Nel capitolo precedente abbiamo visto nei primi dialoghi morali che il centro dell’analisi è la riforma universale dell’umanità attraverso la riflessione sull’agire dell’uomo nella società.78
Nei Furori viene fatto un passo in avanti (non a caso è considerato come il più celebre dei dialoghi morali) in quanto Bruno indirizza il discorso verso l’arduo cammino attraverso il quale l’individuo, non tutti gli individui, ma i prescelti e i più predisposti, possono aspirare a raggiungere la verità.
Nel nostro caso, il prossimo passo sarà quello di delineare i caratteri fondamentali, il significato generale di che cosa tratta l’opera e di come questa è strutturata per poi analizzarla a fondo in chiave autobiograficagià a partire dall’Argomento. Ciò consentirà, a un primo livello, di comprendere meglio il fulcro dell’opera di Bruno e, a un secondo, di cercare di capire dove e in che modo l’autobiografia emerge in modo più rilevante nel corso dell’intera opera.
Gli Eroici furori sono un dialogo scritto e pubblicato nel 1585 a Londra e dedicato a sir Philip Sidney. In quest’ultimo dialogo londinese Giordano Bruno raggiunge il vertice della sua ricerca gnoseologica in quanto introduce la figura dell’eroico furioso.
L’opera è composta da due parti, ciascuna a sua volta suddivisa in cinque dialoghi. I Furori trattano la modalità di ricerca e comprensione del sommo bene, dell’Uno infinito, come più alto oggetto di conoscenza. Nell’opera viene in particolar modo trattato lo stato in cui verrebbe a trovarsi chi si inoltra in questo tipo di ricerca, di impresa. Il centro di quest’opera è l’incessante ricerca individuale che il furioso tende a compiere per raggiungere la verità. Bruno opera un’importante distinzione tra chi cerca di accostarsi alla verità con ragione e chi invece con passione. Questa distinzione si incarna nelle contrapposizioni tra la figura del sapiente e quella del furioso. Il sapiente, consapevole che le vicissitudini della vita sono passeggere, si pone in un atteggiamento di totale indifferenza ed equilibrio proprio perché sa che le gioie e i dolori sono
78 Ciliberto insiste molto riguardo ai punti in comune presenti in vari argomenti trattati negli ultimi
transitorie e di scarso valore. Il sapiente comprende solo in parte l’essere vicissitudinale. Il furioso è invece è colui che si appassiona e partecipa alle cose ed è segnato dal vizio79 in quanto affetto da aspettative e passioni proprio perché riesce a comprendere la complessità della vita-materia. È fondamentale riportare la descrizione che Bruno fa di queste due figure, definendo il sapiente colui che «si muta con la luna» mentre il furioso, «il stolto» «si muta come la luna».80 L’anima del sapiente «assomiglia alla Luna non in quanto essa varia ai nostri occhi (quella è l’anima dello stolto che muta come la Luna) ma in quanto riceve sempre uguale porzione dello splendore solare in sé. Muta con la Luna perché sempre si rinnova per la conversione continua che fa al Sole».81
Nella figura del furioso c’è un forte richiamo autobiografico. Durante la spiegazione dell’opera Bruno sottolinea delle differenze riguardo ai vari tipi di furore. Alcuni di questi furori, quelli “asinini” possono essere destinati, secondo Bruno, agli individui di «barbaro ingegno» mentre gli altri, che fanno capo all’unico vero furore, il furore eroico, oltrepassano «l’orizzonte della contemplazione»82 raggiungendo la bellezza divina che può avvenire solo tramite una “conversione” della mente, intesa come conversione della divinità nell’uomo e viceversa.83
Utilizzando le stesse parole di Bruno contenute nel terzo dialogo della prima parte: «Il corpo dunque è ne l’anima, l’anima ne la mente, la mente o è Dio, o è in Dio».84
Occorre porre la domanda: che cosa sono allora questi furori? Citando la descrizione che ne fa Bruno nel terzo dialogo «questi furori de quali noi ragioniamo, e che veggiamo messi in esecuzione in queste sentenze, non sono oblio, ma una memoria, non sono negligenze di se stesso, ma amori e brame del bello e buono con cui si procure farsi perfetto con trasformarsi et assomigliarsi a quello».85 Si tratta perciò di un mero «impeto razionale», di un processo riguardante «l’apprension intellettuale del buono e del bello che conosce; a cui vorrebbe conformandosi parimente piacere, di sorte che della nobiltà e luce di quello viene ad accendersi, et investirsi de qualitade e condizione
79 L’eroico furore è per Giordano Bruno un vizio non negativo bensì di natura “divina”. 80 G. BRUNO, Eroici furori, cit., p. 847.
81 G. BRUNO, Eroici furori, Introduzione di Michele Ciliberto, Testo e note a cura di Simonetta Bassi,
Editori Laterza, Bari 1995, p. 177.
82 M. CILIBERTO, Introduzione a Bruno, Laterza, Bari-Roma, p. 100. 83 Tale processo è l’indiamento.
84 G. BRUNO, Eroici furori, in Id., Dialoghi filosofici italiani, a cura di M. Ciliberto con note di N.
Tirinnanzi, Mondadori, Milano 2000, p. 809.
per cui appaia illustre e degno».86 Il furore consiste in uno sforzo consapevole e razionale attraverso cui il furioso, spinto dall’amore per la verità, giunge alla visione della divina luce, al sommo bene, l’unità infinita del tutto. L’eroico furore87
è un impeto divino nell’uomo, raggiunto attivamente attraverso un processo razionale accompagnato dalla volontà di conoscenza. Per spiegare la figura del furioso Bruno utilizza una figura mitologica. Il simbolo del furioso è Atteone, il cacciatore che per aver visto Diana nuda viene trasformato in preda e sbranato dai suoi stessi cani.
Non resta ora che vedere in quale modo Bruno trova la strada per spiegare come il furioso eroico possa raggiungere la divina luce e in secondo luogo come e dove l’autobiografia emerge nei Furori.
86 Ibidem.
87 Per la trattazione dell’eroico furore Bruno attinge alla tradizione classica del platonismo ma anche al
IV.2. L’Argomento dei Furori
Gli Eroici Furori si aprono con l’Argomento, una sorta di prefazione, quasi fosse un piccolo preludio argomentativo dell’opera. Questa sezione è suddivisa a sua volta in altre tre sezioni: Argomento del Nolano, scritto al molto illustre Filippo Sidneo, Advertimentoa’ lettori, infine il sonetto Iscusazion del Nolano alle più virtuose e leggiadre dame. L’intero Argomento però risulta avere un aspetto ternario in quanto è «insieme epistola proemiale, mappa dell’opera, a sua volta suddivisa in tre paragrafi (Argomento de’ cinque dialoghi de la prima parte, Argomento de’ cinque dialoghi della seconda parte, Argomento ed allegoria del quinto dialogo), e dedica vera e propria (“Questi son que’ discorsi, gli quali a nessuno son parsi più convenevoli ad essere addirizzati e raccomandati, che a voi, Signor eccellente”)».88
Questa sezione risulta essere di utile importanza per il lavoro qui proposto in quanto sono presenti fondamentali riferimenti di stampo autobiografico riguardanti l’esperienza di Bruno in Inghilterra ma sono pure gli anni della giovinezza.
L’Argomento getta «luce sia su come lavorava Bruno, sia sulla fama che l’accompagnava a Londra e sui modi con cui cercò di liberarsene».89
Non a caso già nel titolo dell’Argomento, ci sono utili indizi. Come tutti gli altri dialoghi precedenti, anche questa sezione si apre con una dedicatoria di Bruno. Qui il soggetto è l’«illustre»90 e «generosissimo Cavalliero»91 Philips Sidney92 a cui Bruno già aveva dedicato lo Spaccio. Philips Sidney non viene menzionato a caso e questo può essere dovuto al fatto che in Inghilterra, lo abbiamo già evidenziato, Bruno non ebbe una gran fama. Il poco che gliene venne arrivò da una élite molto ristretta tra cui Fulke Greville93 e lo stesso
88 P. SABBATINO, “Scuoprir quel ch’è ascosto sotto questi sileni”. La forma dialogica degli Eroici
furori, in Bruniana & Campanelliana, Vol. 5, No. 2, Pisa-Roma 1999, p. 374.
89 M. CILIBERTO, Il teatro della vita, cit., p. 314. 90 G. BRUNO, Eroici furori,cit., p. 755.
91 Ibidem.
92 Sidney fu una figura assai influente dell’età elisabettiana. Per una spiegazione esaustiva ripropongo la
descrizione accurata di Simonetta Bassi che descrive Sidney come «poeta, uomo politico e uomo d’armi. Si meritò l’epiteto di “Petrarca inglese” per gli accenti appassionati e l’acuta analisi psicologica del sentimento amoroso presenti nei suoi sonetti. Tutte le sue opere furono pubblicate dopo la morte. La raccolta di sonetti Astrophel and Stella esercitò una grandissima influenza sulla lirica elisabettiana di tradizione petrarchesca ma la sua fama è legata anche alla Apologie for Poetry scritta nel 1580 contro gli attacchi alla poesia» in G. Bruno, Eroici Furori, introduzione di M. Ciliberto, testo e note a cura di S. Bassi, Editori Laterza, Roma-Bari 1995. p. 161.
93 Politico, poeta e drammaturgo inglese. Eugenio Canone suppone che, dato che nella casa di Greville
fu svolta la famosa e accesa discussione tra Bruno e i dottori oxoniensi, il nolano volesse dedicare l’opera anche a Greville.
Sidney: figure «attratte dalla sua persona e dal suo lavoro, e curiose di comprendere che cosa egli pensasse di argomenti scottanti».94 Sidney in particolar modo viene descritto da Bruno come una persona “illustre” dotata di spiccata cultura e conoscitore della lingua italiana, rappresenta perciò il degno esponente di una corrente di gusto letterario e di impegno culturale che sente affine al suo lavoro. Gli aggettivi che Bruno utilizza nel descriverlo riprendono un passo dell’opera precedente la pubblicazione dei Furori. Nella Cena delle ceneri, il primo dialogo pubblicato a Londra, Bruno descrive Sidney come «il molto illustre et eccellente cavalliero, signor Fillippo Sidneo: di cui il tersissimo ingegno (oltre i lodatissimi costumi) è sì raro e singolare, che difficilmente tra singolarissimi e rarissimi, tanto fuori quanto dentro Italia, ne trovarete un simile».95 La scelta di dedicare i Furori a una persona influente come Sidney può derivare inoltre dal fatto, come sostiene Ciliberto, che Bruno «intendeva individuare un nuovo pubblico al quale rivolgersi e presso al quale trovare consenso, scendendo su un terreno meno friabile, più neutro e meno compromesso, utilizzando anche materiali già pronti, ma proiettandoli in una prospettiva nettamente originale».96 Per questo motivo «i Furori furono anche la lucidissima presa d’atto di uno stacco e delle impellente necessità di cambiare subito, e profondamente, musica, se voleva restare in Inghilterra».97
La stima tra Sidney e Bruno era reciproca e questa può essere conseguenza del loro comune «amore per le Muse».98 La poesia99 e in generale la poesia amorosa ricorre spesso nelle pagine dei Furori, soprattutto risulta centrale nel primo dialogo della prima parte. Con la poesia, Bruno cerca in qualche maniera di dare un tocco di originalità allo scopo dei Furori.
Sin dall’inizio dell’opera Bruno polemizza in maniera forte con i poeti che esaltano i corpi femminili e i loro lamenti per passioni non corrisposte. Lacritica è rivolta in particolar modo ai poeti di matrice petrarchesca e per questo il tema dell’amore su cui si impernia tutta la trattazione dell’eroico furore diventa centrale per Bruno. L’Argomento si apre con una netta disapprovazione da parte di Bruno verso un eccessivo elogio della bellezza femminile e dell’amore inteso come processo di sublimazione, cantato dai
94 M. CILIBERTO, Il teatro della vita, cit., p. 201. 95 G. BRUNO, La cena delle ceneri, cit., p. 52. 96 M. CILIBERTO, Il teatro della vita, cit., p. 302. 97 Ibidem.
98 Ivi, p. 300.
99 Sul ruolo della poesia nei Furori importante è il saggio di A. L. SIANI, La poetica degli Eroici furori,
in Id., Favole, metafore, storie. Seminario su Giordano Bruno. A cura di O. Catanorchi e D. Pirillo, introduzione di M. Ciliberto, Edizioni dellaNormale, Pisa 2007.
poeti classici e che trova la sua esplicitazione nel petrarchismo. Ciò non è da intendersi come una forma di disprezzo verso la bellezza femminile; anzi, con parole dirette si interroga «ma che fo io? son forse nemico della generazione? Ho forse in odio il sole?».100 Interrogativi che dovrebbero servire a chiarire il proprio punto di vista e il proprio sentire sia a Sidney che al lettore. A Bruno interessa comunicare alla frivola élite inglese che è una cosa indegna celebrare la bellezza femminile nel modo in cui si celebra la bellezza divina. Il riferimento è abbastanza chiaro. La critica di Bruno è rivolta soprattutto contro Petrarca,che ha fatto della sua donna amata, Laura, il suo tormento più grande per poi assegnarle, compiendone la “trasfigurazione” e quindi sacralizzando la prorpia vicenda amorosa, quel ruolo salvifico che avrebbe dovuto distoglierlo dal suo “primo giovanil errore”, elevandola così ai livelli di una divinità. La critica di Bruno successivamente è rivolta ancheai poeti seguaci di Petrarca, i petrarcheschi. Questi trattano del tema delle donne come se trattassero di questioni divine e cadono in errore dal momento che confondono l’amore terreno per le donne con l’amore celeste per Dio. Bruno usa espressioni molto dirette per rivendicare e rimarcare: «quel ch’è di Cesare», sostiene, «sia donato a Cesare, e quel ch’è de Dio, sia renduto a Dio»,101 marcando così la superiorità dell’amore divino rispetto a quello terreno.
Bruno non si schiera contro l’amore terreno per le donne, ma preferisce non elevarle a qualcosa di divino bensì celebrarle nella loro animalità, nella loro corporeità, nella loro forza vitale tutta terrena. Il filosofo nolano utilizza parole volutamente provocatorie,102 che non devono assolutamente essere intese come un’offesa al genere femminile. Quando utilizza termini come «quel schifo, quel puzzo, quel sepolcro, quel cesso»103 cerca a suo modo di contrastare i petrarcheschi e di far capire quanto questi siano ridicoli dal momento che trattano del tema delle donne come creature angeliche e divine limitandosi perciò a «esplicar gli affetti di un ostinato amor volgare, animale e Bestiale».104 Al fine di comprendere al meglio quello che Bruno intende circa la figura femminile è utile riportare una parte fondamentale del testo:
100 G. BRUNO, Eroici furori, cit., p. 757. 101 Ivi, p. 758.
102 Come nota N. Tirinnanzi, Bruno attinge dalla poesia e dalla scrittura del poeta Francesco Berni. 103 Ivi, p. 756.
«Ecco vergato in carte, rinchiuso in libri, messo avanti gli occhi, et intonato a gli orecchi un rumore, un strepito, un fracasso d’insegne, d’imprese, de motti, d’epistole, de sonetti, d’epigrammi, de libri, de prolissi scartafazzi, de sudori estremi, de vite consumate, con strida ch’assordiscon gli astri, lamenti che fanno ribombar gli antri infernali, doglie che fanno stupefar l’anime viventi, suspiri da far exinanire e compatir gli dèi, per quegli occhi, per quelle guance, per quel busto, per quel bianco, per quel vermiglio, per quella lingua, per quel dente, per quel labro, quel crine, quella veste, quel manto, quel guanto, quella scarpetta, quella pianella, quella parsimonia, quel risetto, quel sdegnosetto, quella vedova fenestra, quell’eclissato sole, quel martello; quel schifo, quel puzzo, quel sepolcro, quel cesso, quel mestruo, quella carogna, quella febre quartana, quella estrema ingiuria e torto di natura: che con una superficie, un’ombra, un fantasma, un sogno, un circeo incantesimo ordinato al serviggio della generazione, ne inganna in specie di bellezza. La quale insieme viene e passa, nasce e muore, fiorisce e marcisce; et è bella cossì un pochettino a l’esterno, che nel suo intrinseco vera e stabilmente è contenuto un navilio, una bottega, una dogana, un mercato de quante sporcarie, tossichi e veneni abbia possuti produre la nostra madrigna natura; la quale dopo aver riscosso quel seme di cui la si serva, ne viene sovente a pagar d’un lezzo, d’un pentimento, d’una tristizia, d’una fiacchezza, d’un dolor di capo, d’una lassitudine, d’altri et altri malanni che son manifesti a tutto il mondo; a fin che amaramente dolga, dove suavemente proriva».105
Lo scopo di Bruno è quello di «smascherare la cattiva poesia per definire, con massima chiarezza, la differenza tra l’amore volgare e l’amore eroico, in una sorta di crescendo polemico che tanto più lo spinge a sottolineare la miseria del primo, quanto più vuole celebrare la grandezza del secondo».106 Per chiarire la sua posizione circa il rifiuto della divinizzazione delle donne scrive in poche righe un singolare elogio di se stesso tanto da risultare un importante passo autobiografico:
«Mai fui tanto savio o buono che mi potesse venir voglia de castrarmi o dovenir eunuco. Anzi mi vergognarei, se cossì come mi trovo in apparenza, volesse cedere pur un pelo a qualsivoglia che mangia degnamente il pane per servire alla natura e Dio benedetto. E se alla buona volontà soccorrer possano o soccorranogl’instrumenti e gli lavori, lolascio considerar solo a chi ne può far giudicio e donar sentenza. Io non credo d’esser legato: perché son certo che non bastarebbono tutte le stringhe e tutti gli lacci che abbian saputo e sappian mai intessere et annodare quanti furo e sono stringari e lacciaiuoli, (non so se posso dir) se fusse con essi la morte istessa, che volessero maleficiarmi».107
105 Ivi, p. 756.
106 M. CILIBERTO, Il teatro della vita, cit., p. 312. 107 G. BRUNO, Eroici furori, cit., p. 757.
Con queste parole Bruno (riprendendo spunti anche dallo Spaccio) cerca di «dire che tutte le cose de l’universo, perché possano aver fermezza e consistenza, hanno gli suoi pondi, numeri, ordini e misure»108 in modo da ridare importanza alla dimensione terrena: in quanto è nel mondo che la grande bellezza femminile occorre esaltare proprio perché vi è un ordine dato da Dio. Già nel dialogo primo del De la causa, principio et uno Bruno tesse delle belle parole circa l’importanza della femminilità:
«Mirate chi sono i maschi, chi sono le femine. Qua scorgete per suggetto il corpo, ch’è vostro amico, maschio, là l’anima che è vostra nemica, femina. Qua il maschio caos, là la femina disposizione qua il sonno, là la vigilia; qua il letargo, là la memoria; qua l’odio, là l’amicizia; qua il timore, là la sicurtà; qua il rigore, là la gentilezza; qua il scandalo, là la pace; qua il furore, là la quiete; qua l’errore, là la verità; qua il difetto, là la perfezione; qua l’inferno, là la felicità […] E finalmente tutti vizii, mancamenti e delitti son maschi; e tutte le virtudi, eccellenze e bontadi son femine».109
Nell’Argomento, Bruno definisce il piano su cui si orientano questi furori ma soprattutto cerca di connotare l’atteggiamento di colui che li va cercando. Quando scrive che «che questi furori eroici ottengono suggetto et oggetto eroico: e però non ponno più cadere in stima d’amori volgari e naturaleschi, che veder si possano i delfini su gli alberi de le selve, e porci e cinghiali sotto gli marini scogli»110 ribadisce ancora una volta la superiorità degli eroici furori e definendo al contempo eroico il protagonista che tende ad aspirare ad essi. Questo passo è fondamentale: in queste poche righe si cela il riferimento di Bruno a se stesso, alla sua missione di eroico Mercurio. Significative riguardo alla trattazione dei furori le analisi di Tirinnanzi in quanto i furori «descritti nell’opera hanno un oggetto eroico, in quanto si indirizzano alla divinità: ma con altrettanta energia Bruno sottolinea che ugualmente eroico è il protagonista di una simile esperienza».111 Per descrivere questa esperienza eroica Bruno spiega che dapprincipio pensava di intitolare l’opera “Cantica”, in analogia con il Cantico dei
108 Ivi, p. 758.
109 G. BRUNO, De la causa, principio et uno, in Id., Dialoghi filosofici italiani, a cura di M. Ciliberto,
Mondadori, Milano 2000, p. 203.
110 G. BRUNO, Eroici Furori, cit., p. 758. 111 Ivi, p. 1353.
Cantici112 così da mettere la propria filosofia sotto la tutela biblica. In seguito rinuncia a questo intento per due motivi «de le quali ne voglio referir due sole»:113 innanzitutto per evitare l’accusa di blasfemia che i suoi denigratori e diffamatori, «de certi farisei […] e ministri d’ogni ribalderia»114
avrebbero causato. Già in queste righe emerge l’acuta critica verso gli “oziosi” e gli ignoranti,115
critica forte che sarà un punto centrale nella prima parte del primo dialogo. Il secondo motivo è che Bruno intendeva sviluppare un discorso simbolico e non allegorico, come dimostrano i sonetti e gli emblemi, gli «articoli, sonetti e stanze»116, come li definisce lui stesso. Evidenti i richiami autobiografici, attorno ai quali l’opera si sviluppa. Bruno usa la poesia come critica dell’altro e narrazione di sé. In definitiva, sostiene Bassi, proprio perché i «Furori non hanno a prima vista un significato metaforico esplicito […] Bruno si preoccupa di definire il suo scritto: profondamente convinto che ci siano vari livelli di comunicazione e una pluralità infinita di esperienze, egli si pone come l’interprete autentico della propria opera».117
Nell’Argomento, Bruno cercava di delineare il vero amore, quello eroico, in contrasto