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1. LA FAMIGLIA DIEDO DEL RAMO DEI SANTI APOSTOL

2.2. Il pianterreno

2.2.1. Stanza “di Fetonte”

Nella prima stanza a destra detta “di Fetonte”, collocata all’interno della costruzione posta a ridosso delle barchesse, furono riprodotti monocromi stilisticamente ed iconograficamente similari all’Ezechiele del piano nobile. Anche questi infatti sembrano essere una traduzione “letterale” di soggetti appartenenti alla sopradescritta serie Profeti

dell’Antico testamento incisa da Matham. Nella parete nord-occidentale sopra lo stipite

della porta di collegamento con la vicina sala, una figura senile scalza con lunga veste ed il corpo rivolto verso la scena contigua è inserita in un riquadro azzurrognolo in finti mattoncini con bordature ocra, interposto tra due finte lesene in marmo rossiccio (84). Trattasi del ricalco della figura di David estrapolata dall’analoga incisione a lui dedicata, ancora una volta decontestualizzata (85). Nell’opera originaria infatti, era collocata in un paesaggio montano e teneva accanto a sé quelli che sono i suoi simboli, la cetra e la corona regale298. Il personaggio veterotestamentario in questione era molto apprezzato ed amato dai committenti, viste le numerose volte in cui la sua immagine compare all’interno del ciclo decorativo.

297

Ezechiele venne rappresentato da Michelangelo in Cappella Sistina, ed è molto probabile che lo stesso Goltzius ne avesse tratto spunto. Entrambe le figurazioni, presentano infatti movenze similari, visibili nel braccio e nella mano destra tesi verso l’esterno. Nella stampa di Matham, un’iscrizione compilativa recita: «Corpora de terri rediviva refurgere tandem / Ezechiel pandit, sua premia quemque manere», riferimento alla visione apocalittica di scheletri rivestiti di carne e fatti rivivere. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, cit., p. 169, alla voce Ezechiele. W. L. Strauss, The illustrated Bartsch, Netherlandish artists: Matham, Saenredam, Muller, vol. IV, New York, Abaris Books, 1980, cat. 243 (193), p. 220.

298 Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., p. 151. Ead., Il castello estense, p. 67. W. L. Strauss,

The illustrated Bartsch, Netherlandish artists: Matham, Saenredam, Muller, cit., cat. 240 (193), p. 217. Un’iscrizione sottostante così recita: “Exortem labis Vates fesseius Agnum / Humanas maculas tersurum sanguine dixit”.

Sulla parete adiacente una figura muliebre anziana dall’espressione alquanto dura e aggressiva con i capelli raccolti, la lunga veste, i piedi nudi, è ritratta mentre tiene un libro poggiato sul ventre con la mano destra (86). Trattasi di Anna, ripresa dalla stampa affine, parte della serie Profetesse dell’Antico testamento realizzata dallo stesso Matham su disegni di Goltzius (87). Anna era una donna anziana, scrisse Luca nel suo Vangelo, rimasta vedova. In lei spicca la virtù della fedeltà. Sebbene avesse 84 anni, infatti, non smise mai di servire il Signore presso il tempio di Gerusalemme, in cui dimorava giorno e notte e, come asserito nell’iscrizione esplicativa sottostante l’immagine grafica, viene ricordata come colei che professò la nascita di Cristo redentore dell’umanità299.

Accanto ad essa nel lato sud-orientale, un’altra figura femminile ricalcata da

Holda incisione della medesima serie (88-89). La storia di Holda profetessa biblica

venne narrata da Geremia. Moglie di Sellum, abitante a nord di Gerusalemme, fu interpellata da una commissione di sacerdoti per il ritrovamento della Legge del Signore nel Tempio. Ella preannunciò a questi che Dio avrebbe castigato il luogo e gli abitanti della città per essersi abbandonati all’idolatria e non aver rispettato le sue volontà300.

Le tre immagini veterotestamentarie si alternano nel registro inferiore ad altrettante scene mitologiche in un ensemble incorniciato, anche in questo caso, da una finta griglia architettonica composta da pilastri decorati da inserti in marmo rossiccio, sostenuti da un alto zoccolo ornato con eleganti motivi vegetali (90). Viene qui rappresentata sequenzialmente la celebre vicenda di Fetonte, mito di derivazione greca in seguito raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi.

Le fabulae ovidiane con i loro significati moralistici ed allegorici, erano di gran lunga le tematiche più rappresentate nei cicli decorativi di villa tra il XVI ed i primi del XVII secolo, riprese anche da pittori “meno educati” grazie ad edizioni tradotte e volgarizzate accompagnate da illustrazioni, alcune delle quali, ad esempio quelle di Ludovico Dolce e Giovanni Andrea dall’Anguillara, pubblicate proprio a Venezia. A fine Rinascimento si diffusero ampliamente i picta poesis ovidiana, rielaborazioni

299 W. L. Strauss, The illustrated Bartsch, Netherlandish artists: Matham, Saenredam, Muller, vol. IV,

cit., cat. 247 (194), p. 223. L’iscrizione recita: “Mens Christum sensit præsaga Prophetidos Annæ […]”. Giuseppe e Maria incontrarono la profetessa all’interno del tempio, mentre portarono il bambin Gesù per presentarlo al Signore. La storia della donna è narrata in Luca 2: 36-38.

300

Ivi, cat. 246 (194), p. 223. L’iscrizione esplicativa dell’incisione recita: “Fatidici vates secret voluminis Holda / Enucleans, Domini quanta sit ira refert.”. Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., p. 156.

“figurativo-poetiche” destinate proprio alla facilitazione del lavoro agli artisti301. Le maestranze attive nella stanza “di Fetonte” non attinsero direttamente dalle Metamorfosi o dai numerosi compendi in circolazione, ma si limitarono a copiare traduzioni ovidiane per immagini più accessibili, utilizzando stampe appartenenti ad una delle serie più prestigiose realizzate da Goltzius302. Le Metamorfosi di Ovidio è un corpus di 58 incisioni derivate da disegni dell’artista eseguite probabilmente da allievi di bottega sotto la sua soprintendenza. L’elaborazione avvenne tra il 1588 ed il 1590 mentre la produzione e la pubblicazione si distinsero in 3 fasi cronologiche: la prima nel 1589, la seconda nel 1590, in seguito interrotte dal viaggio che il famoso incisore compì in Italia tra il 1590 ed il 1591. La terza ed ultima risale al 1615. L’opera riscontrò un enorme successo tanto che diverse incisioni furono riprese in dipinti e stampe303.

Sostenne a proposito Limentani Virdis:

“[…] ancora prima del suo viaggio in Italia, dei e miti costituiscono un repertorio di fascino straordinario, che consente lo studio appassionato del nudo e il consolidamento di un ideale di bellezza manierata e sensuale. La serie più prestigiosa e più ricca fra queste realizzazioni è quella delle ‘Metamorfosi di Ovidio’ […]. La cosa non sorprende se si riflette sull’accattivante qualità delle proposte. Le figure si torcono, si drizzano, s’impennano nelle cadenze di una pantomima ben temperata, accompagnata nella loro gestualità e nelle movenze delle vesti da una luce serica, argentea, talora strappata, che disegna le linee prevalentemente curve, non di rado terminanti a ricciolo, degli sfondi e paesistici, quasi un presentimento di

rocaille. I favolosi racconti d’amore, di divieto, di mutamento (Guthmuller 1986) trovano una

perfetta visualizzazione nella straordinaria mobilità delle forme e delle luci, collocati in un’arcadia incantata, senza tempo, dove l’osservatore può trasferire i propri sogni e i desideri più segreti”304.

301

Mancini, Il primo Seicento…, cit., p. 3.

302 Hendrick Goltzius nacque a Mülbracht, in Germania, nel 1588, da un figlio di pittore di vetrate, Jan

Goltz. A partire dal 1574 fu allievo di Coornhert, che seguì 3 anni dopo ad Harleem. Nel 1583 fondò assieme ad altri artisti l’Accademia di Harleem. Fondamentale per la sua produzione fu il viaggio in Italia che compì a partire dall’autunno del 1590. Si stabilì a Roma, dove ebbe l’opportunità di conoscere artisti italiani ed ammirare e disegnare i grandi capolavori antichi e moderni da cui trasse spunto per molte incisioni. In seguito visitò Napoli e soggiornò brevemente a Firenze, Venezia e Monaco. Morì ad Harleem nel 1617. Lo studio approfondito della statuaria antica fu basilare per le produzioni di tematiche classiche. C. Butelli, Biografie degli incisori, in Da Bruegel a Goltzius, cit., p. 30.

303 Per quando concerne la ripresa di incisioni appartenenti alla serie, viene ricordata una serie di affreschi

non attribuiti rinvenuti a Palazzo Lucchini a Bologna. Riproducono alcune stampe del primo gruppo edito nel 1589 illustranti il primo libro delle Metamorfosi. Furono attribuiti per lungo tempo al fiammingo Jan Soens (1547/1548-1611/1614), mentre poi si è propeso verso Cesare Baglione (seconda metà del XVI secolo – 1615), con una datazione stabilita attorno al 1605. Da Bruegel a Goltzius, cit., p. 120.

304 Limentani Virdis, Storie di santi, di eroi, di dei e di gente comune, in Da Bruegel a Goltzius, cit., pp.

La ripresa di dette stampe da parte della committenza e delle maestranze del ciclo di Arquà potrebbe quindi essere dettata senza ombra di dubbio dal gusto artistico dell’epoca, ma non solo. L’obiettivo era anche quello di voler lanciare al fruitore severi messaggi morali.

Accanto a David compare una grande scena dalle delicate tinte pastello blu e rosa riprodotta da Fetonte chiede il carro del Sole (91-92), primo foglio della seconda serie di 20 incisioni che illustrano il secondo libro delle Metamorfosi, pubblicate nel 1590, di cui una stampa è conservata anche presso il Fondo Grafico del Museo Civico di Padova305. Narra Ovidio che Fetonte, divinità greca, si recò nel palazzo del padre Elio, dio del sole, identificato però già dall’antichità con il dio della luce Apollo e perciò raffigurato con le caratteristiche e gli attributi di quest’ultimo, per supplicarlo di poter guidare il carro del Sole lungo l’arco celeste per una giornata, per poter dimostrare all’umanità la sua essenza divina. Il padre cercò in tutti i modi di distoglierlo da questa pazzia ma alla fine accettò. Goltzius rappresentò in maniera dettagliata la descrizione che l’autore latino fece di questo episodio. Elio siede su un alto ed elegante trono mentre dinnanzi Fetonte lo supplica stando in ginocchio. Attorno ad essi, il numeroso seguito della divinità tra cui le personificazioni del Giorno, del Mese, dell’Anno, del Tempo, ritratto con ali e barba bianca e le Quattro Stagioni, di cui si scorge in primo piano la Primavera, cinta da una ghirlanda di fiori in testa e l’Estate, nuda con una corona di spighe306. Le anonime maestranze di palazzo Diedo preferirono non ricalcare in modo integrale il ricco modello incisorio, decidendo di ‘spogliare’ e ridurre all’essenziale l’immagine. Furono ricalcate solo Elio assiso in trono, il figlio supplice ed altre poche figure, tra cui spiccano Primavera ed Estate. Eliminando quasi del tutto la costruzione architettonica sostituita da corpose nubi bluastre, i personaggi sembrano essere immersi in un’atmosfera onirica quale doveva essere, secondo Ovidio307.

La sequenza narrativa procede verso destra nella parete attigua, dove accanto alla profetessa Anna si colloca l’episodio Fetonte guida il carro del Sole, ricavato

305 Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., p. 152. Ead., Il castello estense, cit., p.67.

Da Bruegel a Goltzius, cit., cat. 28. IX, pp. 128-129. Strauss, The illustrated Bartsch, Netherlandish artists: Hendrick Goltzius, vol. III, cit., cat. 51 (106), pp. 323, 356. Nell’incisione compare la data di esecuzione: “HG excud. A 1590”. Nel margine inferiore l’iscrizione recita: “Tecta petit Phaeton Eois fulta columnis, / Tectapatris SOLIS regna beata sui / Indiciumq rogat malesuadus stemmatis ardor / Nescius heu fabricet quanta pericla sibi / F. Estius”.

306 L’episodio è descritto da Ovidio in Metamorfosi, II, 19-102. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli

nell’arte, cit., p. 173, alla voce Fetonte. Per la descrizione delle figure allegoriche della Primavera e Estate, Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., pp. 176-177, nota 98.

dall’omonima incisione contenuta nella serie disegnata da Goltzius (93-94), pubblicata nel 1590. Dopo la forzata approvazione di Elio, le Ore legarono i quattro cavalli bianchi al carro d’oro, mentre Aurora spalancò le porte del cielo dalle quali uscì Fetonte, pronto per il suo viaggio. Giovane e inesperto si trovò fin da subito in difficoltà, soprattutto quando si avvicinò allo Scorpione uno dei più terribili segni zodiacali. Ad un certo punto non riuscì più a domare i destrieri del sole che salivano o troppo in alto, bruciando il cielo, o scendevano troppo in basso, bruciando la terra e gettando il mondo nel caos308. Anche se un grosso lacerto di pittura non è più visibile a causa di una macrolacuna, sembra comunque che il frescante di Arquà abbia ripreso quasi alla lettera il modello incisorio senza apportarne grosse modifiche. Inserita in un’esuberante cornice di plumbee nubi, la raffigurazione pittorica manca del pathos, della drammaticità resi dall’anonimo incisore di Goltzius tramite il sapiente uso di chiaroscuri ed il vigore e la forza plastici, risultando qui, come nei numerosi esempi di riprese presenti nelle stanze dell’edificio, piuttosto piatta e priva di spessore.

Accanto alla profetessa Holda, sul lato sud-orientale l’ultimo e più importante brano della sequenza narrativa con impressa La Caduta di Fetonte, tema che ispirò moltissimi artisti a partire dall’antichità classica (95). Il caos riversatosi sulla terra costrinse i suoi abitanti a rivolgersi al padre degli dei Giove, che al momento opportuno decise di porre fine all’avventura di Fetonte scagliandogli addosso uno dei suoi potenti fulmini, distruggendo il carro e facendo precipitare il giovane nell’Eridano. Sulle rive del fiume sono raffigurate la madre Climene, ninfa oceanide, disperata per la morte del figlio e le Eliadi, sue sorelle, che piansero e si contorsero talmente tanto che dalle loro braccia levate in alto spuntarono rami e foglie. Furono trasformate in pioppi e le loro lacrime divennero perle di ambra309.

L’episodio arquatese è frutto di una commistione tra due opere. Gli elementi compositivi principali furono ripresi dalla Caduta di Fetonte, anonima incisione appartenente alla medesima serie datata 1590, tratta da un disegno di Goltzius di cui un esemplare è conservato al Metropolitan Museum di New York, firmato e datato 1588310

308

Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., p. 152. Ead., Il castello estense, cit., p. 65. Strauss, The illustrated Bartsch, Netherlandish artists: Hendrick Goltzius, vol. III, cit., cat. 52 (106), pp. 323, 356.

309 La caduta di Fetonte è narrata da Ovidio nelle Metamorfosi, II, 150-327, quello delle Eliadi subito

dopo nei versi 329-380. I due episodi si trovano spesso uniti nella stessa scena, come nel caso della raffigurazione in questione. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, cit., p. 173-174, alla voce Fetonte. Cicno, amico di Fetonte, disperato per la perdita, si trasformò in cigno. È ritratto in acqua, parte uomo e parte cigno.

310 Per maggiori approfondimenti si rinvia a R. Falkenburg, J. P. Filedt Kok, H. Leeflang Goltzius-

(96-97). Le Eliadi a sinistra sembrano invece prendere ispirazione dai nudi femminili di

Diana sorpresa da Attèone, stampa realizzata da Aegidius Sadeler II su disegno di

Paolo Fiammingo, eseguita probabilmente durante il viaggio in Italia avvenuto tra il 1593 ed il 1595 in cui fece tappa anche a Venezia311 (98-99).

L’utilizzo del modello incisorio in questione da parte delle maestranze è alquanto rilevante, sia per un termine di datazione del ciclo pittorico che per formulare una contestualizzazione. Aegidius II fece parte di una delle più importanti dinastie di incisori fiamminghi. I cugini Jan I e Raphael I abbandonarono Anversa per giungere in Italia nel 1595 e qui fecero inizialmente tappa a Verona, dove furono accolti presso l’abitazione di Agostino e Gerolamo Giusti, che ospitavano già dal 1593 Aegidius II. Fu in questa città che iniziarono ad intrattenere i primi rapporti con i collezionisti veneti ed il loro passaggio presso il principale committente del pittore veronese Felice Brusasorci e della sua bottega, risulterebbe alquanto influente. Jan I e Raphael I si trasferirono in seguito a Venezia, dove aprirono una bottega con produzione di stampe prevalentemente di traduzione, divenuta uno strumento di divulgazione e mediazione tra la cultura nordica e quella veneta. Jan I si fermò in laguna fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1600. Il 17 agosto, malato di peste, tornò a Venezia da Roma e chiamò al suo capezzale il notaio Giulio Figolino per redigere testamento. Come testimone risultava un certo “todaro de feryos pitore fiamengo de contrà di Santi apostoli”, la stessa in cui risiedevano i Diedo originariamente. Limentani Virdis ha ipotizzato l’identificazione dell’artista supponendo che possa essere stato Dirck de Vries, pittore neerlandese attivo a Venezia tra il 1590 ed il 1609, specializzato in nature morte. Pochi giorni dopo il celebre incisore morì e fu sepolto a San Cassiano nel quartiere di Cannaregio, non lontano dalle abitazioni di Angelo e Francesco Diedo. Pura coincidenza o no, nella medesima contrada di residenza dei presunti committenti del

Strauss, The illustrated Bartsch, Netherlandish artists: Hendrick Goltzius, vol. III, cit., cat. 53 (106), pp. 324, 356.

311Milan, Gli interni decorati del castello-villa, cit., p. 158. Ead., Il castello estense, cit., p. 67. Franck

Pawels, detto anche Paolo Fiammingo fu un pittore nato ad Anversa nel 1540. Si trasferì a Venezia nel 1573, dove collaborò con Tintoretto ed altri artisti alla decorazione della Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale. Fu prevalentemente un pittore paesaggista. Morì a Venezia nel 1596.

Aegidius Sadeler II appartenne ad una delle più importanti stirpi di incisori. Nato ad Anversa attorno agli anni Settanta del XVI secolo, nel 1586 si iscrisse alle Liggeren della città come apprendista del cugino Jan e nel 1589 alla Gilda di San Luca come incisore. Nel 1593 approdò in Italia, soggiornando principalmente a Roma, Napoli, Verona e Venezia. In seguito raggiunse Monaco e Praga, dove lavorò sotto le dipendenze e la protezione di Rodolfo II. Rimarrà al servizio della corte fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1629. Aegidius II, considerato dalla critica successiva il migliore incisore dell’intera dinastia, sia per la tecnica che per l’inventiva, fu anche pittore. G. Piccin, Una dinastia di incisori, in Una dinastia di incisori: i Sadeler, 120 stampe dei Musei Civici di Padova, a cura di C. Limentani Virdis, F. Pellegrini, G. Piccin, Padova, Editoriale Programma, 1992, cat. 97, pp. 89, 96.

ciclo pittorico del castello di Arquà erano attive importanti maestranze fiamminghe. Nella cerchia veneziana dei Sadeler si annoveravano artisti nordici tra cui i già menzionati de Vries e Paolo Fiammingo, Paul Bril, Gaspar Rem, Dirck Barendsz312.

Due anni prima Jan I prima ricevette dal pontefice Clemente VIII per sé, per il fratello e per il cugino Aegidius II, il privilegio esclusivo di stampa dei loro rami. Alla morte di questo, l’attività proseguì sotto la responsabilità del figlio Justus e di Raphael I. Le opere grafiche prodotte dai Sadeler riscossero immediato successo, circolando sia negli ateliers dei pittori che tra i numerosi amatori, nobili collezionisti d’arte ed influenti personalità veneziane. Significativa in questo senso è la presenza nel già menzionato Fondo Grafico del Museo Civico di Padova di ben 425 bulini prodotti dai più importanti componenti della famiglia Sadeler, tra cui il Diana e Atteone ricalcato in maniera circoscritta nella parete della tenuta Diedo, indice dell’abbondante circolazione che ebbero nel mercato collezionistico ed artistico in area veneta313.

Come in Fetonte chiede il Carro del Sole anche il pannello narrativo della

Caduta sembra esser stato ridotto all’essenziale rispetto alla densa e ricca

rappresentazione grafica derivata da Goltzius, quasi sovraffollata di figure. Le numerose Eliadi di sinistra furono eliminate probabilmente per questa motivazione, sostituite dalle meno ‘contorte’ ninfe di Sadeler. Le anonime maestranze arquatesi preferirono evidenziare, come nelle vicine composizioni, la precipitosa fine del giovane con una grossa nube violacea da cui si riesce ad intravedere sulla destra, una sorta di porto fluviale ‘nordicheggiante’ con torri ed alti campanili a punta (100).

Una delle motivazioni che potrebbero aver spinto i committenti a rappresentare nel loro palazzo dominicale il mito di Fetonte riguarda il legame che questo ha con le terre del Polesine. La leggenda narra infatti che il figlio del Sole cadde e si inabissò nell’Eridano, l’attuale fiume Po, precisamente a Crespino, località poco distante da

312 Ivi, p. 13. Limentani Virdis, La fortuna dei fiamminghi a Venezia nel Cinquecento, in «Arte Veneta»

XXXII, (1978), pp. 141-146. Per la presenza a Venezia di pittori fiamminghi si veda sempre Limentani Virdis, I fiamminghi e la Serenissima. Pittori e generi, in Fiamminghi: arte fiamminga e olandese del Seicento nella Repubblica Veneta, a cura di Limentani Virdis, Banzato, Milano, Electa, 1990.

313

A causa della totale mancanza di indicazioni inventariali e della forte lacuna presente nei dati archivistici, non è stato possibile identificare i movimenti collezionistici e le effettive provenienze delle numerose incisioni appartenenti al Fondo Grafico del Museo Civico di Padova. La raccolta nasce dall’unione di lasciti di colti cittadini che, in particolare nel XIX secolo, arricchirono il patrimonio museale padovano. Degni di nota sono i lasciti di: Antonio Piazza, Agostino Palesa, Adele Sartori Piovene. F. Pellegrini, I Sadeler a Venezia, in Una dinastia di incisori: i Sadeler, cit., pp. 5-10. Per un maggiore approfondimento sulle notizie collezionistiche delle collezioni grafiche padovane, si rinvia

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