• Non ci sono risultati.

Tradizione classica e scienze moderne nei "Canti di Castelvecchio" di Giovanni Pascoli

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Tradizione classica e scienze moderne nei "Canti di Castelvecchio" di Giovanni Pascoli"

Copied!
148
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica Corso di laurea magistrale in lingua e letteratura italiana

TESI DI LAUREA

TRADIZIONE CLASSICA E SCIENZE MODERNE NEI

CANTI DI CASTELVECCHIO DI GIOVANNI PASCOLI

RELATORE

Prof. Angela GUIDOTTI

CORRELATORE Prof. Giorgio MASI

Candidato Alessandro PAROLI

(2)

INDICE

PREFAZIONE 3

I I CANTI DI CASTELVECCHIO 11

Introduzione 11

Vita di Pascoli al momento della composizione dei Canti di Castelvecchio ( 1897-1907) 12

Genesi dell'opera e tradizione a stampa 14

L'importanza dell'opera 15

Struttura dell'opera 17

I temi principali 18

Il rapporto di Pascoli con la scienza 20

L'influenza dei Canti in D'Annunzio 23

Le fonti moderne dei Canti 30

Il croco 31

L'uccellino del freddo 33

The Hammerless gun 34

I due girovaghi 39

L'usignolo e i suoi rivali 41

L'assiuolo 43 Canzone di marzo 45 La mia sera 46 In ritardo 47 Il primo cantore 51 Il nido di “farlotti” 54

Riflessioni conclusive in merito a quanto finora analizzato 56

(3)

II PASCOLI E LE FONTI SCIENTIFICHE ANTICHE 59

Letteratura scientifica latina 60

Un genere non autonomo 61

Agricoltura e astronomia 62 Naturalis Historia 63 Georgiche 64 Libro I e II 64 Pascoli e Virgilio 66 La vite 68 La canzone dell'ulivo 74 III IL CIOCCO 77 Fonti 78

Il giudizio della critica 83

L'importanza del Ciocco 85

Georgiche libro IV 86

De rerum natura 87

Analisi del componimento: I Canto del Ciocco 89

Il ruolo della natura 90

Il tema della vita e della morte nel Ciocco 101

La coscienza il tempo l'azione 103

Il tema della veglia 104

Osservazioni 113

Addio! 115

II Canto 118

L'imbrunire 126

Il bolide 133

L'apporto della Bhagavadgita 136

IV OSSERVAZIONI CONCLUSIVE 143

(4)

Prefazione

Nel panorama della letteratura italiana un posto di primo piano è certamente occupato da Giovanni Pascoli della cui immensa produzione balzano subito alla mente celebri liriche, tra tutte Il

gelsomino notturno e La cavalla storna. Tuttavia egli è rimasto “vittima” della loro fama poiché

hanno contribuito a creare l'immagine di un poeta provinciale, di carattere piccolo-borghese refrattario alla modernità e il cui orizzonte è soprattutto il mondo della campagna.

Questa visione comporta due errori: il primo è non prestare l'adeguata attenzione alla produzione in prosa sia in latino che in italiano, ad esempio opere fondamentali come il manifesto programmatico del Fanciullino o i molti scritti e discorsi tenuti sui più svariati argomenti, dall'epitaffio in memoria di Giosuè Carducci, agli scritti di critica letteraria su Leopardi e Dante per finire con la

partecipazione al dibattito politico italiano del tempo con La grande proletaria si è mossa. L'altro errore è dipingere Giovanni come intellettuale naif che guarda il mondo circostante con occhi ingenui, facilmente incline a piangersi addosso, come ben illustra Cesare Garboli1:

...Si sorvoli sul fastidio che può suscitare, in tempi un po' più duri di quelli dell'Italia

post-umbertina, il buonismo pascoliano, quell'eterno e irritante piagnisteo di poeta che canta e predica il bene senza mai cessare di ricordare il male di cui è vittima. […] Più importante è la società in cui è prosperata nel nostro paese la fortuna del Pascoli, la borghesia de fin- de- siècle dalle passioni intime e tremebonde e dalla lacrima facile, dai solidi nidi familiari più forti e tenaci di qualunque altro ideale o bandiera […]. Nel frattempo, nello spazio di un secolo è uscita di scena l'Italia rurale, come la chiamavano i fascisti, o l'Italia georgica per dirla coi professori, insomma la civiltà contadina per dirla con Pier Paolo Pasolini.

I Canti di Castelvecchio sono l'opera analizzata in questa sede: dotati di un progetto narrativo più organico rispetto alle Myricae presentano al suo interno poesie attinenti principalmente

all'osservazione della campagna e della natura lucchese insieme al ricordo dei cari estinti. Di esse si è operata la precisa scelta di analizzare quelle che presentano uno spiccato carattere scientifico che, sebbene poco messo in luce rispetto ad altre tematiche quando si parla di Pascoli, riflettono la grande conoscenza del poeta di autori antichi e moderni; infatti l'esistenza condotta dal poeta non gli impedì di acquistare e leggere moltissimi libri tuttora presenti nella casa-museo di Castelveccchio di Barga.

1 Cesare Garboli Giovanni Pascoli, poesie e prose scelte Collana Meridiani Tomo primo Arnoldo Mondadori editore 2002 pp. 11-12

(5)

Per chiarezza espositiva è stata adottata una doppia divisione di natura qualitativa e temporale: la trattazione si apre con le poesie a soggetto vegetale, poi animale e infine astronomico, e sono analizzate prima quelle che attingono maggiormente da autori contemporanei piuttosto che antichi anche se non mancano le sovrapposizioni tra i vari piani e i rimandi, sia intertestuali sia ad altre opere del romagnolo.

Si noti fin da subito che tutte le informazioni su piante e animali non sono puro concettismo o vanitoso sfoggio di cultura ma funzionali nell'economia dei versi e lo vediamo da una delle poesie apparentemente più semplici, quella che apre la nostra trattazione: Il croco.

Questo fiore delle gigliacee che si sente sradicato dopo il rinvaso è lo spunto usato da Pascoli per affermare di condividere la stessa condizione di sradicato dal suo luogo natio.

Emerge altresì una costante del romagnolo: non solo si può verseggiare solo traendo spunto dalla realtà poiché la poesia è nelle cose, ma sovente si innesta sul dato oggettivo un soprasenso simbolico intimo e soggettivo.

La novità più importante di Pascoli è aver rotto con tutta la tradizione letteraria precedente in nome dell'obbiettività che è in ultima analisi il fondamento del moderno metodo scientifico; grazie a lui le cose si chiameranno col loro nome senza più generalizzare e i tipici cliché sono ribaltati: ad

esempio nella poesia L'usignolo e i suoi rivali quest'ultimo adesso non canta più ma lascia la parola ad animali meno nobili quali assiolo e chiurlo, mentre ancora più complesso è il discorso di un uccello simbolo tra i poeti, la rondine.

La gioia ampiamente documentata in poesia per il loro arrivo sinonimo di primavera che ritroviamo in Canzone di marzo è di breve durata poiché si affacciano all'orizzonte i problemi per la loro sopravvivenza che con In ritardo giunge al punto di massima criticità.

Il tema della prole minacciata è legato a quello del nido ma talvolta può accadere che la situazione del poeta non coincida con quella degli animali: ad esempio nella poesia Addio! l'illusione che l'anno seguente ritornino le medesime rondini è frustrata dalla amara consapevolezza per Pascoli dell'impossibilità di contribuire, a differenza dei pennuti, all'immortalità della propria specie. Il romagnolo recepisce così appieno il concetto di selezione naturale formulato a metà ottocento da Charles Darwin e esercita un attivo ruolo di divulgatore scientifico per un pubblico ben più vasto di quello ristretto delle accademie e degli specialisti della materia poiché utilizza un linguaggio volutamente lontano da quello aulico.

Ulteriore prova di questa volontà di avvicinarsi al sentire comune sono l'adozione del dialetto, in questo caso barghigiano, visto quale mezzo per superare la povertà linguistica dell'italiano e l'introduzione, a partire dalla seconda edizione dei Canti, di un glossario che spiegasse proprio

(6)

questi termini dialettali.

Il monte della poesia che D'Annunzio e Pascoli scalano da opposti versanti riguarda anche il diverso modo di concepire la modernità: se il pescarese canta il mito della velocità, celebra l'auto e l'aereo appena inventati, il romagnolo privilegia la campagna alla città, anzi mette polemicamente in contrapposizione i due mondi2:

...al nostro poeta rimangono estranei il paesaggio urbano e la realtà delle macchine ( il treno è per lui la via ferrata che attraversa la campagna con il suo fascio di fili metallici […] ). Il mondo del Pascoli è essenzialmente il mondo che si apre all'uomo che vive nei campi.

Tuttavia Pascoli pone all'attenzione dei lettori problemi nuovi dimostrando una sensibilità diversa: il saltimpalo della lirica Il primo cantore deve saper volare in tempo per evitare la falce del

contadino mentre le averle del Nido dei “farlotti” rischiano di essere vittime dei cacciatori e a tal proposito in una nota a questa lirica auspica la posticipazione dell'attività venatoria.

La poesia pascoliana sembra quindi premonitrice di problematiche tipiche dell'epoca

contemporanea e il mondo è una realtà che deve essere vista con gli occhi di un fanciullo, il quale è capace di stupirsi di tutto ma al tempo stesso istruito di una sapienza antica come la storia

dell'universo e questo ci permette di giungere così all'altro grande pilastro del nostro discorso: l'utilizzo delle fonti antiche.

L'apporto della letteratura latina riveste un ruolo essenziale e il poeta stesso scrisse molte opere in latino, opere che per ben dodici volte gli valsero il primo premio al prestigioso Certamen

hoeffitanum di Amsterdam. Riguardo ai Canti Pascoli attinge essenzialmente alle Georgiche di

Virgilio, alla Naturalis Historia di Plinio il vecchio e al De rerum natura di Lucrezio, spesso combinandole insieme come accade nella lirica La vite, largamente debitrice delle prime due opere citate riguardo le informazioni sulla potatura della pianta e sul comportamento del cuculo. Pascoli stesso si batté per un modo meno schematico di insegnare le lingue classiche nelle scuole e la capacità non solo di padroneggiare tanto l'italiano quanto il latino, ma anche di dimostrare la loro intima connessione e uguale importanza, è ancora una volta ben illustrato da Garboli che anzi mette in evidenza come il poeta dia il meglio di sé proprio nella lingua latina e la scelta delle antologie destinate alla scuola è lì a dimostrarlo3:

2 Giovanni Getto, Carducci e Pascoli, Edizioni Scientifiche Italiane 1956 pp. 59-60 3 C. Garboli op, cit. pp. 67-74

(7)

Ma il latino del Pascoli non è una lingua molto più ibernata di quanto non lo fosse, e non lo sia sempre stato, il linguaggio poetico italiano, anzi l' italiano tout court […]. La sola differenza fra il Pascoli latino e quello italiano risiede nel fatto che il linguaggio poetico italiano, meccanizzato e astrattizzato nei secoli, ma suscettibile di contaminazione con la lingua d'uso permetteva al fenomenale temperamento plurilingue, istrionico e fonomimetico del Pascoli una possibilità di variazioni, provocazioni, innovazioni sorprendenti e infinite […]. Lo statuto del latino invece non permetteva allo stesso temperamento una sperimentazione di altrettanta estensione ma gli rese ugualmente possibili i tics , i costrutti rari e inventati, le iuncturae […].

Ma a Roma questo straniero in patria si trova di colpo a casa sua. È la stessa divaricazione che si nota nella diversa ampiezza, ricchezza, vivacità di interessi delle due antologie per le scuole, le due romane e le due italiane. Lyra e Epos sono due libri inimitabili, lavorati da una mano moderna, magica […] mentre Fior da fiore e in misura minore Sul limitare […] due florilegi, due repertori finalizzati a omologare una cultura di provincia, spopolata e paesana […].

Tornando al nostro discorso, notiamo che nella stessa lirica possiamo trovare anche più fonti appartenenti ad epoche diverse; è questo il caso della poesia a nostro giudizio cardine di tutto il nostro discorso, cioè Il ciocco: essa, divisa in due parti, racchiude al suo interno moltissime informazioni di carattere astronomico e biologico senza che manchino anche in questo caso le osservazioni personali del poeta le quali tuttavia non sono a carattere personale bensì filosofico-universali.

Se le informazioni sulle formiche, gli esseri tra i più piccoli di quelli visibili ad occhio nudo, attingono ampiamente dalle opere di importanti naturalisti moderni, esse risentono anche del IV libro delle Georgiche che tratta del mito di Orfeo e dell'allevamento e cura delle api, mentre la seconda parte invece è una grande riflessione sulle possibilità, peraltro non così remote, che la terra possa un giorno perire e con essa magari anche il sole, oppure che essa possa rinascere o che l'uomo, per scampare al disastro, faccia in tempo a trasferirsi sulla luna. In definitiva qui Pascoli elenca tutte le più avanzate scoperte cosmologiche dell'epoca ma il modello è Lucrezio e più

precisamente il III e IV libro del De rerum che trattano della morte degli esseri viventi e dei pianeti. L'autore classico partendo dal principio di aggregazione e disgregazione asserisce che tutto è

destinato a morire e quindi anche il nostro pianeta poiché tutto è vuoto o materia atomica e non esclude la possibilità che esistano infiniti mondi uguali al nostro in altre galassie a noi sconosciute. L'approccio di entrambi è razionalistico ed esclude ogni intervento esterno di qualunque divinità a differenza di altri autori più o meno coevi a Pascoli.

(8)

La totale insensibilità degli uomini che schiacciano i piccoli insetti si collega ad altre opere del romagnolo che trattano il tema dell'interazione tra uomo e animale come spiega Patrizia Paradisi nell'introduzione al poemetto latino Pecudes4:

Nell'epoca in cui l'applicazione sistematica e intensiva delle teorie darwiniane sulla selezione della specie attraverso i caratteri genetici ha portato allo sfruttamento industrializzato e indiscriminato degli animali domestici […] ancora una volta precorritrice si rivela l'opera del Pascoli con questo poemetto saggio ante litteram nella sua costante attenzione ai riflessi morali che il processo di addomesticazione ha portato […].

La studiosa nelle note fa riferimento ad un altro scritto di Pascoli, la prosa L'avvento:

Se il vostro sistema non si basa se non sulla giustizia, ebbene, rispettate, oltre il bue da lavoro, oltre il mite agnello e il festoso capretto, tutte, tutte le vite: non uscite a passeggiare per non calpestare le formiche, non vi muovete, non respirate, non vivete. La vita di un essere è

ineluttabilmente causa della morte di altri esseri […] La giustizia non comincia se non dove giunge la pietà. Non entra la giustizia nel modo nostro di comportarci con le formiche, perché in noi non si sveglia il sentimento di pietà.

È evidente quindi il forte intento di associare l'interesse per le discipline umanistiche a quelle scientifiche, due poli opposti che secondo il romagnolo dovevano invece trovare un punto di incontro imprescindibile per un vero progresso dell'Italia appena unificata e il luogo preposto a questa unione era ovviamente la scuola. Pascoli si convinse che la carenza di informazione

scientifica in Italia era allarmante e che tale lacuna determinava un pesante deficit nei confronti dei paesi europei più avanzati quali Francia Germania e Inghilterra. I Canti di Castelvecchio devono essere letti anche, e non solo, come un grande testo di divulgazione scientifica, uno dei mezzi più efficaci per veicolare idee e concetti che erano ancora appannaggio di pochi eruditi.

Egli sentì, per sua stessa ammissione, il mondo che altri descrissero, e lo fece in una lingua diversa e meno arida esattamente come molti secoli prima tentò di fare Lucrezio; si instaura pertanto un filo conduttore tra l'autore antico e quello moderno in quanto legati da una medesima comunione di intenti.

Sotto l'umile voce del fanciullo il poeta di San Mauro fece assumere alla sua poesia una funzione morale e civile molto più importante di quella che provò a fare in modo esplicito con le opere 4 Patrizia Paradisi, Pecudes, Patron editore Bologna 2001 pp. 6-7

(9)

dell'ultimo periodo: il suo scopo era competere con D'Annunzio per raccogliere l'eredità di Carducci quale poeta vate d'Italia ma quel ruolo non si confaceva al suo carattere schivo.

Sul piano politico Pascoli abbracciò gli ideali del socialismo che gli procurarono anche il carcere ma senza conoscere a fondo le teorie marxiste; tuttavia i concetti di struttura e sovrastruttura5 ben si

modellano alla sua poesia: oltre le parole semplici e dialettali vi è insito un messaggio più profondo, un messaggio di speranza e di cultura ed è questo ciò che si propone di fare questo nostro studio: scavare oltre la superficie per ammirare un poeta diverso e nascosto.

Emblematica la poesia I due fanciulli contenuta nei Primi Poemetti : egli invita tutti gli uomini alla pace, alla fratellanza, a rinunciare all'odio e alle vacue pretese di ricchezza e di potere poiché la scienza ha inequivocabilmente dimostrato che un giorno il nostro mondo potrebbe non esserci più, che addirittura tutto l'universo potrebbe scomparire. Allora ogni cosa sarà inutile, e il pianto dei bambini ivi descritto che hanno paura del buio sarà simile al cupo ultimo pianto che eleverà la terra prossima a distruzione, e la poesia perderà la sua importanza di lenimento dei mali dello spirito e svelatrice di realtà nascoste.

Facendo propri concetti essenzialmente epicurei Pascoli compì un'operazione di divulgazione scientifica analoga a quella fatta da Galileo ma senza il supporto della fede e senza la volontà, propria invece di poeti quali Zanella o Aleardi, di coniugare scienza e religione.

Proprio tale differenza permette alla sua poesia di essere portatrice di verità universali e di avere un respiro europeo che la collega inoltre a due nuove importanti discipline che proprio all'inizio

dell'ottocento vedono la luce: l'antropologia e la paleontologia. La prima studia l'uomo e la sua origine mentre la seconda i ritrovamenti di fossili di specie ormai estinte da tempo per le quali l'inglese Richard Owen conierà il termine dinosauri. Ebbene tali discipline avvalorano le tesi di Darwin sulla selezione delle specie e minano alle fondamenta il senso letterale delle parole contenute nel Genesi esattamente come circa due secoli prima fecero le scoperte astronomiche di Copernico e Galileo.

Il tentativo di Pascoli non ebbe tuttavia gli effetti sperati, poiché le sue opere, sebbene di grande impatto, rimasero entro una ristretta cerchia di letterati a causa soprattutto dell'alta percentuale di analfabetismo della popolazione italiana, una piaga che si risolverà a partire dalla metà degli anni cinquanta del '900 anche se il problema è sentito tra quelli più urgenti da risolvere per il neonato stato italiano, e Pascoli stesso interverrà sulla situazione scolastica con i Pensieri scolastici oltre che con la scrittura delle già citate antologie progettate per gli studenti, Epos e Lyra romana.

5 Marx sostiene nella sua opera Il capitale che solo i rapporti economici determinano la struttura della società mentre tutto il resto, dalle istituzioni alla religione, è da essi generato e costituisce appunto la loro sovrastruttura.

(10)

Questa attenzione verso il mondo dell'istruzione, della cultura e dell'insegnamento lo pone a fianco di eminenti figure più o meno coeve quali Don Bosco6 e Maria Montessori. Il primo, nato vicino

Asti nel 1815 e morto a Torino nel 1888, poi canonizzato dalla chiesa nel 1934, perde il padre a due anni e dopo aver frequentato le scuole di umanistica e retorica decide nel 1834 di entrare in

seminario divenendo prete nel 1841. Qui constata la situazione: visto lo stato di abbandono in cui versano i giovani della città sabauda decide di iniziare il suo catechismo con il suo apostolato giovanile. Nel 1845 apre le prime scuole serali e l'anno successivo si trasferisce insieme ai suoi ragazzi presso casa Pinardi che lo stesso sacerdote acquisterà nel 1851 e qui farà nascere il primo oratorio dedicato a Francesco di Sales; egli è uno dei primi in Italia a denunciare lo sfruttamento del lavoro minorile intervenendo in due modi: aprendo laboratori professionali per formare i giovani e facendo firmare dei regolari contratti di lavoro in cui al lavoratore possono essere richieste solo le mansioni per cui è stato assunto dietro il corrispettivo di un'equa paga.

Maria Montessori7 invece sviluppa un sistema educativo rivoluzionario per l'epoca e usato ancora

oggi.

Nata a Chiaravalle vicino Ancona nel 1870, decide, in contrasto con la famiglia, di iscriversi dopo gli studi superiori alla facoltà di Medicina presso la Sapienza di Roma grazie alla sua grande passione per la matematica e la biologia e si laurea nel 1896. Inizia poi a lavorare con il suo futuro marito Giuseppe Ferruccio Montesano presso la clinica psichiatrica dell'Università di Roma per recuperare i bambini affetti da disturbi psichici. In tal modo si interessa agli studi sui bambini selvaggi allevati da animali e sulla possibilità di reinserimento dei bambini “diversi” nella società attraverso un adeguato percorso rieducativo. Nel 1909 pubblica il rivoluzionario libro Il metodo

della pedagogia scientifica per una nuova idea della scuola dell'infanzia: i bambini devono essere

lasciati liberi di scegliere l'attività che più piace loro poiché così si favorisce la loro creatività e la loro disciplina che è dettata da un vero e autentico interesse; centrale è il movimento che favorisce lo sviluppo sia delle facoltà psichiche che motorie dell'allievo il quale quando si muoverà seguendo uno scopo saprà dirigere la sua volontà e, in sintesi, essere disciplinato. Inoltre si illustra l'idea delle classi differenziali per il migliore apprendimento dei bambini disabili.

Montessori apre numerose scuole per diffondere il suo metodo ma esse saranno chiuse dopo aspri contrasti con il governo fascista che la portano lontano dall'Italia fino in India dove allo scoppio della seconda guerra mondiale è internata insieme al figlio avuto da Montesano in quanto cittadini di un paese nemico.

6 Cfr. A. Giacomini G. Costanzi, Prevenire è meglio che curare: l'uomo salesiano Don Bosco, nel bicentenario della sua nascita Armando editore 2015 pp. 65-69

(11)

Rilasciata nel 1942, fa ritorno in Italia nel 1947 ma dopo quattro anni si trasferisce nella cittadina olandese di Noordwijk, dove muore nel 1954.

La sua fama dovuta al suo metodo, conosciuto in tutto il mondo, la pongono tra le più importanti scienziate italiane a tal punto che la sua immagine fu stampata dal 1990 al 1998 sul recto delle mille lire italiane.

Il lavoro della studiosa marchigiana è perfettamente confrontabile con la poesia di Pascoli: l'anima del fanciullino è la medesima di quei bambini costretti a districarsi tra le pieghe di una vita difficile, ma anziché fermarsi davanti ai sentimenti di pietà e compassione che facilmente suscitano,

entrambi optano per un approccio rigorosamente scientifico che permetta di capire la realtà; inoltre si sentono forti nei loro scritti le teorie avanzate dai più importanti psicologi che a cavallo tra '880 e '900 studiarono i bambini: la Montessori seguì le teorie dei francesi Seguin e Itard mentre Pascoli venne a contatto con l'inglese James Sully di cui parleremo in modo più ampio nel corso della nostra trattazione.

Emerge quindi una chiara visione eurocentrica che travalica di gran lunga gli angusti confini italiani e non si dimentichi infine che a livello europeo il tema scientifico è stato uno dei più importanti e apprezzati nel XIX secolo, grazie soprattutto agli scritti del francese Julies Verne, i cui romanzi

Ventimila leghe sotto i mari, Viaggio al centro della terra, Il giro del mondo in ottanta giorni hanno

avuto un grande successo di critica e di pubblico e ispirato e spinto molti ragazzi a studiare materie scientifiche.

Abbiamo parlato della modernità di questa poesia, della sua capacità di rompere con la coeva tradizione poetica italiana per recuperare quella latina; ebbene osiamo spingerci oltre e affermare la contemporaneità di tali versi: leggendo i Canti di Castelvecchio vi troveremo i problemi attuali sulla nefasta azione dell'uomo sulla natura e sui pericoli che affliggono le specie in via di estinzione che ancora non siamo in grado di risolvere.

Gli interrogativi che pone sono quantomai attuali adesso che l'innalzamento della temperatura della terra e l'inquinamento hanno raggiunto livelli assai preoccupanti e perfino papa Francesco ha sentito l'esigenza di scrivere sull'argomento con l'enciclica “ verde” Laudato si' che prende spunto dal

Cantico delle creature di San Francesco per esortare tutti a prendersi cura del pianeta poiché è la

nostra casa comune; è questa in ultima sintesi l'eredità più importante della poesia di Pascoli.

(12)

I CANTI DI CASTELVECCHIO

Introduzione

I Canti di Castelvecchio sono un testo di Giovanni Pascoli, edito da Zanichelli nel 1903. Il poeta li considera come delle seconde Myricae dedicate alla madre8 :

[…] e sulla tomba di mia madre rimangano questi altri canti![…] Crescano e fioriscano intorno all’antica tomba della mia giovane madre queste Myricae (diciamo cesti o stipe ) autunnali ; di esse hanno inoltre anche il motto “Harbusta humilesque myricae”.

Il titolo è già rivelatore di alcune caratteristiche della raccolta: il termine “canti” indica la volontà di dare maggiore coerenza interna rispetto alle giovanili Myricae, come ci informa lo stesso Pascoli in una lettera al Caselli del 7 agosto del 1902 sulla quale avremo modo di tornare.

Scrive il poeta9:

C’è, vedrai, nei Canti, un ordine latente, che non devi rivelare: prima emozioni, sensazioni, affetti d’inverno, poi di primavera, poi d’estate, poi d’autunno, poi ancora un po’ di inverno mistico, poi un po’ di primavera triste, e finis.

Le liriche, infatti, coprono il corso di un intero anno, mentre la seconda parte del titolo ci informa che l’ambientazione delle liriche è garfagnina, precisamente quella di Castelvecchio di Barga, paese in provincia di Lucca e della campagna circostante.

Pascoli si era infatti definitivamente trasferito in Toscana con la sorella Maria nel 1902.

8 Giovanni Pascoli, Canti di Castelvecchio, introduzione e note a cura di G. Nava, BUR 2006 p.53 9 Nava op. cit. p.7

(13)

Vita di Pascoli al momento della composizione dei Canti di Castelvecchio (1897-1907)10

In questa sede si analizzerà la vita di Pascoli in relazione alla genesi dei Canti, quindi nel periodo che intercorre tra il 1897, anno a cui risalgono le prime poesie inserite poi nel libro, al 1907, data delle ultime liriche aggiunte che danno alla raccolta la sua struttura definitiva, tralasciando l'aggiunta dell'Appendice nel 1911 di trascurabile importanza.

Non si considerano pertanto gli anni riguardanti le successive aggiunte del 1907 e del 1910.

Nel 1897 Pascoli insegna a Bologna mentre l’anno successivo si trasferisce a Messina nel cui ateneo insegnerà fino al 1903.11

La decisione di abbandonare la città emiliana matura per due motivi: Pascoli vuole liberarsi della ingombrante presenza del suo maestro Carducci, ed inoltre è ricattato dal fratello Giuseppe, che pur di estorcergli denaro è disposto a seguirlo ed inseguirlo fino a Bologna.

Questo è un anno particolarmente fervido dal punto di vista creativo, infatti Pascoli pubblica sia i

Poemetti, una raccolta di liriche di cui quasi la metà narra nella prima parte le vicende di una

famiglia contadina della Garfagnana mentre gli altri sono di argomento meditativo – filosofico, sia l’antologia latina Epos, mentre a puntate sul “Marzocco” escono i Pensieri sull’arte poetica, primo nucleo della futura prosa Il fanciullino.

Il 1898 è l’anno invece dell’uscita di Minerva oscura, il primo volume del trittico di esegesi dantesca e sempre nel medesimo anno Pascoli tiene a Roma una conferenza incentrata sull’analisi della Ginestra di Giacomo Leopardi.

Nel 1900 escono il secondo volume dedicato alla Divina Commedia, Sotto il velame e l’antologia italiana Sul limitare.

Gli anni dal 1898 al 1902 si succedono sostanzialmente uguali nella vita di Pascoli. Il poeta trascorre il periodo estivo a Castelvecchio di Barga trovando nella campagna toscana pace e riposo, mentre il resto dell’anno è in Sicilia per adempiere agli impegni scolastici in qualità di docente. Dal punto di vista della produzione letteraria cominciano già a delinearsi dal 1898 gli interessi di Pascoli riguardanti i settori della poesia latina, italiana e dell’esegesi dantesca, riassunti da Capovilla nella felice formula “I tre scrittoi”.

Nel 1901 è la volta della seconda antologia italiana Fior da fiore mentre l’anno successivo avviene l’altra importante svolta nella vita del poeta dopo l’omicidio del padre avvenuto nel 1876; infatti Pascoli acquista la casa di Castelvecchio il 28 febbraio, e quindi si trasferisce insieme alla sorella 10 I testi di riferimento per la biografia sono Giuseppe Capovilla Pascoli ed. Laterza 2000, e Cesare Garboli,

Introduzione a Giovanni Pascoli. Poesie e prose scelte, ed. I Meridiani Mondadori 2001 11 Cfr. G. Capovilla op. cit. p.80

(14)

Maria nel paese barghigiano.

Sempre nel 1902 esce l’ultimo volume dedicato a Dante dal titolo La mirabile visione12, ma

anch’esso come gli altri due libri danteschi non riscontrerà mai, vivente l’autore, il successo di critica e di pubblico da Pascoli sperato.

Con il suo definitivo trasferimento in Toscana, il poeta è nominato con regio decreto ministeriale professore all’Università di Pisa.

Il 1903 è un anno cruciale dal punto di vista artistico: escono la sesta edizione delle Myricae e i

Canti di Castelvecchio.

I due fratelli a Castelvecchio conducono una vita appartata e Giovanni tenta di ricostruire il nido infranto grazie a Maria che assumerà col trascorrere degli anni il ruolo di confidente e sorella fidata. Nel 1904 escono ad ottobre i Primi Poemetti mentre nel 1905 egli è di nuovo chiamato a Bologna, questa volta a succedere a Carducci nella cattedra di letteratura italiana.

Nel capoluogo emiliano egli sente la necessità di ricreare la poesia del passato, di fare emergere le potenzialità rimaste inespresse per farle conoscere ai lettori e al tempo stesso affiora il sentimento di un sempre più crescente distacco da Castelvecchio.

Licenzia Odi e inni nel 1906, raccolta poetica suddivisa in due parti omogenee di argomento aulico ed elevato in emulazione della lirica greca; nella prefazione Pascoli dichiara che lo scopo della propria poesia è pedagogico-civile.

Le Odi si presentano in forma eterogenea in cui accanto al motivo della sofferta vita personale si affianca un simbolismo floreale e e un sublime elegiaco fondato su dati naturalistici che denunciano l'ansia di immortalità del poeta.

Gli Inni invece rimettono al centro il motivo occasionale che detta la composizione poetica poiché trattano di argomenti di stretta attualità che presentano il carattere dell'eccezionalità: celebrazioni significative, repressioni di sommosse, scoperte scientifiche, eventi che il poeta legge su giornali e riviste.

Nell'anno successivo il poeta lo trascorre nel capoluogo emiliano e non avvengono episodi degni di nota eccetto la morte di Carducci la cui figura Pascoli ricorda dapprima sul giornale “Il resto del Carlino” e successivamente in due commemorazioni pubbliche tenutesi a Pietrasanta e a San Marino.

La sua attività maggiore è ampliare e rivedere le opere già uscite: escono infatti la quarta edizione dei Canti di Castelvecchio, la seconda, rivista ed accresciuta, di Odi e Inni e il volume di prose

Pensieri e discorsi che integra ed arricchisce quello del 1903.

(15)

Genesi dell’opera e tradizione a stampa

L’edizione di riferimento qui adottata è a cura di Giuseppe Nava13 che assume come testo base la

sesta edizione dei Canti, uscita postuma nel 1912 ma curata dal poeta, e a sua volta si fonda sull’edizione critica curata da Nadia Ebani nel 2001.14

Quest’opera di Pascoli è stata il frutto di una costante elaborazione, di continue aggiunte15; è noto

infatti come Pascoli ami collocare poesie spesso anche coeve in raccolte diverse, e i Canti non fanno eccezione.

Scorrendo le date di pubblicazione delle varie liriche inserite nei Canti, osserviamo che il nucleo principale della raccolta è composto tra il 1899 e il 1903, ossia durante il periodo messinese16; c’è

anche una poesia più antica, The hammerless gun, scritta nel 1897; invece le poesie La tessitrice,

Casa mia, Le rane e La messa costituiscono il nucleo più cospicuo del Ritorno a San Mauro,

collocato in appendice al libro.

Infine giova ricordare che molte delle liriche sono composte per occasioni particolari, ad esempio matrimoni e battesimi come testimoniano le già citate quattro poesie del Ritorno pubblicate nell’opuscolo per nozze “Tosi- Brolini” o la celeberrima Gelsomino notturno, che compare nell’opuscolo A Gabriele Briganti nel giorno delle sue nozze (1901).

Riguardo alla tradizione a stampa, alla prima edizione del 1903 segue subito un’altra nell’agosto dello stesso anno alla quale Pascoli appone in appendice un glossario di note che spiegano i termini garfagnini, preceduto da un preambolo sulle proprie convinzioni linguistiche17:

Ci sono parolette che mal s’intendono. È vero. Sono, in vero, proprie dell’agricoltore; e chi non è agricoltore, non le sa; sono vive ancora, dopo tanti secoli, su queste appartate montagne; e chi in queste montagne non è stato, crede che siano parole morte, risuscitate per far rimaner male lui.

Ma no, non per codesto io le rimetto in giro; bensì, ora per amor di verità, ora per istudio di brevità. I miei contadini e montanini parlano a quel modo, e parlando a quel modo parlano spesso meglio che noi, specialmente quando la parola loro è più corta, e ha l’accento su la sillaba radicale, sicchè s’intende anche a distanza, da colletto a colletto, e fa il suo uffizio da sè e non ha bisogno dell’aiuto d’un aggettivo o d’un avverbio. Sì: lo scrittore o dicitore che spende due parole

13 Cfr. Nava op. cit.

14 Nadia Ebani, Canti di Castelvecchio, La nuova Italia, 2001

15 Maurizio Perugi, Dai Canti di Castelvecchio, a cura di, Milano, Il saggiatore, 1982 p.7 16 Cfr. M. Perugi op. cit. p.7

(16)

per un’idea sola è come l’uccellatore che spreca due cartuccie per un solo pettirosso, e non lo coglie.

La terza edizione è del 1905 nella quale il poeta aggiunge le tre canzoni uccelline La partenza del

boscaiolo, L’uccellino del freddo e Il primo cantore, mentre nella quarta del 1907 sono aggiunte le

liriche Il viatico e L’imbrunire. Nel 1910 esce la quinta edizione nella quale è presente in appendice il Diario autunnale, la sesta come detto nel 1912.

Dopo la morte del poeta, nell’edizione curata dalla sorella Maria, uscita postuma nel 1914, troviamo anche Il compagno del taglialegna e La capinera.

L’importanza dell’opera

La centralità dei Canti è data innanzitutto dalle coordinate cronologiche: infatti nel dicembre del 1903 era uscito l’ Alcyone di Gabriele D’Annunzio.

Queste due raccolte rappresentano i cardini della poesia novecentesca e formano la pietra di paragone con la quale tutti i poeti italiani futuri finiranno per confrontarsi.

Garboli18 ha acutamente notato che con questa opera vengono per la prima volta introdotti nella

storia della poesia italiana termini non aulici, ma legati al vivere quotidiano, e proprio per questo estremamente precisi.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Tullio De Mauro19:

… per la prima volta nella storia d’Italia, la lingua nazionale si avviava a diventare una realtà davvero quotidiana e viva in tutto il paese, uno strumento usato da milioni di persone, che, con il loro stesso numero, rendevano difficile attuarsi i vecchi intenti puristici e pedanteschi. I versi del Pascoli non sono meno letterari e pensati degli altri: talora non spontanei, la loro spontaneità non va mai confusa con l’improvvisazione; ma in essi il lessico vivo entra ormai di pieno diritto e senza rivali: i piedi si chiamavano piedi, i riccioli riccioli e non piè o crine. E poiché nel parlare ci si serve del dialetto, in questi versi entra anche il dialetto[…] Divenuto poeta laureato, Pascoli tornò in parte al vecchio linguaggio. Ma nella storia del lessico e della sintassi della poesia italiana,

18 Cfr. C. Garboli, op,cit. p.217

(17)

seguito effettivo ebbero i Canti: Valentino, La Saggina, La bicicletta; le forme, cioè, di una lirica che si vale del patrimonio linguistico quotidiano.

Pascoli rinnova il linguaggio poetico e ne attua una vera rivoluzione scagliandosi contro il petrarchismo fino ad allora imperante ed espone le proprie convinzioni nella prosa Il sabato20 dove

analizza la lirica leopardiana Il sabato del villaggio21 :

Donzellette, non vidi venire dalla campagna col loro fascio d’erba: non ancora la lupinella insanguinava i campi. Avrei voluto vedere il loro mazzolino, se era proprio “di rose e di viole”! Rose e viole nello stesso mazzolino campestre d’una villanella, mi pare che il Leopardi non le abbia potute vedere. A questa, viole di marzo, a quella, rose di maggio, sì, poteva; ma di aver già vedute le une in mano alla donzelletta, ora che vedeva le altre, il poeta non doveva qui ricordarsi. […]

No: non ci ha detto quali fiori erano quelli, perché io sospetto che quelle rose e viole non siano se non un tropo, e non valgano, sebbene speciali, se non a significare una cosa generica: fiori. E io sentiva che, in poesia così nuova, il poeta così nuovo cadeva in un errore tanto comune alla poesia italiana anteriore a lui: l’errore dell’indeterminatezza, per la quale, a modo d’esempio, sono generalizzati gli ulivi e i cipressi col nome di alberi, i giacinti e i rosolacci con quello di fiori, le capinere e i falchetti con quello di uccelli. Errore d’indeterminatezza che si alterna con l’altro del falso, per il quale tutti gli alberi si riducono a faggi, tutti i fiori a rose o viole (anzi rose e viole insieme, unite spesso più nella dolcezza del loro suono che nella soavità del loro profumo), tutti gli uccelli a usignuolo.

20 Maurizio Perugi, Opere, tomo II Riccardo Ricciardi editore 1981 pp.1699-1733 21 M. Perugi op. cit. pp.1701-1702

(18)

Struttura dell’opera

I Canti di Castelvecchio constano di sessantotto poesie, delle quali la prima, ossia La poesia è una dichiarazione di poetica, mentre le altre sono attinenti al ritmo delle stagioni, o al tema memorialistico, oppure sono liriche d’occasione.

Si osservi che le poesie legate alle vicende personali di Pascoli, come ad esempio Un ricordo, Il

nido dei farlotti, Il ritratto e La cavalla storna, sono collocate accanto a quelle stagionali mentre

merita un’attenzione particolare l’appendice del Ritorno a San Mauro, costituita da nove poesie. Qui si collocano non solo le quattro liriche più antiche dell’appendice (che lo sono anche dei

Canti), ma esse, come detto, pur essendo state scritte in occasione di un matrimonio, hanno per

argomento gli affetti perduti di Pascoli come ad esempio il ricordo del padre e della madre.

È evidente in queste poesie la commistione di vicende private con altre d’occasione e quindi che la tripartizione appena fatta valga come schema generale ma senza dover essere applicata in modo troppo rigido. Nello specifico occorre dire che pur spaziando lungo l’arco di un intero anno, tuttavia le liriche non coprono le canoniche quattro stagioni poiché l’autunno, che apre e chiude la raccolta, compare due volte.

All’interno del libro, una parte preminente viene dedicata alle stagioni dell’autunno e dell’inverno e quest’ultimo assume una valenza particolare: è infatti un inverno “mistico” che spinge il poeta ad attuare riflessioni sui grandi temi della vita e della morte.

I Canti hanno una organicità maggiore rispetto alla prima raccolta perché si tenta di andare oltre l’aspetto bozzettistico, fatto di liriche brevi, proprio delle Myricae.

Infatti non poche poesie hanno una discreta ampiezza ed emerge in modo chiaro l'intento del poeta di raccontare la vita che trascorre a Castelvecchio e l'osservazione del mondo naturale.

(19)

I temi principali

Si accennano qui sinteticamente i temi principali della raccolta.

Uno degli argomenti più trattati è senza dubbio la grande attenzione posta da Pascoli al mondo della campagna barghigiana e più in generale della natura, con la quale il poeta ha un intenso rapporto fisico, “fino al limite morboso della meteoropatia.”22

L’intenzione è quella di tornare verso le Myricae, di attingere di nuovo alla medesima ispirazione23

e non a caso anche le poesie dei Canti sono ricche del medesimo linguaggio pregrammaticale della prima raccolta, di cui l’onomatopea è il prodotto più evidente.

Le voci, i suoni, i colori che Pascoli registra nelle sue poesie derivano dalla sua capacità di saper osservare il mondo circostante, capacità che afferma essergli stata insegnata dalla madre 24:

Io sento che a lei devo la mia abitudine contemplativa, cioè qual che ella sia , la mia attitudine poetica. Non posso dimenticare certe sue silenziose meditazioni in qualche serata, dopo un giorno lungo di faccende avanti i prati della Torre.

Oltre alle poesie che quindi scandiscono un tempo ciclico, legato alle stagioni, l’altra grande tematica è quella legata ai ricordi del poeta, ai lutti familiari patiti e al culto dei morti.

L’uccisione del padre, la scomparsa prematura della madre e dei fratelli Luigi e Giacomo, l’abbandono del ‘nido’ da parte della sorella Ida scavano solchi profondi nel cuore di Pascoli e proprio da tali infausti eventi scaturiscono alcune delle più celebri poesie del sammaurense come X

Agosto, inserita in Myricae, o La cavalla storna, che si trova invece nei Canti.

In questo modo viene a profilarsi un tempo personale, privato, antitetico al primo e con esso non coincidente.

Intorno a questi due temi di basilare importanza ve ne sono altri; ad esempio il modo in cui il poeta si colloca all’interno della raccolta stessa e il ruolo esercitato dall’attività onirica.

Riguardo al primo punto occorre dire che Pascoli si sente estraneo alla comunità di contadini da lui descritta e più in generale ad ogni consorzio umano.

22 Felice del Beccaro, Studi pascoliani, Maria Pacini Fazzi editore 2001 pp.83 nota 31: “ È interessante notare quale influsso avessero sul Pascoli le stagioni e le condizioni climatiche ad esse relative. Nelle lettere del poeta vi sono parecchie indicazioni concernenti la meteorologia in rapporto allo stimolo o meno di scrivere versi. Più che sul gusto del pittoresco tali notazioni vertono appunto su veri e propri riflessi fisiologici.”

23 Cfr. F. del Beccaro op. cit. p.82

24 Cfr. G. Nava, op. cit. p.54. La Torre è il palazzo dei principi Torlonia presso i quali il padre del poeta svolgeva la mansione di fattore.

(20)

Il poeta trascorre una vita appartata insieme alla sorella Maria a Castelvecchio e la prova di questo senso di esclusione è il colore folcloristico della lingua dei Canti.

Così ad esempio Felice del Beccaro25:

…. Mi sembra anzi che questo gusto del folklore cacci via eventuali interessi sociali intrinseci alla realtà osservata e vissuta. Perché qui a differenza che nelle Myricae, l’uomo vorrebbe essere protagonista della campagna.

Vorrebbe e non vi riesce. Il popolo contadino è veduto sotto la specie pittoresca: usi, costumi, tradizioni, leggende, novelline del piccolo mondo barghigiano ed ancora vocaboli e locuzioni dialettali sono largamente utilizzati. Il poeta è padrone di quel mondo e si sente al sicuro, tranquillo nel suo possesso sicuro. Inquietudini e preoccupazioni permangono in lui (ci vuol poco a determinarle), ma sono sempre di ordine privato..[…] Sotto la specie pittoresca il contadino viene in sostanza idealizzato e questa idealizzazione si riflette anche negli episodi che attingono alla cronaca e che approdano ad una soluzione di pietà.

Pascoli quindi sceglie una visione intimistica, ripiegata su se stessa in cui è assente ogni conflitto sociale e da questa deriva anche l’importanza che ha il sogno all’interno dei Canti. Giuseppe Nava aggiunge anche l’influenza di Freud26:

..con la sua tensione a suggerire l’ineffabile, a evocare l’invisibile, secondo una tradizione romantica, [...] tensione che nel Pascoli è tanto più originale in quanto si orienta verso la rappresentazione del subconscio, verso la produzione di simboli come figure di desideri e conflitti inconsci. [..] È il mondo notturno dell’uomo, che trova espressione in liriche come “ Il sogno della vergine” o “Il sonnellino”.

D’altra parte con un’ambiguità che è tipica del Pascoli, la rappresentazione del sogno oscilla in lui tra la realizzazione del desiderio, come in “Casa mia” e “Il sogno della vergine”, in un precorrimento della teoria freudiana, e lo stato di grazia, che consente di raggiungere una realtà più profonda di quella visibile...

25 F. del Beccaro, op. cit. p.86 26 G. Nava op. cit. p.15

(21)

Il rapporto di Pascoli con la scienza

Dalla metà alla fine del XIX domina in filosofia il positivismo, fondato dal filosofo francese Auguste Comte.

Per Comte l'unica conoscenza possibile è quella che si realizza secondo il metodo scientifico il quale si propone di analizzare il rapporto di causa-effetto nei fenomeni obiettivamente e sperimentalmente osservabili. Dallo stadio teologico, in cui dominava l'immaginazione e da quello metafisico, proprio della ragione astratta, si passa allo stadio positivo che ha per oggetto lo sviluppo dell'industria e della scienza moderna

L'epoca in cui vive il poeta di San Mauro è quella in cui, dopo l'Unità d'Italia, si assiste ad una grande rinascita scientifica. Oltre alla fondazione di nuove scuole e laboratori viene stabilita una proficua collaborazione con i ricercatori stranieri per colmare il divario con il resto d'Europa; spiccano tra tutti i nomi di Francesco Brioschi, fondatore del “Politecnico” di Milano, di Guglielmo Marconi inventore del telegrafo e del chimico siciliano Stanislao Canizzaro. Purtroppo lo studio della fisica e della chimica ha una minore espansione poiché necessita di costose e peculiari attrezzature e macchinari molto difficili da reperire per un paese arretrato quale era l'Italia.

Nel campo letterario sotto l'influsso del positivismo prende piede il metodo storico per opera di Pasquale Villari che in un articolo apparso sul Politecnico afferma che l'applicazione del metodo storico alle scienze morali equivale al metodo sperimentale nelle scienze naturali.

Questo metodo privilegia gli aspetti storici e testuali di un'opera a discapito di quelli estetici e grazie ad esso ricevono nuovo impulso la filologia con le opere di D'Ancona e D'Ovidio e la linguistica grazie a Grazadio Isaia Ascoli per il quale i dialetti sono il frutto di precise caratteristiche etnico- antropologiche e pertanto nessun intervento normativo deve condizionare la loro “selezione naturale” . Un recente studio ad opera di Sebastiano Valerio si è interessato al tema della scienza in sinergia con la letteratura ed è da qui che partiamo27.

Il più convinto assertore di questa linea di pensiero fu senza dubbio Gaetano Trezza, nato a Verona nel 1828, professore di lettere classiche tra Verona, Cremona e Modena.

Chiamato infine a Firenze da Pasquale Villari a insegnare latino all'Istituto Superiore di Firenze, muore nel capoluogo toscano nel 1892.

Egli è l'autore del fondamentale articolo Il Darwinismo e le formazioni storiche, pubblicato sulla “Rivista di filosofia scientifica” in cui osserva28:

27 Sebastiano Valerio, Letteratura, scienza e scuola nell'Italia post unitaria. Pascoli Graf Trezza, Franco Cesati Editore 2015

(22)

...la scoperta di Carlo Darwin sull'Origine delle specie, ch'è certo la più grande e la più feconda del secolo decimonono, non ci diè soltanto la legge delle formazioni biologiche, ma ci spiega del pari le formazioni storiche.

Senza un rigoroso metodo la letteratura perde il suo contatto con la realtà e la questione di quella italiana era particolarmente drammatica: l'eredità del Settecento aveva prodotto il Neoclassicismo e il filone arcadico, il privilegio della forma e dell'astratta erudizione.

Trezza argomenta come l'evoluzione sia un processo continuo e che una volta compiutasi essa non può tornare indietro, ma al limite può interrompersi e trovare ostacoli, sebbene una volta realizzata essa rimanga.

Egli introduce il concetto di intermittenza per spiegare un'epoca come il medioevo; scrive infatti29:

Perché muore quel mondo e rinasce dopo quindici secoli? Come si spiega una intermittenza così lunga nella vita storica?

[…] Se l'antichità conteneva in sé il germe di nuove evoluzioni perché quel germe si rimase impotente?

La risposta dello studioso veronese è che vi era alla fine dell'età antica una contraddizione latente: il politeismo aveva creato il mondo più estetico possibile e questo mondo aveva cessato con il cristianesimo che di quel mondo aveva accentuato lo spiritismo e la corrente misterica.

Nel terzo volume della “Rivista” appare tra le note critiche all'articolo del Trezza la risposta di un giovane studioso pugliese, Giuseppe Checchia, nato a Biccari in provincia di Foggia nel 1860. Egli scrive nel 1884 un articolo dal titolo Le formazioni storiche e il così detto periodo

dell'intermittenza secondo i dettami della filosofia scientifica.

Checchia manifesta la sua sincera ammirazione per Trezza ma già dal titolo emerge una contrapposizione con esso: l'evoluzione in quanto tale non può essere intermittente, altrimenti non sarebbe tale e anche i periodi meno luminosi della storia altro non sono che periodi di lentissima

graduazione evolutiva. In quest'ottica il medioevo non era un periodo di decadenza poiché la

cultura del mondo classico non era stata cancellata, bensì fecondata dal cristianesimo e pronta a riemergere con l'Umanesimo. Inoltre dopo l'anno mille la nuova fioritura dei commerci e delle arti aveva permesso forme di corporativismo nei comuni e la possibilità per un sempre maggior numero 29 S. Valerio, op. cit. p. 20

(23)

di persone di partecipare alla vita politica; in quest'ottica il medioevo è visto come il periodo in cui si affacciano per la prima volta nella storia occidentale embrionali concetti di uguaglianza tra le persone.

Sarà Enrico Morselli, direttore della rivista, intervenendo nella discussione, a dire che era sbagliata la fede cieca nella scienza e nel progresso. Pascoli non interviene direttamente nella controversia ma risente di questa temperie culturale e i suoi influssi sono ben presenti in alcune sue opere; innanzitutto quelle latine.

L'affermazione del positivismo letterario in Italia avviene soprattutto per opera del “Giornale storico della Letteratura Italiana”, fondato da Francesco Novati, Rodolfo Renier e Arturo Graf .

Proprio quest'ultimo pubblica un articolo nel quale ritiene che le lettere classiche debbano essere eliminate dall'insegnamento scolastico in quanto non rispondenti alla realtà attuale; Pascoli invece obietta con la tesi dello scienziato tedesco Artur Haeckel: rinunciare ad esse sarebbe come rinunciare al proprio passato, in quanto la storia di un individuo riassume quella della propria specie anche dal punto di vista culturale.

Il mondo classico aveva contribuito allo sviluppo dell'uomo nella formazione di una coscienza del mondo alla quale la scienza del mondo, cioè le scienze positive non potevano rinunciare.

Questo pensiero sarà felicemente riassunto da Pascoli nello scritto L'era Nuova30 :

...il poeta è quello e la poesia è ciò che DELLA SCIENZA FA COSCIENZA.

Il Pascoli si pone nella scia di Trezza e anche egli afferma che la letteratura avrebbe dovuto superare gli stereotipi per essere in grado di rappresentare la realtà.

I suoi sforzi per vivificare l'insegnamento del latino e del greco tendono a dimostrare come queste possano essere considerate lingue vive e che lo scambio con l'italiano possa essere binario: dal classico al moderno e viceversa. Per Pascoli il rapporto tra scienza e letteratura non deve essere visto in termini conflittuali ma complementari in quanto la letteratura stessa non è solo estetica. I Canti rappresentano il migliore esempio di come le moderne nozioni scientifiche possano essere messe al servizio della poesia senza che quest'ultima risulti pedante.

Il loro successo attira le attenzioni di un altro grande scrittore italiano dell'epoca: Gabriele D'Annunzio.

(24)

L'influenza dei Canti in D'Annunzio

La seconda metà del XIX vede in Italia la nascita sia di Giovanni Pascoli sia di Gabriele D' Annunzio; sebbene siano quasi coevi (Pascoli è più anziano di soli sette anni), tra i due non

potrebbero esserci più differenze: schivo, taciturno e votato ad un modello di vita piccolo- borghese il primo; volto ad uno stile di vita eccentrico ed edonistico Gabriele.

Tali differenze non impediscono che si influenzino a vicenda e che nelle loro opere vi siano fitti rimandi intertestuali.

Un esempio tipico è contenuto nelle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi.

Esse sono un progetto il quale prevedeva la stesura di sette libri, uno per ogni stella delle Pleiadi, ma esso rimarrà incompiuto: escono Maia, Elettra e Alcyone nel 1903, Merope nel 1912 e Asterope nel 1918.

L'ultima poesia della citata Alcyone si intitola Il commiato31 , pubblicata per la prima volta da

D'Annunzio sulle pagine del Marzocco il 15 novembre 1903, mentre l'autografo della poesia sarà inviato a Maria Pascoli cinque giorni dopo.

Si tratta di un componimento in quartine diviso in due parti. Nella prima vi è un inventario del paesaggio versiliese e nella seconda il saluto sotto forma di omaggio a Pascoli che vive a Castelvecchio di Barga.

Il pescarese auspica che la sua poesia risalga il monte Pania e raggiunga sull'altro versante l'illustre collega32:

Ode, innanzi ch’io parta per l’esilio, risali il Serchio, ascendi la collina ove l’ultimo figlio di Vergilio, prole divina,

quei che intende i linguaggi degli alati, strida di falchi, pianti di colombe, ch’eguale offre il cor candido ai rinati fiori e alle tombe,

[...]

31 Cfr. Pietro Gibellini, D'Annunzio, Alcyone, Garzanti 2008 p. 377 32 P. Gibellini, op. cit. pp. 384- 389

(25)

il figlio di Vergilio ad un cipresso tacito siede, e non t’aspetta. Vola! Te non reca la femmina d’Eresso, ma va pur sola;

[...]

Forse il libro del suo divin parente sarà con lui, su' suoi ginocchi (ei coglie ora il trifoglio aruspice virente

di quattro foglie [...]

Non manca il riferimento alla sorella del poeta, Maria e il sentimento di fratellanza che lega il pescarese a Pascoli:

Forse la suora dalle chiome lisce, se i ferri ella abbandoni ora ch’è tardi e chiuda nel forziere il lin che aulisce di spicanardi,

sarà con lui, trista perché concilio vide folto di rondini su gronda. E tu gli parla: "Figlio di Vergilio, ecco la fronda.

Ospite immacolato, a te mi manda il fratel tuo diletto che si parte. Pel tuo nobile capo una ghirlanda curvò con arte.

[...]

(26)

e che tu sali per l’opposta balza. Soli e discosti, entrambi una immortale ansia v’incalza.

Or dove i cuori prodi hanno promesso di rincontrarsi un dì, se non in cima? Quel dì voi canterete un inno istesso di su la cima".

Ode, così gli parla. Ed alla suora, che vedrai di dolcezza lacrimare, dà l’ultimo ch’io colsi in su l’aurora giglio del mare.

Traspare da questi versi la profonda stima e ammirazione di Gabriele per Giovanni ma al tempo stesso il pescarese traccia anche un limite, sottile ma invalicabile, che mette in rilievo il diverso modo di fare poesia.

D'Annunzio immagina che l'ode raggiunga Pascoli mentre è intento a leggere il libro del “suo parente”, cioè Virgilio, e non a caso il romagnolo è chiamato figlio di Vergilio33.

Entrambi scrivono poesia che innalza l'umanità dalle barbarie, ma il monte della gloria poetica è scalato da due opposti versanti.

Come la Pania divide geograficamente i rispettivi luoghi di residenza, allo stesso modo la montagna del Parnaso sacra alle Muse, separa il loro modo di fare poesia: quella di Pascoli si riallaccia alla cultura alla lingua latina, quella di D'Annunzio alla greca.

Il concetto è ribadito anche dalla sorella di Pascoli, Maria, la quale per ringraziare del panettone donato dal pescarese per le vacanze di Natale del 1903 invia a D'Annunzio un'ode in cui scrive34:

L'Aedo

ch'a me tutt'ora per l'opposta balza giungere io vedo lo so, t' offerse il dolce pane. Oh stanco

33 P. Gibellini, op. cit. p. 384

(27)

è tuo fratello dal fatale andare!

A lui lo porgi: per te basti il bianco giglio del mare

Marco Santagata si è occupato del rapporto tra Pascoli e D'Annunzio sulla base dei rimandi intertestuali35:

L'omaggio, contenuto nella seconda metà dell'ode, se appare all'improvviso agli occhi dei

lettori,nasce da una decisione non meno inaspettata per l'autore. Questi, da grande artefice, sfrutta l'effetto sorpresa e valorizza il suo gesto trasformando l'omaggio tardivo in un regalo inatteso, e perciò più prezioso, da parte di chi lo riceve..

Santagata riporta le osservazioni di Garboli, il quale istituisce un parallelismo tra i Canti e la raccolta poetica dannunziana36:

Come “diario”, come album meteorologico, topografico [ i Canti sono] più o meno il libro che faceva sull'altro versante, negli stessi anni, il D'Annunzio versiliese dell' Alcyone. Ma l'anagrafe, la topografia, la meteorologia del diario alcyonio – l'estate che ha inventato la Versilia – si

ricancellano nel Mito mentre a Castelvecchio tutto è letterale, famigliare, piccolo borghese, decentrato, miserabile, tradizionale, folklorico, paesano e completamente immaginario.

Il pescarese è il primo a vedere nei Canti un possibile contraltare dell' Alcyone, non solo poiché essi sono contemporanei ma soprattutto perché sono regionali.

Egli vede l'opera di Pascoli come anti- mito e come alternativa: due regioni della poesia divise e vicine ma unite dalla qualità dell'ispirazione poetica e Il commiato ne è una testimonianza. L'ode di D'Annunzio è nella prima parte un compendio e un riassunto, in quanto è riscontrabile l'intero repertorio di monti, laghi, fiumi e località della Versilia.

In essa sono molto presenti gli influssi pascoliani, a cominciare dalla rima tra i versi 13-15 viburni

notturni che rimanda chiaramente al Gelsomino notturno37 ma ancora più importanza riveste la presenza in questa ode del termine falasco.

Ecco i versi di riferimento:

35 Marco Santagata, Per l'opposta balza, Garzanti 2001 p. 9 36 M. Santagata, op. cit. p. 12

(28)

Sta nella cruda nudità rupestre il Gabberi irto qual ferrato casco.

Ecco, e su i carri per le vie maestre passa il falasco. Metuto fu dalla più grande falce

nella palude all'ombra del Quiesa

Ci sono richiami testuali sui quali si sofferma Santagata:

… “Falasco” è termine pascoliano che si insedia nel vocabolario di D'Annunzio a partire dall'

Alcyone: non a caso, fin dalla sua prima occorrenza ( “nel falasco/ entrò, che richiudeasi

strepitoso” , Stabat nuda Aestas 18-19) è accompagnato da una clausola pascoliana (“...nei cartocci strepitosi” MY Galline 10 ).

Una analisi più approfondita rileva che l'influsso di Pascoli su D'Annunzio non si ferma al mero termine: il falasco metuto è ripreso dalla traduzione che Pascoli fa del ventiquattresimo libro dell'Iliade ai versi 449-451, inserita nell'antologia Sul limitare:

Alta capanna la quale i Mirmidoni fecero al capo con digrossati tronconi d'abete, e tessero in vetta lanuginoso falasco, da loro mietuto nei campi.

A onor del vero D'annunzio corregge il romagnolo poiché risale alla vera fonte omerica sostituendo prati con acquitrini.

La replica consiste nella pubblicazione di un poemetto incentrato sulla vita di Achille dal titolo Le

Memnonidi datato marzo 1904 in cui Pascoli riprende la citazione dannunziana rispondendo così

con omaggio ad un omaggio, ma al tempo stesso riserva qualche stilettata al rivale, come da esempio sul finire del VI capitolo, ai versi 13-18, quando Aurora predice all'eroe:

La bianca Rupe tu vedrai, dov' ogni luce tramonta, tu vedrai le Porte del Sole e il muto popolo dei Sogni.

E giunto alfine sosterrai nel Prato sparso dei gialli fiori della morte,

(29)

immortalmente, Achille, affaticato

In questi versi Pascoli riprende la traduzione di Odissea XXIV, versi 1-18 inserita anch'essa nell'antologia Sul limitare:

...invano, ed ecco che furono giunti all'asfodelo prato, là dove è la dimora delle anime, spettri abissali.

Il richiamo all'asfodelo quale fiore dei morti gode di consolidata fama letteraria presso molti poeti ed è presente in una poesia importante per Pascoli di cui parleremo approfonditamente più avanti: essa è In morte di donna Bianca Rebizzo38 di Aleardo Aleardi, poeta nato a Verona nel 1812,

divenuto dopo l'unità d'Italia deputato e senatore del Regno le cui poesie sono raccolte in un volume unico dal titolo Canti; muore sempre nella città scaligera nel 187839.

In essa si legge:

In pianto si sciogliea. Poi ch’era tanta La repugnanza per le elisie lande, Ancora che d’olibano fiorenti E d’asfodelo, che lo stesso Achille Deiforme avría tolto essere in terra Schiavo affamato di signore avaro, Anzi che dominar scettrata larva Su l’ombre vane de la morta gente.

Omero non specifica mai il colore di tali fiori, mentre per D'Annunzio sono sempre bianchi e perciò equivalgono al bianco del pancrazio, il giglio del mare che chiude il Commiato, il quale ha la duplice valenza di fiore funebre per il suo colore e quella di fiore sacro ai poeti40.

Santagata afferma che quello del pescarese è un errore botanico, indotto dall'aver letto, molto probabilmente, sul dizionario del Forcellini albus..asfodelus ma ciò sembra poco convincente. Infatti l'Alcyone contiene al suo interno l'omonima poesia L'asfodelo41 in cui i due amici Glauco e

Derbe alternano le voci ed esprimono malinconia per l'impossibilità di vedere tutti i fiori che 38 Aleardo Aleardi, Canti, Tipografia Barbera, Roma 1875 p.408

39 Cfr. La letteratura italiana vol. 14, De Agostini editore 2005 p. 124 40 Cfr. P. Gibellini, op. cit. p. 389

(30)

spuntano sulla terra:

DERBE

Io so dove fiorisce l’asfodelo.

Là nel chiaro Mugello, presso il Giogo di Scarperia, lo vidi fiorir bianco.

Anche lo vidi, o Glauco, anche lo colsi in quell’Alpe che ha nome Catenaia e all’Uccellina presso l’Alberese

nella Maremma pallida ove forse ei sorride all’imagine dell’Ade morendo sotto l’unghia dei cavalli.

Questa lirica è una importante panoramica sui fiori e sulle piante presenti in Versilia e si basa sull'opera Prodromo della flora toscana42 di Tommaso Caruel, un botanico e naturalista

franco-inglese nato in una colonia francese in India nel 1830, che risiedette dall'età di 15 anni in Italia e morì a Firenze nel 1898.

Nell'introduzione all'opera, edita nel 1880, Caruel specifica che i fiori e le piante sono catalogati in base al metodo di Linneo e di essi viene riportato il luogo dove sono trovati, il primo botanico che ha scoperto la specie e quando l'ha riportato nella sua opera. Alla voce asfodelo corrispondono varie specie tutte raggruppate nella famiglia delle gigliacee (liliacee in latino); quelle che a noi interessano sono due: albus asphodelus e asphodelinae lutea43. Riguardo alla prima si tratta di un

fiore dai petali bianchi, da cui il nome, mentre la seconda voce concerne anch'essa un tipo di asfodelo ma dai petali gialli la cui classificazione si deve al botanico tedesco Heinrich Gustav Reichenbach nato a Lipsia nel 1823 e morto ad Amburgo nel 1889.

Il D'Annunzio adotta indiscriminatamente sempre il primo termine mentre Pascoli il secondo sulla scorta non solo delle nozioni botaniche ma anche della sua esperienza personale: infatti è lo stesso 42 Tommaso Caruel, Prodromo della flora toscana, Le Monnier 1880

(31)

Caruel ad affermare che l'asphodelinae è la specie più diffusa di asfodelo in toscana.

Non si dimentichi infine la superficialità del pescarese che non ha letto approfonditamente il

Prodromo: il giglio del mare( pancratium maritimum)44, il quale è assai diffuso in tutta la Toscana e

fiorisce nelle zone costiere da marzo a maggio, appartiene alla famiglia delle amarillidacee e non delle gigliacee.

Evidente emerge quindi in questo scambio di prestiti e di rimandi tra il romagnolo e l'abruzzese l'amor di esattezza che anima la poesia e la prosa di Pascoli che non è di puro gusto accademico ma coadiuvata da un'ottima osservazione.

Riguardo ai Canti, tratteremo per chiarezza espositiva prima le poesie che hanno una prevalenza di fonti scientifiche moderne, e successivamente le liriche che attingono in modo cospicuo anche a fonti classiche.

Le fonti moderne dei Canti

La scientificità della poesia pascoliana non deriva solo dalla diretta esperienza del poeta ma attinge anche ai libri presenti nella sua biblioteca e tra essi riveste grande importanza il manuale scritto da Alberto Bacchi della Lega45 intitolato Caccie e costumi degli uccelli silvani, edito a Città di Castello

nel 1892 presso l'editore Lapi; ampiamente sfruttate sono anche le opere di Brehm, di cui si

rimanda più avanti e Paolo Savi46, autore di Ornitologia Toscana pubblicata nel 1829; quest'ultimo

44 Cfr. T. Caruel, op. cit. p. 615

45 Alberto Bacchi della Lega nasce a Faenza il 17 maggio 1848 e dopo aver completato gli studi secondari nella città natale si reca a Bologna e qui si laurea in giurisprudenza nel 1869. grazie ai suoi meriti come letterato, Carducci lo nomina segretario della Regia commissione dei testi di lingua, carica mantenuta per diversi anni. Muore a Bologna nel 1918. Tra le sue pubblicazioni le più importanti sono: Bibliografia boccaccesca (Bologna 1875); Bibliografia dei testi di lingua a stampa (ibid. 1878), in collaborazione con Luigi Razzolini; Bibliografia dei Vocabolari dei dialetti italiani (ibid. 1879); Indice generale della "Bibliografia Dantesca" compilata da C. De Batines (ibid. 1883); Gli Incunabuli della Biblioteca Universitaria di Bologna (ibid. 1889), in collaborazione con A. Caronti e L. Frati; Pagine sparse (Campobasso 1916), che comprendono una raccolta di prose riguardanti specialmente la caccia.

Voce a cura di Paola Tentori http://www.treccani.it

46 La biografia è reperibile al sito http://www.sba.unipi.it/it/risorse/archivio-fotografico/persone-in-archivio/savi-paolo.

Naturalista, nato a Pisa l’11 luglio 1798, ivi morto il 5 aprile 1871. Dal 1823 professore di Storia naturale

nell’Università di Pisa. Si occupò di zoologia e zootomia, ma soprattutto di geologia. Nel 1842, per la divisione della cattedra, conservò l’insegnamento della zoologia e anatomia comparata e cedette quella della geologia e mineralogia. Tra i suoi lavori si possono ricordare: Considerazioni geologiche sull’Appennino Pistoiese (Firenze 1845); Sulla catena metallifera delle Alpi Apuane e sulla costituzione geologica dei Monti Pisani (Pisa 1846); Considerazioni sulla geologia della Toscana, in collaborazione con G. Meneghini (Firenze 1851). Lasciò anche molti notevoli lavori di zoologia e paleontologia e qualcuno di anatomia comparata. Degni di nota, soprattutto, i volumi Ornitologia toscana, Pisa 1827-32, e Ornitologia italiana, Firenze 1873, che gli assicurano un posto di prim’ordine nella storia

Riferimenti

Documenti correlati

Gruther W, Pieber K, Steiner I, et al.: Can Early Rehabilitation on the General Ward After an Intensive Care Unit Stay Reduce Hospital Length of Stay in Survivors of

In the case of the berry pathways (for blueberry and cranberry), the estimates of infected fruits entering the EU are then subject to substantial reduction in the Section

Hoy en día parece ser el caso de la tortura, dato que hay quien piensa que sea una práctica admisible para obtener informaciones de un terrorista. Así, existe un debate acerca

9 r («Nix cum multa nux erit multa camilli»; «Et nix multa pater nux, inquit, multa camilli»; «Multa, pater dicit, nix, nux et multa[ ]») prima di giungere alla redazione

Questa lunga divagazione sulla modalità di rappresentazione di alcune figure femminili ha forse fat- to perdere di vista l'obiettivo principale, che è quello di trovare somiglianze

Differential expression analysis identified 38 miRNAs enriched in female salivary glands as compared to adult females: these may regulate endogenous genes involved in salivary

Fabbisogno energia primaria per produzione combinata annuale QP,HW al lordo 3.468,8 kWh delle fonti rinnovabili Fabbisogno energia primaria per produzione combinata annuale QP,HW