgenza precoce: si verifica principalmente nel periodo di età compresa tra i ventuno e cinquantuno anni di età.

➢ Esordio tardivo: generalmente manifestato al di sopra dei sessanta anni di età.

Tra le varie tipologie della malattia, il Parkinson giovanile ne rappresenta la forma più rara, ed è più spesso correlata ad una mutazione del gene Parkin3 che comporta delle

manifestazioni atipiche. [23]

Esaminando il Sistema Nervoso Centrale (SNC) si può riscontrare come la perdita progressiva della funzionalità dei neuroni dopaminergici avvenga principalmente all’interno della pars compacta della substantia nigra.

La conseguente degenerazione del tratto nigro-striatale può essere rilevata mediante manifestazioni cliniche quali rigidità sintomatica, bradicinesia, instabilità posturale e tremore a riposo. Mentre ulteriori dimostrazioni patologiche sono state associate alla degenerazione dei neuroni appartenenti al SNC dopaminergico (SNC DAergico), le quali includono anomalie mitocondriali, eccessive ossidazioni citosoliche della dopamina (DA), aggregati di α-sinucleina, disfunzione auto-fagolisosomica, difetti nel sistema ubiquitina-proteosoma (UPS), stress ossidativo e nitrosativo, rilascio di ferro ed una graduale perdita di neuromelanina (NM).

3 Il gene Parkin è un’ubiquitina ligasi E3: svolge un ruolo importante nel mantenimento dell’omeostasi cellulare,

dovuta alla sua attività nella regolazione della mitofagia e degradazione proteica. Comunque la perdita della funzione a seguito della mutazione di Parkin è associata alla comparsa del PD giovanile. Questo è inoltre implicato nella

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Questi traumi morbosi tendono ad auto-rinforzarsi, progrediscono in modo ciclico e si intensificano dalla diminuzione dei livelli del glutatione (GSH), una sostanza

neuroprotettiva, la cui mancanza accentua il danno ossidativo indotto dalle specie O2,

H2O2, OH- del perossinitrito (ONOO-), determinando l’accumulo di 3-nitrotirosina, carbonili

proteici, 8-idrossiguanosina, malondialdeide e idrossinonenolo nei neuroni in via di degenerazione.

La degenerazione neurologica può essere ulteriormente aggravata dall’infiammazione cronica del sistema nervoso centrale (SNC). Questa può comportare il reclutamento delle cellule microgliali attivate, con conseguente liberazione di molecole citotossiche, radicali liberi e glutammato. Tutti questi mediatori possono provocare la decadenza apoptotica, necrotica ed eccitotossica. Mentre la graduale perdita di cellule pigmentate del SNC DAergico, si manifesta come un normale processo di invecchiamento, associato ad una riduzione del 30%/60% dei neuroni DAergici/DA striatale, attribuibili alla degenerazione degli assoni terminali striatali.

Tuttavia, l'eziologia della perdita selettiva dei neuroni DAergici SNC nel PD non è stata completamente capita. Inoltre alle precedenti cause è stato riscontrato che il 5-10% dei pazienti affetti da PD presenti mutazioni geniche quali DJ-1, chinasi 1 indotta da PTEN 1 (PINK-I), chinasi di ripetizione ricca di leucina 2 (LRRK2), G2019S, park-1/Sinucleina (SNCA), ubiquitina-carbossi-terminale-idrolasi L1, parkin (Del3-5, T240R, Q311X)[15-18], ATP13A2 (Park 9), β-glucocerebrosidasi e proteine mitocondriali come il park13

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α-SINUCLEINA (α-Syn)

Molteplici studi suggeriscono come l’αSyn svolga un ruolo cruciale nel determinare la genesi della malattia di PD.

Le osservazioni comuni coinvolgono l’aggregazione della αSyn nella progressione della malattia. In particolare essa è una componente determinante sia nella formazione dei corpi di Lewy (LBs), sia nell’esordio familiare precoce della malattia, causato dalla sovra-espressione dell’αSyn. Questa sovra-sovra-espressione è dovuta principalmente alla

triplicazione del gene che codifica per αSyn (SNCA).

L’ αSyn, all’interno dell’organismo, determina la formazione di specie tossiche quali oligomeri o fibrille, che potrebbero condurre alla morte cellulare. Anche se a oggi non è del tutto chiaro come l’aggregazione di αSyn possa innescare la morte della cellula. Perciò è stato postulato che la forma solubile di αSyn, nota come protofibrilla, sia la principale colpevole. Infatti queste protofibrille tramite la loro interazione su vari obiettivi cellulari, possono causare la morte cellulare.

Inoltre una volta che la αSyn è stata secreta, essa può migrare da un neurone all’altro contribuendo alla progressione e soprattutto alla propagazione della malattia. [25]

L’ αSyn è una piccola proteina citosolica costituita da centoquaranta amminoacidi, nella quale possiamo riscontrare tre differenti domini:

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➢ Un dominio anfipatico N-terminale: il quale costituisce la regione, rappresentata da sei ripetizioni imperfette (KTKEGV), le quali formano strutture ad α elica a due a due nel momento in cui la proteina interagisce con i lipidi.

➢ Una regione centrale costituita da una componente non amiloidogenica idrofobica (NAC): la quale, fornisce le proprietà di oligomerizzazione tipiche della proteina, veicolando la partecipazione dei corpi di Lewy patologici riscontrati nel PD

➢ Un dominio acido all’interno della porzione C-terminale: le cui cariche caricate negativamente, includono proprietà chaperone-like che favoriscono la regolazione del processo di oligomerizzazione.

Questa proteina è localizzata all’interno del terminale presinaptico, e corrisponde solamente all’1% del contenuto proteico totale. Essa è normalmente distribuita a livello neuronale, in particolar modo nel citoplasma, nel nucleo, nei mitocondri e nelle loro membrane.

Inoltre la proteina è intimamente associata alle vescicole sinaptiche, delle quali ne controlla il traffico vescicolare sinaptico e la formazione del complesso SNARE. A livello neuronale la proteina può modulare il rilascio sinaptico della dopamina attraverso la modulazione diretta del trasportatore della dopamina (DAT). [26] [1]

Nella sinapsi, come anche negli altri compartimenti neuronali, l’α-sinucleina esiste in un equilibrio dinamico tra uno stato solubile ed uno legato alla membrana, con una maggiore affinità nei confronti delle vescicole sinaptiche rispetto alle membrane cellulari. Quando interagisce con le membrane cellulari, la proteina presenta una particolare affinità per la componente lipidica.

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L'interazione tra l’α-sinucleina e le membrane lipidiche dipende principalmente sia dalla densità di carica superficiale del doppio strato fosfolipidico che dallo stato di fase dei lipidi, determinandone l’organizzazione.

Per quanto riguarda i siti amminoacidici, che permettono il legame con le membrane, numerosi studi hanno confermato che quelli appartenenti alla porzione N-terminale della proteina risultano svolgere un ruolo chiave.

Tramite l’analisi della spettroscopia a fluorescenza si è inoltre scoperto come le regioni N e C terminali vicino alle posizioni 4 e 94 della proteina siano maggiormente ancorate alla membrana, mentre la regione centrale le restanti porzioni, risultano essere

maggiormente sensibili alla natura chimica della superficie della membrana. [27] La cinetica dell'aggregazione della α-sinucleina coinvolge un certo numero di fasi

progressive. Può verificarsi una maggiore propensione all'aggregazione della α-sinucleina a causa di mutazioni missenso (A30P, A53T, E46K) nel PD umano. La cinetica generale dell’aggregazione comprende tre fasi:

➢ Un monomero proteico deve subire una modifica;

➢ I monomeri modificati possono quindi interagire prontamente tra loro per formare piccoli aggregati

➢ Aggregati dopo aver raggiunto una certa dimensione, considerati come "nucleo", possono subire un’irreversibile rapida espansione del volume chiamato allungamento, che si traduce nella formazione di fibrille, occupando quindi residenza come entità tossiche in neuroni e corpi di Lewy.

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INFIAMMAZIONE

Con il termine infiammazione ci si riferisce ad una complessa risposta biologica del sistema immunitario ai diversi stimoli quali danno tissutale, proteine tossiche, infezioni o anomalie dei segnali molecolari.

All’interno del SNC, si pensa che la risposta immunitaria sia principalmente orchestrata dalla microglia con un contributo da parte dei neuroni, oligodendrociti ed astrociti.

Nei cervelli sani, le cellule della microglia mostrano, generalmente, un fenotipo di riposo e svolgono un ruolo di “spazzino” rimuovendo detriti e materiale di scarto dal parenchima, a seguito di un’infezione, di un danno tissutale e dall’accumulo di proteine tossiche, mentre altri segnali possono innescarne l’attivazione.

Quando si stabilisce la reazione infiammatoria, la microglia risulta essere la fonte

principale di specie altamente reattive derivanti dall’ossigeno (ROS). Queste specie sono prodotte dal metabolismo mitocondriale per mezzo sia della perossidasi mitocondriale sia per i processi ossidativi. Quindi la microglia una volta che è stata attivata, a seguito

dell’instaurarsi della reazione infiammatoria, risulta essere la fonte principale dei radicali liberi.

I neuroni dopaminergici sono particolarmente suscettibili alla degenerazione mediata da ROS, ciò è in parte è dovuto all’elevato tasso dello stress ossidativo, prodotto dal chinone reattivo, il quale deriva dall’autossidazione della dopamina, ed in parte dal fatto che i neuroni possiedano basse concentrazioni di enzimi antiossidanti.

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Quindi alti livelli di ROS possono danneggiare o inattivare le proteine che inducono a segnalazione intracellulari aberranti.

Inoltre la microglia, può liberare oltre alle citochine pro-infiammatorie, che inducono neurotossicità, anche le chemochine, le quali reclutano i leucociti all’interno del SNC esacerbando la risposta infiammatoria.

Perciò la sostenuta attivazione della microglia è in grado di innescare molteplici patologie neurodegenerative.

Esistono prove sostanziali che indicano una stretta correlazione tra la risposta

infiammatoria e la malattia di Parkinson (PD). Questo collegamento è stato studiato nel cervello post-mortem dei pazienti affetti dalla malattia, nei quali si era riscontrata un’aumentata attività della microglia. [28]

Varie ricerche hanno associato l’infiammazione cronica lieve all’interno della pars compacta della substantia nigra, con una maggiore vulnerabilità dei neuroni dopaminergici, rendendoli perciò più danneggiabili dalla degenerazione.

Diversi studi hanno dimostrato che l’infiammazione e le risposte immunitarie

costituiscono un fattore determinante nel favorire la progressione della malattia, sia di origine famigliare che sporadica. Entrambe le infiammazioni sia centrale sia periferica sono coinvolte nella progressione della malattia, poiché la degenerazione dei neuroni dopaminergici avviene a seguito di una infiltrazione delle T-cellule e attivazione della microglia, seguite da un’aumentata produzione di citochine infiammatorie causata da un accumulo di α-sinucleina.

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La gliolisi locale può essere indotta sia dai neuroni morenti che dagli aggregati dell’α-sinucleina, determinando l’attivazione della microglia e la conseguente infiltrazione delle cellule T. I mediatori maggiormente coinvolti nel processo infiammatorio, includono: molecole di adesione, COX-2, IL-1b, IL-2, IL-4, IL-6, TNF-alfa, prostaglandine, glutammato, ROS, iNOS, MPO, NO e O2-. Questi ultimi due possono reagire formando la molecola

neurotossica ONOO-, e sono stati maggiormente riscontrati all’interno di molteplici aree

cerebrali quali, striato, LC e fluido spinale, a seguito dell’analisi dei tessuti estratti dai pazienti post-mortem.

La Figura 11Figura 11 evidenzia come nel paziente PD (A e B), il legame è aumentato nei gangli della base, nel ponte e nelle regioni frontali, mentre la persona di controllo sana (C e D) mostra solo costitutiva [11C] (R) -PK11195 legame nel talamo e nel ponte. La barra dei colori indica un legame con valori potenziali da 0 a 1.

Durante il decorso della patologia, l’utilizzo di agenti anti-infiammatori potrebbe attenuare il danno dopaminergico antagonizzando in tal modo gli effetti globali

dell’infiammazione attraverso la focalizzazione di un certo numero di vie di segnalazione come MAPK. [29]

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ECCITOTOSSICITA’

La disfunzione energetica mitocondriale non solo porta al collasso della funzione dopaminergica, ma anche all’incapacità da parte dei neuroni di mantenere la tensione sulla membrana plasmatica mitocondriale. La depolarizzazione può causare una

iperattività dei recettori NMDA in tutto il cervello, ai quali la glicina si lega a NR1 mentre il glutammato a NR2, attivando velocemente le correnti di Ca2+ verso il citoplasma.

La depolarizzazione della membrana plasmatica mitocondriale, induce eccitabilità in parte a causa del:

➢ Rilascio di Mg+ come blocco voltaggio-dipendente del recettore N-metil-D-aspartato

(NMDA) a livello presinaptico.

➢ Una più grande suscettibilità alle correnti eccitatorie postsinaptiche interne del Ca2+

in risposta all’attivazione da parte del glutammato dei recettori ionotropici NMDA/AMPA/kainati.

➢ Perdita di correnti ioniche inibitrici metabotropiche di GABA su attivazione del recettore.

Le tossine mitocondriali, come il rotenone, possono peggiorare la maggiore estensione delle correnti ioniche interne, ma questi effetti sono reversibili con l'aggiunta di ATP. In termini di circuiti, una mancanza di magnesio (Mg+) o di ATP può comportare un mancato

controllo da parte dei sistemi del Ca2+ intracellulare mediante cambiamenti non solo sul

recettore NMDA ma anche a livello intracellulare sui recettori inositolo1,4,5-trifosfato e rianodina.

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Studi, in vivo, mostrano come la carenza alimentare di Mg+ abbassi la soglia di attivazione

del recettore NMDA, correlandolo alla sovreccitabilità dei neuroni glutamminergici. Quindi la somministrazione di Mg+ con la dieta, è ritenuta utile in questo ed in molti altri

processi coinvolti nella patologia PD.

Gli effetti tossici della -sinucleina indotti dall'attivazione di iNOS, sono stati confermati da studi che dimostrano come gli effetti siano bloccati in presenza di antagonisti del recettore NMDA come MK-801 e APV.

Inoltre, la tossicità mitocondriale associata al poro MPTP è spesso accompagnata anche dall'accumulo di glutammato all’interno del SNC, parallelo alla lesione degenerativa. Aumentando la concentrazione di glutammato, l'afflusso di Ca2+ a livello cerebrale è

stimolato mediante l’attivazione della calpaina all’interno del compartimento citosolico. Questi effetti tossici possono essere antagonizzati dalla somministrazione di antagonisti NMDA, inibitori della calpaina o antiossidanti.

Il ruolo del recettore NMDA in relazione al PD è continuamente in discussione, in quanto esiste un equilibrio estremamente delicato nel prevenire la sovra/sotto-attivazione dei recettori glutamatergici. Comunque la plasticità sinaptica richiede la funzione del

glutammato nella neurotrasmissione. Tali studi dimostrano anche che gli agonisti NMDA come la D-cicloserina siano protettivi contro la degenerazione dopaminergica indotta sia dalla tossicità mitocondriale sia dall'attivazione microgliale nel cervello [29].

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MANCANZA DI ENERGIA: PERDITA DI OXPHOS, AUMENTO DELLA

GLICOLISI ANAEROBICA E LATTATO, DEPLEZIONE DI ATP

Una anomalia nella respirazione mitocondriale determina una mancanza di glucosio, il quale risulta essere il problema più evidente alla base della perdita dei neuroni dopaminergici.

Inizialmente il malfunzionamento mitocondriale potrebbe verificarsi a causa degli effetti tossici indotti dall’α-sinucleina, da neurotossine endogene o da fattori ambientali esogeni. Comunque, i modelli sperimentali impiegano spesso tossine mitocondriali come l'1-metil-4-fenilpiridinio (MPP+), rotenone o isochinoline endogene per imitare il danno

neuropatologico, e gli effetti degenerativi indotti principalmente dalla malattia all’interno del SNC, in corrispondenza del locus coeruelus (LC).

La perdita della funzione mitocondriale è direttamente collegata sia ad un fallimento nella neurotrasmissione dopaminergica sia nell’accelerazione della glicolisi per superare la perdita della fosforilazione ossidativa (OXPHOS) mediante fosforilazione a livello di substrato (SLP). Le tossine mitocondriali influenzano ampiamente questi processi energetici.

In vivo, la somministrazione di 1-metil-4-fenil-1,2,3,6- tetraidropiridina (MPTP) genera un immediato aumento nell’utilizzo di glucosio, tramite rilevazione con desossiglucosio, un calo dell'ATP, un aumento della produzione di lattato, riduzione del DAT / DA striato e perdita di immunoreattività della tirosina idrossilasi, i cui effetti sono esacerbati dalla -sinucleina.

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Il calo dell'ATP suggerisce che la carenza energetica sia chiaramente coinvolta nell’insorgenza del declino degenerativo. Inoltre molteplici informazioni, possono comprovare come un calo di energia, corrisponda ad un aumento nella glicolisi per guidare la fosforilazione del substrato, un indicatore di stress metabolico.

Inoltre si crede, che l’ipermetabolismo correlato all’età, all’interno del cervello umano, possa scatenare un aumentato rischio nell’insorgenza di diverse malattie

neurodegenerative.

In breve, la perdita di ATP nel SNC risulta essere deleteria perché questo singolo evento può scatenare una serie di eventi, correlati alla mancanza di energia come:

➢ Ossidazione delle catecolamine e formazione di neurotossine DA/ radicali liberi ➢ Morte cellulare eccitotossica e programmata

➢ Apertura dei pori di transizione mitocondriale, rigonfiamento della matrice, rilascio di proteine mitocondriali nel citosol, apoptosi e collasso della struttura microtubulare/cellulare. [29]

(62)

PERDITA DELLA REGOLAZIONE DEL TRASPORTATORE DELLA

DOPAMINA (VMAT2)

Uno dei primi eventi che ha indotto la riduzione di ATP, riguarda la perdita di energia richiesta dai sistemi che regolano il traffico del mediatore dopamina (DA). L’inadeguato traffico di DA, non solo si verifica a causa del declino di ATP, ma può anche essere influenzato da mutazioni genetiche in SNCA (A53T e A30P), da un’insufficienza mitocondriale o da un danno ossidativo da parte del ROS. [29]

La totalità di questi meccanismi innescano un eccessivo rilascio di DA dai terminali nervosi all’interno del SNC.

La mancanza di ATP comporta una diminuita funzionalità delle pompe ATPasi intracellulari presinaptiche, di ricaptare efficacemente DA all’interno delle vescicole sinaptiche, al cui interno il mediatore è stabile dato il pH leggermente acido. L’acidità del pH rappresenta un fattore chiave nell’avviare la cascata di eventi neurotossici.

Il fallimento da parte del trasportatore della vescicola monoamina 2 (VMAT2) scaturisce un’immediata perdita di DA nel compartimento citosolico. Il pH del compartimento, essendo neutro, provoca facilmente la rottura ossidativa della dopamina, portando alla formazione di diversi prodotti quali: chinoni dopaminergici neurotossici (DA-chinoni), o-semi-chinoni dopaminergici e radicali liberi, i quali possono ulteriormente contribuire al decadimento del tratto striatale

A causa dei danneggiamenti correlati all'età, soprattutto nell’espressione dell’RNA messaggero (mRNA), codificante per il trasportatore (VMAT2) si può verificare la perdita

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funzionale di VMAT2, sottoponendo i neuroni ad una maggiore vulnerabilità ed un

conseguente danno neurologico, in presenza di tossine mitocondriali come MPTP in vivo o MPP+ in vitro.

Quest’ultimo può causare ulteriori ingiurie dovute alla sua capacità di legarsi

direttamente a VMAT2 guadagnando l'ingresso all’interno delle vescicole sinaptiche e determinando l'estrusione di DA nel compartimento citoplasmatico. [29]

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OSSIDAZIONE DELLA DOPAMINA

L’inadeguata attività ed espressione dell'mRNA di VMAT2 potrebbe compromettere tre vie principali di reazione, attraverso le quali l'ossidazione di DA può diventare patologica. Queste includono:

➢ L'ossidazione enzimatica di DA attraverso vari enzimi quali la tirosinasi, la fosfolipasi A2 (PLA2) / prostaglandina H sintasi (COX), la lipossigenasi e xantina ossidasi per formare DA-chinone diretta verso la sintesi di neuromelanina.

➢ L’autossidazione non enzimatica di DA tramite la presenza di ossigeno, H2O2 o

metalli.

➢ L’ossidazione enzimatica di DA da parte degli enzimi MAO possono portare alla produzione di H2O2 e sintesi di DA-aldeidi.

La pesante ossidazione di DA sia essa non enzimatica sia enzimatica sembra avere un ruolo cruciale nell’insorgenza della patogenesi neurodegenerativa, con la conseguente deplezione di glutatione, ossidazione di ascorbato disponibile e successivo stress ossidativo nell'area del SNC. [29]

Riferimenti

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