prospettiva che tale opera può essere letta anche come una rappresentazione di quella funzione “immunitaria”, tipica del diritto, che costituisce la comunità destituendola, individuando il proprium di ciascuno all’interno della dimensione comune: in tal senso il Castello appare come raffigurazione emblematica del rapporto tra ‘comunità’ – rappresentata dal villaggio ai piedi del Castello – e ‘diritto’, di cui è portatore il protagonista K., non per niente estraneo alla comunità ma, al tempo stesso, necessario (è un agrimensore in tutti i sensi!), prototipo dello straniero interno, proprio come il diritto, che sopra-‘giunge’ nella comunità allo scopo di conservarla, immunizzandola (cfr. su ciò R. Esposito, Immunitas, cit., pp. 25 e ss.).
86 Cfr. G. Agamben, op. cit., pp. 64 e ss.
87 La locuzione è contenuta nella ottava delle Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin (cfr. W. Benjamin,
Über den Begriff der Geschichte, in Gesammelte Schriften, cit., vol. I/2; trad. it. Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Einaudi, Torino 1997).
88 Jacques Derrida, in un saggio su Benjamin, ha invitato a guardare alla violenza fondatrice come al momento
che sospende il diritto, ponendosi quale istanza di un non-diritto ma coincidendo, al tempo stesso, con tutta la storia del diritto: «Questo momento ha sempre luogo e non ha mai luogo in una presenza. È il momento in cui la fondazione del diritto resta sospesa nel vuoto o al di sopra dell’abisso, sospesa a un atto performativo puro che non dovrebbe render conto a nessuno e davanti a nessuno» (J. Derrida, Force de loi. Le «Fondement mystique de l’autorité, Èditions Galilée, Paris 1994; trad. it. Forza di legge. Il «fondamento mistico dell’autorità», a cura di F. Garritano, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 103). Derrida paragona il soggetto di tale atto performativo puro all’“uomo di campagna” kafkiano che si trova davanti a una legge che non riesce a vedere «perché essa è trascendente nella misura stessa in cui è lui che deve fondarla, come a venire, nella violenza» (ibidem). Ma sta proprio in ciò, in questa «struttura aporetica» in cui ogni «“soggetto” si trova preso in anticipo», la “responsabilità” di chi si ritrova ad essere davanti alla legge, ad una legge che appare trascendente, promessa, a venire, proprio perché immanente, finita e già passata: «la legge è trascendente, violenta e non violenta, perché dipende solo da chi è davanti a essa – e dunque prima di essa –, da chi la produce, la fonda, l’autorizza in un performativo assoluto la cui presenza gli sfugge sempre» (ibidem). È, in altre parole, nella responsabilità di varcarne la soglia che si dà la legge, in virtù di una trasgressione, di una «forza differenziale» che si oppone alla forza propria della legge rivelandone l’esistenza. Su questi aspetti si veda il saggio dedicato nello specifico al commento della parabola kafkiana J. Derrida, Préjugés. Devant la loi, in Id., Critique de la faculté de juger, Minuit, Paris 1985; trad. it. Pre-giudicati. Davanti alla legge, a cura di F. Garritano, Abramo, Catanzaro 1996.
termini, che la relazione di bando distingueva e manteneva uniti (la nuda vita e la forma di legge), si aboliscono a vicenda ed entrano in una nuova dimensione»90. Scriveva Benjamin riferendosi all’opera
kafkiana: «Il diritto che non è più esercitato ed è solo studiato, è la porta della giustizia»91.
Solo così, forse, sarebbe possibile arrivare a presentarsi a sorpresa, di notte, al funzionario per un interrogatorio, non addormentandosi più sul più bello92. Il “vero” stato di eccezione prenderebbe, allora, il sopravvento su quello “fittizio”, ovvero sulla finzione della pura forma di legge, di quella vigenza senza significato così potente e suggestiva da atterrire la potenza dei soggetti catturati nel suo bando e così finta tanto da sembrare vera, totalizzante, insuperabile. Tanto da provocare quel sonno, quella dipendenza dal fattore K, da cui forse Kafka, attraverso la sua opera, voleva esortare a destarsi, a liberarsi.
Dipartimento di Diritto Pubblico dell’Università di Pisa
90 G. Agamben, op. cit., p. 64. Commentando un passo di Nancy, così osserva Agamben: «La sovranità è, infatti,
precisamente questa “legge al di là della legge cui siamo abbandonati”, cioè il potere autopresupponente del nómos, e solo se si riesce a pensare l’essere dell’abbandono al di là di ogni idea di legge (sia pure nella forma vuota di una vigenza senza significato), si potrà dire di essere usciti dal paradosso di una sovranità verso una politica sciolta da ogni bando» (p. 68). Scrive ancora Agamben: «Solo dove questo si scioglie da ogni idea di legge e di destino (ivi comprese la kantiana forma di legge e la vigenza senza significato), l’abbandono è veramente sperimentato come tale. Occorre, per questo, tenersi aperti all’idea che la relazione di abbandono non sia una relazione, che l’essere insieme dell’essere e dell’ente non abbia la forma della relazione. Questo non significa che essi fluttuino ora ciascuno per proprio conto: piuttosto essi consistono ora senza relazione. Ma ciò implica nulla di meno che provare a pensare il factum politico-sociale non più nella forma di un rapporto» (pp. 69-70).
91 W. Benjamin, Franz Kafka, cit., p. 304.
92 Come dice Bürgel nel suo colloquio/monologo con K., a sprofondare nel sonno sarebbero, a quel punto, i
funzionari del Castello, sopraffatti dalla stanchezza dovuta al pensiero che «qualcuno possa trovare una lacuna, che “un granello, singolare e formato in modo particolarissimo, piccolo e abile” riesca a scivolare attraverso “l’impareggiabile setaccio” del Castello. Basterebbe questo a ledere la sua capacità di non essere intaccato dal mondo. Allora accadrebbe l’evento più inverosimile: quel “granello”, quindi la parte, con il suo carico di “povera vita”, si troverebbe d’un tratto a “dominare tutto”. E null’altro avrebbe da fare che “presentare in qualche modo la sua richiesta, il cui adempimento è già pronto, anzi si sporge verso di essa”» (F. Calasso, K., cit., p. 302).
Q
UEVEDO EN TELA DE JUICIO,
O SEA ELT
RIBUNAL DE LA JUSTA VENGANÇA DEL
UISP
ACHECO DEN
ARVÁEZ(D
E CONTIENDAS LITERARIAS YD
ERECHO EN LAE
SPAÑA DEL S.XVII)
* José Calvo GonzálezAbstract
The paper examines the “procedural drama” created by Luis Pacheco de Narváez (1570 - 1640) in his Tribunal de la justa venganza [Court the just vengeance] (1635) for the prosecution of literary aesthetics (and moral ideas and values) Quevedo´s [Francisco de Quevedo y Villegas (1580-1645)]. The uniqueness of the case in the frequent literary controversies of the time lies in the nature of judicial inquiry that was built. In this legal- procedural dimension reprimanded experiencing a profound rethinking of the semantic roles in the “production of sens” between Law and Literature/ Literature and Law.
«y con esto se /acabò esta Avdiencia, a honrra y gloria /del altissimo Señor, que viue y / reyna, por todos los siglos || de los siglos».
(Arnaldo Franco-Furt / Luis Pacheco de Narváez)
El Tribvnal de la ivsta vengança, erigido contra los Escritos de D. Francisco de Queuedo, Maestro de Errores, Doctor en Desvergüenzas, Licenciado en Bufonerías, Bachiller en Suciedades, Cathedratico de Vizios, y Proto-Diablo entre los Hombres (Valencia, 1635)
1. Antecedentes de hechos
Conviene remontar al Memorial denunciando al Tribunal de la Inquisición ciertas obras
políticas y satírico-morales de don Francisco de Quevedo. El manuscrito original y autógrafo,
redactado hacia 1630, lo adquirió en 1859 Aureliano Fernández-Guerra y Orbe, por cuya gentileza habría de publicarlo Marcelino Menéndez y Pelayo al t. I de las Obras de Quevedo en la edición que al
* Contribución destinada a los Estudios en Homenaje al Prof. Dr. Alejandro Guzmán Brito. (Facultad de
cuidado de ambos llevó a cabo la Sociedad de Bibliófilos Andaluces (3 vol., Sevilla, 1897-1907), y más tarde también por Luis Astrana Marín1. Aquel Memorial formaba aviso – mejor que delación,
según precisaba – acerca del contenido de cuatro libros de Quevedo: Política de Dios (Zaragoza, 1626), Historia de la vida del Buscón (Barcelona, 1626), Sueños y discursos de verdades (Zaragoza, 1627) – más concretamente, el Sueño del juicio final y El alguacil endemoniado – y Discurso de todos
los diablos o infierno enmendado (Gerona, 1628). Si bien la mayoría de los críticos tiene a D. Luis
Pacheco de Narváez (Baeza, 1570-Madrid, 1640) por su autor, hubo quien como Fermín Vegara Peñas2 desplazó la autoría hacia dos declarados enemigos de Quevedo (1580-1645): el antigongorino
Frai Diego Niseno ( Madrid, 1656), predicador de la Sagrada Religión del Monasterio de San Basilio Mártir de Madrid y el dramaturgo, discípulo predilecto de Lope de Vega y su biógrafo, Doctor en Teología por Alcalá y clérigo presbítero de la congregación de San Pedro, además de notario apostólico de la Santa Inquisición a partir de 1633, Juan Pérez de Montalbán (Madrid, 1602-1638), ya que ambos, predicador y notario, quedaron burlados de consumo en «La Perinola»3. No obstante, al
margen de la hipótesis defendida por Vegara, todo parece apuntar a Pacheco, quien por sus Peregrinos
discursos y tardes bien empleadas4 había resultado objeto de afilada sátira quevedesca en la Política de Dios5. A juicio de Fernández-Guerra, el Memorial careció de toda repercusión para las medidas que
el Santo Oficio llegó a adoptar respecto de las obras de Quevedo6, aunque la opinión de Vergara
igualmente lo contradiga, más inclinado a creer que su aportación en 1631 condujo a la prohibición de todas las obras de Quevedo impresas hasta entonces, en tanto no procediese a reformarlas. Y es que
1 Astrana Marín, Luis (ed.), Obras completas de Don Francisco de Quevedo Villegas, vol. II, Madrid, 1932, pp.
1099-1163.
2 Don Luis Pacheco de Narváez (Notas para su biografía), en Don Lope de Sosa, 197 (1929), pp. 141-142.
3
González de Amezúa, Agustín, Las polémicas literarias sobre el «Para todos» del Dr. Juan Pérez de Montalbán, en VV.AA., Estudios dedicados a Menéndez Pidal, vol. II, Madrid, 1951, pp. 409-443; Glaser, Edgard, Quevedo versus Pérez de Montalbán: the «Auto del Polifemo» and the Odyssean Tradition in the Golden Age Spain, «Hispanic Review» [en adelante HR], 28, 1960, pp. 103-120 y Dixon, Victor, Juan Pérez de Montalbán´s «Para todos», HR, 32, 1964, pp. 36-59. En tal polémica Diego Niseno contraatacaba con Censura del libro que compuso Juan Pérez de Montalbán, intitulado «Para todos», y respuesta a la «Perinola» que contra él escribió con este título don Francisco de Quevedo Villegas, y el propio Pérez de Montalbán con un panfleto titulado Trompa del doctor Juan Pérez de Montalbán contra la «Perinola» de don Francisco de Quevedo, diablo cojuelo, jorobado y con cuatro ojos [incluido en Pérez de Montalbán, Juan, Obra no dramática, ed. de Laplana Gil, José Enrique, Madrid, 1999]. Vid. también al respecto Piero, Raúl A. del, La respuesta de Pérez de Montalbán a «La Perinola» de Quevedo, «Publications of the Modern Language Association of America», LXXVI, 1961, pp. 40-47, y Vivar, Francisco, El poder y la competencia en la disputa literaria: «La Perinola» frente al «Para todos», HR, 68, 3, 2000, pp. 279-293.
4 Vid. ed. de Valladares Reguero, Aurelio, Pamplona, 1999 [Anejos de «La Perinola: Revista de investigación
quevediana» - en adelante «La Perinola»].
5 Valverde, Antonio,Un lance entre Quevedo y Pacheco de Narváez, diario «ABC», ed. de 2.III. Madrid 1958,
pp. 18-23, y Valladares Reguero, Aurelio, La sátira quevedesca contra Luis Pacheco de Narváez, «Epos: Revista de Filología», XVII, 2001, pp. 165-194 y «Peregrinos discursos y tardes bien empleadas»: Una obra desconocida de Pacheco de Narváez contra la «Política de Dios» de Quevedo, «La Perinola», 1, 1997, pp. 237- 258.
6
Fernández-Guerra, Aureliano (ed.), Historia de la vida del buscón llamado don Pablos, ejemplo de vagamundos y espejo de tacaños, en Obras de don Francisco de Quevedo, Madrid, 1852 [reimpresión de 1946].
siendo cierto que para el Buscón numerosos de los puntos “avisados” se mantuvieron en redacciones posteriores, no lo es menos que también existieron retoques para aminorar determinadas expresiones juzgadas irreverentes o blasfemas, como igualmente amplificaciones del retrato satírico de diversos personajes secundarios7, y que dicha obra nunca sería impresa en Castilla en vida del autor8.
En cualquier caso, no fue aquella la única invectiva que en su contra se lanzó; así, también la que de nuevo Pacheco de Narváez, erudito y fino esgrimista como de Maestro Mayor y examinador de armas y maestro de matemáticas en la corte de Felipe IV9, bien que esta vez bajo la seudónima
identidad del Licenciado Arnaldo Franco-Furt, y acaso auxiliado del poeta sevillano antigongorino Juan Martínez de Jáuregui y Aguilar (Sevilla, 1583- Madrid, 1641)10, del hábito de Calatrava, que en su comedia El retraído (1635)11 ya satirizara La cuna y la sepultura (1634)12, y de los antes citados
Pérez de Montalbán y Niseno, dio a las prensas en aquel mismo año 1635 con el título de El Tribvnal
de la ivsta vengança, erigido contra los Escritos de D. Francisco de Queuedo, Maestro de Errores,
7
Vid. Jauralde Pou, Pablo, ¿Redactó Quevedo dos veces «El Buscón»?, «Revista de Filología Románica», 5, 1987-1988, pp. 101-111; Enmiendas ideológicas al «Buscón», La Perinola, 2, 1998, pp. 87-103, y Errores de copia en la transmisión manuscrita de «El Buscón», en Davis, Charles, Deyermond, Alan, Golden Age Spanish Literature. Studies in Honour of John Varey, London, 1992, pp. 119-126. Asimismo Rey, Alfonso, Revisión del «Buscón», «Ínsula. Revista de Letras y Ciencias humanas», 531, 1991, pp. 5-6, Las variantes de autor en «El Buscón»: las descripciones de personajes, en García Martín, Manuel (ed.), Estado actual de los estudios sobre el Siglo de Oro. Actas del II Congreso Internacional de Hispanistas del Siglo de Oro, Salamanca, 1993, pp. 811- 817, y Las variantes de autor en la obra de Quevedo, La Perinola, 4, 2000, pp. 309-44. Con todo, no siempre los escrutinios practicados tendrían por causa las denuncias: Vid. Crosby, James, Schwartz, Lía, La silva «El sueño» de Quevedo: génesis y revisiones, «Bulletin of Hispanic Studies», LXIII, 1986, pp. 111-126. También López Sutilo, Rosario, Las variantes de la edición de Zaragoza 1628, en Rey, Alfonso (ed.) Estudios sobre «El Buscón», Pamplona, 2003, pp. 65-78.
8 Gacto Fernández, Enrique, Sobre la censura literaria en el s. XVII. Cervantes, Quevedo y la Inquisición,
«Revista de la Inquisición», 1, 1991, pp. 11-61, y Moll, Jaime, Quevedo y la imprenta, en Id., De la imprenta al lector. Estudios sobre el libro español de los siglos XVI al XVII, Madrid, 1994, pp. 7-20.
9 Fue Luis Pacheco de Narváez autor de: Libro de las grandezas de la espada en que se declaran muchos
secretos del que compuso el comendador Geronimo de Carrança. En el qual cada uno se podrá licionar, y aprender a solas, sin tener necesidad de maestro que le enseñe, Madrid, 1600 [ed. facs. València, 1994]; Compendio de la Filosofia y destreza de las armas de Geronimo de Carranza, Madrid, 1612; Modo facil y nueuo para examinarse los Maestros en destreza de armas i entender sus cien conclusiones ó formas de saber, Madrid, 1625 [otra en Zaragoça, 1658, y con añadido de Las diez y ocho Contradiciones à la comun Destreza, y las Cien Conclusiones, ò formas de saber la Destreza de las Armas, fundada en ciencia, Madrid, 1659]; Engaño y desengaño de los Errores q han qrido introducir en la destreza de las armas, Madrid, 1635, y Nueva ciencia y filosofia de la destreza de las armas, su teorica y practica / que dexo escrita don Luis Pacheco de Narváez, Madrid, 1672.
10 Jordán de Urríes y Azara, José, Don Juan de Jáuregui, biografía y estudio crítico, Madrid, 1899, y Crosby,
James, The Friendship and Enmity between Quevedo and Juan de Jáuregui, «Modern Language Notes», LXXVI, 1961, pp. 35-39, y Matas Caballero, Juan, Juan de Jáuregui. Poesía y poética, Sevilla, 1990.
11 El retraido: comedia famosa de Don Claudio: representòla Villegas: hablan en ella las personas que ha auido
en el mundo y las que no ha auido, Barcelona, 1635. Comedia que durante un tiempo se creyó inédita [Barrera y Leirado, Cayetano Alberto de la, Catálogo bibliográfico y biográfico del teatro antiguo español: desde sus orígenes hasta mediados del siglo XVIII, Madrid, 1860, p. 314], o «parece que impresa» hacia 1635 (Fernández- Guerra y Orbe, Aureliano-Menéndez y Pelayo, Marcelino, Obras de Quevedo, cit., vol. I, p. 400). Para Jordán de Urríes y Azara, José, cit., p. 195, Claudio «refiere etimológicamente “el cojo” ».
12 La cuna y la sepultura para el conocimiento propio y desengaño de las cosas agenas, Valencia, 1635. Vid.
también López Grigera, Luisa (ed.), Quevedo, Francisco de, La cuna y la sepultura para el conocimiento propio y desengaño de las cosas agenas, Madrid, 1969 [Anejo XX del «Boletín de la Real Academia Española»].
Doctor en Desvergüenzas, Licenciado en Bufonerías, Bachiller en Suciedades, Cathedratico de Vizios, y Proto-Diablo entre los Hombres13, constituido sobre todo frente a La Perinola al Doctor Joan Pérez de Montalbán (1633) – escrita contra el Para todos14, El Buscón (1629) y el específico Sueño del Infierno de Sueños y discursos: de verdades descubridoras de abusos, vicios y engaños en todos los officios, y estados del Mundo (1627).
Ahora bien, en qué medida el Memorial o esta otra reacción pudieron influir en las decisiones censorias del Santo Oficio es algo que no conocemos con exactitud.
Sí, por el contrario, que aunque a Quevedo dejó indiferente la aparición del Tribunal15, no
sucedió de igual modo con la delación-ataque del Memorial. A éste y su verosímil autor contrapuso la
vilísima agudeza de Quevedo los siguientes fragmentos de obras y composiciones: El Sueño del Juicio final16; El Buscón17, La hora de todos18; El Poema heroico de las necedades y locuras de Orlando el Enamorado19; Las valentonas y destreza (baile)20, y Enríenles de la destreza21. En todo caso, importan
más las concomitancias y hasta coincidencias textuales existentes entre Memorial y Tribunal, señaladas por Roncero López como indicio relevante de una común pluma, la que a su parecer no sería sino la de Pacheco de Narváez22.
En lo demás, entre los muchos denuestos y libelos antiquevedianos, amén de disputas y porfías que por remesa de afrentas o reenvío de ultrajes largamente correspondieron, al Tribunal de la Justa
Venganza le convendría en la naturaleza de su índole sólo, propiamente, constituir una consecuencia
añadida más en el literariamente orgulloso y pendenciero Parnaso español del siglo XVII, de no ser por el grado de su desmesura23. Porque, en efecto, Para todos, Perinola, y Tribunal forman tres obras
13 En Valencia: en la imprenta de los Herederos de Felipe Mey. Ahora, Pacheco de Narváez, Luis, El Tribunal de
la justa venganza, Roncero López, Victoriano (ed.), Pamplona, 2008 [ed. por la que aquí se citará].
14 Pérez de Montalbán, Juan, Para todos, exemplos morales, humanos y diuinos en que se tratan diuersas
ciencias, materias y facultades: repartidos en los siete dias de la semana ... por el doctor Juan Perez de Montalban ..., Madrid, 1632 [En reimp. facs. de la ed. madrileña de 1645, Hildesheim-New York, 1971]. Con total extravío de la razón Pérez de Montalbán fallecería en Madrid el 25 de junio de 1638. Vid. Bacon, George W., The Life and Dramatic Works of Doctor Juan Pérez de Montalbán, «Revue Hispanique», 26, 1912, pp. 1-4.
15 Opina no obstante Ettinghausen, Henry, Francisco de Quevedo and the Neostoic Movement, Oxford, 1972, p.
42 que El retraído de Jáuregui y de El Tribunal de la justa venganza debieron de influir para la decisión en Quevedo de cambiar su imagen literaria de mordacidad y tintes heréticos por la de moralista devoto y erudito.
16 Vid. Quevedo, Francisco de, Sueños y discursos, ed. de Maldonado, Felipe C.R., Madrid, 1972, pp. 77-78. 17 Vid. Quevedo, Francisco de, El Buscón, ed. de Ynduráin, Domingo, Madrid, 1980, pp. 150-157.
18 Vid. Quevedo, Francisco de, La hora de todos y la Fortuna con seso, ed. de Bourg, Jean, Dupont, Pierre,
Geneste, Pierre, Madrid, 1987, pp. 297-298. Cuadro XXXV El Gran Turco, pp. 295-306. Clamurro, William H., Quevedo's World as Political Language: Reading «La hora de todos», en Selected Proceedings of the Pennsylvania Foreign Language Conference, Pittsburg, 1993, pp. 102-106.
19 Vid. Homenaje a Quevedo en su Centenario (1645-1945), Valencia, 1946, pp. 25-63.
20 Vid. Quevedo, Francisco de, Poesía varia, ed. de Crosby, James O., Madrid, 1994, pp. 332-341.
21 vid. Quevedo, Francisco de, Obra poética, ed. de Blecua, José Manuel, Madrid, 1981, vol. IV, pp. 103-109,
vv. 11-13, 41-45, 58-59 y 76-80.
22 Roncero López, Victoriano, Introducción a Pacheco de Narváez, Luis, El Tribunal …, cit., pp. 20-24.
23 Quevedo y Villegas, Francisco de, Obras festivas, Introducción, edición y notas de Jauralde Pou, Pablo,
que, aún distintas, ciertamente pueden leerse «como otros tantos actos de un solo drama»24. Más, con
todo, el Tribunal de la justa venganza trasciende ampliamente toda posible discusión ético-política25 o
de valía poética26 que en torno al genio o ingenio de Quevedo pueda plantearse.
Lo que en singular distingue al Tribunal sobre cualquiera otro reproche y desagravio de la época es su carácter de interpelación judicial. En esta dimensión jurídico-procesal lo amonestado experimenta una profunda resemantización. Pacheco de Narváez utiliza para articular su pretensión