• Non ci sono risultati.

Parte Seconda

U. S Zona Entità Tipologia dei materiali rinvenut

4.4. P IETRA OLLARE

Pochi sono, tra i materiali, i manufatti in pietra ollare provenienti dal sito di Santa Maria Assunta e appartengono ciascuno ad una diversa unità stratigrafica. Il termine pietra ollare534 venne introdotto tardivamente per identificare quei manufatti che nella bibliografia etnografica venivano definiti con termini come “laveggio, lavezz, lavecc” (dal termine medievale lavitium, lavezolo), esso non ha infatti significato petrografico, bensì solo merceologico535.

Lo sfruttamento della pietra ollare nell’area alpina è attestato già in età pre- e protostorica dalla realizzazione di matrici per fusione del metallo536. Dall’età romana si producevano anche contenitori di uso quotidiano per mezzo della scalpellatura. Con l’età tardoantica venne introdotto il tornio orizzontale idraulico, strumento che aumentò notevolmente la produzione e la diffusione della pietra ollare537: da questo momento le decorazioni e le modifiche formali subiscono uno sviluppo molto lento, per questo motivo non è possibile, se non in linea molto generale, assumere la pietra ollare come fossile guida538. La datazione stessa dipende, per lo più, da quella dei materiali associati poiché le parentesi temporali sarebbero altrimenti troppo ampie.

Numerosi sono i settori di utilizzo di questo materiale: blocchi architettonici e cubetti per la pavimentazione539, pesi da telaio, fusarole, lucerne, pestelli e, grazie ad un’alta refrattarietà,

534 Vengono chiamate pietra ollare rocce che possono appartenere alla famiglia dei serpentino scisti, talcoscisti,

clorito scisti, meta gabbri , olivinoscisti o prasiniti, ovvero rocce metamorfiche facenti parte del gruppo degli ofioliti (La pietra ollare 1987, p. 29).

535

MANNONI, PFEIFFER, SERNEELS 1987, p. 7.

536 D

ONATI, 1986

537

Grazie a questa nuova tecnologia i contenitori vennero realizzati “a cipolla” ricavando quindi, da un unico blocco, oggetti di diametro decrescente (AVANZINI et al., 1994; FURLAN 1995).

538 M

ANNONI, MESSIGA 1980, p. 505.

539

crogiuoli e contenitori da cucina540. Esso, infatti, si distingue per le sue caratteristiche di compattezza, morbidezza, facile lavorabilità e, come si è detto, alta resistenza e buona refrattarietà al calore, con capacità di accumulo e lenta cessione di esso. Queste caratteristiche fecero sì che l’utilizzo della pietra ollare si diffuse in tutte le classi sociali sostituendo materiale più costoso, come il metallo, ma anche la ceramica refrattaria. La resistenza e l’importanza di questo materiale induceva spesso i proprietari a restaurare i contenitori in caso di rotture o guasti per mezzo di elementi metallici o particolari coloranti. Non si può però pensare che la pietra ollare fosse venduta a basso costo, per lo meno rispetto alla ceramica: le tecniche di lavorazione erano assai più complesse, comportando tempi lunghi, attrezzatura dispendiosa e notevoli rischi di rottura del pezzo. In cambio il laveggio aveva maggiore resistenza sul fuoco rispetto alla ceramica, durava di più, permetteva una cottura costante ed omogenea e, in caso di rottura, esso poteva venire riparato. Esso poteva durare veramente a lungo, anche per più generazioni, se trattato con cura e privo di difetti di fattura. La preziosità di tali elementi ci è testimoniata anche dalle tradizioni orali che gli attribuivano la capacità di annullare i veleni, oppure effetti ben augurali, tanto da essere riservati alle partorienti541.

In occasione di un convegno tenutosi a Como nel 1982, Mannoni suddivise la pietra ollare in undici litotipi distinti dal punto di vista mineralogico e petrografico, ciascuno legato ad un proprio bacino di provenienza. Secondo questa suddivisione i reperti provenienti da Civezzano appartengono a prodotti ricavati dalla lavorazione di un medesimo tipo di roccia, a grana fine e di colore grigio, quindi compatibili con le rocce talcosocarbonatiche delle Alpi Centrali542. I giacimenti del gruppo D sono stati identificati nell’arco alpino centrale, in provincia di Sondrio e precisamente in Valchiavenna, Val Malenco e Val Brutta; nella regione Trentino-Alto Adige questo gruppo petrografico è presente con il 14% del totale rinvenuto (secondo dati aggiornati al 1993)543. Nonostante la percentuale di presenza non sia

540 L

USUARDI SIENA, STEFANI 1987, p. 125.

541

MANNONI, MESSIGA 1980, p. 506; FURLAN 1993, p. 20.

542 M

ANNONI, PFEIFER, SERNEELS 1987, tipo D (ex IIIb): rocce talcoso-carbonatiche a grana fine. Mineralogia: talco- carbonato-clorite-opaco. Colore: grigio-verde chiaro. Durezza bassa. Teoricamente solo un’analisi di laboratorio può garantire la sicurezza nell’attribuzione di un reperto ad un preciso gruppo petrografico. Questo litotipo arriva in regione in periodo tardoantico: tra il IV e il VI secolo è confermato in molti siti, in quantità discrete. La sua presenza è testimoniata fino al bassomedioevo, dove tra i laveggi di XII-XIV trovati a Castel Corno questo tipo rappresenta quello più ricorrente. L’ultima testimonianza registrata è di XV secolo (cfr. nota 541). Essendosi limitati ad un esame macroscopico la classificazione non è definitiva. Da notare che presso Castel Bosco sono stati ritrovati dei manufatti appartenenti, invece, al gruppo I.

543

particolarmente evidente, la produzione di questo litotipo sembra aver raggiunto grossomodo tutte le zone della regione che hanno restituito pietra ollare544. Tale distribuzione testimonia un commercio capillare, in grado di raggiungere sia i grossi centri, sia quelli minori. La lavorazione della pietra ollare è una peculiarità delle zone alpine vista la localizzazione delle cave, tutte ad alta quota545: la concentrazione delle zone produttive sembra però sia limitata alle regioni di Valle d’Aosta, Piemonte e Lombardia; la regione atesina e le sue convalli non sembrano aver avuto alcuna tradizione nella lavorazione della pietra ollare546, pertanto tutti i reperti provenienti da essa sono da considerarsi di importazione. Essa avveniva, nel caso di Civezzano, attraverso la direttrice che giungeva da Brescia e dalle Giudicarie, per raggiungere e penetrare nelle valli più piccole: questo percorso dovevano seguirlo, probabilmente, sia i manufatti lombardi, sia quelli aostani547.

I frammenti rinvenuti non permettono di identificare la forma a cui appartenevano perché di dimensioni troppo ridotte. Il pezzo più significativo è un affilatoio di colore grigio chiaro, con tessitura fine e compatta548. La forma è rettangolare, a sezione quadrangolare: esso è stato trovato in uno dei livelli più recenti del sito, i cui materiali sono generalmente databili tra il XV e il principio del XVI secolo.

Gli altri due reperti, invece, provengono da strati più antichi. Il primo giunge dal piano pavimentale più antico dell’edificio549: se la superficie esterna si presenta liscia, quella interna mostra una serie di solcature parallele orizzontali di ampiezza omogenea (nell’ordine dei 2-3 mm). Questa particolare lavorazione collocherebbe il frammento tra il VI e l’VIII escolo, trovando confronto con bicchieri provenienti da Classe550. La cronologia si conferma posteriore al IV secolo se si considera che il nostro reperto ha spessore di poco inferiore ai

544 Molti manufatti sono stati ritrovati in vari siti della provincia di Trento, in particolare: Sanzeno, Denno, Cloz,

S. Romedio, Palazzo Tabarelli (Trento), Teatro Sociale (Trento), Doss Trento, Castel Corno, Busa dei Preeri, Mezzocorona, Cavalese e Castello di Fiemme. Questo a testimonianza che il tipo era abbastanza diffuso in regione.

545 Oltre il 60% dei giacimenti è posto sopra ai 1000 metri s.l.m. (P

FEIFER, SERNEELS, 1986, p. 147; FURLAN 1995, p.

159).

546 F

URLAN 1995, p. 162.

547

BOLLA 1990, p.14. altre vie di commercio della pietra ollare, oltre a quella citata, dovevano essere i passi Resia e Tonale (STENICO 1979).

548

CSMA 70 da U.S. 1 scavo 1990. Per quanto molto simile alla pietra ollare per questo oggetto vi è il dubbio che si tratti in realtà di un altro tipo di pietra, non determinata.

549

CSMA 71 da U.S. 96 scavo 1990

550

GELICHI 1987b, pp. 203-210, tav. II, nn. 3-4. Cfr. con recipienti da Castelseprio, Torcello e Santa Maria in Padovetere. I vasi a parete totalmente levigata di medio spessore sembrano rientrare ancora nella tradizione tardoromana (BOLLA 1991, pp. 95-99)

10 mm: questo denuncerebbe una notevole abilità tecnica con il tornio, peraltro già quasi perfetta nel IV secolo551. Come già accennato prima è da escludere comunque, nello stato attuale delle conoscenze, di poter utilizzare i reperti in pietra ollare come fossile guida per la datazione di una stratigrafia.

Un ultimo frammento presenta invece fitte solcature orizzontali sulla superficie interna552, mentre su quella esterna scanalature ben definite (di larghezza variabile tra i 6-7 mm)553. Esso proviene dal livello che Ciurletti interpretò come fase di profanazione. Anche in questo caso la datazione è resa difficile dal fatto che non è possibile risalire alla forma e ci si può basare unicamente sullo spessore e le misure delle solcature esterne, formanti righe ben definite: questo tipo di lavorazione è favorito dall’utilizzo dei talcoscisti che, per la loro compattezza e il basso indice di granulosità, appaiono particolarmente idonei554. I paragoni più stretti giungono da reperti provenienti da Monte Barro, S. Giulia di Brescia, Sabiona e Palazzo Tabarelli (Trento), per una datazione quindi che va dal V al VII secolo555.

551 Cfr. D

ONATI 1982, p. 119; il discorso sugli spessori trova inoltre confronto in MASSARI 1982.

552

Le cd. “millerighe”, determinate dal processo di lavorazione.

553

CSMA 71bis da U.S. 23 + 57 dello scavo 1990.

554 L

USUARSI SIENA, SANNAZARO 1994, p. 177.

555 Tipo VIII di M. Barro (B

OLLA 1991, p. 98, tav. LVII, 3-4), che viene confrontato con reperti da Vado Ligure per

la datazione al IV-VII secolo; tipo dell’altomedioevo I da Santa Giulia di Brescia (MASSARI 1987, pp. 183-184, tav. III, 5) che colloca il manufatti tra la metà del VI e il tardo VII secolo; un recipiente di VII secolo proveniente dalla chiesa paleocristiana di Sabiona, per quanto le scanalature siano più larghe (BIERBRAUER NOTHDURFTER 1988, pp. 281, 283, Abb. 9,9); confronti generici con Torcello, in strati che vanno dal VI fino al XI-XII secolo (LECIEJEWICTZ, TABACZYNSKA, TABACZYNSKI 1977, figg. 48 e 56); simili, ma caratterizzati da listelli più o meno evidenti che non sappiamo se il nostro presentasse o meno, sono i recipienti del tipo 2 da Brescia (CAZORZI 1988, pp. 114-115,

tav. XXII, 3) e tipo 7 da Milano (BOLLA 1991a, p. 20, 32, tav. CLVIII, 39): nel primo caso il tipo è datato alla seconda metà del VI secolo, nel secondo all’età medievale (post V secolo). Ulteriori confronti sono presenti in FURLAN 1995, p. 165, fig. 2, nn. 5-10 e in BOLLA 1987, tipo XII, p. 147 e 154, nn 59-68, tav. XII-XIII; infine Ad