Torniamo un attimo al saggio di Sebastiano Valerio, il quale ci informa che Pascoli propugna un tipo di rapporto tra scienza e letteratura che non deve essere visto in termini conflittuali ma complementari, in quanto la letteratura stessa non è solo estetica.
Scrive il poeta nei Pensieri scolastici75:
...Ci vuol altro: bisogna essere persuasi che i nostri studi hanno radice in un sentimento umano così primitivo e pertinace, e rispondono a una tale necessità intima del nostro essere, che per andare di tempo e mutare di forme le società non potrà mai escludere dall'educazione de' suoi novelli 'migliori' le lingue morte e letterature antiche.
Sempre nei Pensieri scolastici Pascoli illustra un esempio concreto di insegnamento delle lingue classiche che superi la distanza tra antico e mondo moderno.
Si tratta dal carme XI Kal. Maias: esso fu scritto dal poeta come esercitazione per gli studenti del liceo classico “ Niccolini” di Livorno ed è una traduzione in latino di un componimento poetico dello stesso Pascoli.
Rispetto alla normale didattica vi è un chiaro intento rinnovatore; il processo traduttore può essere fatto anche all'inverso e così si può dimostrare non solo la stretta parentela tra latino e italiano, ma anche che la prima non è una lingua morta; a riprova di ciò non si deve infine dimenticare che l'attualità delle lingue classiche è messa in pratica tramite tutta una serie di opere di carattere scientifico scritte dal Pascoli in un latino di grande valore; infatti spesso furono premiate al prestigioso Certamen Hoeffitanium di Amsterdam.
Si pensi al ciclo Ruralia, composto da quattro carmi: Myrmedon, Pecudes, Canis e Castanea.76
In essi traspare, come nei Canti di Castelvecchio, la consuetudine diretta con l'ambiente garfagnino e campagnolo, ma al tempo stesso vi si colgono concetti diversi di tipo didascalico e evoluzionistico.
75 S. Valerio, op. cit. p. 77
Il primo tratta della descrizione delle formiche, animali con una struttura sociale simile a quella umana, il secondo e il terzo di animali addomesticati dall'uomo quali sono quelli da fattoria e i cani, mentre l'ultimo descrive il castagno, pianta fondamentale nell'economia rurale, specie delle comunità montane77.
L'ordine nel quale sono disposti i Carmi denota un intento di progressione descrittiva dagli esseri più piccoli a quelli più complessi senza trascurare il livello vegetale; Pascoli riserva infine una particolare attenzione al cane descritto nel suo processo di addomesticamento il quale si intreccia con l'evoluzione dell'uomo primitivo e porta questo animale a differenziarsi dagli altri per la raggiunta consapevolezza della propria natura morale.
Questo poemetto era in origine una sezione di Pecudes che Pascoli ha dotato di una propria autonomia e illustra il reciproco giovamento che l'uomo e l'animale traggono dalla comune vicinanza; la matrice è chiaramente Lucrezio e la sua opera, il De rerum natura, quando descrive l'uomo primitivo nel suo processo di civilizzazione.
È quindi evidente come Pascoli intenda proporre un tipo di letteratura nuova, diversa dagli stereotipi del passato e che si sappia fondare sulla scienza.
Il poeta romagnolo propugna un tipo di poesia che, al pari della medicina, possa alleviare i dolori e le pene di tutto il genere umano78, che sappia quindi trarre frutto dalle scoperte scientifiche ma
senza snaturarsi, senza perdere il collegamento col suo glorioso passato classico.
È giunto quindi il momento di introdurre l'argomento dell'influsso delle fonti scientifiche antiche nell'economia dei Canti di Castelvecchio.
Letteratura scientifica latina
Nel panorama della letteratura e della cultura romana, il filone scientifico è sicuramente uno dei generi meno diffusi e praticati, e non vi sono quindi molte testimonianze.
Questo deficit è dovuto in gran parte al fatto che autori che scrivono solo e soltanto di scienza di primo piano non vi siano, mentre quelli che trattano di materie più tecniche hanno un'importanza minore e nei manuali vengono liquidati in poche pagine.
Inoltre occorre subito specificare che quando si parla di trattazione scientifica nel mondo antico, ma anche per tutto il medioevo, si intende una cosa molto diversa dalla concezione alla quale tutti
77 Cfr. G. Capovilla, op. cit. pp. 135-136 78 Cfr. S. Valerio, op. cit. p. 25
siamo abituati.
Copernico, Galileo, Newton misero in pratica, e Bacone definì in filosofia, quello che chiamiamo metodo scientifico, basato sulla certezza dei dati raccolti e sulla ripetibilità degli esperimenti fatti. Tale metodo non è quindi contemplato in epoca classica e ciò comporta che nelle opere degli autori antichi manchi qualsiasi tipo di spirito critico e di un attento vaglio delle fonti: molto spesso esse contengono una congerie di elementi tra i più disparati che mischiano cose vere ad altre totalmente false o frutto della più pura fantasia, ma in ogni caso non verificabili con gli strumenti del periodo in cui scrivono.
Un genere non autonomo
Date queste premesse si può dedurre che il genere scientifico non godesse di una solida autonomia e non è facile in base alle testimonianze in nostro possesso tracciare dei confini ben precisi.
Esso è più che altro visto come un genere accessorio, in cui dilettarsi per dare sfoggio della propria cultura o per assecondare la sete di curiosità delle classi colte su luoghi lontani e sconosciuti, sete alimentata dalle conquiste romane di territori molto lontani dall'Italia e dall'influenza della
letteratura greca, soprattutto alessandrina.79
In quest'ottica vanno collocate opere che parlano di mirabilia, cioè di meraviglie del mondo, o che hanno un fine puramente descrittivo e in esso si compiacciono, al punto che il virtuosismo stilistico stride nettamente con la umiltà della materia trattata.
L'altra considerazione riguarda la stretta connessione della scienza alla filosofia: non si scrivono opere solo per amore della scienza, ma esse necessitano di un impianto filosofico proprio, paradossalmente, proprio per dotarle di emancipazione e prestigio.
A Roma la scienza era anche costituita da quelle che oggi si chiamano discipline tecniche, e i manuali che le trattano non pretendono di avere il grande respiro delle opere filosofiche che
abbracciano talvolta tutta la trattazione del mondo, ma si limitano ad esporre un sapere più pratico, senza però rinunciare ad una certa elevatezza stilistica.
Infine occorre osservare che il genere scientifico dipendeva spesso anche da quello didascalico al quale era strettamente connesso; pertanto molte delle opere che si considerano scientifiche, sono anche didascaliche.80
Il genere didascalico comporta la presenza vera, o più spesso fittizia, di un destinatario cui illustrare
79 Cfr. Giovanni Battista Conte, Storia della letteratura latina, Le Monnier, 2001 p. 416-417 80 Cfr. G. B. Conte, op. cit. p. 234
le conoscenze e con il quale l'autore costantemente dialoga.
Noi tralasceremo le discipline più propriamente tecniche che fiorirono soprattutto nell'età imperiale grazie a personalità quali Celsio per la medicina e Vitruvio per l'architettura; ci concentreremo invece sui temi dell'agricoltura e dell'astronomia sempre in funzione di Pascoli.
Agricoltura
Da sempre la civiltà romana è stata legata alla terra e alla tradizione contadina e ad essa
anacronisticamente amavano rivolgersi in ogni epoca i letterati per rimpiangere i tempi perduti nei quali le virtù antiche, unite al “mos maiorum” avevano fatto grande lo stato romano; inoltre non si dimentichi che il nerbo dell'esercito era costituito dai coloni e quindi i problemi delle campagne erano molto sentiti non solo per una questione di sfaldamento del tessuto economico e sociale, ma anche perché erano i coloni a costituire il nerbo dell'esercito romano, con tutte le conseguenze di ordine pubblico e di sicurezza dello stato che questo comportava.
Nella storia romana frequenti saranno anche le liste di proscrizione e le spoliazioni a danno di cittadini inermi e impotenti, attuate dai vari dittatori come Silla, Mario e Cesare, per dare terre ai propri veterani.
Astronomia
Passiamo adesso a quelle opere che parlano di astronomia; non si deve dimenticare che ogni civiltà ha sempre guardato con interesse alle questioni celesti e quella latina non fa eccezioni.
In questo caso tutte le opere pervenuteci hanno una particolarità poiché sono tutte in versi, segno questo della percezione 'alta' degli argomenti trattati da parte dei letterati romani che sicuramente ha influito sulla forma in cui doverli scrivere; inoltre sovente l'astronomia si riveste di carattere sacrale e religioso.
L'apporto indiscutibile della scienza antica ai Canti è individuabile principalmente in tre opere fondamentali della latinità che Pascoli conosce molto bene: esse sono Le Georgiche di Publio Virgilio Marone, la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e il De rerum natura di Lucrezio.
Nella biblioteca di Castelvecchio riveste grande importanza la collana di testi classici latini tradotti in francese sotto la direzione di Desirée Nisard81 tramite la quale conosce tutti i più importanti
autori della romanità.
In tal modo Pascoli conosce il De rerum natura e la Naturalis Historia mentre per quanto riguarda le Georgiche, il poeta romagnolo predilige la traduzione completa fatta da Giulio Caprin e quella riguardante invece solo i primi due libri fatta da Ettore Stampin. Queste opere sono dei capisaldi della latinità ed esse abbracciano un vasto arco di temi e meritano pertanto un interesse speciale; adesso la nostra attenzione si concentrerà sulle prime due iniziando da Plinio.
Naturalis Historia
Plinio, detto il Vecchio per distinguerlo dal suo omonimo nipote, chiamato infatti Plinio il Giovane, è l'uomo che tenta per primo una catalogazione di tutta la cultura greco-latina.
Nato a Como nel 23 d. C., compie una brillante carriera militare in Germania e proprio grazie a queste campagne militari scrive i Bella Germaniae, opera storica perduta.
Dopo la morte dell'imperatore Claudio conduce una vita appartata, ma il ritorno alle cariche pubbliche avviene sotto l'impero di Vespasiano.
In questo periodo scrive una storia Roma, A fine Aufidi Bassi purtroppo anch'essa perduta e la sua opera più celebre, la Naturalis Historia conclusa nel 77-78 d. C.
Muore nell'eruzione che travolge Pompei ed Ercolano del 79 d. C.82
La Naturalis Historia è una colossale opera in trentasette volumi, frutto delle continue letture di Plinio, oltre duemila libri, e destinata nelle intenzioni dell'autore a inventariare tutte le conoscenze acquisite dall'uomo fino a quel momento.
Ecco il piano dell'opera: I indice generale, II cosmologia e geografia fisica, III-IV geografia, VII antropologia, VIII-IX zoologia, XII-XIX botanica, XX-XXXII medicina, XXXIII-XXXVII metallurgia e mineralogia.
L'impresa di Plinio ben si inserisce nel clima della prima età imperiale e accentua tendenze prima accennate.
L'autore non si preoccupa minimamente di verificare le sue fonti, sia perché spesso parla di cose inverificabili per mancanza di strumenti adeguati, come ad esempio il campo astronomico, sia
Dubochet e Firmin Didot. 82 Cfr. G. B. Conte, op. cit. p. 415
perché l'attendibilità di ciò che riporta non rientra nelle sue aspirazioni.
La missione dell'opera consiste in quello spirito di servizio reso verso la collettività che Plinio ha sempre dimostrato nella propria vita.
La Naturalis Historia ha il pregio di essere ben strutturata e pertanto separabile in blocchi
omogenei, e a ciò deve la sua fortuna soprattutto durante il Medio Evo poiché da essa se ne trassero riduzioni, compilazioni e antologie in cui si accentuava sempre più il gusto esclusivo per l'anomalo e il curioso.83
Georgiche 84
Virgilio compone quest'opera dopo le Bucoliche, terminate nel 38 a. C. e prima del suo grande capolavoro, L'Eneide; la datazione è incerta ma in ogni caso sappiamo che lesse l'opera compiuta a Mecenate e a Ottaviano Augusto nel 29 a. C. Tuttavia il finale del quarto libro pone più di un problema85: Servio ci informa che in origine esso tesseva le lodi di Cornelio Gallo, prefetto in Egitto
e che dopo la sua caduta in disgrazia Virgilio avrebbe scritto un altro finale, quello che oggi leggiamo con protagonisti Orfeo e Aristeo.
I libri delle Georgiche trattano attività fondamentali del contadino: il lavoro nei campi, l'arboricoltura, l'allevamento del bestiame e infine l'apicoltura.
Emerge in modo chiaro la volontà da parte del poeta di ordinare la materia tramite una curva in cui l'apporto dell'uomo diviene sempre meno importante e la natura sempre più protagonista. Allo stesso modo la chiusura con le api non è casuale in quanto esse sono gli animali più confrontabili con l'uomo.
Le poesie botaniche di Pascoli attingono ampiamente ai libri I e II delle Georgiche di cui daremo un quadro esaustivo.
83 Cfr. G. B. Conte, op. cit. p. 418
84 A. Barchiesi, Virgilio Le Georgiche, Mondadori 2013 85 A. Barchiesi, op. cit. p. XX
Libro I
L'esordio consta di un proemio che dichiara l'argomento dei quattro libri; l'opera è dedicata a Mecenate e formalmente indirizzata ai contadini ma un ruolo importante riveste Ottaviano, presentato come un essere divino che grazie alla pacificazione dell'Italia darà nuovo impulso ai commerci e all'agricoltura.
La parte centrale è quella di maggior stampo esiodeo ed è occupata dal lavoro nei campi e dal calendario agricolo. Il compito del contadino è visto come lotta ingrata e incessante sottoposta alla fissità delle leggi naturali che tuttavia può essere sempre vanificata dalle calamità naturali.
La causa di tale fatica è ricondotta da Virgilio alla volontà degli dei di porre fine alla mitica età dell'oro dove ogni cosa era donata spontaneamente dalla terra.
Riguardo invece al calendario agricolo assistiamo ad una trattazione più tecnica: Virgilio illustra uno schema nel quale ad ogni stella corrisponde uno specifico lavoro e compito del contadino è osservare i segni della volta celeste per capire quando è bello e quando è cattivo tempo ricalcando i
Fenomena di Arato di Soli.
La chiusura del libro muta di tono rispetto al tecnicismo della seconda parte con un finale a tinte fosche che fa presagire le guerre civili con il sole che si nasconde dopo l'omicidio di Giulio Cesare e gli sconvolgimenti dell'ordine sociale della repubblica. Compito dell'agricoltore è costruire tramite il suo lavoro la pace nella società come Ottaviano ha fatto sul piano politico.
Libro II
Il proemio è breve e strettamente espositivo e il filo conduttore è rappresentato dal tema della varietà che si articola in più sezioni.
La diversità degli alberi da frutto si sviluppa con l'accumulo di specie differenti e i luoghi dove trovarle e proprio la menzione di terre esotiche e lontane determina il loro confronto con l'Italia: quest'ultima riassume in sé tutte le qualità presenti altrove ed è vista come il luogo ideale da abitare in cui abbonda ogni tipo di cosa.
Dopo l'elogio dell'Italia il tono si abbassa e si ritorna alla trattazione dei terreni con una serie di consigli su come piantare la vite nobilitata da tre immagini: quella dei filari devono essere fitti e disposti in quadrato come le legioni romane, quella della quercia che resiste alle intemperie del
tempo e infine l'immagine dell'incendio catastrofico che divora tutto.
Vi è in questa sezione una accentuazione della fatica dell'uomo che in questo libro, a differenza del primo, è vista come accessoria alla produttività, necessaria anche per la coltivazione dell'ulivo. Il finale confronta la vita di campagna con quella di città e si esalta la prima , lontano da guerre e discordie a differenza dei modelli negativi della vita cittadina che culminano nella figura del politico sedizioso.
Pascoli e Virgilio
Pascoli si innesta nel solco della tradizione classica e cospicua è l'influenza di Virgilio in Pascoli. La base di partenza per spiegare questo rapporto è il manifesto programmatico del Fanciullino86,
nel quale Pascoli spiega cosa intende lui per poesia e scrivere versi.
L' opera scritta a puntate sul Marzocco a partire nel 189787 è largamente debitrice degli studi dello
psicologo associazionista James Sully88, autore di Studi sull'infanzia ( 1898)89.
Risulta evidente quindi che il poeta di San Mauro si avvalga di opere e tesi pionieristiche sviluppate in un campo che allora stava muovendo i primi passi e che sarà reso celebre da Freud: la psicologia. Virgilio è menzionato nel capitolo VIII, assunto come modello supremo di poesia90:
Già in altri tempi vide un Poeta (io non sono degno nemmeno di pronunziare il tuo santo nome, o Parthenias!), vide rotolare per il vano circolo della passione le quadriglie vertiginose; e quei tempi erano simili a questi, e balenava all'orizzonte la conflagrazione del mondo in una guerra di tutti contro tutti e d'ognuno contro ognuno; e quel Poeta sentì che sopra le fiere e i mostri aveva ancor più potere la cetra di Orfeo che la clava d'Ercole. E fece poesia, senza pensare ad altro, senza darsi arie di consigliatore, di ammonitore, di profeta del buono e del mal augurio: cantò, per cantare. E io non so misurare qual fosse l'effetto del suo canto; ma grande fu certo, se dura sino ad oggidì, vibrando con dolcezza nelle nostre anime irrequiete.
O rimatori di frasi tribunizie, o verseggiatori di teoriche sociali, che escludete dall'ora presente
86 M. Perugi, op. cit. pp. 1637- 1686 87 Cfr. M. Perugi, op. cit. p. 1638
88 Cfr. M. Perugi, Dai Canti di Castelvecchio, op. cit. p. 8 nota 2: “Nato a Bridgwater nel Somerset; dal 1892 al 1903 professore di filosofia e logica allo University College di Londra […] morto a Richmond, nel Surrey nel, il 31 ottobre 1923. Psicologo associazionista […] prolifico autore di saggi […] e di manuali di pedagogia. Gli Studies of childhood uscirono nel 1895.”
89 Cfr. M. Perugi, op. cit. p. 1637 90 M. Perugi, op. cit. pp. 1658- 1659
ogni poesia che non sia la vostra, vale a dire, escludete la POESIA, ditemi: Era o non era al suo posto, nel secolo d'Augusto, il cantore delle Georgiche? Sì, non è vero? Egli insegnava ad amare la vita in cui non fosse lo spettacolo né doloroso della miseria né invidioso della ricchezza: egli voleva abolire la lotta tra le classi e la guerra tra i popoli. Che volete voi, o poeti socialisti, che dite cose tanto diverse e le dite tanto diversamente da lui?
La straordinaria capacità poetica di Virgilio è da attribuirsi al fatto di essere stato guidato dal
fanciullino che era in lui e che è presente in tutti gli uomini; la poesia virgiliana è assunta a modello estetico secondo il principio che solo ciò che è bello è anche buono e degno di essere trascritto in versi, quindi in Pascoli la morale coincide con l'estetica91:
Oh! Sì! Non ci sono schiavi per Virgilio. Nei suoi poemi non c'è mai nemmeno la parola servus; c'è serva due volte, e a proposito di altri tempi e di altri costumi : tempi e costumi in cui il poeta vede bensì i re serviti da molti schiavi; eppur chiama questi famuli e ministri non servi. Ma i suoi campi, quelli che esso insegnava a coltivare, quelli che arava e seminava con i suoi dolci versi, quelli non hanno gente incatenata e compedita.
Il modo di vivere prospettato da Virgilio nelle Georgiche è anche quello sposato dal Pascoli e la formula indicata dal Sully del “poco e piccolo” quale area privilegiata di poesia trova applicazione nella mediocritas che sia Virgilio che Orazio hanno assunto a modello della propria poesia92:
L'ideale del poeta è quel vecchiettino di Cilice, trapiantato dalla sua patria nei dintorni di Taranto. Aveva avuto pochi iugeri di terra non buona né a grano né a prato né a vigna: una grillaia, uno scopiccio. Ebbene il bravo vecchiettino ne aveva fatto un orto, con non solo i suoi cavoli, ma anche gigli e rose, e alberi da frutta, e bugni d'api, e vivai di piante . Sì: il poco e il piccolo era il sogno dei due grandi fraterni poeti. Virgilio diceva: Loda la campagna grande, e tienti alla piccina. E Orazio: Questo era il mio voto: un campicello non tanto grande, con l'orto, con una fonte, e per giunta un po' di selvetta . Chi non dovrebbe preferire la campagna grande alla piccola, quando non toccasse di coltivarla a lui? Ma ai due poeti, quando erano poeti, non si presentava al pensiero questa considerazione così semplice. A dir meglio, il fanciullo che era in loro, preferiva, come tutti
91 M. Perugi, op. cit. p. 1660 92 M. Perugi, op. cit. pp. 1661-1662
i fanciulli, ciò che è piccolo: il cavallino, la carrozzina, l'aiolina […].
E le cose grandi, le cose ricche, le cose sublimi non riescono poetiche, se non sono sentite e dette in