Il dibattito sulle fonti orientali della Divina Commedia si animò ufficialmente nel 1919 quand’ebbero eco internazionale le tesi dell’arabista e abate spagnolo Miguel Asín Palacios raccolte, in quell’anno, nel volume intitolato Escatologia
musulmana en la Divina Comedia,81 di lì a breve celeberrimo ma tradotto in lingua italiana solo nel 1994, composto di quattro capitoli nei quali l’opera dantesca viene sistematicamente paragonata ai racconti escatologici islamici, in particolare al viaggio ultramondano percorso da Maometto narrato nella cosidetta “leggenda del viaggio notturno (isrā’) e dell’ascensione del profeta Mohammad
(Me‘rāğ)” da noi meglio nota come Libro della Scala.82
81 L’opera apparve nel 1919 in forma di discorso pronunciato dall’autore durante il suo
insediamento pubblico all’Accademia Reale di Spagna, celebrato il 26 gennaio e pubblicato subito dopo sulla rivista Raza Española. Ne uscì poi un sunto nel 1927, sotto il titolo di Dante y el Islam (Colección de Manuales Hispania). Faccio riferimento in questa tesi all’edizione italiana, cfr. M. A. PALACIOS, Dante e l’Islam, 2 voll., introduzione di Carlo Ossola, Nuova Pratiche Editrice, Parma 1994.
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Quest’antica leggenda islamica venne tradotta da Abraham Alfaquim, un dotto medico giudeo, poco prima del 1264, per volere di re Alfonso X di Castiglia, in una perduta versione castigliana da cui un quasi ignoto italiano, Bonaventura da Siena, sempre per commissione del re, trasse a sua volta due versioni, una in latino, nota a tutti con il nome di Liber Scalae Macometi, e l’altra in antico francese (Livre de l'Eschiele Mahomet) giunte a noi rispettivamente in un manoscritto di Oxford, e in due di Parigi e della Biblioteca Vaticana e pubblicate nel 1949 da E. Cerulli insieme con un riassunto della prima versione castigliana, conservata in un codice dell'Escuriale e attribuita a S. Pedro Pascual.83
Il Me‘rāğ, sviluppando un famoso versetto coranico su un miracoloso viaggio notturno del profeta a Gerusalemme (Corano XVII 1), narra la salita al cielo di Mohammad e la sua visita dei regni d'oltretomba: il Profeta, destato nel suo letto alla Mecca dall'arcangelo Gabriele e fatto montare su un destriero alato detto
Burāq, metà cavallo metà donna, viene condotto a Gerusalemme, e di qui fatto
ascendere in cielo per una fulgida scala, “miʽrāğ” appunto, da prende nome il racconto. Egli vede l'angelo della morte, uno in forma di gallo, un terzo metà di fuoco e metà di neve, e attraversa gli otto cieli incontrando in ciascuno un profeta, fino al trono di Dio; visita quindi il Paradiso con le sue delizie di natura e d'amore, e riceve da Dio il Corano, con i precetti delle orazioni quotidiane e del digiuno. Passato poi all'Inferno, ne percorre le sette terre, e ne contempla i diversi tormenti, ascoltando da Gabriele le spiegazioni sul giorno del giudizio. Tornato infine sulla terra, tenta invano di convincere i suoi concittadini meccani sulla verità della sua visione, che per suo invito viene trascritta e autenticata dai suoi fidi compagni Abū Bakr e Ibn 'Abbās.
Palacios riesce a rilevare dall’accostamento tra la Commedia di Dante e il
Me‘rāğ una lunga serie di somiglianze e coincidenze, che lo spingono a formulare
perfino alcune ipotesi circa le modalità con cui Dante avrebbe attinto alla tradizione islamica, sulle quali ancora si discute e su cui sono intervenuti, con toni
83 Cfr. Ibid., pp. 131.
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più o meno accessi, più o meno favorevoli, studiosi e italianisti di ogni parte del mondo.84
La questione delle fonti orientali a ben vedere però non inizia nel 1919 con le tesi di Palacios, ma inizia già dalle prime intuizioni, alla fine del XVIII, dell’abate spagnolo Juan Andrès, riprese poi da Frédéric Antoine Ozanam alla metà dell’Ottocento e riformulate in modo problematico all’inizio del Novecento dall’orientalista Edgard Blochet, il quale fu tra i primi ad avanzare l’ipotesi che nell’opera di Dante fossero presenti diversi ed importanti elementi provenienti più propriamente dalla tradizione iranica.
Blochet in Les sources orientales de la Divine Comédie85 informa infatti i suoi lettori che in Asia circolassero da secoli almeno due leggende di ascensione: una, il Libro di Virāf, più antica e di origine mazdea, l’altra- una sorta di ulteriore sviluppo islamico- più tarda e sul Virāf- Nāmeh basata, nota appunto come
Miʽrāğ. Sulla scia degli studi del nostro emerito orientalista Italo Pizzi, il quale
aveva a lungo riflettuto sull’originale matrice iranica di moltissime temi narrativi e forme poetiche entrate poi largamente nel canone occidentale, 86 Blochet infatti scrive:
J’ai essayé de montrer dans un mémoire précédent ( L’Ascension ou Ciel du
Prophete Mohammad n.d.r)87, que la légende de l’Ascension est née en Perse […],
et que la légende musulmane du voyage miraculeux que Mahomet exécuta en une nuit dans le monde céleste, était tout entière, jusque dans ses moindres détails, empruntée au Mazdéisme. Je crois qu’il est possible de prouver d’une fa on également certaine que c’est la même légende qui se trouve à la base de la Divine Comèdie de Dante Alighieri.88
84 Per una breve storia del dibattito nato intorno alla pubblicazione del volume di Palacios si guardi
lo stesso M. ASÍN PALACIOS, Historia y crítica de una polémica (1943), inclusa come secondo
volume all’edizione italiana del suo libro Dante e l’Islam, cit. Si veda anche L. CAPEZZONE, “Intorno alla rimozione delle fonti arabe dalla storia della cultura medievale europea, e sul silenzio di Dante”, in Critica del testo XIV / 2, 2001, pp. 523-543.
85 E. BLOCHET, Les sources orientales de la Divine Comèdie, 1901, Paris, J. Maison-neuve. 86 I. PIZZI,
“
Le somiglianze e le relazioni tra la poesia persiana e la nostra nel Medio Evo”, Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, 2. ser., XLII, C. Clausen, Torino1892. 87 E. BLOCHET, “ L’Ascension ou Ciel du Prophète Mohammad” , Revue de l’Histoire des religious, XL, 1-2, 1899.56
Esisterebbe insomma un materiale comune alla tradizione mazdea, islamica e cristiana che, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, divenne per molti accademici oggetto di un interesse nuovo e appassionato, non solo in Occidente - dove del resto la nascita della recente indoeuropeistica aveva dato un forte impulso al metodo comparativista- ma anche in Oriente dove alcuni studiosi, attenti ai fermenti provenienti dall’Europa, si sentirono chiamati in causa, specialmente i persiani i quali di quel glorioso passato mazdeo, in cui sarebbero nati miti ed immagini comuni poi a tutte le tradizioni si ritenevano i diretti discendenti.