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Oggetti fiabeschi:

Nel documento Gli oggetti nell'"Orlando Furioso" (pagine 39-42)

Oggetti propriamente fiabeschi, poi, possono essere considerati quelli in cui Rinaldo si imbatte nel corso delle cosiddette “novelle padane”, chiamate così perché ambientate lungo il fiume Po. Rinaldo si trova in quella zona perché ha appena bevuto alla fonte del Disamore, liberandosi così dell’insana passione per Angelica.

Un gentiluomo mantovano lo accoglie nel suo castello e lo invita a sottoporsi alla “prova del nappo”, un calice fatato dal quale solo chi ha la moglie fedele riesce a bere senza bagnarsi.

Il poeta dice che il nappo è stato fabbricato da Morgana “per fare accorto suo fratello del fallo di Ginevra”; il che richiamerebbe a un corno fatato opera di Morgana citato dal Tristan: in esso, nessuna donna infedele può bere.30

Agisce, cioè, sulle stesse donne infedeli e non sui loro mariti uomini. Ma la modifica del funzionamento dell’oggetto potrebbe essere attribuita senza difficoltà a necessità di trama: bisognava che a dover sottostare alla prova fosse Rinaldo. Tuttavia, come nota Rajna, il rimaneggiamento potrebbe non essere necessariamente opera di Ariosto; basta ipotizzare che l’autore fosse al corrente dell’esistenza di tradizioni alternative a quella del Tristan.

Il prototipo del corno fatato nasce infatti alla corte di Artù, e compare in numerose composizioni, anche indipendenti tra loro, le cui vicende si svolgono in quell’ambientazione, facendo presupporre l’esistenza di una precedente e diffusissima tradizione orale.31

Nel Perceval di Gautier de Doulens esiste un corno miracoloso in grado di replicare il miracolo di Cana, e dal quale per di più un cavaliere che sia stato tradito da una donna o da un amico non può bere. L’episodio

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PIO RAJNA, Le fonti dell’Orlando Furioso, Sansoni, Firenze, 1975, a cura di Francesco Mazzoni, capitolo XIX, p. 573

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del corno del Perceval non è originario; è il compendio del Lais del corn di Robert Biket, con alcune modifiche. Nella prima narrazione infatti il corno non muta l’acqua in vino, e il solo cavaliere a riuscire nella prova beve per ultimo, accentuando la drammaticità del momento.

Oltre al corno esiste una classe molto ampia di oggetti dalle funzioni analoghe, che del resto hanno radici in scritti persiani o antichi; in Achille Tazio l’ingresso di una vergine nella grotta di Diana provoca una dolce musica; in Eliodoro la castità di una donna si prova per mezzo del fuoco; e si trovano esempi anche in Erodoto e nella Bibbia. Alla tradizione britannica appartengono creazioni come il Mantel Mantaille, la cui leggenda a dire il vero ebbe maggior diffusione in Germania: si tratta di un mantello magico che si accorcia in proporzione al grado di infedeltà della donna che lo indossa. Ad eccezione del Tristan, probabilmente Ariosto non conosceva in modo diretto questi testi, ma piuttosto emanazioni degli stessi.

Di fronte al rifiuto di Rinaldo di affrontare la prova del calice, il cavaliere mantovano che glielo porgeva è ammirato e gli racconta la propria storia di infelice che ha voluto mettere alla prova la fedeltà della propria moglie; è, questa, la prima delle cosiddette “novelle padane”.

Rinaldo non è il primo a temere rivelazioni circa la fedeltà della propria moglie.32 Sia nel

Mantel che nel Lais del corn che nel Perceval un cavaliere chiamato Carados (Garaduie nel Lais del corn), l’unico la cui sposa, alla fine, risulta fedele, non vuole che la prova (su di lui o sulla moglie, a

seconda del funzionamento dell’oggetto) si faccia. Nel Mantel sua moglie inizialmente non è chiamata a fare la prova perché a letto malata, e lui se ne rallegra: ma dopo che tutte le donne della corte si sono umiliate, si insiste affinché sia convocata anche lei. Carados allora vorrebbe dissuaderla dal sottoporsi al mantello, e dichiara “Amo meglio essere in dubbio”. Tuttavia, alla fine, la moglie affronta e supera la prova, dimodoché la mancanza di morbosa curiosità del marito è premiata. Al contrario, Rinaldo non conoscerà la verità, né la conoscerà il lettore.

L’episodio è di fatto una fiaba negata, interrotta prima ancora di quello che Propp considera il suo logico inizio. Viene infatti a mancare la funzione III della fiaba, quella della violazione della proibizione33: la situazione iniziale rimane inalterata e di conseguenza non c’è sviluppo. L’infrazione del divieto è elemento fondamentale della trama non solo della fiaba, ma anche di diversi episodi mitici, che spesso riguardano, non a caso, l’ambito della conoscenza: è alla base della biblica cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre (episodio, del resto, richiamato dallo stesso Rinaldo), rappresenta una svolta fondamentale nella storia di Amore e Psiche, quando lei decide di guardare l’amato malgrado la proibizione ricevuta; è presente nella storia di Icaro, in quella di Fetonte, e ricompare in mille altre vicende che non occorre elencare.

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Ibid. pp. 574 e ss.

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Nell’episodio del nappo Rinaldo non riceve il divieto dall’alto (in quella che Propp individua come funzione II della fiaba, “l’imposizione del divieto”), ma se lo impone di propria iniziativa, deducendolo quale logica conseguenza di leggi superiori; conoscere sarebbe quasi un atto di hybris, proibito dalla divinità. L’inserimento del divieto in un contesto religioso è però solo uno spunto di colore in un’ambientazione perfettamente laica; a causare infelicità sarebbe non l’eventuale punizione imposta a posteriori da un Dio irato, ma la semplice scoperta della verità stessa, che incrinerebbe l’armonia del matrimonio. Consapevole delle conseguenze di un divieto scelto e non semplicemente appreso come postulato, Rinaldo non deve passare attraverso le peripezie che normalmente nelle fiabe e nel mito coinvolgono il protagonista prima del ristabilirsi della situazione di pace iniziale. Non a caso questo brano è collocato nella parte conclusiva del Furioso, improntata al richiamo all’ordine caratteristico dell’epica: un’ulteriore deviazione del paladino sarebbe qui stata fuori luogo.

Gli elementi fiabeschi abbondano nella seconda delle novelle padane, quella di Adonio e del giudice Anselmo. Quando, ormai povero, lascia Mantova, Adonio salva un serpente da un contadino che lo minacciava con un bastone, ricordando che secondo una leggenda la sua stirpe viene fatta discendere, per tramite della fata Manto, proprio dai serpenti. E il serpente che ha salvato si rivelerà essere la stessa fata Manto, dotata di enormi poteri magici ad eccezione di un giorno la settimana in cui si tramuta in un innocuo serpente ed è esposta ad ogni genere di pericoli.

Nel Furioso la fata Manto, grata, offrirà ad Adonio il proprio aiuto per conquistare la donna amata, come un qualunque aiutante magico fiabesco. In questo caso, la fata assume la forma di un cane in grado di produrre gemme: è, questo, un elemento ricorrente del racconto popolare. Lo si trova in Basile, nei cui racconti compare talvolta un animale domestico (generalmente un asino) in grado di produrre gemme, o nella tradizionale fiaba di Cenerentola, dove a donare alla fanciulla gioielli e vestiti è un animale o una pianta34.

Grazie al cane-aiutante magico, divenuto oggetto di baratto, Adonio riesce a portare a compimento la sua fiaba, cioè ad avere Argia per una notte. L’antagonista della fiaba, se vogliamo qui individuarne uno, non era certo il marito della donna, ma piuttosto Argia stessa, con la propria resistenza a tradire. Non di rado nelle fiabe l’eroe deve conquistare la propria principessa sottoponendosi a diverse prove; raramente però, e qui entra in gioco l’elemento prosaico, queste prove consistono nel corromperla con denaro. Ed è significativo che l’iniziativa sia presa proprio dalla fata Manto, che di tutta la vicenda è il componente fiabesco per eccellenza.

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PIO RAJNA, Le fonti dell’Orlando Furioso, Sansoni, Firenze, 1975, a cura di Francesco Mazzoni, capitolo XIX. pp. 586 e ss.

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Argia, tradendo Anselmo, riceve in dono da Adonio il cane che è in realtà la fata Manto trasformata, ed entra a sua volta in possesso di un suo oggetto-aiutante magico.

“L’eroe” o meglio l’eroina della fiaba è ora Argia. Infatti Adonio, finora protagonista, raggiunto il suo obiettivo, che consisteva semplicemente nel trascorrere una notte con la donna amata, scompare di scena e conclude la propria fiaba: ma dalle ceneri della vecchia fiaba se ne sviluppa una nuova, che stavolta ha per protagonista Argia, colpevole, avendo soddisfatto Adonio, della “infrazione del divieto” impostole dal marito. Non è un caso che ad alcuni risulti strano che la novella sia conosciuta come “storia di Adonio”, quando questi scompare improvvisamente prima della metà: le storie infatti in realtà sono due.

Nella nuova fiaba il marito ricopre il ruolo di antagonista, che si serve a sua volta di un aiutante magico (l’astrologo) per avere conferma del tradimento della moglie, e come nelle storie più tradizionali, ordina a un servo di condurre con l’inganno la donna nel bosco e lì ucciderla. Ancora una volta, sarà l’oggetto magico a salvare la situazione, portando a una riconciliazione tra i due sposi.

Nel documento Gli oggetti nell'"Orlando Furioso" (pagine 39-42)