Lo schema descritto sopra è detto “a coniugata finita” facendo riferimento alla coniugata immagine a’ (in fig.13: a’ = CO’). In pratica, nel microscopio, la a’ varia da 120 a 200 mm; essa dipende dalla posizione del punto principale immagine dell’obbiettivo (H’ in fig. 16), che è diversa per ogni obbiettivo, e dalla posizione dell’immagine intermedia, che invece dovrebbe rimanere costante per tutti gli obbiettivi e gli oculari della stessa serie, almeno nella produzione recente.
Il valore di a’ non ha molte relazioni con la “lunghezza ottica” o quella “meccanica” del tubo (vedi il § 10).
Lo schema di obbiettivo a coniugata finita porta dunque a formare un’immagine intermedia reale, rovesciata ed ingrandita rispetto l’oggetto, a distanza finita dall’obbiettivo, senza bisogno di altre parti ottiche.
È lo schema più antico, il più semplice, e non soffre di limitazioni sul piano teorico. Esso ha però un inconveniente: in molti casi, è necessario interporre fra obbiettivo ed oculare delle lamine di vetro limitate da facce piane e parallele (filtri, prismi, ecc.). Tali parti sono prive di potenza ottica, appunto perché le facce sono piane, e quindi non modificano l’ingrandimento, però esse spostano l’immagine intermedia, di una lunghezza pari a circa 1/3 dello spessore d della lamina; più esattamente, se A è lo spostamento dell’immagine in direzione dell’asse, chiamato anche “avanzamento”, si ha :
A = [( n – 1) / n ] · d (17)
in cui n è l’indice della lamina. In particolare, l’immagine intermedia si sposta in direzione dell’oculare.
Il fenomeno dell’avanzamento dell’immagine si spiega semplicemente in base al fenomeno della rifrazione in un fascio convergente. Esso produce uno spostamento dell’immagine ma non una variazione delle sue dimensioni.
Ebbene, non essendo pratico compensare lo spostamento dell’immagine intermedia con un movimento dell’oculare, in pratica si fa variare la distanza oggetto-obbiettivo e quindi la posi-zione dell’immagine intermedia a mezzo del movimento di “messa a fuoco” (vedi il § 27.2.2). Questa manovra porta però alcuni inconvenienti:
◊◊ si perde la “parfocalità” degli obbiettivi, cioè si perde la messa a fuoco quando si cambia obbiettivo (vedi il § 19.1.2);
◊◊ gli obbiettivi lavorano con coniugate alterate e ciò, nel caso degli obbiettivi forti, provoca l’insorgenza di aberrazioni (vedi il § 13.2.3);
◊◊ l’ingrandimento viene alterato, sempre a causa dell’alterazione delle coniugate.
Per evitare dunque il ritocco della messa a fuoco con i relativi effetti dannosi, ogni volta che si inserisce o si esclude il filtro o il prisma, si è cercata da tempo un’altra soluzione, ed è quella generalmente utilizzata, schematizzata nella parte destra della figura precedente. Ne riparleremo presto.
Ma esaminiamo altre possibili soluzioni. 3.2.1 - La lente convergente
Un primo rimedio consiste nell’inserire assieme al filtro od al prisma un opportuno sistema ottico convergente che compensi lo spostamento dell’immagine intermedia. Questa soluzione è raramente seguita in pratica poiché riduce l’ingrandimento.
3.2.2 - Il “Telan” (vedi, in questo sito, sezione “Microscopia ottica”, l’art. n° 45
Si può anche inserire fra obbiettivo ed oculare un sistema “Telan”. Ecco il principio: lo spostamento dell’immagine intermedia provocato dal prisma dipende dal fatto che il fascio che concorre in ogni punto dell’immagine intermedia è convergente (fig. 13). Se il fascio fosse parallelo, non vi sarebbe spostamento (i raggi inciderebbero tutti normalmente alla lamina e non verrebbero deviati, almeno per i punti assiali).
Per ottenere un fascio parallelo (per ogni punto immagine) in qualche regione fra obbiettivo ed oculare, si usa il sistema TELAN (figura seguente).
Fig. 17
L’obbiettivo Ob , in condizioni normali, produrrebbe un’immagine intermedia in posizione I. Sopra l’obbiettivo si pone una lente divergente D tale che il fascio convergente prodotto dall’obbiettivo divenga parallelo. Ad una distanza opportuna dopo D si pone una lente convergente C che rende di nuovo convergente il fascio in modo da formare una nuova immagine intermedia spostata in Is .
Si fa in modo che i tratti Ob- D e C - Is formino globalmente una lunghezza pari alla
coniugata-immagine originale dell’obbiettivo (Ob - I). In questo modo la Is è identica alla I, è solo spostata del tratto I - Is = D - C . Nel tratto D - C si può porre od estrarre qualunque lamina plan-parallela senza che l’immagine intermedia cambi posizione o dimensioni in virtù del fatto che fra le lenti D e C il fascio prodotto da ogni punto oggetto è parallelo (telecentrico).
Il Telan viene usato anche per interporre fra obbiettivo ed oculare qualche sistema intermedio (cambiatori d’ingrandimento, lente di Amici, ecc., vedi il § 25.2); i cambiatori d’ingrandimento hanno in genere coniugate infinite da ambo i lati (sono “afocali”, come i cannocchiali – vedi l’art. n° 45, già citato).
3.2.3 - Obbiettivi a coniugata infinita
Per evitare le lenti addizionali del Telan, vi è un terzo metodo, che è appunto quello degli “obbiettivi a coniugata infinita” già usato alla fine del XIX sec. negli strumenti che fanno normalmente uso di prismi sopra l’obbiettivo (microscopi polarizzatori e metallografici), poi sempre più diffuso a partire dal 1930 ad opera dei costruttori Reichert (Vienna), Leitz (Wetzlar) e Zeiss (Jena).
Si veda la fig.18: lungo l’asse si ha l’oggetto Og posto nel primo fuoco dell’obbiettivo Ob . Ogni punto dell’oggetto (qui è indicato solo il punto sull’asse) produce a valle di Ob un fascio parallelo. A questo punto si avrebbe un’immagine intermedia a distanza infinita (vedi la fig. 14 nel § 2.6.2.5) e quindi inutilizzabile. Per avere un’immagine intermedia reale a distanza utile basta porre sopra l’obbiettivo una lente convergente LT , detta “lente di tubo”. Poiché il fascio incidente su LT è parallelo, esso converge nel secondo fuoco di LT ; qui si forma l’immagine intermedia e qui si trova il primo fuoco dell’oculare. Nello spazio fra obbiettivo ed LT si ha un fascio parallelo (telecentrico) per ogni punto oggetto. La distanza LT - immagine intermedia è pari alla focale di LT (indicata con ft ), era spesso di 250 mm, ma oggi soffre di molte
ecce-zioni26).
La lente di tubo è presente ormai nella maggioranza degli strumenti di alto livello costruiti negli ultimi 20 anni e nei modelli stereoscopici del tipo CMO (§ 29.7).
Fig. 18
Dal punto di vista della struttura, la differenza fra gli obbiettivi classici “a coniugata finita” e quelli “all’infinito” è lieve: nel calcolo del sistema di lenti si deve ovviamente tener conto delle diverse distanze dell’oggetto e dell’immagine al fine di ottimizzare le prestazioni del sistema.
Inoltre, se si confronta l’ingrandimento di un obbiettivo a coniugata finita (formula (14), § 2.6.2.2 : M = x’/f) con quello di un’obbiettivo a coniugata infinita (vedi sotto la (18)):
M = ft/fob , tenendo conto che nella (14) f indica la focale dell’obbiettivo fob, se ne deduce che la focale di tubo ft è numericamente pari ad x’ (a parità d’ingrandimento). Ma x’, nel caso degli obbiettivi a coniugata finita, è dell’ordine di 160 mm (dipende dalla struttura dell’obbiettivo), mentre la ft è variabile almeno fra 160 e 250 mm. Ne risulta che, a parità d’ingrandimento, un obbiettivo a coniugata infinita ha una focale maggiore del corrispondente a coniugata finita. Se maggiore è la focale, a parità di apertura sarà anche maggiore il diametro delle lenti e quindi l’in-gombro generale dell’obbiettivo.
A questo punto, lo spazio fra obbiettivo e lente di tubo diviene una specie di spazio franco in cui è possibile introdurre od eliminare qualunque elemento privo di potenza senza variare ingran-dimento né focalizzazione (lamine plan-parallele, prismi, sistemi galileiani afocali con funzione di cambiatori d’ingrandimento, ecc.); di questo “spazio franco” si può variare l’ampiezza entro ampi limiti; il limite superiore può essere dato da vignettature, qualche aberrazione e simili.
La struttura a seconda coniugata infinita facilita l’intercambiabilità degli accessori e la co-struzione di strumenti a struttura modulare. È una comodità per il costruttore, più che per l’uti-lizzatore.
Per calcolare l’ingrandimento lineare di un obbiettivo a coniugata infinita, si può fare questa approssimata considerazione: l’immagine intermedia è formata dal complesso dell’obbiettivo + lente di tubo (fig. 18); la prima coniugata (a) di questo complesso è la focale fob dell’obbiettivo; la seconda coniugata (a’) è la focale della lente di tubo (ft). Quindi, applicando la (13), si ha la :
M = a’/a = ft/fob (18)
Come vedremo nel § 10 per gli obbiettivi a coniugata finita (fig. 20), la distanza fra fuoco superiore dell’obbiettivo (F’ob) e fuoco inferiore dell’oculare (Fok) è pari alla distanza fra F’ob ed immagine intermedia (quest’ultima dovrebbe trovarsi sempre a livello di Fok). Questa distanza si indica come “lunghezza ottica del microscopio” (Δ). Ma allora Δ è pari ad x’ (fig. 13) e, per quanto detto sopra, ad ft : Δ = x’ = ft . Così la formula (14): M = x’ / f equivale alla (18): M = ft / f e cioè:
M = ft / f = Δ / f (qui f ed fob sono sinonimi) (19) Quando ft = Δ è pari a 250 mm, si ha M = 250/f , e questa è l’espressione dell’ingrandi-mento visuale di un oculare (§ 4.3) e pertanto va seguita dal simbolo “°”. In genere, infatti, i
costruttori indicano l’ingrandimento degli obbiettivi a coniugata infinita con un numero seguito da “°”, e questa indicazione va esclusa per gli obbiettivi a coniugata finita.
Si noti anche che un obbiettivo a coniugata infinita produce l’immagine intermedia con-giuntamente alla lente di tubo. Si può quindi considerare tale duplice sistema come un normale obbiettivo a coniugata finita: basta ricordarsi che abbiamo a che fare con un sistema complesso. La focale dell’obbiettivo da considerare nelle formule come la (14) o la (15) è allora la focale complessiva del sistema obbiettivo + lente di tubo; tale focale dipende dalla distanza fra obbiettivo e lente di tubo e tale distanza, come si è visto, può variare entro ampi limiti. Ma come fa un obbiettivo a coniugata infinita + lente di tubo a dare sempre lo stesso ingrandimento se la sua focale complessiva non è definita? Questa apparente contraddizione si supera pensando che, variando la distanza fra obbiettivo e lente di tubo, varia anche la posizione dei punti principali del sistema e l’altezza h d’incidenza dei fasci prodotti dall’obbiettivo sulla lente di tubo stessa. Insomma, variando la distanza fra le due parti, varia il sistema complessivo sia nella sua focale che in altri parametri, ed i vari effetti si elidono reciprocamente in modo che l’ingrandimento non vari.
Per scrupolo di completezza, ricordiamo che alcuni costruttori (Zeiss W. ad es.) possono pre-vedere come lente di tubo un sistema semplice il quale, oltre a svolgere la funzione appena de-scritta, introduce ad arte piccoli residui di aberrazioni che hanno come scopo di “compensare” residui di segno opposto presenti negli obbiettivi. Ciò, globalmente, facilita il lavoro del pro-gettista, che si trova un ulteriore parametro su cui operare, ma rende incompatibili gli obbiettivi di un costruttore con gli stativi (contenenti la lente di tubo) di un altro. Il problema della compatibilità va sempre tenuto presente.