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1. LA FAMIGLIA DIEDO DEL RAMO DEI SANTI APOSTOL

2.2. Il pianterreno

2.2.3. Stanza “del camino’

Questo ambiente assieme all’adiacente stanza “delle Virtù” è il più complesso sia dal punto di vista simbolico che decorativo ed è possibile riscontrare nelle pitture un alto grado di maestria, di abilità tecnica e di originalità.

Nelle lunette delle pareti laterali evidenti sono le quattro immagini virili severe ed enigmatiche, raffigurate nell’atto di reggere lastre di pietra con iscrizioni in lingua latina. A sud-est, sopra la porta di entrata, un uomo di età matura dallo sguardo intenso e ieratico con barba e copricapo rosso, abbigliato con eleganti vesti ricamate arancio e viola, un lungo scialle rosso sulle gambe e stivali ai piedi, seduto su un trono in finto marmo decorato con arpie, reca nella mano sinistra una tavola con inciso l’emblema

370

Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., p. 159. Ead., Il castello estense, cit., p. 65. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, cit., pp. 54-55, alla voce Apollo. L’episodio è narrato in Metamorfosi, VI, 382-400 e nei Fasti, VI, 703-708.

371

Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., p. 160. Ead., Il castello estense, cit., p. 65. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, cit., p. 276, alla voce Meleagro. L’episodio è narrato in Iliade, IX, 430-605, in Metamorfosi, VIII, 260-546.

372 Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, cit., p. 365, alla voce Scipione. L’episodio è

“DEUM TIME” che tradotto in italiano significa “Temi Dio” (140-141). Una primaria lettura iconografica porta a collegare il monito a principi di natura religiosa riscontrabili nell’Antico testamento e nella panegirica religiosa medievale373. In realtà deriva da citazioni mitologiche e filosofiche. L’espressione “DEUM ET AMA ET TIME” è infatti correlata alla figura mitologica della Sfinge di Melfi mentre “PRIUS DEUM AMA ET TIME UT A DEO AMARIS” è una citazione dell’oratore, poeta e filosofo stoico romano Seneca374.

Nel lato opposto della parete una figura maschile di età avanzata con barba, calza stivali ed è abbigliato con lunghe ed eleganti vesti verdi, viola e rosse (142). Siede su un giardino accanto ad un colonnato e regge con la mano destra una lastra con inciso “NE QUID NIMIS”, traduzione latina di un motto greco “Niente di troppo”, scolpito secondo la tradizione, nel Tempio di Apollo a Delfi, attribuito al dio stesso e a vari sapienti dell’antichità come Omero, Chilone, Solone e Pittaco. Nel mondo latino fu riportata in particolare nell’Andria del poeta Terenzio ed in seguito dall’umanista Erasmo da Rotterdam, come invito ad evitare le esagerazioni, gli eccessi e per raccomandare la moderazione in ogni cosa375.

Accanto a questo un’immagine senile con barba e capelli lunghi, manto verde e lunghe vesti rosse e violacee, seduto in un giardino, accanto ad una colonna con base decorata da un’arpia marmorea, regge con entrambe le mani una stele con inscritto “NOSCE TE IPSUM”, “Conosci te stesso” (143). L’espressione latina deriva da uno degli apotegmi attribuiti ai Sette Sapienti incisa sul frontone del tempio di Apollo a Delfi per esortare gli essere umani a conoscere i propri limiti e condizioni. Il filosofo greco Socrate ne fece uno dei suoi fondamenti di pensiero, interpretandola come un invito a considerare i confini della conoscenza, prima di imboccare un percorso teso alla perfezione intellettuale ed alla virtù376.

Nel lato opposto un uomo anziano dalla lunga barba, il naso aquilino ed un copricapo orientale, con il corpo e lo sguardo rivolti verso destra, colto in un

373

Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., pp. 16.

374

A proposito di “DEUM ET AMA ET TIME”: “Mysteriis addicta Memphis aede pro sacra / Sphingem biformem dedicauit, symbolum Dei. / Amato numen ceus piis mite, ac placabile: / Rursus time, vt vindex inesorabile impiis”.

H. Henkel, A. Schöne, Emblemata,Stuttgart, J.B. Metzlersche Verlagsbuchhandlung, 1967, p. 1790.

375 “Augustum quicquid superest, vas respuit, ergo / Infundas ne quid forte caveto nimis”. Milan, Gli

interni decorati del castello-villa, cit., p. 169. Henkel, Schöne, Emblemata, cit., pp. 1387-1388.

376 Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., pp. 169-170. L’emblema, nell’opera di Henkel e

immaginario dialogo intrapreso presumibilmente con la figura adiacente mentre tiene la mano destra tesa verso lo spettatore e con l’altra sostiene una tavola di pietra in cui si trova inscritto “RESPICE FINEM”, “Pensa alle conseguenze” (144). L’emblema è parte del motto “QUIDQUID AGIS, PRUDENTER AGAS, ET RESPICE FINEM” del già menzionato Seneca, che tradotto significa: “Qualunque cosa tu operi, falla prudentemente, e pensa alle conseguenze”377.

Di difficile interpretazione risulta l’iscrizione contenuta nella stele del quinto ed ultimo personaggio della vicina parete a nord-ovest, raffigurato come gli altri, seduto su un colonnato, con barba e lungo abito violaceo e manto rosso (145). “EMINUS A MOMO” tradotta in “Stai lontano da Momo”. Momo era una divinità greca minore personificazione della maldicenza e della beffa, critico ed offensivo tanto da essere cacciato dall’Olimpo, episodio citato dallo scrittore greco Esopo nelle sue Favole. L’iscrizione invita dunque il saggio lettore ad evitare chiacchiere inutili, calunnie e denigrazioni378.

Il messaggio veicolato al fruitore contiene severi ammaestramenti moralizzatori, invitandolo a mantenere un atteggiamento prudente, volto alla conoscenza di sé ed al rispetto e timore di Dio, tematiche già riscontrate nelle pitture delle adiacenti stanze ed in particolar modo nelle iconografie di Fetonte. La presenza di iscrizioni in lingua latina desunte da trattati poetico-filosofici di età classica sono indice di un’ alta conoscenza e preparazione culturale dei committenti, impegnati a far trasparire concetti eruditi. Nei primi decenni del Seicento gli aspetti iconografici delle decorazioni di palazzo e di villa erano molto importanti ed i soggetti coinvolti divenivano per questo motivo il polo d’attenzione di finanziatori, consulenti eruditi ed anche esecutori. Si diffuse, come in questo caso, una pittura intellettualistica volta all’esecuzione di immagini accompagnate da motti ricavati da fonti letterarie e saperi antichi, che dette vita a programmi ricchi di emblemi ed imprese riscontrabili in molti cicli pittorici di villa del territorio

377 Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., p. 170. 378

La critica ha fornito due interpretazioni diverse. Milan, non considerando lo stacco tra la lettera A e la lettera M di Mono, leggendo dunque “EMINUS AMOMO”, intendendo per Amomo il cardamomo, una pianta aromatica di origine orientale, “non comune ma assai nominata dai classici latini”. Una più recente pubblicazione sul castello ed il relativo ciclo pittorico, di carattere prettamente descrittivo, ha esplicato, oltre alla teoria di Milan con il cardamomo simbolo di “mollezze della vita”, l’esegesi più plausibile sostenuta nel presente elaborato. Milan, Gli interni decorati del castello-villa., cit., p. 170. Viaggio alla scoperta del castello medievale. Le sue tre vite – Sintesi storica dalla fondazione alla contemporaneità – Guida agli affreschi, a cura di Comune di Arquà Polesine, Assessorato alla Cultura, Amici dei Musei di Rovigo Onlus, introduzione di E. Chiarion, Badia Polesine, Tipografia Checchinato s.n.c., 1999, p. 44.

veneziano379. La loro trasmissibilità fece sì che i libri di emblemi furono pubblicati tra fine XVI ed inizio XVI secolo grazie agli importanti centri editoriali di Padova e Venezia, con larga diffusione in tutti i domini della Repubblica. A questo proposito, il manuale più conosciuto e consultato da pittori ed eruditi, tanto da essere stato riedito più volte, è l’Emblemata di Andrea Alciati.

Le figure virili analizzate, al contrario, sembrano essere un unicum nel panorama delle pitture di terraferma. Alcune caratteristiche peculiari in queste riscontrate quali l’età avanzata, il volto ricoperto da una folta barba, le lunghe vesti classicheggianti ed i copricapo orientali, congiunte a citazioni filosofiche e poetiche derivate dall’antichità, fanno supporre che ad essere ritratti siano proprio quei saggi, filosofi e poeti appartenenti al mondo classico greco e latino. A sostegno dell’ipotesi è ancora una volta il confronto con opere di Veronese ed il programma decorativo di cui fanno parte. Trattasi del ritratto di due filosofi collocati entro nicchie realizzati tra il 1560 e il 1572, parte di una serie dedicata ai Filosofi dell’antichità, collocata nelle pareti laterali del Salone della Biblioteca Marciana a Venezia, a cui presero parte anche Andrea Schiavone, Jacopo Tintoretto, Giuseppe Salviati, Lambert Sustris e Battista Franco. I personaggi effigiati identificati dagli studiosi in Aristotele e Platone presentano barba, copricapo orientale, indossano eleganti vesti e lunghi manti dalle tonalità verdi, arancio, rosso, viola e ognuno di loro è immortalato in pose e gesta diverse, caratteristiche che ricordano i sapienti di palazzo Diedo380 (146-147). È plausibile quindi che le maestranze

379 “E proprio il Seicento ci appare il secolo nel quale l’impresa entra a pieno titolo come un ingrediente

fondamentale dell’apparato decorativo di villa, in quanto veicolo di messaggi identificatici o elogiativi: fatto che non deve stupire se si pensa a questo come al secolo delle Accademie, luoghi esclusivi deputati al rituale dell’impresa. Associazioni composite di parole e immagini, gli emblemi e le imprese generano un gioco di interpretazioni imprevedibili e invenzioni concettose riconoscibili dai sodali del destinatario”. Mancini, Il primo Seicento…, cit., p. 4. Emblemi associati ad imprese si riscontrano in larga misura presso villa Mocenigo a Gorgo di Cartura in provincia di Padova, all’interno di un ciclo decorativo datato attorno al terzo decennio del XVII secolo. A villa Foscari a Sambruson di Dolo nel veneziano, con pitture realizzate da pittore veneto nel primo decennio del Seicento. Nella villa Tassello di Monselice, attribuito al veronese Gaspare Giona, seguace di Giovanni Battista Fontana e Dario Varotari, “tra i più prolifici e fortunati specialisti nella decorazione a fresco della scuola postveronesiana” (Mancini) e datato attorno al 1627 circa. I. di Lenardo, Villa Mocenigo, Villa Foscari in Gli affreschi nelle ville venete, il Seicento, catt. 34, 83, pp. 180-188, 349-351. M. Castellarin, Villa Tassello, in ivi, cat. 57, pp. 260-265.

380 Un’altra figura all’interno del ciclo è stata riconosciuta. Trattasi di Diogene realizzato da Tintoretto o

dalla sua bottega. L’artista e la sua cerchia eseguirono almeno sei filosofi, a proposito di cui affermava Ivanoff: “I Filosofi del Tintoretto si direbbero ingegnose variazioni sul motivo di una figura entro nicchia. Chi legge, chi scrive, chi discute… Uno sembra voler uscire dalla nicchia, l’altro pare cercarvi riparo, volgendo la schiena allo spettatore; altro ancora si torce a spirali avvolgendosi nel manto, e via dicendo” e sul programma pittorico generale: “Di tutta la serie primitiva sussistono, quindi, unicamente undici Filosofi; ma in origine ve ne dovevano essere per lo meno diciotto: sei lungo ogni parete laterale; quattro al massimo, su quella d’entrata e non più di due su quella di fondo, verso il campanile”.N. Ivanoff, La Libreria Marciana, in Saggi e memorie di storia dell’arte 6, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1968, pp. 33-78, in partic. pp. 75-78. Zamperini, Paolo Veronese, cit., pp. 63-64.

attive in questo ambiente fossero memori ed avessero preso spunto dal programma iconografico in questione.

Nel salone della Biblioteca Marciana il trionfo della filosofia si collega all’elogio delle Arti liberali rappresentate sotto sembianze di figure allegoriche, in alcuni tondi commissionati per la decorazione del soffitto, in particolare Le

Matematiche di Giambattista Zelotti, La Musica, L’Aritmetica e la Geometria di

Veronese, eseguiti tra il 1556 ed il 1557381 (148-149). Allo stesso modo nella volta della stanza “del camino”, racchiusi entro eleganti cornici decorate a grottesche e conchiglie in simil oro, sono collocati dei riquadri a monocromi con raffigurato il cosiddetto Quadrivio delle Arti liberali. Trattasi della Geometria simboleggiata da una figura muliebre mentre con un compasso definisce un arco di cerchio (150), della Musica, una giovane fanciulla con una viola sulla mano sinistra e con la destra accarezza le corde di un liuto (151), dell’Aritmetica, figura con una tavoletta ricoperta di cifre in cui è intenta a scrivere ed infine di quella che dovrebbe essere l’Astronomia, visibile in maniera parziale perché danneggiata, tradizionalmente caratterizzata da un globo382 .

Il programma pittorico del più importante luogo culturale veneziano basato sul “conseguimento della Virtù attraverso comportamenti moralmente appropriati per il singolo e per lo Stato, nonché attraverso lo studio della teologia, della filosofia e delle scienze”383, ha come simbolo chiave La Sapienza, dipinta da Tiziano attorno al 1560 per il vestibolo della Biblioteca, ritratta con le sembianze di donna mentre regge uno specchio, attributo tipico della Sapienza o della Provvidenza divina384 (152). Nella sala di palazzo Diedo domina incontrastata dall’alto del soffitto un’immagine di donna scorciata che spunta dalle nuvole altera e severa, in un’apertura illusionistica con finta

381

Zamperini ha denominato uno dei tondi di Veronese Astronomia (o Musica celeste, la Musica strumentale e la Geometria, identificando la tradizionale figura di Aritmetica con l’Astronomia o Musica celeste, “riconoscibile nella donna in piedi disdegnando quello che è stato definito un libro musicale, essa è concentrata ad ascoltare l’armonia prodotta dai moti perfetti delle sfere, secondo la concezione pitagorica ripresa nel Timeo di Platone e divulgata dal Somnius Scipionis di Cicerone. A fronte dell’eccellenza della musica celeste, la seconda figura non può che inginocchiarsi, distrarsi dai righi imperfetti abbandonati dinnanzi a lei e deporre i due flauti, emblemi di una musica meno elevata, che potrebbe definirsi strumentalis. Della terza figura si può innanzitutto osservare che regge un volume, del quale si intravede una figura geometrica. […] Il rimando alla Geometria, allora, serve per ricordare come l’universo poggi su rapporti matematici e – all’interno dell’allegoria- come tali rapporti concorrano, assieme ai più elevati gradi della musica, a generare l’accordo cosmico”. Zamperini, Paolo Veronese, cit., p. 63. Ivanoff, La Libreria Marciana, cit., pp. 71-72.

382 Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., pp. 167-168. Ead., Castello estense, p. 65. Hall,

Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, cit., pp. 371-372, alla voce Arti liberali. Le arti liberali erano divise in due gruppi: Trivio (Grammatica, Logica o Dialettica, Retorica) e Quadrivio (Geometria, Aritmetica, Astronomia e Musica).

383 Zamperini, Paolo Veronese, cit., p. 62. 384 Ivanoff, La Libreria Marciana, cit., p. 65.

balaustra e trabeazione con rosoni e foglie d’acanto sorretta da telamoni (153). Le modalità di esecuzione delle vesti e dei movimenti sembrano essere una palese ripresa di Venezia sul globo della Sala delle Udienze di Palazzo Ducale, attribuita dalla maggior parte degli studiosi allo Zelotti, dotata però di nuovi attributi385 (154). Lo scettro dell’originale tenuto nella mano sinistra, è sostituito con uno specchio e sul braccio sinistro levato con l’indice puntato verso l’alto, tiene in pugno un serpente aggressivo pronto a sferrare un attacco. Questa figura potrebbe essere riconosciuta come Sapienza, se si confronta con l’omonima realizzata da Tiziano che, come già menzionato, regge anch’essa uno specchio ma non tiene con sé il rettile. A confermare l’ipotesi, il confronto con un’incisione del volume Symbolicarum quæstionum de universo genere

quas serio ludebat libri quinque, pubblicato a Bologna nel 1555, in cui si trova la Sapienza ritratta mentre si specchia ed in atto di schiacciare un drago pluricefalo con il

piede ed ancora più, nell’omonima rappresentazione nel soffitto di Palazzo Thiene a Vicenza attribuita ad Anselmo Canera, caratterizzata dallo specchio e da un enorme serpente schiacciato sotto il suo corpo386 (155-156).

La presenza nelle pareti laterali di emblemi che richiamano un atteggiamento morale prudente e volto al timore divino, porta ad orientare l’ipotesi di riconoscimento verso un’altra direzione interpretativa. La figura muliebre della volta potrebbe essere la

Prudenza, caratterizzata, come già sostenuto, da un serpente ed uno specchio.

Il richiamo alle arti liberali, alla filosofia ed alla poesia, porta a sostenere la prima ipotesi, ovvero che in questo ambiente i committenti abbiano voluto celebrare la sapienza e la vita contemplativa ritenuta nell’opera parutiana “più eccellente dell’attiva […] e nondimeno viene ad essere più nobile, che la [vita] civile”387. Sul camino decorato con dettagli in finto marmo violaceo, è inserito all’interno di un cartiglio un ovale monocromo con una figura muliebre non ben identificata, seduta mentre poggia la mano destra su quello che sembra scrittoio, in atteggiamento contemplativo (157-158). La stanza dunque, potrebbe essere stata adibita dai Diedo a studiolo e luogo per i libri, durante i loro soggiorni in campagna. Giovan Battista Armenini, intellettuale romagnolo nel trattato De’ veri precetti della Pittura pubblicato a partire dal 1585, vero e proprio manuale in cui offriva suggerimenti operativi ai pittori, raccomandava per le librerie le

385

La critica tradizionale attribuisce il dipinto a Giambattista Zelotti. Zamperini nel recente studio su Veronese, lo qualifica come opera eseguita dal Ponchino. Brugnolo Meloncelli, Battista Zelotti, cit., p. 86, cat. 2. Zamperini, Paolo Veronese, cit., p. 62.

386 Ivanoff, La Libreria Marciana, cit., p. 65, 187, 188, figg. 82-83. 387 Paruta, Della perfettione della vita politica, cit., p. 106.

immagini “de’ poeti antichi con altre effigi di grand’huomini per commuovere con tali esempi e infiammare quegli i quali esercitano gl’ingegni loro circa la condizione delle cose umane e divine”388. L’ipotesi è piuttosto avventata, se si considera il fatto che non è facile determinare con precisione la fruizione specifica degli ambienti residenziali adibiti al “negotio privato e famigliare”, quali sono in maniera ipotetica questi del corpo a pianterreno, adibiti prettamente a studio e camera da letto389.

I membri della famiglia Diedo committenti del ciclo decorativo di certo erano patrizi dotti ed intellettuali e la copiosa presenza di citazioni del filosofo Seneca, indica da parte loro la conoscenza delle dottrine stoiche che teorizzavano il dominio della ragione sulle passioni, tematica frequente nella pittura italiana e nordica del XVII secolo ed in linea con il generale programma figurativo del palazzo dominicale di Arquà390.

Nella parete nord-occidentale sotto l’immagine di sapiente, si colloca una scena di banchetto, in parte danneggiata, dagli echi veronesiani, visibili in particolare nell’impostazione architettonica, in cui è narrato l’episodio del Banchetto di Antonio e

Cleopatra ambientato in un contesto veneto di fine Cinquecento, inizio Seicento391

(159).

La vicenda è ricavata da Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, che la raccontò in relazione alla proprietà delle perle. “Due sono state le più grandi perle di tutti i tempi; entrambe le possedette Cleopatra, ultima regina d’Egitto […]. Costei, mentre ogni giorno Antonio si rimpinzava di cibi raffinati, con un superbo e al tempo stesso sfrontato disdegno, come una regina meretrice, denigrava ogni lusso e l’apparato dei suoi banchetti; e poiché egli le chiedeva che cosa si poteva ancora aggiungere a quella magnificenza, rispose che avrebbe in una sola cena consumato dieci milioni di sesterzi. Antonio desiderava apprenderne il modo, ma non credeva che la cosa fosse possibile. Quindi, fatta la scommessa, il giorno successivo […] fece apprestare ad Antonio una cena peraltro magnifica ma di ordinaria amministrazione. Antonio scherzava e chiedeva il conto delle spese. Ma la donna, confermando che si trattava di

388

G.B. Armenini, De’ veri precetti della Pittura, Ravenna, Francesco Tebaldini, 1587, pp. 167-168.

389 L’argomento della fruizione delle stanze laterali della villa, adibite a funzione residenziale dei patrizi

veneti, venne affrontato da van der Sman. Egli sostenne che il confine non è ben definito, dato che ipoteticamente il proprietario portava durante il soggiorno in campagna un numero limitato di libri, per cui la biblioteca non occorreva avesse una collocazione fissa. Secondo i precetti palladiani lo studio doveva essere situato a oriente, regola non sempre rispettata nemmeno dall’architetto stesso. “Piuttosto che l’orientamento dell’edificio, […] occorre prendere in esame l’ampiezza degli ambienti. Per la funzione di stanza da studio era sufficiente un esame di piccole dimensioni”, mentre le camere da letto erano situate negli ambienti più grandi. van der Sman, La decorazione a fresco delle ville venete del Cinquecento, cit., pp. 300-303.

390 Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, cit., p. 369, alla voce Seneca. 391 Milan, Castello estense, cit., p. 65.

un corollario, che quella cena sarebbe costata il prezzo fissato e che lei da sola avrebbe mangiato dieci milioni di sesterzi, ordinò di portare la seconda mensa. Secondo le sue istruzioni i servi posero davanti a lei soltanto un vaso d’aceto, la cui forte acidità fa sciogliere fino alla dissoluzione le perle. Portava alle orecchie quei gioielli più che mai straordinari: un capolavoro veramente unico in natura. Pertanto mentre Antonio aspettava di vedere che cosa mai avrebbe fatto, toltasi una delle due perle la immerse nell’aceto e, una volta liquefatta, la inghiottì. Getto

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