• Non ci sono risultati.

Omelia dell’Em.mo Card

Nel documento 1 Aprile: S. Messa crismale (pagine 24-34)

Dominique Mamberti s. Tommaso d’Aquino, 7 marzo 2015

Omelia dell’Em.mo Card. Dominique Mamberti s. Tommaso d’Aquino, 7 marzo 2015

(Roccasecca)

Cari fratelli e sorelle,

desidero innanzi tutto esprimere profonda gratitudine a Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Gerardo Antonazzo per avermi invitato a presiedere questa celebrazione eucaristica e rivolgo il mio cordiale saluto, ai Sacerdoti, alle Autorità civili e a voi tutti convenuti, in questi cari e preziosi luoghi che hanno dato i natali al grande San Tommaso.

L’odierna festa apre i nostri cuori alla gioia autentica che nasce dal considerare la santità luce radiosa per i nostri tempi. I santi sono riflesso della luce di Dio nell’oscurità del male e delle tenebre. Il brano del Vangelo secondo Matteo attraverso le immagini del “sale” e della “luce” delinea la missione dei discepoli e della Chiesa. E per cogliere il significato profondo delle parole di Gesù è necessario entrare nella ricca simbologia di queste immagini, collocate all’interno del Discorso della Montagna al quale appartiene il brano che è stato proclamato.

“Voi siete il sale della terra” (Mt 5,13). Il primo significato rimanda all’Alleanza, alla solidarietà. Infatti, nell’antico Oriente esisteva un patto del sale, sinonimo di alleanza inviolabile; suggestivo è un passo dal libro dei Numeri (18,19) nel quale si fa riferimento ad un’Alleanza di sale, perenne, davanti al Signore. È un’indicazione preziosa che il Signore dona: permeare la vita delle nostre relazioni con il sale dell’Alleanza, della solidarietà e dell’amore.

Accanto a questo significato possiamo considerare il simbolo della vita. Nel libro di Esdra i funzionari stipendiati dal sovrano sono indicati come “quelli che mangiano il sale della reggia” (4,14). Anche nel nostro linguaggio il termine

“salario” indica lo strumento economico per garantire una vita dignitosa. Ed è in questa prospettiva che va colta la prassi orientale di frizionare con il sale il bambino appena nato per donargli forza e vitalità. Come discepoli del Signore possiamo

donare un senso sempre nuovo alla nostra storia accogliendo e vivendo la logica delle Beatitudini. La felicità dell’uomo non può essere cercata e realizzata senza Dio. Diversi sono stati nella storia i tentativi di proporre o addirittura di imporre all’uomo una felicità slegata dalla Verità, e oggi è comune l’idea di una felicità che consisterebbe nell’ accontentarsi delle piccole e immediate gratificazioni di un momento, dell’idolatria del proprio io, completamente imbrigliato nella rete di un presente effimero, senza direzione e speranza.

Siamo invitati dal Signore a indicare al mondo un’autentica sapienza, a ridare “sapore” all’esistenza. Infatti, il “sale”

è anche simbolo della sapienza. San Paolo scrive ai cristiani di Colossi: “Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito col sale della sapienza per sapere come rispondere a ciascuno.” (4,6).

“Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14). La luce è, prima di tutto, una piccola parabola che parla di Dio: essa è esterna a noi, non la possiamo trattenere tra le mani, come Dio è trascendente, eppure ci avvolge, ci riscalda, ci attraversa come Dio è vicino a noi. Il discepolo inondato dalla luce divina, diventa a sua volta riflesso che risplende e riscalda.

Il profeta Isaia proclama: “Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio” (58, 9-11). Ecco tracciarsi l’orizzonte di una nuova sapienza. Abbiamo ascoltato san Paolo nella prima lettera ai Corinzi: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso.” (2,2).

Ecco la sapienza che continuamente possiamo donare: Gesù Cristo Crocifisso. È questa la sapienza che instancabilmente dobbiamo cercare: “Stimai un nulla la ricchezza al suo confronto…preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che ne promana.” (Sap 7,8.10). Dalla croce del Cristo rifulge l’amore donante di Dio. Il suo chinarsi su tutte le miserie umane, fisiche e morali, è

l’espressione dell’amore che si fa presente e operante nella sua persona. Non un sistema di concetti ma il suo farsi storia, evento nelle nostre vicende, non il Dio impassibile dei filosofi e delle religioni naturali, ma il Dio ricolmo di passione per il suo popolo. In Cristo Dio abolisce la lontananza dell’uomo, risana le ferite della divisione, della morte, discende nelle profondità delle tenebre e ridona la vita.

Cari amici, possa risplendere in noi la luce della carità per donare sapore all’esistenza. Si tratta di vivere l’amore non semplicemente in modo umano: un affetto, una benevolenza, una simpatia, una filantropia prodotta dall’uomo o la riduzione a fugaci e momentanee emozioni, ma la carità è Dio, è la nostra partecipazione all’essere amore di Dio. Infatti, la carità di Dio in noi è Karis: è grazia, e per questo ci costituisce figli, ci rende capaci di amare. Ecco la sapienza di Dio che tocca il nostro essere: il nostro uomo carnale, centrato su stesso, è trasformato nell’uomo nuovo e spirituale. Grazie al memoriale della Pasqua, l’Eucarestia che stiamo celebrando, la carità del Crocifisso penetra la nostra vita, operando una radicale conversione all’oblatività e alla comunione. Per questo la carità di Dio in noi è amore filiale e fraterno.

Sant’Agostino afferma: “La carità che ama il prossimo non è diversa da quella che ama Dio. Non c’è una seconda carità. Con la stessa carità con la quale amiamo il prossimo amiamo anche Dio.” (Sermo 265, VIII, 9). Ed è in quest’orizzonte che san Tommaso definisce la carità come “amicizia dell’uomo con Dio”

(Summa Theologiae II-II, 231) e relazione con tutti coloro che sono chiamati alla comunione con lui. San Tommaso contempla Dio fonte dell’essere e il Signore partecipa alle creature la sua stessa vita. Siamo di fronte alla novità assoluta della fede cristiana rispetto al pensiero dei filosofi antichi, per cui la divinità mantiene una relazione distaccata con il mondo. Il Dio di Gesù Cristo, contemplato e predicato da San Tommaso, invece, è il Dio dell’amore e pertanto creatore e provvido, non chiuso nel circolo di se stesso, impersonale e

distante. E nella relazione con il Dio Carità l’uomo scorge la sua più profonda identità, capace di conoscere se stesso, il mondo, gli altri, ma soprattutto di entrare in comunione con il Suo Signore e Padre del Cielo. Il pensiero di san Tommaso dona anche oggi con forza il fondamento della dignità, del valore assoluto della persona, della sua irriducibilità, poiché ogni uomo riceve da Dio il suo essere. Tutto ciò significa che, mentre tutto l’universo fisico dipende da un solo atto creativo di Dio, per ogni persona il Signore riserva un’azione unica, originale e singolare. Proprio in virtù di una riflessione così profonda san Giovanni Paolo II volle proclamare, nel 1980, san Tommaso d’Aquino Doctor Humanitatis, un titolo che si aggiunse a quelli tradizionali di Doctor Angelicus e Doctor Communis a testimonianza della sua valenza teoretica nel trattare le questioni che riguardono l’uomo, nelle sue relazioni con Dio, il mondo e gli altri uomini.

Cari fratelli e sorelle, nell’attuale situazione culturale e sociale siamo chiamati a vivere e testimoniare la verità sull’uomo. Una chiesa missionaria, “in uscita”, è tale nella misura in cui annuncia e testimonia la luce della fede che è capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo, cioè di dare senso ad ogni avvenimento ed orientamento per ogni azione. La luce della fede legata all’esperienza della carità si pone al servizio della giustizia, del diritto e della pace, come ci ricorda la Lettera Enciclica Lumen Fidei di Papa Francesco (cfr. n. 51). La fede non ci estranea dal mondo, ma ci chiama ad illuminare e donare senso nel valorizzare le relazioni umane, a sostenere e promuovere il bene comune. Senza la sapienza dell’Amore fedele di Dio non si riesce a comprendere il criterio per distinguere la natura e il posto dell’uomo nel mondo, la propria responsabilità morale, si fatica a superare i diversi conflitti e a dare direzione al proprio impegno quotidiano.

La testimonianza di san Tommaso d’Aquino aiuti noi tutti a fare della nostra esistenza una continua ricerca della Verità

e della Sapienza per essere, oggi, “sale” e “luce” della terra. Amen !

Omelia dell’Em.mo Card.

Dominique Mamberti s. Tommaso d’Aquino, 7 marzo 2015

Omelia dell’Em.mo Card. Dominique Mamberti s. Tommaso d’Aquino, 7 marzo 2015

(Concattedrale di Aquino)

Cara Eccellenza, cari confratelli nel sacerdozio, cari religiosi e religiose, cari fedeli, stimate autorità civili e militari,

ci troviamo in questo sacro tempio per la felice celebrazione in onore del grande Santo Tommaso d’Aquino, chiamato a ragione il “dottore angelico”, la cui festa voi continuate a celebrare, secondo l’antico Martirologio Romano, nel giorno della sua nascita al Cielo. Infatti, il 7 marzo del 1274, mentre si stava recando al secondo concilio ecumenico di Lione per espresso desiderio del Papa, mosso dalla sola obbedienza, avendo oramai esaurito tutte le sue forze, non poté continuare il viaggio e nel monastero cistercense di Fossanova, la sua anima spiccò il volo verso l’eternità.

Quanto benedette sono queste vostre terre! Benedette dal Signore nel corso dei secoli, per la nascita, la morte o il passaggio di tutti quei santi che le hanno nobilitate ancor di più. Anche la vostra amata Aquino non sarebbe certo così illustre senza un San Tommaso! Se è vero com’è vero che nulla

avviene per caso, giacché per coloro che amano Dio tutte le cose acquistano valore, allora anche i piccoli dettagli della nostra esistenza umana, che a volte consideriamo banali, alla luce della fede nell’insondabile amore di Dio, risplendono di luci che ci riempiono il cuore di speranza e di consolazione.

Lo si vede bene, proprio nella vita dei più fedeli discepoli di Gesù: la santità nobilita l’uomo, edifica il popolo, costruisce e non demolisce, risana il tessuto morale e sociale, come iniettandovi una nuova linfa che vince il fermento di una corruzione che altrimenti diventerebbe dilagante. Ogni persona che cerca di vivere i valori e i principi del Vangelo, opera la giustizia e diffonde la carità, e così facendo depura l’ambiente in cui vive. Non a caso si parla di “odore” si santità. Quando si vuole esprimere la convinzione che una persona era veramente integra, nella Chiesa si dice: è morta in odore di santità. La Chiesa non si stancherà mai di ripetere, affinché il mondo ne approfitti, che i santi sono i più grandi benefattori dell’umanità, perché sono gli amici di Dio!

La Parola di Dio in questo tempo di Quaresima ci richiama insistentemente alla conversione del cuore, perciò vi invito a guardare alla vostra esistenza quotidiana come ad unica occasione di grazia, che ci viene offerta per poterla vivere con la più grande fede nella presenza salvifica di Cristo.

Alla luce dell’amore di Dio vedremo che l’opacità della routine quotidiana lascerà il posto alla luminosità di senso delle mille piccole cose, che sapremo fare per amore di Dio e del nostro prossimo.

La Quaresima è proprio tempo favorevole per riflettere e pregare, facendo maturare o rinnovare questa decisione che è fondamentale per ogni cristiano e che oggi più che mai deciderà le sorti dell’umanità: lasciare che la presenza e la misericordia di Gesù conquisti tutti gli spazi del nostro cuore, anche le regioni più oscure, per far trionfare sull’egoismo l’amore vero. E’ grande l’amore di Dio e noi come

cristiani siamo privilegiati di vivere in un tempo, che il Santo Padre ha definito più volte un “tempo di grande misericordia” (cfr. Angelus del 12 gennaio 2014). Certo gli eventi che riempiono i notiziari di ogni giorno potrebbero indurci a non pensarla così, ma è una delle caratteristiche peculiari dell’agire salvifico di Dio nel corso della storia, quella di rivestirsi di debolezza, di un’apparente impotenza, per stanare il male dai suoi nascondigli e poi vincerlo con la potenza dello Spirito Santo. Non fece così Gesù?

A cosa servirebbe il nostro culto, la nostra preghiera, il nostro impegno pastorale, permettetemi di dirlo, se tutto ciò non fosse espressione della più profonda fede che Dio ci ha creati per amore, ci sostiene con la forza dell’amore e vuole trasformarci con amore, perché la nostra vita sia un tutt’uno con la sua. Lui stesso è sceso dal Cielo non solo per insegnarci ad amare ma per donarci l’amore. È certamente l’amore, la verità centrale del cristianesimo, l’annuncio sempre prioritario della Chiesa, il motivo e la meta da raggiungere da qualsiasi punto e prospettiva si parta.

Tutta la vita di San Tommaso è immersa nella luce di questo amore indefettibile, che fin dall’adolescenza è andato via via crescendo per Gesù, tanto da spingerlo ad indossare l’abito domenicano e a resistere vittoriosamente a tutte le minacce, le insidie ed ostilità, perfino ad una lunga carcerazione, alla quale fu sottoposto da parte della sua famiglia che non voleva assolutamente cederlo al Signore. E’ impressionante la vicenda umana di questo giovane dotato di un talento di studio e c c e z i o n a l e m a p e r n u l l a o s t e n t a t o . S e m p r e s i è contraddistinto per la sua profondissima umiltà, e la sua più grande gioia anche da rinomato professore in diverse e brillanti cattedre universitarie come Colonia e Parigi, sarà sempre quella di predicare alla semplice gente e di intrattenersi con loro. Lo studio e il sapere enciclopedico, ben lungi dall’estraniarlo dal popolo, lo provocava a farsi tutto a tutti, come l’apostolo Paolo, le cui parole proclamate

nella seconda lettura odierna potrebbero essere state scritte dallo stesso Tommaso.

Questa luce, di cui si parla oggi nel vangelo secondo Matteo, siamo noi in virtù del nostro battesimo che ci ha assimilato a Cristo e che per nulla al mondo possiamo rinnegare. Tommaso divenne realmente un faro per tutta la Chiesa, anzi per l’intera umanità. Egli accoglieva la verità, non importa da che parte venisse, con un’apertura di mente e di cuore universali, così che riuscì a fare una sintesi impareggiabile del sapere filosofico e teologico. La sua dottrina, concentrata in modo particolare nella Somma Teologica, ha nutrito Dottori della Chiesa, Papi, innumerevoli Vescovi, Sacerdoti, ha formato schiere di catechisti, seminaristi, religiose, ha rischiarato l’intera cattolicità. Quando si leggono gli scritti magisteriali che i Papi lungo i secoli hanno dedicato al Dottore Angelico, non si può che gioire di quanto si sia realizzata in lui la parola del Vangelo odierno:

“non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa”.

Verrebbe da chiedersi dove risieda il segreto di una tale santità e la tentazione sarebbe di cercarlo in qualcosa di straordinario, mentre è vero proprio il contrario: Tommaso ha creduto in Gesù con tutto se stesso e ha riposto in Lui la sua speranza. I talenti eccezionali che si ritrovava, li ha subito riconosciuti come doni gratuitamente ricevuti, che altrettanto gratuitamente occorreva far fruttificare e mettere al servizio degli altri, senza distinzione, dal più piccolo al più grande.

Quando nel 1273, sul finire della sua vita, a Napoli, s’intensificarono visioni ed estasi, tre dei Frati Domenicani lo videro sollevarsi da terra, durante un’estasi davanti al Crocifisso sull’altare, mentre una voce dal Crocifisso gli diceva “hai scritto bene di me, che ricompensa vorresti?”. E Tommaso rispose: “Null’altro che te, o Signore”. Il 6 dicembre

1273, dopo aver avuto una lunga estasi mentre celebrava la Messa, mise da parte per sempre la penna e confidò a P.

Reginaldo, suo confratello domenicano e compagno di viaggio:

“non posso più scrivere. Mi è stato rivelato in segreto che tutto quanto ho scritto finora ha ben scarso valore, minor valore della paglia”. Aveva scritto ben quaranta volumi!

Queste parole sigillano una vita all’insegna della più disarmante umiltà. Le ha potute recepire, perché c’era in lui tutto lo spazio necessario, affinché quella verità si stampasse insieme alle altre nella sua anima e venisse donata anche a noi. Quanto svuotamento di sé, quanto decentramento e uscita da se stesso – per usare espressioni care al Santo Padre – ha vissuto nella sua vita il nostro amato santo.

Quante cose ha da insegnare a noi tutti, prima di tutto col suo esempio!

Per concludere vorrei solo aggiungere questo. Tommaso d’Aquino è un santo contemplativo, anche se la sua vita è stata un c o n t i n u o p e r e g r i n a r e d a u n c o n v e n t o a l l ’ a l t r o , d a un’università all’altra, da una città all’altra. Egli, come il suo Padre Fondatore Domenico, aveva come ideale di trasmettere agli altri la verità. Veritas è il motto per eccellenza dei frati predicatori e non potrebbe essere altrimenti. Ma la verità di Cristo per essere conosciuta deve essere contemplata, cioè capita nella preghiera, nel rapporto intimo con Dio e con la sua Parola. Dio ci dona la sapienza, cioè la conoscenza delle sue verità solo se noi preghiamo: “pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sapienza…” Solo se diventeremo persone di preghiera saremo luce per gli altri, perché lo saremo diventati a noi stessi. E’ questa la più grande gioia, cari fedeli, anche in questa Celebrazione in cui Gesù si fa di nuovo presente in mezzo a noi con la Sua Parola, il Suo Corpo e il Suo Sangue:

sapere con certezza dove stiamo andando, con chi stiamo camminando e Chi ci sta aspettando quando un giorno busseremo alla Sua Porta!

La Madonna della Libera, a voi Aquinati così cara, ci aiuti a procedere lieti e sereni su questo cammino pieno di gioie e non privo di sofferenze, ma comunque sempre così bello se vissuto con la prospettiva del Cielo!

Lazio Sette: “La vita della

Nel documento 1 Aprile: S. Messa crismale (pagine 24-34)

Documenti correlati