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1. LA FAMIGLIA DIEDO DEL RAMO DEI SANTI APOSTOL

2.4. L’oratorio e la pala di San Martino

Nel complesso del castello di Arquà si trovava, già in epoca antecedente all’insediamento dei patrizi veneziani Diedo, un oratorio dedicato a San Martino. Gian Pietro Ferretto nel Memorabilia dell’episcopato di Adria, scritto tra il 1536 ed il 1539, annotò tra le chiese della diocesi di Adria “ECCLESIA SINE CURA Sancti Martini Episcopi et Confessoris intra castrum Arquadae. Unita de presenti Plebi contrascriptae maiori Sancti Andrea Apostoli”419.

Nel 1603 il canonico del vescovo Porcia, Flavio Perotti, si recò in visita pastorale nella villa di Arquà fornendo nella sua relazione una curata analisi dell’oratorio “de ca Diedi situm in dicto loco Arquate in loco vocato Castello in Pallatio dictorum Clarissimorum”. L’edificio dedito al culto fu ricostruito a loro spese e vantaggio il medesimo anno dai nobili Diedo che possono essere riconosciuti, data la collocazione temporale, con i presunti committenti del ciclo pittorico Angelo, Francesco e Vincenzo. Era collocato “in parte inferiori” ovvero a pianterreno ed aveva un solo altare dotato delle cose necessarie, con la splendida pala intitolata a San Martino a Sud. L’altare non era consacrato ma possedeva una pietra sacra inserita secondo l’uso. Era provvisto di due porte, una posta ad Oriente l’altra ad Occidente e di una finestra a Settentrione, tutte in buone condizioni. Il Perotti concluse che si doveva dotare il luogo di culto del necessario per il sacrificio della Messa e per l’Altare420.

418

Testimonianza orale del dottor Giorgio Socrate.

419

Ferretti, Memorabilia dell’episcopato di Adria (1536-39). Versione e catalogo, a cura di Pia, Gino Braggion, cit., p. 30.

420

Archivio della Diocesi di Adria-Rovigo, b. 4, libro II, c. 95v. Milan, I proprietari veneziani del castello, cit., pp. 104-105. Il canonico del vescovo Porcia dopo essersi recato in visita presso la chiesa parrocchiale di Sant’Andrea, all’oratorio dei Battuti e all’ospedale arquatese, si recò nell’oratorio di palazzo Diedo. Scrisse nella sua relazione: “Celebrata Missa in Ecclesia Parochiali accessit ad visitandum Oratorium Clarissimum de ca Diedi situm in dicto loco Arquate in loco vocato Castello in Pallatio dictorum Clarissimorum in parte inferiori, cum unico Altari, cum requisitis cum pulcherrima Palla sub titolo Sancti Martini ad Meridiem hoc anno erectum a dicti Clarissimis ere proprio ad suum commodum: Altare ipsum non est consecratum sed habet Petram sacram ad formam insertam. Habet duas ianuas ad Orientem, et Occidentem et fenestram unam ad Septentrionem bonas”. Per erigere un oratorio privato nel

Eccetto alcune informazioni, non si conosce l’ubicazione precisa del luogo di culto, che poteva essere collocato o all’aperto o all’interno dei corpi di fabbrica a pianterreno del palazzo. Doveva essere un luogo scarno e piuttosto semplice se ancora privo dei paramenti liturgici indispensabili per onorare le messe e l’altare.

Il dato fondamentale che si ricava dalla testimonianza è la presenza di una pala d’altare dedicata a San Martino nominata dal canonico “pulcherrima” ovvero bella, splendida. I fratelli Diedo commissionarono dunque la tela, che, dato il suo probabile fascino e qualità risaltava agli occhi dei visitatori, a pittori di cui purtroppo non si conosce l’identità. Certo è che la data 1603, è nel periodo in cui si colloca l’esecuzione delle pitture parietali del palazzo, portando ad avanzare l’ipotesi che entrambi gli incarichi siano stati realizzati da un’unica bottega, dimostrando ancora una volta, che i patrizi veneziani Francesco, Vincenzo ed Angelo, nella manifestata volontà di rinnovare ed abbellire la loro dimora di terraferma, fossero i promotori ed i committenti dei programmi iconografici.

Il vescovo Lodovico Sarego si recò a visitare l’oratorio nel maggio 1617 giudicandolo “bene tentum” ovvero conservato bene, il che potrebbe asserire che i Diedo avessero ultimato i lavori provvedendolo dei paramenti liturgici funzionali421.

territorio della Repubblica Veneta, era necessaria la licenza del vescovo della diocesi, in questo caso di Adria, il consenso del parroco e le facoltà dell’”Eccellentissimo Senato”. Nell’ultimo caso, le suppliche relative erano indirizzate ai Consultori in jure, non organo costituzionale ma incarico conferito ad una persona, specializzata in materie giuridiche, in particolare, a partire dal XVI secolo, in diritti canonici ed ecclesiastici, giurisdizionali, feudali e di confini. Nel fondo conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia, non si è trovata nessuna notizia relativa all’oratorio di palazzo Diedo, pertanto le limitate informazioni si ricavano dalle visite pastorali.

Dal fondo notarile dell’Archivio di Stato di Rovigo, in particolare da documenti di Cristoforo Brocco rogati in villa nel 1618, si desume che l’Hospedale della villa di Arquà era intitolato a Santa Caterina e a San Carlo e che nelle relativa “chiesuola di Santa Catarina dell’Hospitale di Arquà”, fu eretto un altare dedicato a San Carlo. Nella chiesa maggiore di Arquà c’era un altare dedicato a San Lorenzo ed un altro consacrato alla Beata Vergine Maria, oltre che agli altari elevati dalle compagnie laiche del Santissimo Rosario e del Santissimo Sacramento.

421 Archivio della Diocesi di Adria-Rovigo, busta 7, Visita pastorale del Vescovo Lodovico Sarego, c. 10.

CONCLUSIONI

Le ricerche hanno condotto a risultati che concedono la ricostruzione delle politiche patrimoniali dei Diedo del ramo dei Santi Apostoli nonché un migliore inquadramento storico della famiglia. Trattandosi di una famiglia patrizia veneziana finora scarsamente studiata e le cui attività nel campo delle committenze artistiche sono poco documentate, è risultato fondamentale partire dalla figura di Vincenzo Diedo, personaggio di spicco dell’intero casato. Tra i primi proprietari del castello di Arquà e nominato patriarca di Venezia, decise nel 1558 di affidare ad Andrea Palladio la progettazione della nuova facciata della cattedrale di San Pietro di Castello. Questa commissione, frutto di precise manovre strategiche, è emblematica per definire gli orientamenti politici e culturali della famiglia. I garanti del progetto erano infatti Marcantonio e Daniele Barbaro, promotori di uno stile architettonico classicista e, soprattutto, membri di spicco della fazione ‘papalina’, filo romana della nobiltà lagunare, a cui appartenevano, per esempio, anche i Grimani di Santa Maria Formosa. La decisione del patriarca di affidarsi a Palladio era dettata dalla volontà di aderire ad una specifica corrente di pensiero ed alle idee innovative dei Barbaro. In conclusione, si può dunque stabilire che i Diedo del ramo dei Santi Apostoli appartenevano alla cerchia del patriziato veneziano che sosteneva e promuoveva la posizione del Pontefice e della Chiesa romana e che essi erano in stretti rapporti con personaggi fondamentali per la storia artistica e architettonica della Repubblica.

La datazione del ciclo pittorico del castello di Arquà in un lasso di tempo che va dal 1595 al 1610 ha permesso di identificare i committenti e di effettuare ricerche archivistiche, volte ad approfondire le modalità di fruizione del palazzo dominicale di terraferma. Dalle indagini è emerso che la decisione di decorarne gli interni è stata determinata da precise politiche patrimoniali. In seguito alla riqualificazione architettonica e funzionale, testimoniata dalla dichiarazione di decima del 1582, che munì il complesso di corpo residenziale e barchessa, il castello non era evidentemente solo centro direzionale e amministrativo dei numerosi possedimenti limitrofi terrieri, ma divenne anche il simbolo del potere del casato stesso. Attorno al periodo di esecuzione delle pitture, si registra infatti una serie di matrimoni influenti che, con grande plausibilità, incrementarono le casse e apportarono lustro ai membri della famiglia Diedo. Dalle fonti archivistiche emerge inoltre che andavano aumentando gli

investimenti finanziari nei domini della Repubblica, in particolare in Polesine, il che significa che era in corso, da parte dei membri del casato, una politica di espansione patrimoniale e di arricchimento.

La commissione del ciclo decorativo risulta dunque essere la conseguenza di questa manovra. La scelta di decorare gli interni con iconografie dalla forte valenza simbolica è quindi determinata dal fatto che i Diedo utilizzavano la dimora non solo come luogo di svago e di riposo dalla vita di città. In effetti, dai documenti d’archivio è emerso che nelle stanze del castello si stipulavano atti notarili e si ricevevano ospiti, tra le quali anche personalità di pari rango. Gli ospiti, attraverso i dipinti, recepivano i significati che i Diedo volevano trasmettere e che ruotavano attorno alla celebrazione del prestigio del casato.

La volontà di abbellire e di riqualificare la dimora signorile da parte dei committenti delle pitture parietali si estendeva anche a un luogo che la critica non ha mai preso in considerazione. Un documento d’archivio attesta infatti che nello stesso periodo della realizzazione degli affreschi era in corso anche la ricostruzione dell’oratorio privato, oggi non più esistente. Nell’oratorio fu collocata una pala d’altare dedicata a San Martino, descritta da Flavio Perotti, canonico del vescovo di Adria, in visita pastorale nel 1603, come “pulcherrima”, ovvero bellissima.

Per quanto concerne il ciclo decorativo, i risultati emersi dall’analisi stilistica e iconografica, confermano quanto affermato dalla critica più recente. Le maestranze di palazzo Diedo facevano parte di quella nuova generazione di artisti appartenenti alla scuola post-veronesiana, la quale dominò incontrastata in terraferma fino al terzo decennio del XVII secolo. Il confronto con l’opera di Veronese, in particolare con villa Barbaro e le grandi commissioni di Palazzo Ducale e della Biblioteca Marciana, ha inoltre permesso di identificare alcuni soggetti e di formulare nuove interpretazioni. Innegabile e indispensabile è risultato inoltre il paragone con l’opera di Zelotti e con i pittori attivi in terraferma dalla seconda metà del XVI secolo.

Oltre al dato veronesiano, la presenza di numerose iconografie riprese da opere grafiche neerlandesi denota una pratica in crescita all’inizio del XVII secolo, quando tra il materiale di bottega abbondavano incisioni di scuola europea e italiana. L’uso di produzione grafica oltremontana e l’avvicinamento ad un manierismo nordico, oltre che un’eventuale carenza di bravura e di conoscenza da parte delle maestranze esecutrici, rispondeva a particolari esigenze di gusto della committenza. È probabile quindi, che i

Diedo annoverassero tra le loro collezioni, quelle incisioni che numerose circolavanonel mercato artistico. Oltre al castello di Arquà, sono infatti riscontrabili nei territori della Repubblica di Venezia altri esempi di cicli decorativi databili ai primi decenni del Seicento, in cui furono riprese opere grafiche oltremontane.

Per quanto concerne la modalità di esecuzione mi trovo essere parzialmente in disaccordo con le critiche mosse dalla quasi totalità degli studiosi, i quali sostengono che le pitture arquatesi siano di fattura modesta e non brillino per originalità di concezione. Posso confermare la presenza di brani di scarsa fattura, ravvisabili soprattutto nella resa delle figure e nel dato decorativo del piano nobile, ma non mancano di certo momenti di distinta qualità, riscontrabili nelle iconografie a pianterreno, specialmente nei paesaggi, nelle impostazioni prospettiche delle volte e nella definizione di alcune immagini.

I significati aulici e moraleggianti che traspaiono dalle pitture, in particolare dalle peculiari figure di sapienti, accompagnate da emblemi in lingua latina, queste ultime ricavate da trattati poetico-filosofici di età classica, sono indice di un’alta conoscenza erudita e di preparazione culturale dei committenti.

APPENDICE DOCUMENTARIA

I seguenti documenti provengono dall’Archivio di Stato di Venezia e dall’Archivio di Stato di Rovigo. Per quanto concerne la trascrizione dei testi, si è scelto di utilizzare un metodo misto paleografico, sciogliendo le abbreviazioni e ricorrendo a punteggiatura e maiuscole ‘critiche’, quindi moderne. L’eventuale incomprensione di una determinata parola è segnalata con (?), mentre quando si tratta di un errore delle fonti [sic!].

DOCUMENTO 1. TESTAMENTO DI CHIARA BEMBO MOGLIE DI FRANCESCO DIEDO. 6 NOVEMBRE 1567. ASVE, Notarile testamenti, Notaio

Simone Bondi, b. 143, c.14.

Anno ab Incarnatione domini nostri Jesu Christi. 1567 Die Luni sexto mensis q.m Cris. Indictione XI. (?) In domo habitationis infrascriptorum (?) de confinio Sancti Canciani Veney.LS (?)

Havendo Io Chiara Diedo, relicta del quondam clarissimo messer Francesco Diedo fo del magnifico messer Alvise, altre volte fatto il mio Testamento et pregado per ser Anzolo da Canal nodaro di Venetia del tenor come in quello. Et al presente volendo quello in alcune parte ritocar et in alcune aggionger, sana per la grazia della mente, memoria, corpo et intelletto, ho fatto chiamar et venir da mi, Simon Bondi nodaro di Venetia et l’ho pregato scrivi li presenti mei codicilli, da esser per lui compiti et roborati, secondo li ordeni di Venetia così dicendo. (?) che venendo il caso della morte mia debbi esser tolta la congregazione de Santa Maria Formosa, nella quale già molti anni vi sono, perché essendovi io credo che debba esser accompagnata da quella, si che la sij tolta.

Item voglio che il mio corpo sij vestito dell’habito della Madonna et di sotto del terzo ordene di San Francesco se ben credo anche per conto mio testamento haverlo detto. Et siino tolte le pizochere dell’uno et l’altro ordine. Trovandomi haver uno pocho de decimetta à Peraruol della qual non svuodo cosa alcuna, quale tal qual si trova, lasso et dono ad Isabetta mia fiola consorte del magnifico Jacobo Salamon, per esser vicina alla possession che li havemo dato, con obbligo di pagar quello che al presente si paga alle muneghe della misericordia de Padoa che sono soldi 16 et 17 de pizoli all’anno. Et habbiando lassato nel mio testamento due pari di vache a cadauna de mie fiole, cioè Isabetta et Creusa, revoco detto legato et voglio che in loco de quello le mie socede tra loro doi, le quale mentre che se venirà la fratesina, prego mei fioli le debbano conservar et mantinir, dette socede, a benefitio et utile de dette mie fiole tra loro due.

Et item havendo lassato nel ditto mio testamento ducati vinticinque, per maridar fie, revoco ditto legato et voglio che li ditti ducati vinticinque et altri quindese, appresso che siano in tutto ducati quaranta, siano dispensati per li mei comissarij, parte a poveri monasterij et hospedali et altri poveretti come meglio à loro parerà. Credo haver detto sul mio testamento, ma replico sia dato ducati doi all’anno a suor Hierolima Bembo monacha a Sant Maria de Muran et Paula Bembo mia nezza. Non mi ricordando quello che per lo mio testamento li ho lassato, replico che se la mi sarà debitada cosa alcuna gli remetto il tutto, et appresso li lasso ducati cinque per li sui bisogni et una delle mie veste. Attrovandomi un’altra vesta et cappa che sia nuova, voglio che la sia de Creusa mia fia.

El resto delli mei drappi sia divisi per li mei comissarij come a loro parerà, ma che li maistra/maisvra (?) anziana (?) à tutti, et appresso ditta maistra/maisvra (?) habbia del mio ducati doi.

A mie fie muneghe a Santa Catarina, voglio come sa tutti che li ducati 200 de monti che ho comprato in loro nome, che l pezo (?) de quelli siano soi fra loro doi fino le viverano, et morendo una vadi in altra et manchando tutte doi vengano nel mio residuo et appresso a questo voglio che siano obligadi mei fioli darli ogni anno uno cechino per uno, per cadauna di esse, cioè uno da bona man et uno dall’assensione ogni anno fino che le viverano.

Voglio che à tutte mie nezze fie de mie fie et quelle che sarano de mio fio che siano monache, sij messo tanto fondi che parerà alli mei comissarij, che a tante quante sarano habbino ducati doi all’anno per cadauna mentre che viverano, questo che dico metter in fondi fazzo per esser putte et puoleno viver assai, che non habbino briga domandar ad alcuno ditto loro legato. Item lasso a tutte le fie de mie fie che se mariderano ducati cento per una, quali voglio che se alla mia morte mi troverò haverli (?), li siano dati et caso che non li sopradetti mei fioli suppliscano loro. Item lasso a tutti mei nevodi, et nezze che si troverano si de mio fio, come de mie fie ducati doi per uno per una volta in segno de amor. Item lasso ad Andrianna mia nuora in segno de amor ducati diese.

A mie fie non li lasso danari perche io li ho dato quello ho volesto. Voglio che se non haverò mandà a tuor doppo fatti li presenti codicilli il perdon alla crose, che sia mandato a suor Gabriela alla crose monacha uno cechino et uno candelotto che la voglia il perdon par mi. Et cusì anche se ben ho fatto dir le messe della Madonna et San Gregorio, voglio che non havendole fatte dir un’altra volta, le siano fatte dir dichiarando che nella dispensatione delli ducati 40 a monasteri et hospedali se intendino anche le muneghe dell’abito berettin et tutte habbino ducati doi per monasterio.

Item sij dato a suor Eugenia monacha in Santa Lucia ducati doi per una volta in segno d’amor. Tutti li sopradetti danari per legati eredi, si troverano nelle mani delle monache di Santa Caterina di Venetia per haver li delli mei danari delli quali non so il conto, perché de giorno in giorno, no vo mettendo, ma del tutto li sij ereto ad esse ne possino esser molestate et se per caso alla mia morte non se trovassero tanti detti mei fioli suppliscano loro al tutto, le qual sopraditte monache si trovano etiam la mia tazza d’oro la qual li ho lassata nelle mani per l’affetto sopradetto, in caso che bisognasse et che la ghe sia lassata si come ghe la lasso per li soi bisogni. In reliquis Laudo et confirmo il tuttoet per tutto il sopraditto mio testamento. Si quis autem Et si questa testimonij

DOCUMENTO 2. TESTAMENTO DI GIROLAMO DIEDO FU FRANCESCO, VESCOVO DI CREMA. 4 FEBBRAIO 1582, 17 OTTOBRE 1584. ASVE, Notarile

testamenti, Notaio Galeazzo Secco, b. 1194, c. 101.

In nomine Dei aeterni Amen. Anno ad incarnatione Domini nostri Jesu Cristi millesimo quingentysiaco nonegesimo nono, die ottavo, mensis Junij indictione XII RX.ti Cum Rebus publicis pressidiamuis et (?) yir (?) In B.a pagina lurius libri: ignitur Nos Marinus Grimani Dei

gratia et (?) cum in nostro et (?) ex parte V.n.S. Vincentii Diedo nomine suo et fratrum expositum fuit corani Nobis, quòd cum post obihimi Q Bx.i Hies.mi Diedo din Episcopi Cremensin reperta fuerit quadam cadula Testamentaria manueius propria scripta et (?) et hoi vigore unius partis pubblicate in nostro Maiori Consilio Die prima istius mensis ut in ea. Sequitur tenor testamenti 1582. adì. 4 febraro in Venetia. In nome della santissima Trinità Padre fiolo et Spirito Santo, Dio hino et uno et della gloriosa beata Maria Vergine madre de signor nostro Jesu Christo ed delli Beati Apostoli Pietro et Paulo e de tutti li santi Amen.

Ritrovandomi io Hieronimo Diedo indegno Vescovo di Crema al presente qui in Venetia, non molto ben disposto di sanità per una infirmita contratta già doi anni à la mia residentia et aggravato da li hanni, havendo passato ani 60 de la mia vita et dovendo per l’una et l’altra causa pensar à la morte in caso che piacesse à sua Divina Maestà chiamarmi a sé, chel che sia fatta la sua volontà, per non lassar le cose mie disordinate e per benefitiar qualche persona di me benemerita et far qualche elemosina per l’anima mia: ho voluto sentendomi in buon proposito con questa semplice ordinatione scritta di mia mano, dechiarir la mia volontà vira (?) li miei beni li qual debba esser osservata et essequita da li miei comissarij infrascritti in ogni miglior modo et prima raccomando al altissimo eterno Dio l’anima mia, che si degni per sua misericordia riceverla nel suo seno et perdonarmi le mie colpe, le quali sono inumerabili et gravissime et donarmi avanti l’hora de la mia morte spirito di bona et vera connitione et ne la morte concedermi il paradiso, overo quando piacera a sua Divina Maestà liberar l’anima mia da

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