Pascoli rimane un poeta sospeso tra antico e moderno, esattamente come Galileo con il quale ha molti punti di contatto. Innanzitutto il rapporto conflittuale con la fede: per il romagnolo ricordare le volte che da bambino andava a messa, oppure sentire le campane è un modo per ricordare i propri cari; è il caso delle poesie Mia madre e La messa.
Galileo invece è costretto all'umiliazione dell'abiura e a vivere gli ultimi anni della sua vita come fosse in esilio; tuttavia anche se la vita ha riservato loro grandi amarezze, essi sono immortali grazie alle loro opere.
Entrambi si battono contro l'autorità costituita, contro il comune sentire dell'epoca con spiccato anti- accademismo: Galileo contro gli ottusi seguaci di Aristotele, i peripatetici, mentre Pascoli si scaglia contro il metodo ancora in voga di scrivere versi alla maniera di Petrarca.
Possono tranquillamente essere considerati scrittori rivoluzionari, l'uno nel campo della scienza, l'altro nel campo della letteratura e come tutti gli studiosi all'avanguardia hanno il problema di esporre adeguatamente i nuovi concetti.
Lucrezio lamenta la povertà del latino per rendere i concetti della filosofia greca a cui decide di ovviare inventando dei neologismi che sono dei calchi dal greco, è il caso ad esempio della parola
clinamen; mentre Galileo eleva l'italiano a nuova lingua scientifica a discapito del latino affinché le
sue opere possano essere lette sia da colti letterati che da persone più umili e comuni come ad esempio operai, artigiani, militari. Così facendo cerca di colmare il divario tra teoria e arti pratiche e culla il sogno che l'italiano diventi la nuova lingua europea della scienza ma, anche se ciò non avvenne, scrive con “spirito di servizio” per divulgare il nuovo vero a quanta più gente possibile con un linguaggio chiaro, preciso e con una prosa semplice: con l'uso dell'italiano Galileo opera un allarga la cerchia dei suoi lettori e con questo estende la sfera degli interessi per la scienza, toccando i ceti più diversi; la lingua italiana si qualifica così come la lingua dei molti, dei “laici” mentre il latino come la lingua dei pochi, dei “chierici”.
La strada tracciata da Galileo a favore di una cultura appannaggio dei ceti medio- bassi tramite una lingua che sia finalmente capita da tutti, sarà percorsa da Pascoli che, duecento anni dopo, compie un ulteriore salto e adotta il dialetto per ovviare alle lacune della lingua italiana sebbene al di là della questione linguistica il poeta sia un fervente seguace del toscano: i Canti sono la trasposizione in versi di quello che Galileo chiama il “grande libro della natura”, il mondo visto e indagato tramite numeri e formule matematiche è adesso percepito a livello inconscio, sentito intimamente,
e la realtà caricata di significato.
Il suo più grande merito è aver reso quantomeno appetibili, tramite la poesia, scienze ancora di nicchia in Italia quali la biologia, la botanica e l'astronomia, di aver fatto conoscere in Italia i libri di scrittori importanti, di aver sintetizzato nelle sue opere quel materiale che da sempre è stato costantemente diviso, classificato; infine di saper spaziare e saltare dal cielo alla terra, dalle formiche agli astri senza risultare pedante e incongruo.
Tuttavia Pascoli non ha la fede cieca nel progresso, non ha lo spirito del pioniere, del fondatore di una nuova dottrina, del paladino di una battaglia culturale da combattere che anima uno come Lucrezio, ma vede le tenebre oltre la luce, rimane sospeso tra antico e moderno e intravede i pericoli delle “magnifiche sorti e progressive”.
Egli assimila il pensiero pessimista di Leopardi e con grande lucidità respinge gli eccessivi
entusiasmi del positivismo; dalle sue liriche traspaiono le inquietudini di un uomo moderno, il senso costante della morte, della precarietà di questa esistenza a cui nemmeno la scienza può ovviare, anzi semmai aggrava sotto certi aspetti.
I momenti di più alta tensione lirica sono quelli in cui si descrive un pericolo, una minaccia incombente causata dalla modernità: è questo il caso del fucile di The hammerless gun, prodotto dell'industria bellica, delle nuove scoperte astronomiche, delle teorie evoluzionistiche tanto in voga. Nel momento in cui abbraccia il pensiero moderno, nel medesimo istante si tiene lontano, in
disparte: egli si presenta all'occorrenza quale cacciatore imbelle, atomo sperduto in un universo più grande di lui o come un escluso, un reietto: nell'appello alle rondini egli sa di essere diverso, di appartenere alla “schiera di chi rimane a terra” per dirla con le parole della poesia Falsetto di Eugenio Montale.
Nel suo essere un animalista e un ecologista ante litteram ci fa intravedere anche la distopia del progresso, un problema etico sull'utilizzo dei progressi scientifici che lo avvicina ad un grande inventore dell'epoca di Pascoli, lo svedese Alfred Nobel, il quale dopo aver brevettato la dinamite e averne visto i terribili effetti, decise, in seguito ai rimorsi di coscienza, di istituire la famosa
onorificenza che porta il suo cognome per premiare le persone che grazie alle loro scoperte o invenzioni hanno apportato i maggiori benefici all'umanità.
Pascoli media Virgilio e Lucrezio tramite il pensiero filosofico orientale e insegna all'uomo che è sciocca qualsiasi idea di superiorità sulla natura; su tutto aleggia la morte; come recita il motto del libro sapienzale dell' Ecclesiaste: vanitas vanitatum, et omnia vanitas cioè “vanità delle vanità e tutto è vanità”.