• Non ci sono risultati.

OMerO IL BUGIArDO, eNeA IL rINNeGAtO e L’AMBIGUA VerItà DeL MItO

Nel documento MIMESIS / classici contro (pagine 171-185)

Non fu sì santo né benigno Augusto come la tuba di Virgilio suona. L’aver avuto in poesia buon gusto la proscrizion iniqua gli perdona. Nessun sapria se Neron fosse ingiusto, né sua fama saria forse men buona, avesse avuto e terra e ciel nimici, se gli scrittor sapea tenersi amici1.

Così, deliziosamente, Ludovico Ariosto: testimone affidabile su que-sto genere di argomenti, come doveva essere nei secoli dell’età moder-na qualsiasi poeta cortigiano. Nelle ottave successive peraltro il poeta ferrarese rincara ulteriormente la dose:

Omero Agamennòn vittorïoso, e fe’ i troian parer vili ed inerti; e che Penelopea fida al suo sposo dai Prochi mille oltraggi avea sofferti. e se tu vuoi che ‘l ver non ti sia ascoso,

1 L. Ariosto, Orlando furioso 35.26. Notevole il riferimento al ruolo giocato dal futuro Augusto nelle proscrizioni triumvirali del 43 a.C.: un passaggio decisamente impresentabile nella carriera politica del principe sul quale le stesse fonti antiche si soffermano di rado e malvolentieri (con buona pace di Manzoni, che proprio commentando questi versi di Ariosto affermava che «le orribili carneficine non si dimenticano per le lodi di un poeta», citato in G.P. Marchi, Il principe e le lettere. Scrittura e potere nella letteratura italiana, «Neohelicon» 35, 2008, p. 11, nota 12). Quanto ai versi su Nerone, non sarà improprio ricordare che appena pochi decenni più tardi (il terminus ante quem è il 1560) Gerolamo Cardano mise mano al suo Elogio di Nerone, in cui ribaltava l’immagine tradizionalmente fosca dell’ultimo giulio-claudio proprio mettendo sotto accusa la raffigurazione deformata che ne avrebbero dato le fonti letterarie, in primo luogo tacito e Svetonio (cfr. G. Cardano, Elogio di

Nerone, a cura di M. Di Branco, roma 2008, in particolare p. 29 per la

172 Nuda veritas tutta al contrario l’istoria converti:

che i Greci rotti, e che troia vittrice, e che Penelopea fu meretrice. Da l’altra parte odi che fama lascia elissa, ch’ebbe il cor tanto pudico; che riputata viene una bagascia, solo perché Maron non le fu amico2.

Dunque, i poeti mentono: mentono per compiacere committenti e de-dicatari, specie se si tratta di potenti cardinali appartenenti alla famiglia estense; mentono per lusingare il proprio pubblico; o magari, più sem-plicemente, mentono per raccontare una bella storia. Certo, il suggeri-mento di Ariosto per smascherare le loro falsificazioni può apparire al-quanto semplicistico: non è detto che capovolgere i racconti dei poeti restituisca automaticamente la verità da essi negata. Del resto, la stretta relazione fra letteratura e menzogna qui provocatoriamente bandita dal poeta dell’Orlando furioso è nota praticamente da sempre, almeno dal giorno in cui le Muse in persona si imbatterono, sulle pendici del monte elicona, in Beozia, nel pastore esiodo: in quella circostanza, come si sa, le nove sorelle spiegarono infatti all’ammutolito interlocutore di saper raccontare la verità, se lo vogliono, ma anche di saper imbastire molte menzogne simili al vero3. Come è legittimo aspettarsi da divinità così

2 L. Ariosto, Orlando furioso 35.27-28. A parlare, in queste ottave ariostesche, è niente meno che l’evangelista Giovanni, ciò che conferisce la massima autorevolezza possibile alle parole del poeta; né è senza significato, come è stato da tempo osservato, che esse si trovino nel medesimo canto che si apre con l’iperbolico elogio di Ippolito d’este. Sui significati politici e metaletterari di questi versi rimando a V. Prosperi, Virgilian “Katabasis” and Trojan Genealogy in Early

Modern Italian Poetry, «Maia» 65, 2013, in particolare pp. 594-95; in prospettiva

più ampia S. Jossa, The Lies of Poets: Literature as Fiction in the Italian

Renaissance, in M. Israëls, L.A. Waldman (eds.), Renaissance Studies in Honor of Joseph Connors, Cambridge (MA) 2013, pp. 565-74. In particolare, le parole

relative a Didone sembrano fare riferimento alla variante “indigena” della leggenda, secondo la quale la regina fenicia si uccise per tenere fede alla memoria del primo marito di fronte alle insistenti richieste di matrimonio di un principe nord-africano e che negava decisamente l’episodio della sosta di enea a Cartagine e la successiva storia d’amore fra la donna e l’eroe troiano: così, in un epigramma anonimo conservato nell’Antologia palatina (16.151) e tradotto in latino da Ausonio si immagina che Didone stessa inveisca contro le Muse che hanno armato contro di lei «quel Marone crudele» e lamenti la lesione alla sua dignità derivata dalle menzogne del poeta («contro la mia virtù quanto mentì!», trad. di F.M. Pontani). 3 esiodo, Teogonia 22-28: «esse una volta a esiodo insegnarono un canto bello,

M. Lentano - Omero il bugiardo, Enea il rinnegato e l’ambigua verità del mito 173

colte e raffinate, le Muse mentono con arte: le loro bugie sono ben co-struite, pericolosamente vicine alla verità, e dunque certo non facili da cogliere, figurarsi poi se il destinatario della loro disarmante confessio-ne è un pastore «tutto ventre».

torniamo allora a Omero, il poeta per eccellenza, il fondatore stesso della letteratura nella tradizione occidentale, dal quale inevitabilmente anche Ariosto prendeva le mosse: ebbene, Omero, proprio lui, è indub-biamente un bugiardo compulsivo. Quale ruolo Iliade e Odissea giochi-no all’intergiochi-no della cultura antica è appena il caso di spiegarlo: imparati a memoria sin dall’infanzia, considerati deposito di ogni sapere, quando poi non li si interpretava come complesse allegorie, capaci di rivelare nientemeno che la struttura dell’universo oppure il destino dell’anima, i poemi omerici costituivano un elemento decisivo e fondante dell’identi-tà greca, da un capo all’altro della loro storia e anche molto oltre, se si considera che l’ultimo, monumentale commento ai due testi venne alle-stito, ormai verso la fine del Medioevo, dal dotto vescovo eustazio di tessalonica.

eppure, nonostante tutto questo, quegli stessi Greci non hanno mai cessato di contestare Omero; e le contestazioni iniziano, si può dire, quasi contemporaneamente alla diffusione universale dei suoi testi. È la rappresentazione omerica (ed esiodea) della divinità il bersaglio polemi-co di un filosofo-poeta polemi-come Senofane di Colofone, che nel VI sepolemi-colo a.C., lo stesso in cui veniva allestita ad Atene una prima “edizione” dei due grandi poemi, se la prendeva con il volgare antropomorfismo della religione greca, nonché con la consuetudine di attribuire agli dèi quelle colpe, dal furto all’adulterio all’inganno reciproco, che chiunque riter-rebbe inaccettabili in un essere umano4. ed è ancora Omero, anche que-sta volta chiamato in causa esplicitamente, l’obiettivo di una bella pagi-na di erodoto, il padre della storia, in cui ad essere tacciato di

primo, a me rivolsero le dee, / le Muse d’Olimpo, figlie dell’egioco zeus: / “O pastori, cui la campagna è casa, mala genia, solo ventre; / noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero, / ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare» (trad. di G. Arrighetti).

4 Senofane, fr. 10 Diehl = B 14 Diels-Kranz = 11 Lesher: «tutto ciò che per gli uomini è motivo d’onta e biasimo – / come il furto, l’imbroglio, l’adulterio – fu assegnato / tanto da Omero quanto da Esiodo agli dèi» (trad. di F.M. Pontani). Oltre al commento ad loc. di J.H. Lesher (ed.), Xenophanes of

Colophon. Fragments, toronto-Buffalo-London 1992, cfr. più di recente W.

Drechsler, r. Kattel, Mensch und Gott bei Xenophanes, in M. Witte (hrsg.),

Gott und Mensch im Dialog. Festschrift für Otto Kaiser zum 80. Geburtstag,

174 Nuda veritas

falsificazione era un dato essenziale dell’Iliade, la presenza di elena a troia: idea puerile e inverosimile, obietta lo storico, giacché se la più bella fra le donne fosse davvero giunta nella città frigia, non si capisce come mai Priamo avrebbe esitato a restituirla agli Achei, ponendo così termine ad una guerra che lo aveva privato di tanti suoi figli e di un gran numero di eroici guerrieri. In verità – come erodoto ha appreso dai sa-cerdoti egizi – elena a troia non è arrivata mai: è rimasta invece in egit-to, dove Menelao la ritroverà di ritorno dalla campagna di guerra5.

Lo storico ha anche le idee molto chiare sulla ragione per la quale Omero avrebbe imbastito la sua falsificazione: il grande poeta, a giudi-zio di erodoto, sapeva perfettamente come erano andate le cose, ma sa-peva anche che rivelare la verità avrebbe infiacchito il suo racconto, ren-dendolo inadatto ad entrare in un poema epico. Insomma, Omero aveva mentito per comprensibilissime motivazioni letterarie, per difendere le ragioni del testo e del piacere che esso deve produrre in chi lo ascolta; ma aveva mentito6.

È però soprattutto a partire dal I secolo d.C., nella stagione culturale della cosiddetta Seconda Sofistica, che rettificare Omero diventa un raf-finato gioco intellettuale, al quale pochi riescono a sottrarsi. Si tratta di un fenomeno che in tempi recenti è stato molto ben studiato, per cui ba-sterà rievocare qui un paio di casi. Uno di essi coincide con l’Eroico di Filostrato, un testo che non sappiamo bene come datare e a chi precisa-mente attribuire fra i quattro letterati con questo nome che conosciamo attivi fra il II e il III secolo d.C.: il suo protagonista, un umile vignaiolo, è in grado di rettificare in più punti il racconto omerico grazie alle noti-zie che riceve da un informatore di primissima grandezza, l’eroe greco

5 Su questa antica e fortunata variante del mito – che sembrerebbe risalire già allo pseudo-esiodeo Catalogo delle donne – tutto l’essenziale in M. Bettini, C. Brillante, Il mito di Elena. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, torino 2002, pp. 132 ss.

6 erodoto, Storie 2.116: «A me sembra che anche Omero conoscesse questo

racconto [scil. il soggiorno egizio di elena e il suo mancato arrivo a troia]; ma, poiché non era adatto alla composizione epica quanto l’altro di cui appunto egli si servì, lo trascurò» (trad. di A. Izzo D’Accinni). Su questo passo esiste naturalmente un’ampia bibliografia; oltre al già citato Bettini, Brillante, Il mito

di Elena, pp. 138 ss., due interventi recenti, in cui è possibile reperire anche i

riferimenti alla letteratura precedente, sono L. Kim, Homer between History

and Fiction in Imperial Greek Literature, Cambridge 2010, in particolare pp.

30-33 e I. de Jong, The Helen “Logos” and Herodotus’ Fingerprint, in e. Baragwanath, M. de Bakker (eds.), Myth, Truth, and Narrative in Herodotus, Oxford 2012, in particolare pp. 139-41.

M. Lentano - Omero il bugiardo, Enea il rinnegato e l’ambigua verità del mito 175

Protesilao, che secondo la tradizione era stato il primo fra gli Achei a ca-dere nella guerra, appena sbarcato sulla spiaggia di troia, e che da tem-po si mostra al protagonista dell’Eroico e dialoga con lui7. Dalla punti-gliosa opera di ristabilimento della verità intrapresa da Protesilao si salva ben poco: non è vero che elena usasse seguire le fasi della batta-glia dalle mura di troia, visto che a dire il vero nella città non era mai arrivata, essendo rimasta in egitto (e questo lo sapevamo già da erodo-to); non è vero che Odisseo abbia incontrato i Ciclopi, che non esistono, o i Lestrigoni, che nessuno sa poi bene dove fossero; ed è addirittura ri-dicolo che Omero abbia immaginato tante dee innamorate del suo eroe viaggiatore, il quale, precisa impietosamente Protesilao, all’epoca del suo interminabile ritorno verso Itaca era stato ormai raggiunto dalla vec-chiaia e doveva dunque apparire come un partner assai poco appetibile per una immortale8. Una osservazione dissacrante, quest’ultima, che ri-corda da vicino la pagina in cui Luciano di Samosata, autore che con le riscritture omeriche della Seconda Sofistica aveva dimestichezza, fa dire ad un altro presunto testimone oculare della guerra troiana che elena non era poi questa gran bellezza, che l’idea secondo cui era nata da zeus

7 L’essenziale sull’opera e sui problemi di attribuzione in Filostrato, Eroico, a cura di V. rossi, Venezia 1997, specie pp. 17 ss.

8 Filostrato, Eroico 25.10 ss. Cfr. in tempi recenti F. Mestre, Refuting Homer in the «Heroikos» of Philostratus, in e. Bradshaw Aitken, J.K. Berenson MacLean

(eds.), Philostratus’s «Heroikos». Religion and Cultural Identity in the Third

Century C.E., Leiden 2004, pp. 127-42; Kim, Homer between History and Fiction, cit., pp. 175-215; O. Hodkinson, Authority and Tradition in Philostratus’ «Heroikos», Lecce 2011, in particolare pp. 59-101; V. Prosperi, Omero sconfitto. Ricerche sul mito di Troia dall’Antichità al Rinascimento,

roma 2013, pp. 12-16 (con le puntualizzazioni, invero un po’ malevole, di F. Guidetti, Appunti sulla fortuna del mito troiano: riflessioni a margine di un

libro recente, «Status Quaestionis» 8, 2015, in particolare pp. 143-52). Meno

pertinente dal nostro punto di vista t. Whitmarsh, Philostratus’s «Heroicus».

Fictions of Hellenism, in Id., Beyond the Second Sophistic. Adventures in Greek Postclassicism, Berkeley-Los Angeles-London 2013, pp. 101-22 (che

amplia un saggio già contenuto in e. Bowie, J. elsner, eds., Philostratus, Cambridge 2009, pp. 205-29, con il titolo Performing Heroics: Language,

Landscape and Identity in Philostratus’ «Heroicus»). Filostrato procede ad una

analoga operazione di rettifica di Omero anche nella Vita di Apollonio di

Tiana, 4.15 ss., dove il testimone oculare addotto è Achille in persona, evocato

e interrogato dal protagonista della biografia: tra l’altro, questi rivolge all’eroe tessalo, ancora una volta, la domanda che da secoli era al cuore della critica ad Omero, quella sulla effettiva presenza di elena a troia, per sentirsi rispondere che la più bella fra le donne era rimasta in realtà ospite di Proteo in egitto (4.16).

176 Nuda veritas

unitosi alla madre in forma di cigno era scaturita solo dal suo collo un po’ troppo lungo e che a parte tutto all’epoca del famoso conflitto la donna era ormai piuttosto anziana, «della stessa età di Ecuba», e cioè della madre del suo amante Paride9.

Se però Filostrato corregge aspetti importanti, ma tutto sommato par-ziali dei due poemi omerici, ben altro è l’impegno anti-omerico di Dio-ne di Prusa, attivo fra I e II secolo d.C., brillante conferenziere prove-niente dalla provincia romana della Bitinia, soprannominato Crisostomo, “dalla bocca d’oro”, per la dolcezza della sua eloquenza, nonché, per quello che qui ci interessa, estensore tra l’altro di un’orazione il cui tito-lo lascia poco spazio al dubbio: Troia non è mai stata conquistata. Per Dione non ci sono mezzi termini: Omero ha inventato tutto, a comincia-re dal rapimento di elena da parte di Paride, che era in comincia-realtà una comincia- rego-larissima richiesta di matrimonio, per finire alla conclusione della guer-ra, che vide la schiacciante vittoria dei troiani, passando per l’episodio forse più celebre dell’Iliade, il duello fra Achille ed ettore, sul quale si sono affannate generazioni di liceali e al quale Dione può finalmente at-tribuire l’esito che molti di quei liceali avranno segretamente desiderato nel loro animo: l’uccisione dello spocchioso piè veloce da parte del grande guerriero troiano10.

9 Luciano, Il gallo 17. Del resto già Acusilao, un autore di genealogie attivo agli

inizi del V secolo a.C., osservava che Afrodite si acconciò ad unirsi suo malgrado ad un Anchise che aveva già «superato il fiore dell’età» solo perché aveva appreso da un oracolo che enea e i suoi discendenti avrebbero regnato sui troiani (scolio AB a Omero, Iliade 20.307 = Acusilao, FGrHist 2 F 39 Jacoby = B 31 Diels-Kranz = fr. 39a Fowler).

10 Sul cosiddetto Troiano di Dione Crisostomo ho consultato i seguenti lavori: P. Desideri, Dione di Prusa. Un intellettuale greco nell’impero romano, Messina-Firenze 1978, pp. 496-503; G.A. Seeck, Dion Chrysostomos als Homerkritiker, «Rheinisches Museum» 133, 1990, pp. 97-107; P. Desideri, Dione di Prusa fra

ellenismo e romanità, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II, 33,

5, Berlin-New York 1991, in particolare pp. 3886-87; S. Swain, Hellenism and

Empire. Language, Classicism, and Power in the Greek World, AD 50-250,

Oxford 1996, in particolare pp. 210-11; G. del Cerro Calderón, Las claves del

Discurso troyano de Dión de Prusa, «Habis» 28, 1997, pp. 95-106; M. Trapp, Troy and the True Story of the Trojan War, 1997, in http://www.academia.

edu/3066086/troy_and_the_true_Story_of_the_trojan_War, in particolare pp. 9 ss.; S. Saïd, Dio’s Use of Mythology, in S. Swain (ed.), Dio Chrysostom:

Politics, Letters, and Philosophy, Oxford 2000, pp. 161-86; S. Fornaro, Omero cattivo storico. L’orazione XI di Dione Crisostomo, in F. Montanari, P. Ascheri

(a cura di), Omero tremila anni dopo, roma 2002, pp. 547-60; ead., Immagini

e letture omeriche in età imperiale, «Gaia. revue Interdisciplinaire sur la

M. Lentano - Omero il bugiardo, Enea il rinnegato e l’ambigua verità del mito 177

Naturalmente anche Dione si premura di esibire informatori di prova-ta credibilità e sfodera nuovamente la fonte già valorizzaprova-ta secoli prima da erodoto, quella dei sacerdoti egizi; senonché il retore di Prusa perfe-ziona il suo modello, poiché precisa che il racconto di cui quei sacerdo-ti sono custodi rimontava in ulsacerdo-tima analisi alla tessacerdo-timonianza di Mene-lao in persona, l’uomo per il quale tutta la guerra si era combattuta, sorta di comandante in seconda della spedizione achea guidata dal fra-tello Agamennone: il marito di elena era stato infatti in egitto e in quel-la occasione aveva raccontato minuziosamente ai sacerdoti lo svolgi-mento dei fatti11. Allo stesso modo, anche qui sul modello di quanto aveva già fatto erodoto, Dione ha cura di precisare la ragione per la qua-le Omero aveva mentito così sfacciatamente: il fatto è che il grande po-eta era un mendicante, e come tale viveva della benevolenza di quanti si trovavano di volta in volta ad accoglierlo – un pubblico greco, in ogni caso, al quale egli raccontava ciò che esso voleva sentirsi dire12. Un rac-conto che Dione pazientemente smonta a colpi di “non è ragionevole che” o “non è verosimile che”, ogni volta mostrando come la verità sto-rica sia l’esatto opposto di quello che Omero ha riferito: un po’ come un millennio e mezzo dopo suggerirà di fare Ariosto, per il quale, come si ricorderà, la madre di tutte le guerre era finita in realtà con i «Greci rot-ti» e «Troia vittrice». Del resto, per dirla tutta, come potersi fidare di un poeta che pretendeva di riportare persino i discorsi degli dèi e di cono-scere addirittura le parole che zeus ed era si erano scambiati quella vol-ta che, nascosti da una nube d’oro, avevano fatto l’amore sul monte Ida? Uno che mente così spudoratamente a proposito degli dèi, è la

stringen-herméneutique dans le «Discours troyen» (XI) de Dion Chrysostome, in L.

Calboli Montefusco (a cura di), Papers on Rhetoric, vol. VII, roma 2006, pp. 1-16; A. Gangloff, Dion Chrysostome et les mythes. Hellénisme, communication

et philosophie politique, Grenoble 2006, pp. 118-36; r. Hunter, The «Trojan Oration» of Dio Chrysostom and Ancient Homeric Criticism, in J. Grethlein,

A. rengakos (eds.), Narratology and Interpretation. The Content of Narrative

Form in Ancient Literature, Berlin-New York 2009, pp. 43-61; Kim, Homer between History and Fiction, cit., pp. 85-139; S. Minon (éd.), Dion de Pruse. Ilion n’a pas été prise, Paris 2012, in particolare pp. XXVII-L; L. Mireia

Movellán, Homer the Liar, or how Prose Undermined the Authority of Epic

Verse, in J. Martínez (a cura di), “Mundus vult decipi”. Estudios interdisciplinares sobre falsificación textual y literaria, Madrid 2012, pp.

259-67.

11 Dione di Prusa, Discorso troiano 38.

178 Nuda veritas

te conclusione di Dione, a maggior ragione sarà capace di imbastire qualsiasi falsità a proposito degli uomini13.

(È anche vero peraltro che questa tesi per cui Omero intendeva com-piacere i suoi uditori greci, e perciò presentava una versione dei fatti in cui erano gli Achei a vincere la guerra, cela forse da parte di Dione una sottile ironia: giacché il retore di Prusa insiste, nei paragrafi iniziali del suo discorso, sul fatto che egli sta per esporre le sue rivelazioni su “come davvero andarono le cose” ai cittadini di Ilio, che pretendevano di abitare sul medesimo sito degli antichi troiani e di discendere da essi, ragione per cui la credibilità della sua versione dei fatti potrebbe essere infirmata esattamente in base allo stesso argomento che il retore brandi-sce contro Omero. Sublime menzogna, quella in cui si mente nel mo-mento stesso nel quale si pretende di smascherare le menzogne altrui)14. Ma è giunto adesso il momento di chiamare in causa il secondo

Nel documento MIMESIS / classici contro (pagine 171-185)