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La religione romana e le influenze delle religioni orientali nella prima età imperiale

Poiché in alcune iscrizioni del corpus da me studiato è emerso il tema della religione romana, e in particolare degli apporti esercitati su di essa dai culti orientali, col presente paragrafo ci si propone di fornire un rapido excursus su di essa, così da permettere una migliore contestualizzazione delle iscrizioni.

La religione romana si presenta come un culto collettivo, in cui cioè il principale fine è il successo della comunità politica. Essa non può dirsi unitaria, ma anzi è il risultato degli apporti che da sempre Roma ha inglobato e integrato al suo interno. F. Jacques e J. Scheid nel capitolo dedicato alla religione149 del loro libro sottolineano come essa comprendesse il culto pubblico di Roma ma anche quello che riguardava le singole città e l’ambito domestico, oltre a quello riguardante eventuali altre religioni straniere150. Nel suo

insieme, la religione tradizionale era generalmente ritualistica e non comprendeva particolari iniziazioni o dottrine, caratteristica propria di altri culti, più tipicamente di origine orientale.

Terminato il periodo di guerre civili a Roma, Augusto iniziò un processo di restaurazione della religione tradizionale, a causa delle pessime condizioni cui essa versava, restaurando circa ottantadue templi, inaugurando una serie di festività legate alla sua carriera politica, riorganizzando i vari collegi sacerdotali nonché aggiungendo nuove divinità ai culti tradizionali151. Egli stesso assunse diverse cariche sacerdotali (tra cui la più significativa fu quella di pontifex maximus) e durante il suo impero si iniziò a venerare il genio di Augusto o il suo numen, usanza che si tramandò anche tra gli imperatori successivi, anche se generalmente nessuno di loro si fece considerare come una divinità.

Tra Oriente e Occidente sono sempre state ravvisate significative differenze nel culto imperiale: se infatti a Roma l’imperatore poteva essere divinizzato solo dopo la morte, nelle province, in particole quelle orientali, già prima egli era considerato come un dio152, anche se secondo F. Jacques e J. Scheid l’attributo θεός “è un epiteto che si applica agli dei e all’imperatore e conferisce a

quest’ultimo una semplice apparenza divina: il principe era simile agli dei (…). Non era né uomo né dio, il suo statuto si avvicinava a quello del santo cristiano”153. In ogni caso, in tutto l’impero il princeps ricopriva un ruolo importante nella religione e, se non era

venerato direttamente, lo erano le condizioni che la sua presenza garantiva (in particolare la pax e la concordia). Gli imperatori adottarono dunque una posizione generalmente conservatrice nei confronti della religione tradizionale, ma non mancarono di seguire

149 Jacques, Scheid 1992, pp. 145-166. 150 Cfr. Jacques, Scheid 1992, pp. 145-146.

151 Cfr. Liebeschütz 1992, pp. 239ss e Jacques, Scheid 1992 pp. 152-153. 152 Liebeschütz 1992, p. 244.

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le tendenze del tempo: W. Liebeschütz cita il caso di Commodo, che si professò seguace anche di Iside e di Mitra154, o di Settimio Severo, che fece costruire un monumento ai sette pianeti per l’importanza data all’astrologia155.

Ciò che da sempre contraddistinse la religione romana fu la sua disponibilità ad accogliere al suo interno apporti di religioni straniere, purché essi si potessero integrare e conciliare con le tradizioni romane. Frequente fu quindi l’annessione di culti estranei, come quello di Giove Eliopolitano, dio che iniziò ad essere venerato ovunque dopo che Baalbek, città della Siria, divenne colonia romana. Fondamentalmente i romani non interferivano nel modo in cui le popolazioni locali praticavano la religione, a meno che essa non entrasse in conflitto con quella romana o non causasse azioni eccessive o imprevedibili (come nel caso dei Baccanali del 186 a.C.).

Questo atteggiamento di generale apertura nei confronti degli apporti derivanti da culti stranieri fece sì che, a causa dei sempre più frequenti contatti col mondo orientale, anche a Roma si diffondessero religioni di origine greca, egiziana, siriaca ecc. Esse avevano un forte legame con la loro terra di provenienza ed erano legate al gran numero di immigrati che dall’oriente arrivarono a Roma. È il caso anche del santuario siriano sul Gianicolo, il cui principale benefattore fu un certo Gaionas, destinatario dell’iscrizione 4.13. In questo tempio era venerato soprattutto Giove Eliopolitano ma sembra che anche altre divinità appartenenti ai culti orientali fossero onorate156. Significativo è che la figura di Gaionas, presente in ben sei iscrizioni157, di cui quattro provenienti dal santuario, sia in esse legata anche agli imperatori (in particolare a Commodo), sottolineando la relazione che un princeps poteva avere anche con un culto che non faceva parte della religione tradizionale romana.

Quello che permise infatti a molti culti orientali di essere praticati e talvolta integrati nel sistema romano fu proprio il fatto che essi fungevano da supplemento alla religione tradizionale e non ne erano un’alternativa, caratteristica che li differenziava sostanzialmente dal cristianesimo, che infatti verrà invece in più fasi perseguito. Tuttavia, molti di questi culti avevano elementi in comune con esso, prima fra tutti il loro carattere individuale, che si discostava dalla dimensione pubblica tipica della tradizionale religione romana, la quale mirava invece al benessere e al successo della comunità. Alcuni di questi culti inoltre condividevano con il cristianesimo la prospettiva di una vita dopo la morte, anche se essa non sempre era una loro caratteristica fondante e soprattutto non risultava così importante quanto invece lo era nella religione cristiana.

Molti culti orientali erano misterici e prevedevano, contrariamente alla religione romana, cerimonie di iniziazione. Tra questi importante fu il culto di Iside, che invero divenne iniziatico solo nel periodo imperiale e che fu inizialmente avversato. Dopo il regno di Tiberio la dea fu accolta nel pantheon romano, anche se principalmente fu venerata dagli immigrati, esercitando però nel contempo un’attrattiva su italici e provinciali, in particolare delle classi sociali più basse158. Il culto della dea, che nasceva come egizio, si diffuse

presto in ambito greco e successivamente anche a Roma. Di esso e del suo carattere iniziatico ci parla anche Apuleio, che nell’undicesimo libro delle Metamorfosi descrive le cerimonie con cui il protagonista Lucio viene introdotto al culto. Nel libro si può

154 Aurelio Vittore, I Cesari, XXI, 4. 155 Cfr. Liebeschütz 1992, p. 248. 156 Noy 2000, p. 240.

157 Si veda l’analisi dell’iscrizione per un riferimento alle altre epigrafi. 158 Cfr. Liebeschütz 1992, p. 260.

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cogliere la promessa che tale religione offriva di una vita dopo la morte, tuttavia essa “non era lo scopo principale e immediato dell’iniziazione, la quale aveva un carattere molto più terreno. Iside libererà l’iniziato dalla tirannia della sorte e degli astri: in altre parole la dea gli offre un nuovo inizio, che lo renderà capace di godere di una più pura, felice, fortunata e anche più lunga esistenza terrena”159.

Come si vedrà, nell’iscrizione 4.12 la defunta è detta pastofora della dea Iside, incarico sacerdotale citato anche dallo stesso Apuleio160, ma nel contempo sacerdotessa di Dioniso. Sebbene non abbiamo notizie dell’esistenza di una connessione tra queste due divinità, né altre attestazioni della pratica congiunta di questi due ministeri sacerdotali, sappiamo tuttavia che anche il culto di Bacco era molto osservato, e in particolare che numerose associazioni private gli furono dedicate. Anch’esso era legato alla promessa di una vita dopo la morte e aveva carattere iniziatico. Le affinità condivise dai due culti, se non sono sufficienti, insieme all’attestazione dataci dall’iscrizione analizzata, a provare l’esistenza di una prassi religiosa che vedesse associate le due divinità, ciò nondimeno possono comunque spiegare almeno in parte perché una persona potesse essere sacerdotessa di entrambi: essi condividevano il carattere individuale ed iniziatico della religione, con il comune scopo del benessere dell’anima e del corpo e la promessa di una vita nell’al di là.

I culti di origine orientale poi diffusi nell’impero romano furono ovviamente molti più di quelli citati, tra cui molto diffusi quelli di Mitra e di Cibele, e generalmente la loro espansione fu legata al gran numero di immigrati che provenivano dall’oriente ed erano in grado di trapiantare la loro religione dovunque vi fosse una comunità di fedeli disposta ad accoglierla.

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