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Il Libro terczo de regimento è privo di formule di congedo ed è composto da ven- tisette capitoli rubricati dall’ampiezza variabile, ordinati in una galleria di exempla di homini jllustri e regimenti dell’antica Roma, lungo un arco cronologico che va dalle origini della città agli inizi del II secolo a.C. De Jennaro sperimenta una strategia inedita nella tradizione indiretta di Livio: seleziona alcuni episodi degli Ab urbe

condita libri e propone un quadro snello della storia romana, concepito come libero

commento discontinuo alle Decadi, ma, al contempo, anche come galleria di homi-

ni jllustri, repertorio di magistrature antiche e trattato etico-politico. Il materiale

liviano è filtrato in una galleria esemplare concepita su un doppio registro: un pri- mo, narrativo, con la descriptio del personaggio e la rappresentazione di uno o più

regimenti antichi; e un altro, discorsivo, proprio del libero commento, modulato con

riflessioni dall’ampiezza variabile su livelli di intertestualità differenti, che adattano il discorso induttivo scaturito dall’esemplarità antica allo specifico orizzonte di sen- so napoletano e si focalizzano sulla virtù politica veicolata dal regimento antico, sul meccanismo istituzionale che lo rende possibile o sulla nozione ideale di interesse collettivo che ne orienta l’azione. Ciascun capitolo di tale galleria è costruito sui

regimenti di un uomo illustre, ad eccezione di tre casi (i capitoli IV, XV, XXI), in

cui l’autore approfondisce la riflessione del capitolo precedente.

Nonostante l’assenza di formule di congedo, l’impianto argomentativo e comu- nicativo complessivo si presenta ben definito. Il libro è strutturato su una bipartizio- ne del commento ai materiali liviani della I Decade, da un lato, e della III e IV, da un altro; ed è articolato in singoli capitoli concepiti come unità discorsive concluse e autonome, forme brevi che filtrano la lettura di Livio nella forma di vere e proprie

medaglie narrative. Tali medaglie appaiono l’esito di una strutturazione argomen-

tativa complessa e di una combinazione di materiali eterogenei: ciascuna di esse può racchiudere al suo interno altre unità più brevi (exempla, citazioni e riflessioni dell’autore) e fondarsi su una trama intertestuale di rinvii che privilegia nettamente i fontes latini rispetto a quelli greci, cristiani e medievali. Il canone degli auctores prevede, infatti, ad un primo livello del commento ai luoghi degli Ab urbe condita

La nobiltà di Seggio napoletana e il riuso politico dell’Antico tra Quattro e Cinquecento

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libri, la riscrittura di excerpta da Valerio Massimo (in un significativo binomio tra

Livio e Valerio), da Seneca, Plinio e dal De civitate Dei di Agostino; e, ad un secondo livello, rari prestiti da Sallustio, da due soli autori greci (Plutarco, Aristea), dalla Bibbia, alcuni flores dai Padri e da pochissimi altri autori medievali (S. Ambrogio, S. Girolamo, Leone Magno, Isidoro, Prospero di Aquitania e Albumasar). La dina- mica di scrittura è differenziata per ciascun autore, alterna in varie forme un anda- mento diegetico ed uno discorsivo e sollecita considerazioni specifiche, richiamate dall’esperienza antica e raccordate in una riflessione teorica dalla valenza pragmatica sulle problematiche del regimento napoletano di inizio Cinquecento. A queste ultime è dedicata, inoltre, nel XVI capitolo un’ampia digressione, con il progetto di riforma costituzionale del regimento cittadino.

Il commento discontinuo alle Decadi liviane prende forma attraverso una scan- sione in medaglie autonome dal valore paradigmatico, in cui l’Antico è filtrato per

exempla da quella finalità del docere attribuita dalla tradizione occidentale romanza ai

generi minori della narrativa1, unendo l’intento moralistico e quello di divulgazio-

ne storica ad una finalità pragmatica di progettazione politica. Il libro appare, allora, una variante significativa, ma ingiustamente trascurata all’interno della complessa tradizione indiretta degli auctores, fatta di volgarizzamenti dai classici e di modalità esegetiche ancora in gran parte da valorizzare. Come ho accennato nell’Introduzione, finora sul De regimento sono state condotte pochissime analisi, sostanzialmente ri- duttive. Tommaso Persico ad inizio Novecento, Jerri H. Bentley negli anni Ottanta e di recente Tommaso Parascandolo hanno privilegiato il piano della scrittura prag- matico-politica e del progetto politico, mentre solo Elias de Tejada si soffermava su alcuni nodi della proposta teorica di optimo regimento. Tutti hanno, perciò, trascurato la facies letteraria del De regimento, ignorando il rapporto tra la struttura per meda-

glie e il riuso di Livio. Complici i pregiudizi sul classicismo letterario, le medaglie

sono state considerate una mera cornice retorica ed è stata individuata una netta

1 Sui generi medievali del sermo brevis cfr. almeno Jauss, Alterità, e Jolles, Forme. Sull’exemplum, «un récit bref donné comme véridique et destiné à être inséré dans un discours (en général un sermon) pour convaincre un auditoire par une leçon salutaire», rinuncio ad indicare una letteratura critica esaustiva e rinvio unicamente, per un inquadramento dal punto di vista metodologico, a Brémond, Schmitt, Le Goff, L’exemplum (citaz. pp. 37-38), e a Rhétorique et histoire. Per un panora- ma delle nuove tendenze di studio è utile Berlioz, Polo de Beaulieu, Les Exempla médiévaux, con bibliografia precedente, in particolare il saggio di Delcorno, Pour une histoire de l’exemplum, per le caratteristiche della produzione esemplare in ambito italiano, oltre a Id., Exemplum, per il suo specifico utilizzo nella predicazione. La distinzione tra «exempla classical» e «sermone o morality» è tratta dal classico Welter, L’exemplum, p. 191.

Capitolo 3 - L’opera e le sue fonti

spaccatura tra il livello di riscrittura volgare dei classici e quello della diagnosi e della riforma del regimento napoletano2. Tale iato ha impedito finora di valorizzare

il rapporto tra il riuso degli auctores e le strategie di autorappresentazione dei Seg- gi, e di comprendere, perciò, il senso della strumentalizzazione politica dell’Antico proposta dal de Jennaro. Il De regimento offre interessanti spunti per riflettere sulla presenza di molteplici modalità di ricezione volgare degli auctores alla fine del me- dioevo e per recuperare «lo spessore delle diverse prospettive culturali» in ambienti periferici3; ‘periferie’, nel caso dei Seggi della capitale, ovviamente non geografiche,

ma storiografiche, rispetto ai poli dell’Accademia, della corte e dello Studio. Il suo classicismo volgare lascia infatti emergere aspetti inediti all’interno del rapporto di comunicazione reciproca sviluppato in età aragonese tra la produzione latina e quella volgare, lontano dalle teorie che postulano una «assoluta separatezza» dei due ambiti o, all’opposto, una loro «compiuta osmosi»4.

È ben noto come sotto il regno di Ferrante la cultura latina e quella volgare mantengano a Napoli i propri ambiti specifici, svolgendo «ruoli complementari in un ricco e variegato panorama culturale»5. Tuttavia, di questa integrazione tra

spazi culturali le indagini hanno privilegiato finora il rapporto tra l’Accademia, la corte e lo Studium, ed è inadeguato ricorrere alle categorie del ‘ritardo’ o della ‘resistenza’ alle avanguardie umanistiche recepite dalla corte e dall’Accademia per la produzione volgare dei gentiluomini di Seggio. Si corre il rischio di imbriglia- re le espressioni della cultura dei Seggi in un concetto passivo di ricezione delle idee umanistiche elaborate ‘altrove’ nella capitale, o di ‘schiacciarla’ sulla tradizione volgare municipale d’età angioina o su quella giuridico-scolastica dello Studium, considerando la specializzazione nel regis servitium delle famiglie della nobiltà ci- vica. Fatta eccezione per la produzione latina di Tristano Caracciolo6 e, in parte,

2 Rinvio agli studi indicati nell’Introduzione nota 28. 3 Cfr. Fera, Problemi, p. 517.

4 Spunti da Seibt, Anonimo, sul quale cfr. Delle Donne, L’Anonimo (citaz. p. XVI).

5 Un panorama della produzione letteraria latina e volgare a Napoli è in De Blasi, Varvaro, Gli

Aragonesi (citaz. p. 249); cfr. anche Santoro, La cultura, e Villani, L’umanesimo. Sui poli della corte

e dell’Accademia e sul mecenatismo regio è ancora valido il quadro offerto da Bentley, Politica, in- tegrato da numerosi studi recenti che precisano le linee del patronage aragonese, tra cui, in sintesi, rinvio per ora ai recenti Delle Donne, La corte, e Cappelli, L’umanesimo, pp. 277-304.

6 Solo parte della sua produzione è edita, come le biografie storiche: la Vita Ioannae primae

Neapolis reginae (in Tristano Caracciolo, Opuscoli, pp. 5-18), la Vita Serzanni Caracioli magni senescalci

(ibid., pp. 21-40), il De Ioanne Baptista Spinello Cariatis comite (pp. 43-70: v. supra Cap. 2.4 nota 236); il De Ferdinando qui postea Aragonum rex fuit eiusque posteris (ibid., pp. 131-137), la Ioannis Ioviani

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per quella volgare di Diomede Carafa7 e di Giuniano Maio8, la riflessione storica,

etica e politica in volgare dei gentiluomini è ancora da dissodare. In un quadro complicato dalla frammentarietà e dalla dispersione delle fonti è difficile comporre un’idea complessiva della cultura collettiva dei Seggi napoletana, in rapporto alle concrete pratiche di fruizione dei classici e di produzione letteraria. Il commento a Livio del de Jennaro offre, allora, nuovi termini di riflessione sulle diverse opzioni di riuso degli auctores, da intendere non come espressioni marginali rispetto agli scritti degli umanisti d’avanguardia, ma come testimonianze preziose, capaci di gettare nuova luce sul rapporto tra i volgarizzamenti e l’esegesi dei classici tra Quattro e Cinquecento. Lo scopo che mi propongo è quindi quello di ‘smontare’ dall’interno il classicismo politico del libro e di comprendere il senso che assumeva il riuso di Livio e degli altri auctores per de Jennaro, individuando fonti e modelli della loro ricezione e riscrittura volgare. L’assenza di notizie sulla formazione culturale del de Jennaro induce a pensare ad una preparazione classica da autodidatta, alla pari di quella di Tristano Caracciolo9. A differenza di quest’ultimo, però, la passione per l’Antico

non si traduce nella scelta del latino, ma, all’opposto, rafforza un impegno esclusivo nella scrittura volgare in un contesto in cui «non è ancora generalizzata l’adozione

severantia (cfr. Altamura, Studi, pp. 159-163) e la Caroli primi regis Neapolis genealogia (in Caracciolo, Opuscoli, pp. 121-128); le epistole: la Defensio civitatis Neapolitanae ad legatum Rei publicae Venetae

(ibid., pp. 141-148); l’Epistola de funere regis Ferdinandi primi (ibid., pp. 159-163); l’Epistola de statu

civitatis (ibid., pp. 153-155); l’Epistola de inquisitione (ibid., pp. 109-117); con l’Oratio ad Alphonsum iuniorem (ibid., pp. 173-176), e il De varietate fortunae (ibid., pp. 73-105). Rinvio, inoltre, ad un «co-

dice particolarmente accreditato» nella tradizione caraccioliana (cfr. Iacono, Autobiografia, p. 3 nota 8), Napoli BN, ms. IX C 25, per i seguenti scritti: i Plura bene vivendi pracepta ad filium (ibid., cc. 121r-135r), il De vita auctoris actae notitia (ibid., cc. 152r-165r), il De sororis obitu (ibid., cc. 212r-224r), la Didonis reginae vita (ibid., cc. 169r-177r), l’Opusculum ad marchionem Atellae (ibid., cc. 201r-211v), il

Quid sit in tot variis artibus iunioribus amplectendum consultatio ad quemdam expertum monachum (ibid.,

cc. 181r-191r) e la Disceptatio quaedam priscorum cum iunioribus de moribus suorum temporum (ibid., cc. 43r-56r). Oltre a Persico, Gli scrittori, pp. 94-110, Altamura, Un opuscolo, Id., Tristano, de Tejada,

Nápoles, I, pp. 197-209, Santoro, Tristano, e Id., Fortuna; si vedano Hausmann, Caracciolo, Tristano,

Vitale, L’umanista, Bentley, Politica, pp. 284-291; e i recenti Ferraù, Il tessitore, pp. 251-165, Vitale,

Modelli, Iacono, Autobiografia, Ead., Contaminazione, e Tufano, Tristano Caracciolo, ma soprattutto

quanto indicherò ai Capp. 4-6.

7 Diomede Carafa, Memoriali; oltre agli studi di Persico, Diomede Carafa, Moores, New light, Galasso, Politica, e Miele, Modelli, rinvio ai più recenti Vitale, Modelli, passim, e Borrelli, Lo spazio; v. anche infra Cap. 5-6.

8 Per Giuniano Maio, De Maiestate, in Paris BN, Ital., ms. 1711, cfr. Lo Jacono, L’opera, Santoro,

La cultura, pp. 426-427, Miele, Politica; e di recente Quondam, La forma, pp. 229 ss., e Barreto, La majeste, ma v. infra Cap. 5 e sulla sua attività lessicografica e di insegnamento Cap. 4.2.3.

Capitolo 3 - L’opera e le sue fonti

del modello a base toscana»10. Finora la sua preparazione classica, storica e filosofica

non è stata oggetto d’indagini specifiche e le opere della sua maturità sono state interpretate come frutto di una erudizione priva di slanci e in modo generico di una «vasta cultura umanistica»11. Grazie all’analisi del De regimento – che rappresenta

insieme al poema delle Sei età lo stadio più avanzato della sua formazione classicista – è possibile ricostruire uno spaccato “virtuale” della sua biblioteca anticheggiante. Le sue scelte intertestuali verranno riportate alle specifiche condizioni di ricezione umanistica degli auctores, una problematica – ma è fin troppo noto – dall’ampiezza disorientante, qui appena sfiorata nella prospettiva di una convergenza tra storia delle società e delle istituzioni, e storia della cultura.

Partendo dal contesto generale di ricezione degli storici antichi e dei loro vol- garizzamenti nella Napoli aragonese (Cap. 3.1.1), l’analisi verterà sulla morfologia testuale del De regimento e sul suo confronto con l’altra prosa politica del de Jennaro, il De regimine principum (Cap. 3.1.2), nonché sulla struttura ‘per medaglie’ del com- mento agli Ab urbe condita libri, osservando gli specifici schemi di rapporto tra il riuso di Livio e quello degli altri auctores, e provando ad individuare possibili mo- delli formali nella tradizione liviana tra medioevo e umanesimo, nonché eventuali esemplari delle Decadi a monte della riscrittura volgare del libro (Capp. 3.2.1-3.2.2). Sarà poi analizzata la combinazione degli altri autori richiamati ad litteram nel commento, a differenza della libera rielaborazione di Livio (Capp. 3.3-3.5). L’analisi della riscrittura e dell’intertestualità del De regimento sarà condotta nella diacronia e nella diatopia, con un interesse particolare per la fruizione napoletana degli auctores e, quando è possibile, per gli esemplari presenti sul leggìo del de Jennaro, tenendo in considerazione la sua spiccata predilezione per la stampa e le dispersioni del mer- cato librario della capitale, con le tragiche spoliazioni delle biblioteche principesche (accessibili, com’è noto, agli umanisti) perpetrate dalle truppe francesi12. Per i pro-

10 Cfr. Coluccia, Il volgare, p. 373, Villani, L’umanesimo, pp. 709-712, e Giovanardi, Il biliguismo; v. anche i Criteri editoriali.

11 Cfr. Corti, Introduzione, p. IX.

12 Oltre agli studi sulle raccolte aragonesi indicati supra Cap. 1.3 nota 50, sulle vicende della biblioteca reale e di quella di Alfonso duca di Calabria e di Ippolita Sforza si veda Toscano, La col-

lezione; per i volumi trasportati da Carlo VIII e per quella parte della biblioteca reale portata con sé

da Alfonso durante la sua fuga, ritornata a Napoli con Federico e poi dispersa tra la Francia, Valen- cia e Ferrara ancora Id., Il bottino. Oltre ai numerosi inventari riportati da De Marinis e a quello del 1527 con 306 libri inviati da Isabella al figlio a Valenza, pubblicato da Cherchi-De Robertis, ricordo anche un inventario compilato a Ferrara nel 1523 con 132 libri venduti dalla stessa Isabella a Celio Calcagnini, pubblicato di recente da López-Ríos.

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blemi ecdotici legati alla riscrittura volgare dei fontes l’analisi osserverà le modalità del loro riuso e gli errori d’autore, come indizi della cultura storica del de Jennaro13.

Cercherò di trarre per ogni auctor un bilancio del suo riuso (illustrato in dettaglio nell’Apparato dei volgarizzamenti dell’edizione), distinguendo le citazioni «infedeli» da quelle «sbagliate» e ricostruendo le modalità della riscrittura in rapporto alla tipologia del testo utilizzato, latino/volgare, manoscritto/stampa14.

3.1. Morfologia del testo

3.1.1. I volgarizzamenti della storia antica nel milieu aragonese

Il significato culturale del De regimento può essere spiegato a partire innanzi- tutto dalle condizioni di crescita del dominio materiale dei classici nella Napoli aragonese, attraverso il rapporto tra i testi della storiografia antica e la diffusione dei loro volgarizzamenti. È ben noto come le strategie di legittimazione della nuo- va dinastia promosse dagli umanisti della corte del Magnanimo e elaborate in un modello della regalità da una complessa riflessione filosofico-politica di tipo orga- nicistico nell’età di Ferrante si siano alimentate dell’eredità della storia, dell’etica e del pensiero politico classico, e siano state plasmate sugli ipotesti antichi15. La

passione per la storia antica di Alfonso d’Aragona favorì il recupero filologico degli

auctores e l’elaborazione di progetti sui modi di concepire e di scrivere la storia,

oggetto di accesi dibattiti tra gli umanisti, come quello celebre che oppose il Valla al Facio e al Panormita16. Fu questa politica culturale ad alimentare un incremento

13 Cfr. Brambilla Ageno, L’edizione, p. 34. 14 Cfr. Bausi, Citazioni.

15 In generale sulle strategie di legittimazione dei Trastámara si vedano i recenti lavori di Delle Donne, Alfonso il Magnanimo, Cappelli, Maiestas, e Storti, «El buon marinero», oltre a quanto indicherò in seguito su specifiche questioni.

16 La letteratura critica sulla storiografia aragonese è in perenne incremento e la riproposizione dei testi fondamentali esula dallo spazio di una nota; riservandomi di approfondire in seguito specifiche questioni, ricordo perciò ora pochi lavori a partire dalla rivalutazione di Resta, Introduzione, come Tateo, I miti, Id., La storiografia, Defilippis, Nuovo, Tra cronaca, Albanese et alii, Storiografia, Ferraù,

Il tessitore, e il recente Delle Donne, Alfonso il Magnanimo. In particolare per la prima età aragonese,

sui Gesta Ferdinandi regis di Lorenzo Valla, cfr. Ferraù, Il tessitore, pp. 1-42 (il capitolo «Fondazione della nuova storiografia: Lorenzo Valla»), e Regoliosi, Lorenzo Valla. Per Panormita, De dictis et factis

Alfonsi regis (in edizione parziale: el Panormita, Dels fets et dits), oltre a Resta, Introduzione, pp. 34 ss.,

Capitolo 3 - L’opera e le sue fonti

dei volgarizzamenti «verticali» dei testi della storiografia e dell’etica e della politica antiche17. La ricostruzione in senso dinamico delle vicende delle raccolte librarie

aragonesi18 ha mostrato come in età alfonsina entrino a far parte della biblioteca

regia traduzioni dal greco al latino di celebri umanisti (come l’Appiano, il Diodoro Siculo e il Platone di Pier Candido Decembrio19, l’Arriano del Facio e di Giacomo

Curlo20, le Historiae di Tucidide, l’Erodoto del Valla e le Vite di Plutarco21), testi de

re militari22 e funzionali alla institutio regia (come la Cyropedia di Senofonte23 e l’Ad

Nicoclem di Isocrate24), insieme a numerosi volgarizzamenti dal latino, ad esempio

Sui Rerum gestarum Alfonsi del Facio ricordo solo Ferraù, Il tessitore, pp. 43-80 (il capitolo «Nascita della leggenda magnanima: Facio e dintorni»), Albanese, Pietragalla, In honorem, e Albanese (cur.), Studi. Rinvio al recente Sarnelli, Historica sinceritas, con accurati rinvii bibliografici.

17 Sui volgarizzamenti oltre ai lavori di Maggini, I primi, Dionisotti, Tradizione, Segre (cur.),

Volgarizzamenti, e Folena, «Volgarizzare» (da cui ho tratto la definizione), e alle sintesi più recenti

di Gunthmüller, Die “volgarizzamenti”, Giovanardi, Il bilinguismo, Porta, Volgarizzamenti, Gualdo, Palermo, La prosa, e Romanini, Volgarizzamenti, è fondamentale per un primo profilo complessivo dei volgarizzamenti toscani due-trecenteschi ora Zaggia, Introduzione alle Heroides di Ovidio di Filippo Ceffi, pp. 3-30. Ritornerò sui volgarizzamenti quattrocenteschi per alcuni auctores ai Capp. 3.2-3.5 e rinvio per ora solo a Matarrese, Montagnani (cur.), Il principe, Bianca, Alla corte, e Cherchi,

I volgarizzamenti, per la realtà aragonese.

18 Oltre ai lavori sulla dispersione delle biblioteche aragonesi ricordati alla nota 12 e ai fonda- mentali De Marinis, Supplemento, e Cherchi-De Robertis, sui caratteri delle raccolte principesche, in specifico riferimento agli ateliers delle miniature cfr. Petrucci, Le biblioteche, Id., Biblioteca, Toscano,

La librairie; i saggi in Putaturo Murano, Ambra (cur.), Libri, e in Toscano (cur.), La biblioteca, tra

cui rinvio a Id., La biblioteca napoletana; si veda anche il recente Figliuolo, Notizie.

19 Sulla carriera di Pier Candido Decembrio (1399-1477) e il suo soggiorno a Napoli tra il 1456 e il 1459, come segretario di Alfonso e di Ferdinando, a contatto con i principali umanisti, cfr. il profilo di Viti, Decembrio, Pier Candido. Per la sua attività di traduzione cfr. Zaggia, La traduzione; per quella parziale della Bibliotheca storica di Diodoro Siculo, Zaccaria, Sulle opere, pp. 13-74: 54; e per la Repubblica di Platone cfr. Vegetti, Pissavino (cur.), I Decembrio e quanto dirò infra Capp. 5-6.

20 La traduzione del De rebus gestis Alexandri Magni fu completata dopo la morte del Facio da Curlo tra il 1457 e il 1459: cfr. Germano, Introduzione, pp. XLII-XLIII, studio al quale rinvio per un profilo culturale dell’umanista.

21 Ricordo gli esemplari di Tucidide BUV, Histórica, ms. 379 (olim 764) appartenuto a Ferrante (De Marinis II, pp. 164, e Cherchi-De Robertis, n° 95) e l’Erodoto Paris BN, Lat., mss. 5711, 8952, del cardinale Giovanni e poi di Alfonso (De Marinis II, pp. 131-132, 137-138, e Garzelli, Miniatura, I, p. 502). Per Plutarco v. infra Cap. 3.4.

22 Come il De instruendis aciebus di Eliano tradotto da Teodoro Gaza: cfr. De Marinis II, p. 115, e Bianca, Alla corte, pp. 180, 190-192.

23 La Cyropedia fu tradotta dal Valla, dal Filelfo e dal Bracciolini: sulla sua funzione di ipotesto nel Liber rerum gestarum del Panormita cfr. Iacono, Ritratto, pp. 37 ss.; e per l’operazione del Valla

ibid., pp. 41-42, e Delle Donne, Le parole, p. 15.

La nobiltà di Seggio napoletana e il riuso politico dell’Antico tra Quattro e Cinquecento

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da Cesare, Curzio Rufo, Svetonio e dalla Historia Augusta25. Queste operazioni cul-

turali avranno importanti conseguenze non solo per la «politica di toscanizzazione linguistica»26, ma, come vedremo, anche per la diffusione dei modelli e dei concetti

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