• Non ci sono risultati.

3.7 All’interno del gruppo societario Fiat: da un’azienda partecipata a una d

4.1.2 Opt out individuale nel settore sanitario in Francia, qual

Lo sbarramento di strada delle vie di fuga basate su letture annacquate della nozione di orario di lavoro ha condotto diversi Stati europei a cercare di sfruttare al meglio la valvola di sfogo offerta dalla clausola di opt out.

Se la prima revisione della direttiva prendeva le mosse dall’obbligo di monitoraggio sull’uso della clausola, ci si chiede se i tempi siano maturi per arrivare a un suo progressivo affievolimento.

Nel settembre 2013 la Commissione ha chiesto formalmente alla Francia di rispettare il diritto dei medici ospedalieri a un orario medio di 48 ore settimanali e a periodi minimi di riposo159. Secondo la Commissione, la normativa francese, pur ammettendo l’utilizzo dell’opt out dal limite massimo settimanale, nel settore sanitario, rende possibile che tale superamento avvenga senza il consenso individuale dei medici e senza la garanzia che il rifiuto di sostenere un orario di lavoro eccessivo sia privo di conseguenti penalizzazioni160. Il rapporto di ricerca Deloitte evidenzia, a tal proposito, che l’uso dell’opt out, in Francia, si registra particolarmente nelle regioni rurali e poco popolate dove la carenza di medici determina un impiego degli stessi per più di 60 ore settimanali, senza alcun limite massimo. L’uso della clausola dipende dalla tipologia di servizi forniti: i dipartimenti che offrono servizi d’emergenza e di anestesia, in particolare, sono quelli che fanno maggiormente uso dell’opt out. Inoltre, nella pratica, i tagli di servizio e l’esigenza di mantenere la continuità delle prestazioni assistenziali configurano il prolungamento orario come soluzione subìta dai medici stessi161.

Il “richiamo” alla Francia denota una particolare difficoltà di contemperare, nel settore sanitario, la continuità del servizio e la salute e sicurezza dei lavoratori oltre che dei pazienti; a questo si aggiunge il preoccupante fenomeno dei lavoratori a «zero ore»

159 Commission requests France to respect hospital doctors’ rights to working hours limit and minimum rest

periods – News archive 26/09/2013 – European Commission Employment, social affairs and inclusion.

160

Testualmente: «French law allows this opt out for hospital doctors but does not comply with the required conditions laid down by the directive. Firstly the doctor may be required to work hours over the 48 hour limit in several situations without the doctor’s individual consent, which is contrary to the directive. Secondly, there are no guarantees to protect a doctor from being penalized if she or he refuses to work excess hours. Thirdly, the rules for measuring working time of hospital doctors are unclear, so that in practice doctors are required to work excessive hours». Commission requests France to respect hospital doctors’ rights to working hours limit and minimum rest periods.

161

European Commission- Dg for employment, social affairs and equal opportunities, Study to support an Impact Assessment on further action at European level regarding Directive 2003/88/EC and the evolution of working time organisation – Final report Deloitte, 21.12.2010.

occupati nei servizi esternalizzati della sanità, impiegati sulla base di contratti senza orario di lavoro prefissato162.

Il recente monito della Commissione europea ripropone la vexata qaestio relativa «all’opportunità di mantenere nel testo della direttiva la clausola dell’opt out», definita da alcuni «epicentro del conflitto tra gli Stati membri» (Lhernould e Moizard 2005).

Nel nuovo tentativo di revisione del 2010 la questione era definita very divisive, in quanto causa principale del fallimento tra i co -decisori nel 2009163.

Nel 2003 la Commissione164, rivolgendosi al Regno Unito, sottolineava che «il ricorso all’opt out ha concorso in modo decisivo a impedire che la disciplina britannica dell’orario, a seguito della riforma del 1998/1999 potesse subire cambiamenti sostanziali rispetto a quella anteriore; il Regno Unito è l’unico Stato membro nel quale negli ultimi dieci anni l’orario di lavoro settimanale è aumentato, con incremento del numero sia di coloro che lavorano più di 48 ore la settimana sia di chi effettua un’attività lavorativa per più di 55 ore settimanali; in questo contesto appare particolarmente elevato il numero dei lavoratori che sottoscrive la clausola di opt out, addirittura superiore a quello di coloro che presta abitualmente lavoro per più di 48 ore settimanali nell’arco di riferimento multiperiodale». Le constatazioni della Commissione sull’impatto negativo della clausola venivano, però, disattese nella proposta del 2004 e, soltanto nella proposta del 2005, era ipotizzato l’inserimento di un tetto massimo di durata della prestazione lavorativa in caso di fruizione dell’opt out165

.

L’ articolo 22 par. 1 bis (lettera c) del testo della proposta del 2005 individuava in 55 ore in una settimana, salva diversa previsione del contratto collettivo, il tetto massimo assoluto alla prestazione lavorativa, una simile previsione ammetterebbe il superamento del limite massimo settimanale di 48 ore per ulteriori 7 ore. Il principio della limitazione temporale della clausola di non applicazione era introdotto per un «periodo non superiore a tre anni», suggerendo allo stesso tempo agli Stati la possibilità di chiedere una deroga per un suo prolungamento oltre il previsto periodo triennale, con valutazione della domanda da parte della Commissione. Si sarebbe verificata, in tal caso, l’accettazione del principio di «soppressione graduale» della clausola, salva proroga autorizzata dalla Commissione, alla quale sarebbe spettato il monitoraggio circa la necessità di ricorso alla deroga. Nell’ipotesi avanzata nel 2008 il tetto massimo saliva a 60 ore in ipotesi di attività lavorativa svolta in

162

ETUC – L’orario di lavoro nel settore della sanità in Europa, scheda informativa tratta da http://www.etuc.org/IMG/pdf/A_TT_secteur_sante_u_IT.pdf.

163 COM (2010) 801 def. 164

COM (2003) 843 final – Communication from the Commission to the Council, the EP concerning the re – exam of Directive 93/104/Ec concerning certain aspects of the organization of working time.

regime di opt out, limite calcolabile come media in un periodo di riferimento di tre mesi, derogabile anche in senso peggiorativo dal contratto collettivo; in alcuni casi era ammesso un ulteriore innalzamento a 65 ore, precisamente in ipotesi di orario di lavoro comprensivo del periodo inattivo del servizio di guardia166. Alla luce del rimbalzo di proposte di cui si è dato conto si osserva il passaggio dalla proposta di tetto massimo all’uso della clausola nel 2005, al ritorno ad una flessibilità pressoché priva di regole, nel 2008, paradossalmente, a quasi un secolo dalla conquista delle 48 ore.

La strategia del suo “affievolimento”, in un futuro tentativo di revisione della direttiva, può essere la base di partenza per un superamento dell’attuale normativa sull’opt out assieme alla messa a punto di meccanismi efficaci di controllo periodico sulla clausola. Se l’integrale soppressione configura una prospettiva obiettivamente irrealizzabile dal momento che la clausola di non applicazione dell’art. 6 è ormai radicata in molti ordinamenti statuali - due terzi degli Stati vi fanno ricorso integralmente o limitatamente ad alcuni settori - e, in vari casi, dal suo utilizzo dipende il funzionamento dei servizi pubblici167, può essere preferibile una soluzione intermedia volta a codificare nel testo della direttiva un tetto massimo orario di fruizione dell’opt out.

E’ difficile affermare che il tetto prospettato nel 2005 di 55 ore massime settimanali costituisca un orario healtly, in sé e per sé; nonostante ciò, quella indicata, potrebbe configurare la soluzione di mediazione accettabile, nella prospettiva di restituire alla regolamentazione europea la prerogativa di porre limiti aventi - il più possibile - carattere di «definitività» e, allo stesso tempo, idonei a stabilire il perimetro all’interno del quale la flessibilità possa muoversi.

Ben s’intenda, tale ultima prospettazione viene richiamata al solo fine di individuare forse l’unica possibile soluzione di superamento dello stallo decisionale tra chi intende mantenere la clausola in oggetto e incrementarne l’operatività e chi, d’altra parte, propende per una sua totale eliminazione.

La quantità di ore lavorative, secondo quanto espresso dal quinto rapporto di Eurofound sulle condizioni di lavoro delle donne e degli uomini in Europa168, costituisce il principale fattore di incidenza sulle condizioni di lavoro e sul benessere psicofisico di ciascuno; l’utilizzo senza alcuna limitazione dell’opt out appare, pertanto, fattore peggiorativo della

working time quality e la sua ammissibilità non può che essere intesa esclusivamente come extrema ratio.

166 COM (2008) 568 def.

167 COM (2010) 801 def. “(…)It does not seem realistic to ask all these Member States to refrain from using

this derogation, without ensuring feasible alternative solutions”.

168 Women, men and working conditions in Europe - Fifth European Working conditions survey – Eurofound

Come è stato scritto, «la flessibilità nel rapporto di lavoro va contenuta nei limiti necessari affinché l’impresa adempia alla propria funzione di creazione di risorse, ovvero di fornitura di servizi o altre utilità anche immateriali che soddisfino le esigenze dei cittadini o della società nel suo complesso», essa deve essere oggetto di un «governo consapevole e condiviso come condizione indispensabile affinché quei limiti siano socialmente accettabili» (Balandi 2006, p. 232).

L’individuazione di assetti di disciplina in grado di coniugare istanze diversificate quali flessibilità e sicurezza, interesse collettivo alla tutela della temporalità sociale e interesse individuale a scegliere modalità lavorative corrispondenti alla propria personalità è operazione tutt’altro che agevole, il trait d’union potrebbe essere rappresentato dalla creazione di meccanismi di “interazione” fra i tempi sociali e attraverso una regolamentazione che esprima la «biunivocità» del concetto di flessibilità, sia nell’interesse dell’assetto produttivo che del lavoratore (Calafà 2007).

4.2 La complementarietà dei temi: orario di lavoro e conciliazione tra vita professionale e