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Le obbligazioni “positive” derivanti dall’art 8 CEDU L’accesso ai dossier contenenti dati personali.

DELL’UNIONE EUROPEA

5. Le obbligazioni “positive” derivanti dall’art 8 CEDU L’accesso ai dossier contenenti dati personali.

Come accennato in precedenza l’art. 8 CEDU si caratterizza per il fatto che, nonostante sia formulato “al negativo”, dallo stesso possono derivare anche obblighi “positivi” a carico degli Stati volti ad assicurare l’effettivo rispetto dei diritti ivi previsti, nonché a prevenire e a contrastare interferenze illegittime da parte di terzi.

107 Z. c. Finlandia, par. 95 108

Cfr. Consideranda n. 165 della Raccomandazione n. R (89) 14, adottata dal Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa il 24 ottobre 1989 recante “Les incidences thiques de l'infection VIH dans le cadre sanitaire et social”

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Particolarmente emblematico, sotto questo profilo, è il caso Gaskin vs Regno Unito110 del 1989. Si tratta della toccante vicenda di un minore britannico, orfano di madre, che era stato affidato alla tutela dei servizi sociali della città di Liverpool a seguito di una condanna per furto e rapina. Infatti, dato che il padre si era sempre rifiutato di occuparsi del piccolo, fin dalla più tenera età il sig. Gaskin aveva vissuto presso diverse famiglie affidatarie, conformemente alla legislazione inglese in materia di protezione dei minori.

Una volta divenuto maggiorenne il sig. Gaskin lamentava di essere stato, durante gli anni del suo affidamento, oggetto di ripetuti abusi e violenze che gli avevano comportato dei problemi a livello psicologico tali da ripercuotersi anche sulla sua vita adulta.

Il sig. Gaskin richiedeva, pertanto, ai servizi sociali della città di Liverpool (che conservavano un dossier strettamente confidenziale concernente la sua posizione), di permettergli l’accesso a tali informazioni al fine di scoprire dove, presso chi, ed in quali condizioni aveva vissuto, nella speranza di poter superare così i suoi problemi e conoscere la verità sul suo passato. L’accesso al dossier veniva autorizzato soltanto parzialmente, in quanto i Servizi Sociali ritenevano di dover osservare un dovere di confidenzialità nei confronti degli informatori anonimi111.

Il sig. Gaskin faceva ricorso alla Corte d’Appello avverso tale decisione. La corte territoriale, tuttavia, confermava il provvedimento di parziale rigetto, ritenendo come consentire al Gaskin di accedere al relativo dossier non corrispondesse al pubblico interesse. Infatti, secondo la Corte d’Appello, tale accesso avrebbe comportato la necessità di rivelare l’identità di alcuni informatori e, pertanto, avrebbe scosso le basi del sistema britannico dei servizi sociali che si fonda largamente sulle informazioni confidenziali liberamente fornite alle autorità dai cittadini.

Nella vicenda Gaskin la Corte ha affermato l’esistenza di uno speculare obbligo “positivo” a carico degli Stati di consentire l’accesso degli interessati alle informazioni personali riguardanti la propria vita privata. Infatti, nel caso in esame la questione era tutt’altro che pacifica, dal momento in cui il Gaskin non lamentava che delle informazioni che lo riguardavano fossero state raccolte o utilizzate a suo detrimento. Al contrario egli ricorreva contro il rifiuto delle autorità pubbliche di consentirgli l’accesso alle informazioni che lo riguardavano.

110

Gaskin c. Regno Unito (Ricorso n. 10454/83), sentenza del 7 luglio 1989

111

Ai sensi della legislazione inglese tali informatori possono essere insegnanti, medici, agenti di polizia, genitori affidatari, assistenti sociali, ma anche soltanto amici o vicini di casa.

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Il governo inglese affermava che i dossier riguardanti l’infanzia del sig. Gaskin non facevano parte in quanto tali della sua vita privata e familiare, poiché contenevano soltanto informazioni raccolte dalle autorità locali e, pertanto, né la loro costituzione né l’accesso alle relative informazioni ricadevano sotto l’ambito di applicazione dell’art. 8 CEDU. Inoltre, il Governo britannico eccepiva che la disposizione in esame, stante, la sua formulazione letterale, non ammetteva l’esistenza di presunte “obbligazioni positive”.

La Corte, dal canto suo, esprimeva la propria contrarietà a tale tesi.

Di conseguenza, pur omettendo di prendere esplicitamente posizione sulla questione dell’esistenza di un diritto all’accesso ai dati personali, affermava che vi era stata violazione dell’art. 8 CEDU in quanto la decisione finale circa il diniego di autorizzazione ai dati del dossier non era stato adottata da parte di un organismo indipendente112.

Sempre in tema di obbligazioni “positive” va ricordato anche il caso Rees c. Regno Unito113 del 1986.

Alla sua nascita nel 1942, in Inghilterra, il sig. Rees presentava tutti i caratteri primari e biologici del sesso femminile e, come tale, figurava nell’atto di nascita col nome di Brenda Margaret Rees. Tuttavia, a partire dalla più tenera infanzia, lo stesso assumeva un comportamento prettamente maschile ed aveva un aspetto ambiguo. Dopo essersi sottoposto a diversi trattamenti medico-chirurgici volti alla modificazione del suo sesso, il sig. Rees cambiava il suo nome in Mark Nicholas Alban Rees ed otteneva anche il rilascio di un nuovo passaporto. Le autorità inglesi tuttavia, che pure si erano accollate i costi dell’operazione chirurgica, rifiutavano di modificare la menzione del sesso femminile che compariva ancora sul certificato di nascita.

Il sig. Rees ricorreva, pertanto, alla Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo lamentando, tra l’altro, la violazione dell’art. 8 CEDU in ragione dell’imbarazzo e dell’umiliazione sofferta ogniqualvolta si vedeva costretto a esibire il certificato di nascita che, contenendo l’indicazione del suo sesso ufficiale, svelava la discordanza tra il suo aspetto e il suo sesso biologico. La questione non era oziosa in quanto, secondo il diritto allora vigente in Gran Bretagna il sig. Rees era comunque considerato come donna ai fini del matrimonio, dei diritti previdenziali, e anche in funzione di determinati lavori. L’esistenza di un atto di nascita non modificato poteva, inoltre, impedirgli di concludere certi contratti in qualità di uomo.

112

Gaskin c. Regno Unito, par. 49

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Il sig. Rees chiedeva, pertanto, la modifica del certificato di nascita nonché la riservatezza di tale modifica, nel senso che la stessa non avrebbe dovuto essere comunicata a terzi.

La Corte Edu, sulla scorta della sua precedente giurisprudenza114, afferma anche qui che nonostante l’art. 8 CEDU tenda a proteggere l’individuo contro le ingerenze dei poteri pubblici, esso può generare anche degli obblighi positivi in funzione di un rispetto efficace della vita privata e familiare ancorché soggetti ad un margine di apprezzamento da parte degli Stati contraenti. Tuttavia, trattandosi di una materia, quella del transessualismo, in cui il diritto è in una fase di transizione e dove non regna comunanza di vedute da parte degli Stati contraenti, la Corte ritiene che questi ultimi godano di un ampio margine di discrezionalità.

Di conseguenza, la Corte ritiene che nel Caso Rees non vi sia stata violazione dell’art. 8 CEDU nella misura in cui tale disposizione non può essere interpretata nel senso di imporre al Regno Unito né la modifica del sesso risultante dall’atto di nascita del ricorrente né, tantomeno, un’annotazione circa l’avvenuto cambio di sesso115

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Un altro caso in cui sono venute in rilievo le obbligazioni positive dello Stato aveva come oggetto la pubblicazione, da parte di uno sconosciuto, di un annuncio su di un sito erotico di incontri per adulti a nome di un ragazzino di 12 anni116.

A seguito della denuncia presentata dal padre del minore, la polizia chiedeva che l’Internet service provider fornisse l’identità della persona che aveva messo l’annuncio. Il Provider, tuttavia, rifiutava di fornire tali dati secondo quanto previsto dalla normativa finlandese. Tale decisione veniva, peraltro, confermata anche dal Tribunale Distrettuale di Helsinki che rigettava il ricorso della polizia, osservando come tra i reati per i quali la legge finlandese consentiva la divulgazione dell’identità nel campo delle telecomunicazioni non era ricompreso quello di sostituzione di persona. Conseguentemente, l’identità del soggetto che aveva messo l’annuncio esponendo il minore ad approcci da parte di pedofili non poté mai essere conosciuta.

La Corte in questo caso osservava come gli Stati debbano criminalizzare e perseguire i reati, specialmente quelli che vedono come vittima i minori e gli altri soggetti maggiormente bisognosi della protezione dello Stato. Nel caso di specie la Corte riteneva che la protezione

114

Cfr. Abdulaziz, Cabales et Balkandali c. Francia del 28 maggio 1985, série A no 94, pp. 33-34, par. 67

115

Interessante è cmq l’opinione contraria dei giudici Bindschedler-Robert, Russo e Gersing, secondo cui il Regno Unito avrebbe potuto quantomeno inserire un’annotazione nel certificato di nascita del sig. Rees. In questo modo si sarebbe potuto salvaguardare sia la legittima aspettativa del sig. Rees in quanto rifletterebbe la sua situazione reale, che l’interesse pubblico soggiacente alla verità obiettiva di un fatto storico.

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concreta ed efficace del ricorrente richiedeva passi significativi volti ad identificare e perseguire l’autore dell’annuncio. Anche se la libertà di espressione e la confidenzialità delle comunicazioni sono questioni di primaria importanza e gli utenti di telecomunicazioni e servizi internet devono avere garanzia che la loro stessa privacy venga rispettata, tali garanzie non possono essere assolute e devono piegarsi all’occasione ad altri imperativi legittimi quali la prevenzione del crimine o la protezione dei diritti e delle libertà altrui. Conseguentemente la Finlandia aveva violato l’art. 8 CEDU sotto il profilo delle obbligazioni positive.

6. La Convenzione 108 del Consiglio d’Europa sul trattamento automatizzato dei

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