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2.5.1 L’adattamento dei nomi greci in latino

Visto il tema di questo lavoro, si è ritenuto di spendere qualche parola anche a proposito dell’onomastica, e in particolare di come quella greca sia stata adattata in latino. L’argomento sarebbe assai vasto, motivo per cui in questa sede si è scelto di fornire solo una breve panoramica delle tendenze prevalenti nel corpus preso in esame, rimandando invece a studi più specifici per quanto riguarda gli adattamenti fonetici e morfologici135.

Il problema dell’inserzione di termini greci all’interno del latino e della sua morfologia ha sempre caratterizzato tutta la latinità, originando frequentemente il fenomeno del metaplasmo, cioè il cambiamento di categoria morfologica cui una parola va incontro nel passaggio da una lingua a un’altra136.

Osservando come l’onomastica greca è stata resa in latino negli epigrammi studiati, si è notato il verificarsi di due fenomeni opposti. In alcuni casi infatti, il nome greco è stato inserito a pieno titolo in una declinazione latina, come accade per esempio nell’iscrizione 4.2, dove Hiero, -onis (che segue regolarmente la terza declinazione), è l’adattamento di Ἱέρων, -ωνος, sullo stesso modello di Ἀγαμέμνων, -ονος, che in latino diventa Agamemno, -onis137. Oltre a questo, i casi in cui il nome greco è perfettamente

integrato nella morfologia latina sono diversi: Anicetus dal greco Ἀνίκητος138, Atimetus da Ἀτίμητος139, Musa da Μοῦσα140,

Alexandria da Ἀλεξάνδρια141 e anche Chelidon, Chelidonis (sia nominativo sia genitivo sono presenti nell’iscrizione) che viene da Χελιδών, ma si noti che nell’epigramma greco vi è l’accusativo del nome proprio Χελειδόνα, con ΕΙ per Ι142, grafia che risulta

maggioritaria nelle attestazioni epigrafiche, e che quindi difficilmente potrà ascriversi ad errori di lapicidi distratti; si tratterà piuttosto di una variante grafica affermatasi a scapito di quella etimologica con ι.

Accanto a questa tendenza, si attestano tuttavia anche forme in cui il nome non è inserito regolarmente nella flessione di una declinazione, ma presenta invece anomalie di vario tipo. Fra queste vi è il caso per esempio di Eugenetis, genitivo presente nell’iscrizione 4.3. Tale forma sembra essere attestata solo in questa epigrafe, ma ha più di qualche attestazione il dativo Eugeneti143.

Poiché al nominativo si attesta soltanto Eugenes (che è presente invece in un numero cospicuo di iscrizioni), insieme a un caso isolato di Eugenetus144, che non potrebbe essere il nominativo di Eugenetis, dobbiamo supporre che esso derivi dal greco εὐγενής, a cui è stato aggiunto un suffisso in dentale sotto l’influenza di εὐγενέτης. Anche per Διογένης infatti, che al nominativo in latino è Diogenes,

135 Biville 1990-1995; Leumann, Hofmann, Szantyr 1963-1977. 136 Per un approfondimento, cfr. Biville 1981.

137 Citato da Biville 1981, p. 127-128, perché in esso non avviene metaplasmo. 138 Iscrizione 4.3.

139 Iscrizione 4.7. 140 Iscrizione 4.9. 141 Iscrizione 4.12. 142 Iscrizione 4.6.

143 CIL VI, 17326 (non datata) e Bull. Comm. Arch. Rom. 53 (1925), p. 227, nr. 69, del II secolo d.C. 144 CIL II, 7, 10, della seconda metà del II secolo d.C.

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vi sono attestazioni tanto di Diogenis e Diogeni (rispettivamente genitivo e dativo) quanto di Diogenetis e Diogeneti. Questo ci deve far supporre che il nominativo fosse in effetti Eugenes, ma che non esistesse probabilmente uno standard per il genitivo.

Un caso simile è quello di Diocles, nominativo presente nell’iscrizione 4.14 che deriva dal greco Διοκλῆς e non ha però una declinazione regolare, vista la coesistenza di attestazioni del genitivo in -i145 e in -is146.

Interessante è poi l’esempio di Ταξιάρχης, nominativo presente nell’iscrizione 4.10 adattato in latino come Taxiarche, che deve essere un dativo visto il contesto (Didio Taxiarche lib(erto) fedelissimo), ma che presenta una desinenza che non fa parte di alcuna declinazione, a meno che non lo si consideri un ablativo della terza, che potrebbe essere concordato con le altre parole dell’iscrizione (visto che la loro desinenza in -o identificherebbe sia dativo sia ablativo), ma non sarebbe adatto ad esprimere la dedica al defunto. Poiché non vi sono altre attestazioni per questo nome eccetto che in un caso, dove è presente il nominativo Taxiarches147, suppongo che esso non fosse nemmeno stato inserito in una specifica classe morfologica latina (forse infatti non se ne sentiva il bisogno, visto la sua poca frequenza), ma che all’occorrenza fosse adattato e declinato come meglio si poteva, in questo caso probabilmente attraverso una traslitterazione del dativo della prima declinazione greca maschile in - ῃ. Un caso analogo, che parrebbe confermare questa ipotesi, è quello che si verifica in CIL VI, 16240, Roma, II sec. d.C., in cui si legge: D(is) M(anibus) / C(aio) Cornelio /

Ianuario / Cornelia (H)elpis / co(n)iugi b(ene) m(erenti) f(ecit) / et Asiarche / filio, dove Asiarche sarebbe un altro caso del medesimo

fenomeno di conservazione morfologica.

Infine pare degno di nota il caso di Γαιωνᾶς, menzionato nell’iscrizione 4.13 e traslitterato in latino come Gaionas, dove però ci si aspetterebbe un genitivo (vista l’espressione Gaionas animula, che avrebbe più senso tradurre come “anima cara di Gaionas”)148.

Poiché lo stesso personaggio, come si vedrà, è citato in diverse altre iscrizioni sempre al nominativo, potrebbe essere che anche questo nome non fosse stato adattato regolarmente alla morfologia latina, visto anche il fatto che le sue altre attestazioni al di fuori del nominativo non possono essere classificate in un’unica declinazione. Esse sono infatti Gaionae, che fa parte della prima declinazione,

Gaionis, Gaioni e Gaionati, che seguono invece la terza, ma il secondo e il terzo di essi sono in concorrenza, essendo entrambi dativi.

Nel caso dell’iscrizione 4.13 quindi, il lapicida, dovendo far uso di un genitivo che non esisteva o che non era molto diffuso, si deve essere trovato in difficoltà e potrebbe aver scelto consapevolmente di non adattare il nome alla morfologia latina ma di traslitterale il genitivo greco in -ᾶς della koiné Γαιωνᾶς. In questi due ultimi casi, dunque, è avvenuto un processo diverso da quello di assimilazione a un tipo morfologico latino, che si è verificato invece per i nomi citati in precedenza.

2.5.2 Il sistema onomastico latino

Il sistema onomastico latino ha delle caratteristiche peculiari che, associate nel nostro caso a iscrizioni bilingui, spesso ci forniscono informazioni utili per ricostruire il contesto storico in cui le epigrafi sono inserite e per delineare l’origine e l’estrazione sociale degli individui descritti.

145 Attestato per esempio in CIL III, 12241, della prima metà del I secolo d.C. 146 Vedi per esempio l’iscrizione di I secolo d.C. CIL VI, 7581a, 1.

147 Civ. Cat., 12, 4 (1883), pp. 211-214, del II/III secolo d.C. 148 Si veda infra per la traduzione e un commento.

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Nel periodo in cui si datano le iscrizioni prese in esame (che va dal I al III secolo d.C.), l’onomastica latina si compone per lo più di tre membri fondamentali: il praenomen, il nomen e il cognomen. Il primo nacque come il nome personale di ogni cittadino romano ma divenne ben presto poco identificativo a causa del ristretto numero di prenomi diffusi, tanto che nel III secolo a.C. si affermò l’uso di abbreviarli. Il secondo è quello che identifica la gens di appartenenza, ed era quindi uguale per maschi e femmine della medesima gens, veniva ereditato dal padre nel caso di figli legittimi ed era invece quello della madre quando ella era giuridicamente libera ma non sposata. Quest’ultimo caso è quanto si verifica nell’iscrizione 4.6, in cui la madre della defunta Floria Chelidona è Floria Festa, che trasmette alla figlia il proprio nomen. Il terzo elemento onomastico nacque originariamente come un

adnomen, per mezzo del quale si individuava con maggior precisione la persona, che veniva soprannominata in base a sue

caratteristiche peculiari (fossero esse fisiche, caratteriali o altro). Successivamente esso divenne ereditario e servì a distinguere i diversi rami famigliari di una stessa gens. Dopo una prima fase in cui era appannaggio degli aristocratici, il cognomen si diffuse fra i liberti, che acquisivano come praenomen e nomen quello del proprio patrono, mentre mantenevano come cognomen quello che un tempo era stato il loro simplex nomen, cioè il nome unico con cui gli schiavi erano chiamati per essere distinti l’uno dall’altro. Successivamente, l’uso del cognomen si diffuse anche fra la gente comune, così che un cittadino romano era contraddistinto da questi tre elementi onomastici.

Oltre a questi nomi, un cittadino libero, maschio o femmina che fosse, nei documenti ufficiali veniva sempre identificato attraverso il patronimico, cioè il nome del padre che veniva espresso con l’indicazione filius (o f in forma breve) e il genitivo del prenome del padre, mentre un liberto doveva esibire per legge il proprio patronato (attraverso l’espressione libertus più genitivo del prenome del padrone). Nel corpus da me analizzato, ciò si verifica per esempio nel caso di Lucius Lucilius Hiero, liberto di Lucius

Lucilius Lupus (iscr. 4.2) e di Satur, liberto di Evander (iscr. 4.3).

Poiché però i liberti avevano spesso interesse a mascherare la loro origine, nei documenti privati omettevano questa dicitura. Tuttavia, il fatto che essa in alcune iscrizioni manchi e che sia assente anche il patronimico rivela la loro provenienza, che talvolta è confermata dall’origine grecanica dei nomi. Questo fenomeno ha più di qualche attestazione nel corpus, e in particolare nel caso dell’iscrizione 4.3, in cui figlio e padre sono rispettivamente Tiberius Claudius Eugenes e Tiberius Claudius Anicetus e devono essere stati affrancati dall’imperatore; nell’iscrizione 4.8, dove i genitori del defunto sono Quintus Sulpicius Eugramus e Licinia Ianuaria e nella 4.14, nella quale i due genitori sono con ogni probabilità liberti (Marco Settimio Diocles e Iulia Callista).

Qualora uno schiavo fosse passato da un dominus a un altro, inoltre, manteneva l’indicazione del primo padrone, di cui adottava il nome, con l’aggiunta del suffisso -anus. Nel caso in cui egli fosse poi liberato, il suo nome proprio e l’indicazione del primo patrono rimanevano fra i suoi elementi onomastici, uniti a quelli del patronus che lo aveva riscattato. Nell’iscrizione 4.7 abbiamo un esempio di questo fenomeno: il defunto è infatti il liberto di Panfilo Atimetus Anterotianus, dove il suffisso -anus indica che egli era stato precedentemente schiavo di Anteros, per poi esserlo di Panfilo, che in seguito lo liberò.

Fra gli altri elementi che un romano poteva esibire vi era poi l’indicazione della tribù, cui ogni cittadino romano era ascritto e che designava perciò la condizione privilegiata degli individui che potevano dirsi cittadini. Essa è menzionata nel caso dell’epitaffio

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di Quinto Sulpicio Massimo (iscr. 4.8), forse perché i genitori, dedicatari dell’epigrafe e liberti, volevano sottolineare che il figlio, a differenza loro, era libero di nascita.

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3 Alcuni excursus storico-culturali

Il presente capitolo vuole fornire una visione d’insieme delle principali tematiche che sono emerse nello studio delle iscrizioni prese in esame, in modo da inquadrare a livello storico e culturale alcuni dei fenomeni e dei motivi che si sono riscontrati.

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