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Origini, meccanismi e ostacoli della dinamica del settore nel territorio

II. Il vitivinicolo nel Nord-Ovest

4. Origini, meccanismi e ostacoli della dinamica del settore nel territorio

Nell’area il vitivinicolo è un settore storico, di grande tradizione che, però, ha conosciuto vicende al- terne in quanto a successo. Pur se con molta variabilità secondo i produttori, l’affermazione più re- cente sul mercato di molte aziende è dipesa, come si è visto, dall’adattamento della qualità raggiunta, sia dell’uva da vino sia del vino, agli standard più elevati del mercato. La qualità del prodotto nasce dall’interazione di tre elementi: ambiente naturale, caratteristiche del vitigno e competenze. Le fa- vorevoli condizioni climatiche tuttora facilitano gli allevamenti dell’uva, in particolare rendendo l’area relativamente meno esposta a fitopatie e limitano la necessità di trattamenti fitosanitari in corso d’anno. Le trasformazioni positive che il settore ha realizzato sono state però rese possibili in- nanzitutto dal fatto che la tradizione per la viticultura è un elemento non solo antico ma attuale, og- getto di sforzi secolari che non si sono perduti nel tempo: i viticultori sono sempre stati capaci nell’allevamento e hanno saputo assorbire le novità nelle tecniche e nella selezione dei vitigni. L’at- taccamento alle campagne, dimostrato dal persistere di un’abitudine a passare tempo sulle viti anche in presenza –per una quota degli agricoltori- di fonti alternative di reddito, è stato molto rilevante nel mantenere la grande estensione della superficie vitata che, anche per l’elemento paesaggistico, rimane una risorsa molto preziosa per la zona.

Questa storica, e ancora presente, capacità degli agricoltori non sarebbe però stata da sola suffi- ciente. Gli investimenti nella riconversione degli allevamenti sono stati massicci e sono stati forte- mente guidati dalla politica regionale di settore e soprattutto dal ruolo di promotore di sperimentazione dell’IRVV57 che, ben convogliando i sostegni derivanti dalla politica agricola co-

munitaria, ha dato il meglio di sé nella stagione in cui l’intera viticultura siciliana e dell’area è stata riconvertita valorizzando i vitigni autoctoni.

Sono stati riconvertiti 35 mila ettari per la produzione di uva con vigneti autoctoni e abbiamo inve- stito un miliardo di euro, metà pubblico e metà privato, a partire dal 1994 [Intervista Nord-Ovest, n.9, luglio 2010, funzionario ente pubblico del settore vitivinicolo]

Nell’indirizzare il settore, un importante ruolo hanno avuto figure chiave che si sono trovate a rico- prire posizioni di rilievo nell’orientamento della viticultura, nell’introduzione di aggiornate tecniche di vinificazione e nell’organizzazione delle prime iniziative di internazionalizzazione delle imprese medie58. Chi ricorda bene qual periodo ‘eroico’ tende a segnalare l’esigenza di avere punti di riferi-

mento, riconosciuti, identificabili e chiaramente accettati, come un elemento critico della possibilità di progredire.

Le modifiche nel mercato nazionale e globale, dopo aver penalizzato l’area nel passato, hanno co- stituito un’opportunità nei decenni più recenti che alcuni imprenditori di valore hanno saputo sfrut- tare. Le preferenze di una quota crescente di consumatori si sono orientate per la varietà e, accanto alla tradizionale nicchia dei vini ad altissimo prezzo, si è creata una domanda interessante per vini di qualità a prezzo più accessibile, tuttora in crescita. Sono state soprattutto le aziende private sto- riche, spesso ancora di proprietà delle antiche famiglie nobili e più capitalizzate in proprio, a prov- vedere al rilancio dell’immagine globale del vino siciliano. La fase di ascesa ha incentivato altri59.

Il modo con cui è stata proiettata sul mercato l’immagine del vino siciliano in epoca recente, però, è stata abbastanza particolare, piuttosto diversa dal resto del vino italiano importante che ha una chiara connotazione territoriale. Il vino siciliano, anche quello più importante e a marchio ricono- sciuto, è largamente decontestualizzato nell’approccio al consumatore rispetto allo specifico terri-

torio reale da cui proviene. L’accento è posto sulla provenienza dalla Sicilia e non da territori più cir- coscritti, malgrado la regione sia grande e assai articolata al suo interno e ciò sia apprezzabile anche nella varietà di gusto del vino a parità di vitigno. Capitalizzare su una immagine astratta e ricono- scibile (la Sicilia) ha forse facilitato la penetrazione di una parte del prodotto, ma ha allontanato nella percezione del consumatore il territorio reale dalla bottiglia.

Quest’aspetto può aver giocato un ruolo di freno anche per lo sviluppo del turismo del vino. Malgrado sia evidente che il connubio tra turismo e vino richieda molti elementi di attenzione di contesto che esulano dall’operato delle singole aziende, sembrerebbe che le aziende (anche quelle importanti) non abbiano davvero mai ancora puntato su questa filiera. Questo passo implica l’entrare in contatto con molti altri soggetti e per alcuni versi accettare che nell’episodio turistico il vino diventi servente l’attrattività del territorio, dove devono poter trovare rendimenti soggetti molteplici e non solo le aziende del vino. L’(ancora) scarso successo delle ‘strade del vino’ rispetto al potenziale teorico è una testimonianza di un meccanismo mancato. L’esigenza di riconciliare prodotto e territorio è certa- mente sentita dalle figure più lungimiranti ed è riconosciuta anche come una modalità privilegiata per creare più spazio sul mercato del prodotto, ma per il momento non appare diffusa o perlomeno non attiva passi concreti.

Negli ultimi anni il consumatore è sempre più interessato a capire cosa c’è dentro la bottiglia, e den- tro la bottiglia c’è il territorio. Per riconoscere un territorio a vocazione vitivinicola è necessario che ci siano un certo numero di aziende che diffondano questo messaggio attraverso il loro prodotto. Poche aziende possono affermare il brand proprio, ma non possono fare affermare il territorio per- ché sono un’entità troppo esigua […], sicuramente c’è stato uno sviluppo in positivo sotto questo punto di vista, […], ma in modo non uniforme [Intervista Nord-Ovest, n.10, settembre 2010, testi- mone privilegiato, operatore del settore con ruolo di rappresentanza].

Molte energie si concentrano, infatti, sul funzionamento interno del settore e sulla collocazione del prodotto, anche nella giusta convinzione che un miglior andamento del settore, distribuendo più redditi, possa favorire l’apertura ad altre iniziative sul territorio. Lo stato di disequilibrio, partico- larmente evidente nell’area nord-occidentale, concentra le preoccupazioni della politica regionale di settore apparentemente sul nodo della riorganizzazione delle cantine sociali, ma in pratica soprat- tutto sulla necessità di convogliare risorse a sostegno del reddito dei viticultori.

Questa direzione di azione, in parte perché incompleta strategicamente, è percepita dalle aziende pri- vate come assistenzialismo senza futuro e molte sono le lamentele nei confronti della burocrazia re- gionale (i cui limiti di strategia sono riconosciuti dagli stessi funzionari).

L’errore principale forse è stato quello di dividere i soldi che arrivavano in molti pezzi. Ma le infra- strutture sono quelle che creano sviluppo del territorio. Io una volta sono intervenuto in un incontro sulla programmazione 2007-2013, … avevo detto, venendo dalla vecchia programmazione: perché non programmiamo 3 o 4 grandi opere subito, come il raddoppio della ferrovia, in modo tale che spendiamo subito su opere che restano e danno sul territorio ottimi risultati ? Però … questa è la po- litica! La ferrovia se la dimentica la gente, il piccolo progetto che gli ha dato soldi in modo diretto no. Noi è da anni che abbiamo fondi: se io nel 2005 so che c’è la programmazione 2007-2013 e decido di investire in infrastrutture, non ho problemi se spendo o non spendo. [Intervista Nord-Ovest, n.14, set- tembre 2010, testimone privilegiato, funzionario dell’amministrazione regionale]

Sta di fatto che le divisioni e le divergenze tra gli attori della produzione si traducono in conflitti la- tenti e sospetti reciproci che impediscono un accordo e una strategia di pressione comune anche su punti di cui tutti dichiarano la necessità (migliore funzionamento delle infrastrutture, maggiore di- sponibilità di analisi di mercato per l’insieme dei prodotti territoriali, migliore disponibilità di strut- ture formative dedicate).

La carenza di competenze sul lato commerciale e del marketing è in particolare un nodo per l’intero settore (anche se meno avvertito nelle aziende importanti che hanno molti canali per approvvigio- narsi di capacità tecniche).

Il coltivatore coltiva la terra, la coltiva abbastanza bene, ha ristrutturato i vigneti […] però se le can- tine fanno vino sfuso e lo vendono ad € 1,80 è chiaro che la remunerazione del prodotto iniziale non è in grado di remunerare l’agricoltore che è sottopagato rispetto ai costi di produzione. Allora il nodo è chiaramente commerciale. [Intervista Nord-Ovest, n.8, luglio 2010, testimone privilegiato, funzio- nario dell’amministrazione regionale].