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Gli Eroici Furori di Giordano Bruno. Un'autobiografia occulta.

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U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

C

ORSO DI

L

AUREA MAGISTRALE IN

F

ILOSOFIA E

F

ORME DEL SAPERE

Tesi di laurea

Gli Eroici furori di Giordano Bruno.

Un’autobiografia occulta

Relatore Candidato

Prof.ssa Simonetta Bassi Lorenzo Macchia

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INDICE

INTRODUZIONE ... p. 3

CAPITOLO I. Bruno in Inghilterra ... p. 9

CAPITOLO II. Verso una riforma morale ... p. 17

II.1. Il programma di Bruno ... p. 17

CAPITOLO III. Bruno e i Furori... p. 28

III.1. La solitudine di un Mercurio ... p. 28 III.2. L’autobiografia di un uomo “solo” ... p. 31

CAPITOLO IV. L’opera deiFurori: parte prima ... p. 35

IV.1. L’Argomento dei Furori ... p. 38 IV.2. I dialoghi della prima parte ... p. 49

CAPITOLO V. L’opera dei Furori: parte seconda ... p. 80

V.1. L’utilizzo delle imprese ... p. 80 V.2. Tra autobiografia e rivelazione, gli ultimi dialoghi dei Furori ... p. 94

CONCLUSIONI ... p. 125

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INTRODUZIONE

Giordano Bruno nasce nel 1548, a Nola. Siamo a metà del Cinquecento, quando le guerre di religione tra cattolici e protestanti raggiungono il loro più tragico culmine. Il XVI secolo rappresenta uno dei periodi più travagliati della storia del Cristianesimo e in generale di tutto l’Occidente. Fu il secolo in cui gli avvenimenti politici e soprattutto le scoperte scientifiche gettarono le basi dell’età moderna.

Nel Cinquecento anche la riflessione filosofica presenta importanti elementi di rottura con la tradizione passata. Nell’età moderna i più importanti filosofi e scienziati adotteranno un nuovo metodo di indagine per interpretare diversi fenomeni basandosi principalmente su quanto, come ipotesi da mettere a verifica, la mente umana riesce a elaborare: “etsi Deus non daretur”1, come se Dio non ci fosse, letteralmente “non fosse dato”. Il metodo fonda sulla matematica, segna l’inizio di una nuova mentalità, scientifica e tecnica.

L’Europa occidentale fu il teatro di questi radicali cambiamenti e di fratture con l’epoca passata. Ne furono artefici filosofi e scienziati come Copernico, Galileo, Bacone. Anche Giordano Bruno ebbe un ruolo da protagonista nel passaggio dalle concezioni filosofiche medievali a quelle più moderne, contribuendo con le sue opere, dominate dascoperte e originali intuizioni, a creare le basi di un sapere scientifico.

La comprensione del pensiero di Bruno richiede uno sguardo attento verso la storia e le vicende che influenzarono il suo tempo. Scoperte e mutazioni avvenute nel Cinquecento costituiranno in seguito le basi della rivoluzione scientifica. Ma è sempre nel Cinquecento che stravolgimenti politici e conflitti religiosi culmineranno con la rottura dell’unità cristiana. La Riforma protestante si rivelò un fenomeno di enorme portata sociale e politica. Scosse profondamente sia le strutture materiali sia i processi e i valori culturali che avevano caratterizzato i secoli precedenti.

I principali avvenimenti del Cinquecento hanno come centrola frattura dell’Europa cristiana, sancita definitivamente dal Concilio di Trento (1545-1563), e i conseguenti conflitti religiosi che dilaniarono il Continente per tutto il secolo. Oltre i conflitti religiosi ci furono una serie di problemi che minarono la stabilità e l’equilibrio dei principali Stati europei: economia in crisi, ristagno politico e crescente oppressione

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culturale. Importante e su vasta scala si rivelò la repressione attuata contro gli intellettuali: fu il secolo dei grandi processi di massa, degli auto da fé di gruppo, della persecuzione dei singoli. L’Inquisizione romana, istituita nel 1542, costruì e mise in moto un vasto apparato repressivo nei territori sotto dominio cattolico.Nel 1559, il papa Paolo IV istituì l’Index librorum prohibitorumper controllare la diffusione della cultura. Le guerre di religione scossero profondamente la coscienza dell’uomo moderno, sempre più consapevole di quanto orrore questi conflitti causassero, dei loro effetti devastanti, dei limiti e delle contraddizioni del potere temporale.

In definitiva, il Cinquecento fu un secolo di sconvolgimenti, di carestie, di paesaggi lividi e cupi, il regno dell’arbitrio e della follia, l’affermazione di un mondo alla rovescia, come riescono ad evocare in modo suggestivo le opere dei pittori fiamminghi Bruegel e Bosch.

Le scissioni religiose rappresentarono nel Cinquecento un processo fondamentale nella lunga fase di transizione che porta dalla crisi della civiltà medievale all’Europa moderna. Le guerre di religione sono il dato più evidente e tangibile della frattura tra l’umano e il divino. Nel XVI secolo hanno catapultato l’uomo in un periodo di profonde incertezze e inquietudini, rivelando l’instabilità dei fondamenti su cui si basava la dottrina cattolica. Mettono a nudo la spregiudicatezza con cui la Chiesa aveva gestito nel corso dei secoli tante pratiche attinenti al suo potere temporale, il traffico delle indulgenze, l’arbitrio papale.

La diffusa corruzione aveva condotto la curia pontificia verso un inevitabile degrado morale. È uno dei segni più evidenti nell’esercizio del potere temporale da parte della gerarchia ecclesiatica. Questi segni non potevano non generare, reazioni e proteste che trovarono un loro fondamento e nella diffusione delle teorie del frate agostiniano Martin Lutero. Sviluppate in forma di tesi, vennero affisse nel 1517 alle porte della cattedrale di Wittenberg. Da qui prese avvio la Riforma protestante.

I fondamenti della lettura luterana del cristianesimo erano legati ad una visione pessimistica delle possibilità dell’uomo di poter conquistare la salvezza. Secondo Lutero, dopo il peccato originale l’uomo è irrimediabilmente dannato e non può quindi condizionare il giudizio imperscrutabile di Dio né con le proprie opere né tramite la Chiesa. In base a questa tesi l’unica possibilità di salvezza risiede in due atti: quello di Dio che concede la grazia e quello del credente che si offre a lui attraverso un atto interiore e di coscienza, la fede.

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La Riforma di Lutero prevedeva in primo luogo la cancellazione del ruolo della Chiesa come intermediaria tra Dio e il fedele, inoltre ammette il sacerdozio universale. Anche la letteratura e l’interpretazione dei testi sacri sono svincolate dall’autorità ecclesiastica. Si afferma la libera interpretazione del testo sacro, un atto sacrilego per la gerarchia ecclesiatica. Gli effetti della Riforma luterana furono la causa scatenante di nuovi conflitti che si aggiunsero a quelli che che già agitavano e sconvolgevano l’Europa. In Germania, le tesi di Lutero furono al centro della rivolta dei contadini e dei cavalieri, dando il via ad altre riforme religiose,divisero i cittadini all’interno degli Stati: da una parte coloro che aderirono alla Riforma, dall’altra i rimasti fedeli alla Chiesa cattolica. Conflitti e guerre posero enormi problemi politici inerenti alla fedeltà dei cittadini di fronte ad un sovrano di altra confessione religiosa. Il principio Cuius regio, eius religio stabilito dalla pace di Augusta del 1555 nella guerra tra Carlo V d’Asburgo, cattolico, e la Lega di Smalcalda, formata da principi luterani, fu spesso violato. L’effetto più visibile fu la separazione tra gli Stati d’Europa, schierati pro o contro la Riforma. A metà del Cinquecento, la Chiesa cattolica rispose alla Riforma protestante con il Concilio di Trento, durato per 18 anni, dal 1545 al 1563. Il Concilio tridentinocausò profondi cambiamenti e lacerazioni nel corpo della della Chiesa. Ne furono modificate la struttura e l’organizzazione e fu l’inizio della Controriforma, un tempo di repressione da parte della Chiesa delle dottrine protestanti. Attraverso la Controriforma la Chiesa riafferma i dogmi della tradizione cattolica mostrando netta chiusura nei confronti della Riforma protestante.

È in questo clima di forti stravolgimenti che il pensiero di Bruno risulta fondamentale. Fa notare Michele Ciliberto che «al centro dell’esperienza filosofica di Bruno sta la consapevolezza di vivere in un’epoca di crisi radicale della civiltà, di massima decadenza dell’umanità».2

Dal primo del Novecento in poie già con Giovanni Gentile, sino ad oggi, gli studi sul filosofo di Nola sono stati sempre più approfonditi. Le ricerche di Bruno toccano svariate tematiche filosofiche come l’ontologia, l’etica, la fisica, la cosmologia, l’estetica, fino alla politica, dove la filosofia del nolano emerge in ogni forma. Ci sono stati fondamentali sviluppi nelle ricerchesulla vita del filosofo. In molte operedi Bruno sono stati individuatitratti autobiografici e la differenza tra un’autobiografia e un’altra

2 M. CILIBERTO, La ruota del tempo. Interpretazione di Giordano Bruno, Laterza, Roma-Bari 1986, p.

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viene data dal contesto storico, culturale e psicologico.

Gli studi bruniani sono stati di solito differenziati cronologicamente oltre che dal genere a cui ciascuna sua opera appartiene. Successivamente sono stati distinti i vari periodi, come ad esempio quello parigino e quello londinese che segnano l’apice della sua filosofia.

Se ripercorriamo gli scritti autobiografici di Bruno incontriamo diversi suoi “autoritratti”. Questi si rivelano non tramite una evidente descrizione dettagliata ed esplicita di sé, bensì attraverso parole significative che tralasciano spiragli di nascosti e evidenti richiami alla sua autobiografia. Questo celarsi dietro alle parole è presente negliEroici Furori. Ma già nelle precedenti opere di Brunocome LaCena delle ceneri3 si intravede questo suo annunciarsi come portatore di una nova filosofia. Gli intenti che riconducono a una possibile visione autobiografica sono rivelati da parole come “sole”, “nuova luce”, “guida”, “verità”, “furioso”; tutti tratti che sottolineano un parallelismo tra Bruno e il Mercurio4, del cui ruolo si sente investito, in quanto richiama sempre alla funzione di messaggero e portatore di luce, di verità: come colui che viene «ordinato dagli dèi come una aurora, che dovea procedere l’uscita di questo sole de l’antiqua vera filosofia, per tanti secoli sepolta nelle tenebrose caverne della cieca, maligna, proterva et invidia ignoranza».5

Che i Furori siano da considerarsi una vera e propria opera autobiografica non è possibile affermalo. Come sostiene Simonetta Bassi«nei Furori sono presenti altresì l’elemento poetico (nei suoi vari modelli) e l’elemento autobiografico, sia intellettuale che empirico: e tutto ciò rende difficile una definizione precisa del genere letterario cui appartengono».6 Che però i Furori si muovano su una linea da leggere in chiave autobiografca è senza ombra di dubbio evidente, proprio perché l’intera esperienza legata al “furore eroico” di Brunorimane,come rileva Ciliberto, «direttamente e

3 La Cena delle Ceneri è uno dei dialoghi metafisici scritti da Bruno mentre soggiornava in Inghilterra. Fu

pubblicata nel 1584 e dedicata all’ambasciatore francese Michel de Castelnau. L’occasione fu costituita da un cena in casa di sir Fulke Greville (lord di Brooke, uomo politico) a cui Bruno partecipò in compagnia dell’insegnante Giovanni Florio e del medico e musicista Matthew Gwinne. In quella cena Bruno si fece sostenitore della teoria copernicana.

4 Mercurio prende il nome da Hermes che nella mitologia greca è figlio di Zeus e Maia. Ricopre il ruolo

di “messaggero” degli dei. Da Bruno viene utilizzato per designare colui il cui fine è quello di riportare sulla terra la luce della “verità”.

5 G. BRUNO, La cena delle ceneri, in Id., Dialoghi filosofici italiani, a cura e con un saggio introduttivo

di M. Ciliberto, Mondadori, Milano 2000, p. 25.

6 G. BRUNO, Eroici furori, Introduzione di Michele Ciliberto, testo e note a cura di Simonetta Bassi,

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organicamente legata alla consapevolezza che egli ha di se stesso come “angelo della luce”, come protagonista della renovatio universale». Ci sono forte ambizione e, a fasi alterne, consapevolezza dei rischi. «L’itinerario» che Bruno persegue «non è eccezionale solo perchè è, effettivamente, arduo e difficile: connotato da una dimensione intimamente mercuriale, angelica, esso può essere tentato -e percorso- solamente da chi sia tioccato dalla “grazia” degli dei».7

Il lavoro che emergerà in questa tesi sarà quello di svelare nell’opera degli Eroici Furori (considerato dai maggiori studiosi come la più riuscita opera del nolano) i punti dove il filosofo si rivela. Dalle parole testuali emergono indizi a riferimento autobiografico che tracciano la via per delineare quella che è stata l’esperienza di un Mercurio “solo”.

Mettere in risalto gli aspetti autobiografici e il loro significato nei Furori, l’ultima opera di Bruno scritta durante il periodo inglese, è l’intento speculativo di questa tesi.

Prima di addentrarci nell’operaè però opportuno soffermarsi, riportando alla luce gli aspetti più importanti del soggiorno di Bruno in Inghilterra, sul modo in cui Bruno è riuscito a portare avanti e infine a terminare la stesura dei Furori, cioè in maniera da delineare più precisamente il contesto storico in cui l’opera è stata scritta.

Il tema di cui ci occuperemo nel primo capitolo riguarda proprio quel periodo storico ricco di avvenimenti crucialiche Bruno ha direttamente vissuto sulla propria pelle e che hanno contribuito e influenzato la sua figura sino al compimento e alla stesura dei Furori.

Nel secondo capitolo, data la vastità delle tematiche proposte nella filosofia di Bruno, verranno trattate le questioni più rilevanti e significative del suo pensiero, dall’infinito alla riforma morale di renovatio mundi, utili alla trattazione specifica dei Furori. Verranno ripresi i temi che Bruno affrontò in alcune delle opere antecedenti, temi fondamentali i cui concetti stanno alla base di tutti i suoi scritti, determinanti per una maggiore comprensione dei Furori.L’intento di questo capitolo non sarà perciò quello di spiegare le opere bruniane nel loro complesso, bensì quello di intendere come Bruno sia giunto a scrivere i Furori e come in questi egli sviluppi la sua riflessione, riportando in superficie anche gli aspetti autobiografici nascosti nell’opera.

Il terzo capitolo si avvicina sempre più a prendere in esame l’opera. In particolar modo

7 M. CILIBERTO, L'occhio di Atteone. Nuovi studi su Giordano Bruno, Edizioni di storia e letteratura,

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cercheremo di focalizzarci su come, leggendo i Furori, emerga che quest’opera sia una vera e propria autobiografia “nascosta”, giungendo a delineare i motivi salienti che portarono Bruno a vivere una condizione di uomo “solo”.

Nei capitoli quarto e quinto cercheremo infine di spiegare il fulcro del lavoro qui proposto in modo da poter estrapolare, delineare e contestualizzare i concetti di quella che è stata un’autentica, seppur “velata”, opera autobiografica. La vita da uomo “solo” di Bruno è lo specchio di una irrequietezza sociale ma soprattutto rivela le difficoltà che sono costretti ad attraversare i pensatori più anticonformisti nella seconda metà del Cinquecento.

Cercheremo inoltre di spiegare cos’è l’eroico “furioso”, una figura, come vederemo, molto complementare a quella di Bruno.

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CAPITOLO I

Bruno in Inghilterra

Nell’aprile del 1583 Giordano Bruno giunge a Londra, dove rimarrà ospite per due anni e mezzo nell’ambasciata francese grazie alla conoscenza dell’ambasciatore Michel de Castelnau8 e all’appoggio del re di Francia Enrico III.

Il soggiorno inglese permise a Bruno di mettere a punto il suo sistema di pensiero, dando alle stampe sei dialoghi filosofici in volgare: La cena delle ceneri, De la causa, principio et Uno, De l’infinito, universo e mondi, Lo spaccio della bestia trionfante, pubblicati nel 1584, La Cabala del cavallo pegaseo, De gli eroici furori, pubblicati nel 1585.

Se da un punto di vista filosofico e letterario l’esperienza inglese fu per Bruno estremamente creativa, la sua permanenza in Inghilterra fu per inverso causa di accese polemiche e discussioni.

Le lezioni che Bruno tenne sia a Londra che a Oxford riguardanti l’astronomia e l’immortalità dell’anima indussero gli accademici oxoniensi ad avanzare dubbi sull’originalità e autenticità delle sue riflessioni. Bruno fu colpito dall’accusa di plagio nei confronti di Marsilio Ficino. Oltre la cattiva fama di plagiaro Bruno dovette sopportare anche l’accusa che lo vedeva implicato in una rete di spionaggio guidata da Sir Francis Walsingham, politico e diplomatico inglese, capo dei consiglieri intimi di Elisabetta I d’Inghilterra, quinta e ultima regina della dinastia dei Tudor.

Walsingham fu spietato nel perseguire e inquisire i fautori del cosiddetto complotto Babingthon, portato avanti in maniera volutamente ambigua da parte dello stesso Walsingham (ma comunque fedelissimo alla propria patria) e che mirava a tendere una trappolaverso la cugina cattolica di Elisabetta e regina di Scozia, Maria Stuarda.La regina di Scozia finì decapitata e la sua esecuzione rese ancora più labilii già vacillanti rapporti del regno d’Inghilterra con la cattolica Spagna. La definitiva rottura dei patti darà origine alla guerra anglo-spagnola scoppiata nel 1585 e conclusa nel 1604 con la totale disfatta dell’Invencible Armada, la flotta di Filippo II di Spagna.Le cause scatenanti il conflitto riguardavano sia le politiche espansionistiche del regno

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d’Inghilterra, una minaccia per le rotte commerciali della Spagna, sia quelle religiose. Gli inglesi appartenevano allaChiesa anglicana, nata in seguito alla separazione dalla Chiesa cattolica nel XVI secolo, durante il regno di Enrico VIII, padre di Elisabetta. La riforma anglicana venne influenzata anche dalla diffusione delle dottrine protestanti di Calvino e Lutero.

Il Cinquecento finiva e l’odio religioso rinfocolava sempre più con tutte le sue terribili conseguenze. Il conflitto anglo-spagnolo caratterizzò gli ultimi anni del regno di Elisabetta. Il periodo elisabettiano apportò numerosi benefici alla nazione, cambiamenti che portarono l’Inghilterra a vivere una nuova fase di ritrovato splendore politico e economico, rendendola protagonista assoluta delle politiche commerciali.

Nonostante il clima in Inghilterra fosse meno cupo rispetto al resto dell’Europa, la consapevolezza di vivere un tempo di terribile crisi politica, religiosa e morale era viva negli intellettuali di quell’epoca. Ancor più in una figura come Bruno, le cui intenzioni erano quelle di smuovere le coscienze per risollevare l’umanità dalla decadenza morale e culturale in cui si trovava. Bruno intendeva far conoscere il suo pensiero filosofico, si recò in Inghilterra per diffondere il più possibile le sue idee.

In Inghilterra l’occasione gli venne offerta durante una rappresentanza politica organizzata nella corte della regina Elisabetta per accogliere il voivoda polacco Laski,9 arrivato a Londra nello stesso periodo di Bruno. Grazie all’aiuto di Michel de Castelnau, ambasciatore francese alla corte di Elisabetta, Bruno riuscì a entrare a far parte del seguito di Laski e si presentò al pubblico inglese polemizzando con uno dei più autorevoli rappresentanti dell’Università oxoniense. Le conseguenze non si fecero attendere. Una volta che Laski abbandonò l’Inghilterra, gli accademici oxoniensi non persero occasione per liquidare Bruno.

Della freddezza e dell’ostilità che l’accademia mostrava nei suoi confronti,Bruno si rese conto fin dal primo confronto con il teologo John Underhill, uno dei maggiori rappresentanti della Athenae Oxonienses.10 Bruno ebbe con questi accesa disputasu un’opera aristotelica. Nonostante il successo con il quale affrontò la discussione che gli permise di tenere alcune letture pubbliche, le sue teorie vennero accettate con riluttanza dagli accademiciche le considerarono bizzarre e inautentiche. L’accusa di aver plagiato l’opera di Marsilio Ficino gravò talmente tanto su Bruno, che egli dovette lasciare la

9 S. RICCI, Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento, Salerno Editrice, Roma 2000, p. 193. 10 M. CILIBERTO, Il teatro della vita, Mondadori, Milano 2007, pp. 158-165.

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città con la consapevolezza che non avrebbe mai potuto ricevere da quegli accademici nessuna approvazione ma solo biasimo e critiche crudeli. Gli oxoniensi lasceranno di Bruno un ritratto spietato e crudele, come testimonia il testo di George Abbot, arcivescovo di Canterbury dal 1611 dal 1633:

«Quando quell’omiciattolo italiano, che si autodefiniva Philoteus Iordanus Brunus Nolanus, magis elaboratae theologiae Doctor, etc. [...] con un nome certamente più lungo del suo corpo, visitò nel 1583 la nostra università al seguito del duca polacco Alasco, non stava nei panni per il desiderio di compiere qualche memorabile impresa, di divenire famoso in qualche celebre ateneo. Ritornandovi non molto tempo dopo, quando, con molta più audacia che saggezza, ebbe occupato il posto più alto della nostra migliore e più famosa scuola, rimboccandosi le maniche come un giocoliere e facendoci un gran parlare di chentrum et chirculus et circumferenchia (tale è infatti la pronuncia nel suo paese natio), egli intraprese il tentativo, fra moltissime altre cose, di far stare in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra girava, e il suo cervello che non stava fermo. Quando egli ebbe finito la sua prima lettura, un uomo grave, che occupava allora, come tuttora occupa, una posizione eminente in quella università, ebbe l’impressione di aver letto da qualche parte quelle stesse cose che il dottore stava esponendoci: ma, tenuto per sé il suo aspetto, quando ascoltò la seconda lezione di Bruno gli sovvenne di che cosa si trattava e, recatosi nel suo studio, trovò che sia la prima sia la seconda lettura erano state tratte, quasi parola per parola, dalle opere di Marsilius Ficinus […]. Dopo che egli ebbe messo al corrente della cosa quel raro ed eccellente ornamento della nostra terra, colui che ora è vescovo di Durham, ma allora eradiacono della Chiesa di Cristo, si pensò, dapprima, di rendere noto all’illustre lettore quanto avevano scoperto. Ma colui che per primo aveva contribuito ad accertare la verità, più saggiamente, propose di metterlo alla prova ancora una volta; e se egli avesse continuato a prendersi gioco di lui, e di tutto l’uditorio, per la terza volta, allora avrebbero agito a loro piacimento. E poiché Iordanus continuava ad essere idem Iordanus, essi gli fecero sapere sempre attraverso una certa persona che avevano avuto già troppa pazienza nei suoi confronti e che egli aveva già abbastanza infastiditi; e così, con grande onestà da parte di quell’ometto, la questione ebbe termine».11

Fa notare Ciliberto come da questo testo emerga, con un tono cinico e ironico, una caricaturale immagine di Bruno volta a ridicolizzarne l’aspetto fisico, considerato troppo piccolo ed esile, e l’aspetto intellettuale, schernendone la sua incapacità di contenersi, la sproporzione delle sue ambizioni, la tendenza a plagiare le opere di altri autori, il suo conseguente e presunto prenderne atto arrivando perfino a celebrare,

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sempre secondo Abbot, «un auto da fé, sia pur privato, per non dare scandalo pubblico e danneggiare, oltre sé, i suoi protettori».12 In realtà, per quanto riguarda il plagio, Bruno era consapevole che l’accusa non aveva alcun fondamento. Grazie alla sua formidabile memoria, infatti, era in grado di citare, stravolgendoli, passi di autori senza indicarli. Questa fu una dote che gli si ritorse contro: gli accademicine fecero cattivo uso per consolidare definitivamente e diffondere la fama di plagiaro di Bruno.

Riguardo l’esperienza oxoniense il nolano lasciò un documento pubblicato nella seconda metà del 1583: la Lettera al vicecancelliere dell’università di Oxford ai chiarissimi dottori e celeberrimi Maestri. Riportiamo qui per intero la Lettera:

«Filoteo Giordano Bruno da Nola, dottore in una teologia meglio elaborata e professore di una sapienza innocua e più pura, filosofo conosciuto, approvato e onorevolmente accolto nelle principali università d’Europa, in nessuna parte straniero fuorché presso gente barbara e ignobile, quegli che ridesta gli animi sonnecchianti, che doma la ignoranza presuntuosa e ricalcitrante, che in tutte quante le sue azioni attesta l’amore per gli uomini in generale, che non fa differenza tra Italiano e Inglese, maschio e femmina, mitrato e incoronato, uomo di toga e uomo d’arme, uomo cocollato (hominem) e uomo non cocollato (virum), bensì più ama colui che nelle relazioni sociali si manifesta più pacifico, civile, fedele e utile, che non guarda a testa unta, a fronte segnata, a mani lavate e membro circonciso, e invece guarda (là dove può scorgersi il volto del vero uomo) all’anima e alla cura dell’intelletto, detestato dai propagatori di stoltezza e dagl’ipocritelli, caro ai galantuomini e agli studiosi, e fatto segno al plauso di più nobili ingegni, porge moltissimi saluti all’eccellentissimo e chiarissimo vicecancelliere dell’Accademia di Oxford e, insieme con lui, ai più cospicui della medesima Università.Ragguardevoli signori, ci son di quelli, i quali, essendosi sufficientemente resi conto che, come neanche da noi si nega, la sapienza di questo mondo è pazzia appo Dio, avendo in avversione tutte le discipline speculative, non studiano affatto. Essendo essi piuttosto portati ad ammettere che le opere della nostra giustizia son come lorde di mestruo, e che niuno è giustificato al cospetto di Dio, niente fanno di buono.Intanto, tuttavia, per non essere ritenuti malvagi e ignoranti, tutt’a un tratto, senza studiare, diventano dotti, secondo il detto: «Tu hai nascoste queste cose a’ savi, ed intendenti, e le hai rivelate a’ piccioli fanciulli». E del pari son fatti probi senza uopo di proprie buone azioni, secondo il detto: «Tu sei la giustizia mia, o Signore». Persino i più facinorosi si trasformano in santi, mondi e puri, secondo il detto: «Candidi son diventati nel sangue dell’agnello». Infine gente stolta, ignobilissima e infame non si riconosce seconda ad alcun nobile lignaggio, secondo il detto: «Voi siete la generazione eletta di Dio, e il real sacerdozio». Certamente cotali

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fanciulletti, giusti, puri, candidi, eletti, re, sacerdoti e semidei, che sarebbero capaci di trapassare la nostra semplicità, sino al centro dell’animo, io li pavento più che la morte stessa: onde, per evitare che cosifatta genia si unisca contro di me, con qualche fondamento di equità e di diritto, faccio, in presenza della vostra eccellenza, una dichiarazione solenne: vale a dire, mentre noi, recando i frutti dei nostri trovati, presentiamo precetti sommamente utili per tutte le funzioni dell’animo – quando accadrà che, per determinare la ragion teorica e l’applicazione pratica, sembriamo portati ad approvare le dottrine di Pitagora, Parmenide, Anassagora e di migliori filosofi, oppure a metter avanti idee nostre nuove e personali – qualora queste enunciazioni paiano in contrasto con la fede comune e ortodossa, si deve intendere che tali espressioni sono da noi profferite non come assolutamente vere, ma come meglio conformi alla nostra ragione e senso o come, per lo meno, non tanto assurde quanto l’altro termine della contraddizione. E una cosa richiamino alla memoria: checioè noi non tanto presumiamo del nostro sapere, quanto piuttosto siamo mossi da amor di manifestare la infondatezza della volgar filosofia, la quale pretende d’imporre, come verità provate per via di dimostrazione, princìpi creduti immediatamente: e che si faccia manifesto, attraverso le discussioni nostre (se tanto sarà concesso dagli Dei) quanto sieno rispondenti al regolato senso, e in armonia con la verità della sostanza delle cose, quelle dottrine, che dalla garrula moltitudine dei filosofi plebei son rigettate come ripugnanti al senso. Non vorrei intanto che, a quel modo che, in tempo d’inondazione, gli stronzoli degli asini dissero agli aurati frutti: siamo anche noi pomi che galleggiano, così a qualsiasi stolto e asino sia ora lecito di farsi contro, ragliando, alle nostre tesi presentate qui o altrove, in questa o in altra maniera; bensì, se ci sono taluni di tal titolo, degnità o capacità, da esser in qualche modo ritenuti non indegni di venir alle prese con noi, e ai quali noi possiamo replicare senza disdoro del nostro stato, troveranno dispostissimo e prontissimo, un uomo, con il quale potranno saggiare la misura delle proprie forze».13

In questa lettera Bruno si scaglia contro gli accademici oxoniensi, criticando la loro ostile e barbara accoglienza a cui viene contrapposta invece quella positiva delle altre università europee.Di questi accademici Bruno coglie negativamente l’aspetto di pedanteria, l’eccessivo culto della forma delle «parole, senza mai capire i sentimenti».14Come sottolinea Ciliberto, nella prima parte della lettera domina un tono enfatico, focalizzato sulla critica e sul disprezzo dei pedanti, mentre nella seconda parte vengono abbandonati i toni accesi per lasciar posto alla presentazione della sua

13 L. LIMENTANI, La lettera di Giordano Bruno al vicecancelliere dell’Università do Oxford, «Sophia»,

XII, 1933, nn. 3-4, pp. 6-10.

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«teologia meglio elaborata» e la sua «sapienza più pura».15 Bruno si propone l’obiettivo di ridurre le voci che circolavano sulla sua religione e la fama di essere un uomo singolare ed estroso. Nella terza parte della lettera respinge infine gli interlocutori definiti indegni e si dichiara disponibile a discutere con quelli definiti degni e capaci. Del soggiorno inglese di Bruno si trova traccia non solo nelle dispute con gli accademici oxoniensi che costituiranno la base della sua celebre critica contro i pedanti. Importanti furono anche le influenze della filosofia di Bruno nel campo della cultura inglese, in particolar modo su uno dei più grandi letterati di tutta Europa (in seguito del mondo intero): William Shakespeare.L’età elisabettiana è ricordata come l’età più florida della storia e della cultura inglese, caratterizzata da un importante sviluppo civile e culturale che vide il diffondersi di una fiorente letteratura e di una notevole creatività teatrale. Il teatro,grazie allo sviluppo delle compagnie londinesi diventa l’espressione privilegiata della vita culturale e artistica del paese. Il massimo esponente drammaturgico del teatro elisabettiano fu proprio Shakespeare e quest’ultimo aveva avuto modo di apprendere gran partedella cultura rinascimentale italiana. Nell’opera di Shakespeare si trovanoriferimentialla figura di Bruno. Il rapporto tra il nolano e Shakespeare avrà riscontro in particolar modo in dueopere dell’autore inglese, Pene d’amor perduto16

e Antonio e Cleopatra.

In Inghilterra Bruno venne introdotto alla corte di Elisabetta da Castelnau e arrivò a conoscere personalmente la regina, come ricorda nel Quinto costituto del 1592 negli atti processuali. In uno dei dialoghi scritti durante il soggiorno inglese, nelDe la causa,principio et uno, Bruno loda la regina, nominandola «diva non per attributo di religione, ma per un certo epiteto che li antichi ancora solevano dare a principi, ed in Inghilterra, dove allora io mi ritrovava e composi quel libro, se suole dar questo titolo de diva alla Regina; e tanto più me indussi a nominarla così, perché ella me conosceva, andando io continuamente con l’Ambasciator in corte».17

Nell’altro dialogo, La Cena de le ceneri, Bruno manifesta apprezzamento e ammirazione tanto che la descrive come una rarissima e singolare dama:

15 Ibidem.

16 Composta tra il 1593 e il 1596.C’è da evidenziare come nel biennio 1594-1595 Bruno è sotto processo,

perseguito dall’Inquisizione.

17 G. BRUNO, Un’autobiografia, a cura e con un’introduzione di Michele Ciliberto, Castelvecchi, Roma

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«[…] che da questo freddo cielo, vicino a l’artico parallelo, a tutto il terrestre globo rende sì chiaro lume: Elisabbetta dico, che per titolo e dignità regia non è inferiore a qualsivoglia re, che sii nel mondo; per il giudizio, saggezza, consiglio e governo, non è facilmente seconda ad altro, che porti scettro in terra: ne la cognizione de le arti, notizia de le scienze, intelligenza e prattica de tutte le lingue, che da persone popolari e dotte possono in Europa parlarsi, lascio al mondo tutto giudicare qual grado lei tenga tra tutti gli altri principi […] Non hai materia di parlar di tanto maturo, discreto e provido conseglio, con il quale quell’animo eroico, già vinticinque anni e più, col cenno de gli occhi suoi, nel centro de le borasche d’un mare d’adversità, ha fatto trionfar la pace e la quiete, mantenutasi salda in tanto gagliardi flutti e tumide onde di sì varie tempeste; con le quali a tutta possa gli ha fatto impeto quest’orgoglioso e pazzo Oceano, che da tutti contorni la circonda»18

.

Il giudizio positivo che Bruno aveva nei confronti della regina non fu però reciproco tanto che in «Inghilterra, prima e dopo la pubblicazione dello Spaccio meritò di essere chiamato dalla regina Elisabetta d’Inghliterra infedele, empio e ateo, riferì, nel 1612 Giulio Cesare la Galla, discorrendo della cosmologia di Bruno».19

Oltre a tenere rapporti con la corte reale, in Inghilterra Bruno tenta di inserirsi nell’ambiente accademico dopo la pubblicazionedell’Ars reminescendi. Nel giugno del 1853 si reca a Oxford dove inizia un corso di lezioni in cui espone le linee fondamentali del suo sistema filosofico, riguardanti il campo della religione, dell’etica, arrivando a toccare anche quello della cosmologia.

Bruno tornerà una seconda volta a Oxford nel successivo agosto ma in entrambe le occasioni è costretto a interrompere l’insegnamento a causa delle numerose contestazioni suscitate dalle sue riflessioni, in un ambiente in cui le idee filosofiche dominanti erano quelle di stampo aristotelico. Queste contestazioni culmineranno in accusa di plagio del De vita coelitus comparandadi Marsilio Ficino.

Nella Cena delle ceneriBruno apre una critica ai professori di Oxford dove si pone in difesadell’eliocentrismo copernicano. L’accesa polemica tra Bruno e gli inglesi si focalizzava principalmente su un’accusa da parte del nolano di un’eccessiva pedanteria degli accademici e sulla loro ostinatezza nell’accanirsi contro il sostegno di Bruno alla teoria eliocentrica. Di fatto, i dottori di Oxford non fecero un passo indietro,continuando invece a non accettare la teoria copernicana, vedendola solo come un’ipotesi

18 G. BRUNO, La Cena de le ceneri, cit., p. 144. 19 M. CILIBERTO, Il teatro della vita, cit., p. 243.

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astronomica. Dal canto suo, Bruno non voleva abolire la concezione cosmocentrica in favore di quella eliocentrica bensì abolire la nozione stessa di centro.

Nonostante il soggiorno inglese costituisca uno dei periodi più floridi del pensiero filosofico di Bruno, egli trovò grandi difficoltà nell’affermarsi all’interno dell’ambito accademico. A causa delle sue atipiche teorie filosofiche, fu costantemente bersaglio polemico delle élite colte che non ne apprezzavano l’aspetto innovativo.Bruno poi non perse occasione di ridicolizzare quegli stessi accademici nelle sue opere, scagliandosi contro la menzogna e l’ipocrisia, soprattutto quando queste provenivano dal mondo della cultura, contro la loro decadenza morale di chi utilizzava il sapere a scopo di guadagno. Scrive nel De la causaa riguardo:«vanno a buon mercato come le sardelle: perché come con poca fatica si creano, si trovano, si pescano, cossì con poco prezzo si comprano».20

20 G. BRUNO, De la causa, principio et uno, in Id., Dialoghi filosofici italiani, a cura di M. Ciliberto con

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CAPITOLO II

Verso una riforma morale

II.1. Il programma di Bruno

Un clima di tensione caratterizza il periodo di stesura degli Eroici furori, opera necessaria per comprendere quanto questa rifletta un’autobiografia di Giordano Bruno. Punto fondamentale per capire l’importanza dell’opera è la concezione che il nolano ha dell’infinito. La scoperta dell’infinito quale la ritroviamo nei Furori è di grande capacità incisiva sul piano gnoseologico. Questa concezione rimane predominante come cardine centrale su cui si muove l’intera filosofia di Bruno. Riuscire a comprendere il tema dell’infinito porterà a comprendere l’intero suo pensiero. Così Bruno «intrecciando con grande consapevolezza e intensità “filosofia” e “autobiografia” […] individua una straordinaria via d’accesso alla “verità”, prendendo le mosse, da un lato dalla radicale consapevolezza del “limite” dell’uomo, della sua insuperabile, ontologica,“accidentalità”, dall’altro dalla entusiastica “valorizzazione” della “infinità”».21

E’ importante comprendere quali siano gli strumenti che Bruno utilizza perarrivare a formulare una suavisione dell’infinito.Nella seconda metà del Cinquecento, l’infinito è un concetto assai complesso.Per cercare di spiegare come Bruno riesca ad esplicare questa complessità, facciamo qui ricorso ad alcune delle stesse concezioniche il nolano sviluppa: quella teologica e quella cosmologica.

Diverse sono state le risposte alla domanda su cosa sia l’inifinito per Bruno. Una delle più attinenti è quella di Ciliberto. Muovendosi dalle sue stesse considerazioni, ciò che porta Bruno a scoprire l’infinito è la riflessione, di carattere teologico-religioso, su Dio. Già da quando era entrato come novizio in convento, leggendo l'Enchiridion militis Christiani di Erasmo, Bruno si interroga riguardo alla necessità di un cambiamento del sistema civile ed ecclesiastico capace di infondere speranza. In questa prospettiva possiamo dire che «Erasmo fu, in tutti i sensi, il vero maestro di Bruno».22Gli anni napoletani ebbero una notevole importanza per lo sviluppo della filosofia di Bruno

21 G. BRUNO, Eroici furori, Introduzione di Michele Ciliberto, testo e note a cura di Simonetta Bassi,

Editori Laterza, Bari 1995, p. XXXI.

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proprio perché allora il nolano ebbe modo di confrontarsi a pieno con le idee riformatrici di Erasmo.

Ai tempi del noviziatonel convento domenicano, l’ambiente intellettuale e morale in cui trascorse l’adolescenza, Bruno si interrogò soprattutto riguardo alla figure di Cristo e della Trinità. Nonostante le letture e gli insegnamenti erasmiani, Bruno «se ne allontanò, sprezzante e furioso, quando da Cristo si sentì “tradito” e abbandonato» nonostante Cristo fosse stato «un modello da seguire e da imitare, piuttosto che una persona della Trinità da contemplare e adorare».23 La perplessità di Bruno intorno alla figura di Cristo fu un argomento che giocò un ruolo decisivo durante il processo inquisitoriale. Così parlava Bruno di fronte agli inquisitori:

«Io ho tenuto tutto quello che tiene la santa madre Chiesa catholica, si bene quanto alli miracoli ho detto che sono testimonio della divinità, ma maggior testimonio de essi è la legge evangelica appresso di me, perché delli miracoli disse il Signore: “Et maiora his facient”. Et in questo me occorse ancora che, benché altri fanno li miracoli, come li Apostoli, quelli sono in virtù de Cristo; di sorte, benché quanto all’esterno effetto pare medesmo miracolo de Cristo et dell’apostolo o santo, tutta volta questo fa per propria, quello per l’altrui virtù; et però ho tenuto che li miracoli di Christo fossero divini, veri, reali et non apparenti, né mai ho pensato, non che detto né creduto, cosa contrario di questo».24

Scrive a tal proposito Antonio Corsano che «al centro della crisi giovanile del Bruno ci fu un problema d’indole non filosofica ma teologica».25

Proprio da qui deriva la sua conseguente perplessità circa la domanda se la Trinità sia possibile e concepibile. Bruno giunge alla conclusione che la Trinità sia inconcepibile perché l’entità di Dio, essendo cosa infinita, non può incarnarsi nell’uomo, essendo questo finito. Inconcepibile diventa allo stesso tempo la figura di Cristo. Come rileva Ciliberto, per Bruno «la figura di Cristo come “vero Dio” e “vero uomo” è, letteralmente, incomprensibile» ed è dunque «il dogma trinitario, e il concetto di “persona”» che Bruno «respingeva in modo radicale».26 Dal quarto costituto del processoemergono parole che danno conferma a quanto detto. Bruno rispondeva all’Inquisitore che «il dubio, che ho havuto intorno all’incarnatione, è

23 M. CILIBERTO, Il teatro della vita, cit., pp. 21-25.

24 L. FIRPO, Il processo di Giordano Bruno, a cura di D. Quaglioni, Salerno Editrice, Roma 1993, p. 174. 25 A. CORSANO, Il pensiero di Giordano Bruno nel suo svolgimento storico, a cura di A. Spedicati,

Congedo Editore, Galatina 2002, pp. 45-46.

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stato che me pareva non tenere theologicamente dicendo che la divinità fosse con la humanità in altra forma che per modo di assistentia, come ho detto già;».27 Per Bruno, l’unico rapporto che può sussistere tra Dio e uomo è proprio quello di assistenza. In definitiva si scaglia contro la figura di Cristoarrivando a identificarlo come l’artefice di una dottrina che sarà per lui causa di effetti disastrosi, principi ingannevoli e spietate guerre di religione.

Bruno giunge a questa conclusione dopo aver analizzato la genesi dell’impostura della religione cristiana, quanto ne costituisce l’essenza. L’idea di definire il cristianesimo come una religione fallace, sottolineando con questo termine proprio il carattere ingannevole dei suoi principi e insegnamenti, si può osservare già nella Cena delle ceneri. In quest’opera Bruno, parlando dei Mercurii quali portatori di verità, afferma che a volte ne compaiono alcuni che diffondono un pensiero falso, così comeesistono i sileni alla “rovescia”. L’opera in cui questa prende maggiormente forma è lo Spaccio28

dove la figura di Cristo viene accostataa quella delle ambigue figuredel «divo e miracoloso Orione» e del «centauro Chirone».29 Cristo viene in sostanza presentato come vera causa del capovolgimento dei valori del mondo, come fonte del timore della morte degli uomini, rivelando così di essere un pessimo esempio per i suoi fedeli. Le critiche di Bruno si vengono a configurare come rileva Alfonso Ingegno come «una sorta di anti-Evangelo, come superamento di un insegnamento, quello di Cristo», e continua:

«Il rifiuto del suo messaggio, coincidente con l’alternanrsi delle epoche di luce a quella di tenebra, dovrà dunque passare non solo attraverso la sua divinità, del suo essere uomo e figlio di Dio insieme ma dovrà scalfire i momenti stessi del realizzarsi di questa impostura: la sua nascita, il suo presentarsi “mascherato” ed “incognito”agli uomini, l’origine demoniaca dei suoi prodigi, la possibilità potenzialmente sempre presente nel suo insegnamento di riuscire a ribaltare tutti quei valori in cui si compendiava per il Bruno la nozione corretta di perfezione umana, il carattere falso della pretesa gloria ottenuta presso il Padre, la sua caratteristica di personalità dominata da un insaziabile deisderio di ambizione e di gloria, le cause del suo permanere come fonte di illusioni presso gli uomini».30

27 G. BRUNO, Un’autobiografia, cit., p. 59.

28 Lo Spaccio de la bestia trionfante fa parte dei dialoghi morali londinesi. Pubblicata nel 1584 e dedicato

a Philip Sidney, l’opera propone un piano di riforma morale che comprendeva una critica sia del cattolicesimo che delle chiese riformate.

29 G. BRUNO, Spaccio della bestia trionfante, in Id., Dialoghi filosofici italiani, a cura di M. Ciliberto,

Mondadori, Milano 2000, pp. 477-664.

30 A. INGEGNO, La sommersa nave della religione. Studio sulla polemica anticristiana del Bruno,

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Continuando a soffermarsi sull’immagine di Cristo, in particolare nel momento della sua crocifissione, Bruno ne demolisce il valore teologico di redenzione e salvezza per l’umanità, vedendo la crocifissione come un mero pretesto per scusare i peccati degli uomini, arrivando addirittura a negarne la sua venuta nella storia. Un ulteriore aspetto della critica bruniana nei confronti dell’inganno del cristianesimo riguarda la responsabilità di Cristo nell’aver scatenato le guerre di religione, sia nell’Europa che nel nuovo mondo appena scoperto. Lo sterminio delle popolazioni indigene è stato compiuto in nome dei valori della Chiesa cristiana che ha predicato e diffuso messaggi di fratellanza e carità traditi invece da una realtà spietata e ingiusta mettendo così in luce i tragici aspetti contradditori e ambigui della dottrina cristiana.La conferma della posizione anticristiana di Bruno, dal tema sull’infinitezza a quello sull’Incarnazione, viene da una sua deposizione agli Inquisitori veneti:

«Io ho stimato che la divinità del Verbo assistesse a quell’humanità de Christo individualmente, e non ho possuto capire che fosse una unione ch’havesse similitudine di anima e di corpo, ma una assistenza tale, per la quale veramente si potesse dire di questo uomo che fosse Dio, e di questa divinità che fosse homo. E la causa è stata, perché tra la substanzia infinita e divina, e finita ed umana non è proporzione alcuna come è tra l’anima e il corpo, o qual si voglian due altre cose le quali possono fare uno subsistente».31

Per capire meglio il periodo in cui Bruno concentra la propria critica analizzando gli aspetti più negativi e contradditori della religione cristiana, è utile introdurre qui brevemente la figura antesignana di un ipotetico periodo di rinnovamento, causa prima che ha fatto sì che Bruno si allontanasse dal cristianesimo: l’umanista Erasmo da Rotterdam.

Ancor prima di Bruno, Erasmo voleva essere un rinnovatore della chiesa. Aveva già colto nel Cinquecento una profonda crisi della religione cristiana. Rispetto alla Riforma avviata da Lutero, le teorie di Erasmo non presero le distanze,così come invece accadde per Bruno, dalla religione cristiana. Questo non significa che Erasmo non operasse un’azione riformatrice. Per uscire dalla crisi occorreva secondo Erasmo ritornare alle fonti originarie della cultura cristiana. Afferma che le origini della religione servivano per

31 V. SPAMPANATO, Vita di Giordano Bruno, con documenti editi e inediti, Principato, Messina 1921,

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correggere tutte quelle concezioni cristiane che ormai macchiavano di colpa la stessa religione. L’intento di Erasmo è quello di ritornare alla purezza della fede cristiana, al principio, alla verità, in modo da riformare il cristianesimo corrotto. Per capire questo passaggio è opportuno soffermarsi un poco sull’opera I Sileni di Alcibiade32 dove Erasmo ribadisce con parole molto aspre e impietose la critica alla chiesa.

«Ci sono taluni che portano la chierica rasata: tu, giudicandoli dall’insegna, li onori come sacerdoti, ma se ficchi lo sguardo dentro al Sileno li troverai peggiori dei laici. Questa esperienza vale forse anche per qualche vescovo. Se assisti alla sua solenne consacrazione, se guardi il suo addobbo inconsueto, la mitra splendente d’oro e di gemme, il pastorale adorno anch’esso di gemme, insomma tutta la mistica armatura che lo ricopre dalla testa ai piedi, tu lo ritieni fermamente una creatura celeste e sovrumana. Ma prova a capovolgere il Sileno: non troverai (qualche volta) nient’altro che un uomo di guerra, un uomo d’affari, un tiranno addirittura. Allora concluderai che quell’addobbo prestigioso era tutta una farsa. (…) Torno a ricordare che nessuno si deve sentire offeso da quello che dico: di nomi, qui, non se ne fanno. Uno non appartiene a questa genia? Faccia conto che le mie parole non lo riguardino. Un altro riconosce nella mia descrizione il morbo che lo travaglia? Faccia conto d’essere stato ripreso. Il primo si può compiacere di sé; il secondo dovrebbe essermi grato».33

La corruzione che nel Cinquecento era ormai compenetrata nel cristianesimo stava finendo per distruggere le istituzioni civili e ogni forma di convivenza sociale.

È proprio in questo contesto che Bruno sente il bisogno di un forte progetto filosofico in grado di mostrare gli effetti nefasti della fede e della teologia cristiana sui diversi piani del sapere e della vita sociale. Con la consapevolezza che la corruzione morale, politica e religiosa imperava ormai sulla società a lui contemporanea, non volendo venire a patti con le iniquità della storia e della politica, maturò l’aspirazione a un rinnovamento profondo attraverso la sua filosofia, che si presenta così come un antidoto alla barbarie che stava sconvolgendo il mondo. Bruno intuisce che la dogmatica intolleranza degli ecclesiasti trova il suo principale alimento in un uso perverso della fede e della teologia ma a differenza di Erasmo, tornare ai veri fondamenti del cristianesimo non aveva per lui alcun valore riformatore proprio perché il cristianesimo era corrotto alla base. Come

32 L’opera, composta in Francia nel 1536, è un vademecum introduttivo alla pratica della religione. 33 E. ROTTERDAM, I Sileni di Alcibiade, in Adagia, a cura di Silvana Seidel Menchi, Einaudi, Torino

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ribadisce più volte Ciliberto è però «sbagliato inchiodare la “nova filosofia” alla polemica contro il cristianesimo: oltre che contro Cristo, essa voleva procedere oltre Cristo, situandosi, in modo consapevole o inconsapevole, oltre le barriere del tempo europeo-cristiano».34 Proprio «svincolandosi totalmente dal cristianesimo, Bruno si sentiva Mercurio di una nuova epoca delle scienze, delle opere, dei costumi, annunciatore di una nuova civiltà».35

Il secondo passo che Bruno compie per cominciare il suo cammino di riformatore muove dal campo della cosmologia, in parallelo alle sue concezioni sull’infinito. Cerca prima di tutto di liberarsi della visione geocentrica del mondo, di liberare il “centro” assoluto, quel centro che da secoli si era affermato come il fulcro della concezione cosmologica. Rifiuta in definitiva la visione aristotelico-tolemaica.36 Le sue tesi «s’opponevano agli aristotelici, ossia agli scolastici».37

Compiendo questo passo in avanti, non sostiene neppure la teoria eliocentrica di Copernico «nonostante Copernico sia stato uno straordinario compagno di strada nella ricerca della verità».38 Altrettanto di valore sono le parole che nella Oratio Valedictoria Bruno usa per dire l’importanza degli studi copernicani:

«[..] e Copernico pure, qual credete che sia, non solo come matematico, ma (cosa mirabile) occasionalmente anche come fisico? Si scopre che egli ha compreso di più in due capitoli, che Aristotele e tutti i Peripatetici nell’intera loro filosofia [...]».39

Bruno si spinge oltre. Giungea demolire il sistema antropocentrico sino ad allora dominante premettendo che l’universo sia infinito e costituito da infiniti mondi e sistemi solari, non troppo diversi da quello terrestre. Suppone inoltre che la terra sia solo uno tra gli infiniti mondi esistenti e arriva a dedurre che questa non sia neppure centro assoluto dell’universo che, essendo anch’esso infinito, non si colloca in una posizione definita in

34 M. CILIBERTO, Il teatro della vita, cit., p. 51. 35 Ibidem.

36 Uno dei principali bersagli polemici della filosofia di Bruno è l’aristotelismo, rifiutato sia in ambito

cosmologico che in quello letterario. Per questo motivo rimane un vero e proprio pensatore controcorrente dal momento che la cultura conservatrice dell’epoca sosteneva la diffusione della dottrina aristotelica interpretata in maniera quasi dogmatica.

37 G. W. F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, Editori Laterza, Bari 2013, p. 435. 38 M. CILIBERTO, Il teatro della vita, cit., p. 123.

39 G. BRUNO. Oratio Valedictoria, in Id., Opere di Giordano Bruno e Tommaso Campanella, a cura di

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quanto non risulta fermo e immobile proprio perché non ha un vero centro tanto che in un verbale dell’interrogatorio svoltosi a Venezia il 2 giugno 1592 di fronte all’Inquisizione affermò con semplicità e franchezza:

«Ed in questi libri particolarmente si può veder l’intenzion mia e quel che ho tenuto; la qual insomma è ch’io tengo un infinito universo, cioè effetto della infinita divina potentia, perché io stimavo cosa indegna della divina bontà et potentia, che possendo produr, oltra questo mondo un’altro et altri infiniti, producesse un mondo finito. Sì che io ho dechiarato infiniti mondi particulari simili a questo della terra; la quale con Pittagora intendo uno astro, simile alla quale è la Luna, altri pianeti et altre stelle, le qual sono infinite; et che tutti questi corpi sono mondi et senza numero, li quali constituiscono poi la università infinita in uno spatio infinito; et questo se chiama universo infinito, nel quale sono mondi innumerabili […]».40

Così operando, Bruno cambia il modo di ragionare. Ogni vivente può essere il centro dell’universo. Bruno non precisa un ente assoluto e distinto rispetto agli altri esseri che si pongano al centro.Distrugge ogni gerarchia per far capire che il centro dell’universo è un “qualsiasi essere” posto in ununiverso infinito. Perciò «scoprendo i mondi innumerabili e distruggendo le “muraglie”- e le “fasce” – che ne avevano costantemente salvaguardato il “primato”, Bruno toglie all’uomo ogni centralità, riducendo a puro dettaglio, ad “accidente” finito dell’infinito prodursi della materia infinita».41

Importante è un passo tratto da LaCena delle ceneri:

«Il Nolano [...] ha disciolto l’animo umano, et la cognizione che era rinchiusa ne l’artissimo carcere de l’aria turbolento [...] Or ecco quello ch’ha varcato l’aria, penetrato il cielo, discorse le stelle, trapassati gli margini del mondo, fatte svanir le fantastiche muraglia de le prime, ottave, none, decime, et altre che vi s’avveser potute aggiungere sfere per relazione de vani matematici, et cieco veder di filosofi volgari. [...] ha donati gli occhi a le talpe, illuminati i ciechi che non possean fissar gli occhi et mirar l’imagin sua in tanti specchi che da ogni lato gli s’opponevano […]».42

40 G. BRUNO, Un’autobiografia, cit., p. 51. 41 M. CILIBERTO, L’occhio di Atteone, cit., p. 6. 42 G. BRUNO, La cena delle ceneri, cit., pp. 27-29.

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Muovendosi in questa direzione e cercando di liberare la terra dal geocentrismo di stampo aristotelico, Bruno comincia a porre la differenza tra filosofia e religione, tra verità e fede.Ancor prima di Galileo, distingue la funzione della religione da quella della filosofia o, più precisamente, della scienza. Il cercare verità di natura scientifica nei libri sacri ha una conseguenza rilevante circa la verità così come comunementela si intende in quanto viene fornita una spiegazione approssimativa e distorta. La concezione bruniana della verità è incentratasul ruolo stesso della religione poiché questa nasce per far sì che gli uomini possano vivere in pace e in armonia tra loro. Citando ancora da un’analisi di Ciliberto riguardo all’opera dello Spaccio emerge che:

«[…] il problema che Bruno si poneva con lo Spaccio e, in generale con la sua riflessione etico -politica e religiosa era quello di ridonare al mondo quel senso che l’impostura cristiana aveva distrutto. Ma fare questo significava ristabilire un rapporto tra Dio, uomo e mondo, ricostituendo i nessi spezzati dal cristianesimo. Non che il che il cristianesimo non avesse sentito il bisogno di stringere un legame tra uomo e Dio, anzi. Si era inventato il mito dell’Incarnazione, anch’essa una favola cattiva e una maligna impostura. Dio non poteva essere riportato in quel modo nel mondo, perché non è possibile che l’infinito si congiunga al finito, in un soggetto umano. […]».43

Questo è il messaggio politico e religioso che è presente nello Spaccio.Questa breve analisi fa sorgere l’interrogativo allora di quale sia la religione di Bruno. L’unica possibile via per Bruno di tornare alla vera essenza della religione cristiana è quella di recuperare l’antico nesso comunicativo delle strutture tra Dio e natura, tra divinità e uomo in modo tale da non farsi contaminare dai falsi dogmi che hanno alterato l’ordine del mondo. Risulta centrale di fatto proprio la religione ermetica. Già nello Spaccio sono presenti riferimenti al Lamento di Ermete Trismegisto, soprattutto riguardo alla descrizione della decadenza del mondo, dell’apocalisse e della renovatio, temi rilevanti presenti anche nei Furori secondo il modello dell’Asclepius. Scrive Bruno nel quinto dialogo della prima parte dei Furori:

«Quanto agli stati del mondo, quando ne ritroviamo nelle tenebre e male, possiamo sicuramente profeti zar la luce e prosperitade; quando siamo nella felicità e

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disciplina, senza dubio possiamo aspettar il successo de l’ignoranze e travagli: come avenne a Mercurio Trismegisto che per veder l’Egitto in tanto splendor de scienze e divinazioni, per le quali egli stimava gli uomini consorti de demoni e dèi, e per conseguenza religiosissimi, fece quel profetico lamento ad Asclepio, dicendo che doveano succedere le tenebre de nove religioni e culti, e de cose presenti non dover rimaner altro che favole e materia di con dannazione».44

Ecco che attraverso il tema ermetico Bruno «voleva sottolineare il rovesciamento di tutti i valori in cui si trovava il mondo e, al tempo stesso, proporsi come un vero Mercurio pronto ad avviare la riforma del mondo, liberando dalla decadenza delle opere, delle scienze e dei costumi in cui era precipitato con il ciclo ebraico-cristiano».45

Come quello dell’infinito, questo è un tema centrale della filosofia nolana, che ha come intento, a tratti manifesto, a tratti recondito, quello di uscire dallo stato di crisi che l’Europa di quel tempo attraversava, un’Europa riformata e però devastata dagli scismi e dalle guerre di religione. Rifondare i principi etici dell’umanità era possibile solo se si usciva dalla crisi religiosa che attanagliava l’Europa e per fare questo occorreva allora per Bruno un vero «capitano di popoli»46 quale lui stesso si definiva, divenendo il divulgatore di quella che prende il nome di renovatio mundi, fondamentale per avere una nuova concezione etica e filosofica del mondo. In definitiva, la religione che Bruno proponeva aveva come scopo quello di «risarcire la dolenda secessio tra uomini e dei che il cristianesimo ha partorito» tramite la riaffermazione del «primato del merito, della praxis, della virtù civile e naturale».47 Se lo Spaccio e la Cabala si basavano sulla polemica alla vecchia morale nonostante indicassero i veri valori della moralità, non hanno però individuato il fine ultimo la cui spiegazione spetterà invece ai dieci dialoghi degli Eroici furori.

Nel comprendere il pensiero di Bruno da un punto di vista religioso, Amelia Yates,48 tra le maggiori studiose del pensiero di Bruno, è arrivata alla conclusione che si può vedere nella figura di Bruno un sostenitore della magia ermetica tanto da considerarlo come un “mago ermetico”. Nonostante l’ermetismo rimanga centrale nella filosofia di Bruno resta

44 G. BRUNO, Eroici furori, in Id., Dialoghi filosofici italiani, a cura di M. Ciliberto con note di N.

Tirinnanzi, Mondadori, Milano 2000, p. 879.

45 M. CILIBERTO, Il teatro della vita, cit., p. 254. 46 M. CILIBERTO, L'occhio di Atteone,cit.,p. 131.

47 M. CILIBERTO, Introduzione a Bruno, Laterza, Roma 2006, pp. 97-98.

48 Importanti sono stati gli studi condotti dalla studiosa inglese e decisiva è stata la sua interpretazione

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il fatto che non sia un mero mago ermetico in quanto la religione non può basarsi esclusivamente sulla magia. Come rileva Simonetta Bassi:

«Bruno usa la magia come strumento valido sia per criticare la religione del suo tempo sia per proporre un diverso modello di accesso al divino, al fine però di recuperare organicamente non solo il rapporto con la dimensione naturale, ma soprattutto con quella civile, favorendo l’uscita da quell’isolamento interiore in cui era rinchiuso il singolo individuo, interamente volto all’ascolto della parola di Dio. La magia bruniana, infatti, trova il suo campo di applicazione più innovativo in rapporto alla vita civile e politica: guardare ad essa, passando attraverso una critica della religione, rappresenta infatti l’elemento di novità e di progresso della riflessione bruniana sulla magia, la quale arricchisce il quadro interpretativo di un’età che non può essere compreso solo attraverso coppie oppositive, quali quelle di magia-scienza o magia-religione».49

Perciò Bruno è inizialmente e senza alcun dubbio un filosofo che, attraverso il ragionamento e la speculazione filosofica, scopre la magia come un possibile e utile mezzo di indagine del suo tempo. In secondo luogo può essere considerato in parte anche “scienziato”. Ovviamente non è in questo lavoro che dobbiamo discutere sulle opere bruniane orientate maggiormente sul campo scientifico in quanto richiederebbe molta più analisi di quella che è stata appena fornita, ma Bruno si può definire scienziato non perché segue precisi metodi scientifici di ricerca per avvalorare le sue tesi ma soprattutto perché la sua idea di universo infinito è anche oggetto di studio delle scienze matematiche e fisiche nonostante questo argomento appartenga al campo di indagine della metafisica. Inoltre occorre sottolineare il fatto che nell’epoca di Bruno la differenza tra la figura del filosofo e quella di scienziato non era così marcata e di conseguenza entrambi i ruoli potevano apportare contributi significativi allo sviluppo del pensiero moderno e scientifico.

Fino ad ora è stata usata l’espressione “nolana filosofia” e a questo proposito è necessario soffermarsi su un appunto fondamentale. Oltre che nolana, la filosofia di Bruno va compresa dal punto di vista di una “nova filosofia” in quanto «nel suo momento genetico è, in primo luogo, una riflessione - e un giudizio - sui caratteri e sui protagonisti della

49 S. BASSI, L’incanto del pensiero, studi e ricerche su Giordano Bruno, Edizioni di storia e letteratura,

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crisi che travaglia la misera Europa».50 È designata come “nova” perché Bruno stesso si fa portatore di un messaggio prima che personale di valore universale. Ma c’è di più. Quando usiamo l’espressione “nolana filosofia” dobbiamo essere consapevoli che in essa vi è racchiuso la missione di un Mercurio che è quella di svelare, vedere, volare, portare alla luce una verità ormai assopita dalla decadenza culturale Europea. Ma come possiamo arrivare a questo se non affiancando ad esse anche i loro contrari, le parole come velare, accecarsi, interrarsi, celarsi? Ecco che il ruolo di Bruno come Mercurio ha il compito di spingere gli uomini a conoscere il giusto «volto della natura»51 pur riconoscendo al contempo l’altra metà di cui quel volto della realtà è composta perché non ci può essere ricerca conoscitiva senza “sprofondare” nella coscienza e questa è la direzione in cui si muoveranno i Furori. Bruno, come vedremo, nel suo piano di riformatore non cerca di parlare di una vicenda esclusivamente interiore, ma piuttosto di un cammino di portata universale che si riassume successivamente attraverso l’indagine interiore, sprofondando nel mondo della coscienza di un uomo tormentato dall’incessante ricerca della conoscenza. Ma come sarebbe possibile questo intento se non tramite la ricerca messa in atto da una figura come l’eroico furioso? Il ruolo dell’autobiografia nei Furori assumerà un valore significativo proprio in parallelo a questa figura e questo lo vedremo meglio più avanti. I temi che abbiamo affrontato in questa sezione risultano essere fondamentali nella filosofia di Bruno dei quali alcuni li ritroveremo anche nei Furori,come il tema dell’infinito perché come rileva Ciliberto:

«Il Nolano nei Furori non affronta in modo esplicito temi ontologici o cosmologici; ma tutta la riflessione che sviluppa in queste pagine sarebbe incomprensibile se non si tenesse fermo il punto di vista acquisito nei dialoghi cosmologici: è la scoperta dell’infinito che muta in maniera radicale caratteri e forme della conoscenza umana, e più in generale, pone in modi completamente nuovi il problema del rapporto tra ente e accidente, tra assoluto e comunicato, tra luce e ombra, tra “cose inferiori” e “cose superiori”».52

50 G. BRUNO, Eroici furori, Introduzione di Michele Ciliberto, Testo e note a cura di Simonetta Bassi,

Editori Laterza, Bari 1995, p. XXXVII.

51 Ivi, p. XXIX.

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CAPITOLO III

Bruno e i Furori

III.1. La solitudine di un Mercurio

Una domanda fondamentale che occorre porsi riguardo l’importanza dell’aspetto autobiografico quale emerge dalle sue opere è quella del perché Bruno visse in una condizione di uomo “solo” e, di conseguenza, perché voleva proporsi come un Mercuriomandato dagli dèi.

Bruno non era solo in quanto isolato ma perché si muoveva all’interno di una posizione filosofica originale e insolita che poteva essere in grado di ribaltare le concezioni filosofiche e religiose sino ad allora dominanti. Una posizione che andava in contrasto con quelle che erano le linee fondamentali della filosofia e della religione del suo tempo. È importante mettere in evidenza che Bruno è il pensatore più anticristiano del Cinquecento. È questo uno dei motivi salienti capace di spiegare la sua solitudine. Per capire perché fu un uomo solo può essere utile analizzare la triste vicenda che ha segnato la fine della sua vita, il rogo di Campo de’ Fiori.53

La notizia del rogo di Bruno si diffuse in tutta Europa senza sollevare eccessive polemiche. Proprio di «fronte a quel rogo ci fu un silenzio direttamente proporzionale alla radicalità dei problemi - e delle soluzioni - di cui Bruno si era fatto messaggero, annunciando al mondo l’avvento della “nova filosofia”. Sta precisamente qui la radice di quella estrema solitudine: nel momento in cui muore, con le sue idee cosmologiche, etiche, religiose Bruno rappresenta una posizione in cui nessuno riesce a riconoscersi».54

Ci possono essere diverse chiavi di lettura di questa triste vicenda che determinò la fine (una fine materiale ma non culturale in quanto la filosofia di Bruno risulta tutt’oggi di un’enorme importanza filosofica) di un pensatore così unico.

53 La richiesta di abiura viene posta il 12 gennaio 1599. Bruno decide di rimanere coerente con le sue

idee. Rifiuta di abiurare e viene condannato al rogo. Fu arso vivo a Roma, in Campo de’Fiori, il 17 febbraio del 1600.

54 M. CILIBERTO, Umbra profunda, studi su Giordano Bruno, Edizioni di storia e letteratura, Roma

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