• Non ci sono risultati.

Paolo ripete a Varrone le parole a lui dette da Fabio in Liu XXII 39,8 atqui si, quod

ad I 125; l’attività ecistica dell’eroe omerico nella Daunia è comunque tra i dati più noti della sua saga dopo la partenza da Troia: cf Horsfall 2003, ad v 246), nel cui poema costituisce un

64 Paolo ripete a Varrone le parole a lui dette da Fabio in Liu XXII 39,8 atqui si, quod

facturum se denuntiat, extemplo pugnauerit… nobilior alius Trasumenno locus nostris cladibus erit.

te… consule: la chiara contrapposizione del sintagma a Graio Diomede associa Varrone a un altro (ex) nemico.

insignes… campi»: cf. VII 227-230 (Fabius loq.) (si) taedetque in tempore tali | nullum clade noua claraeque fragore ruinam | insignem fecisse locum, reuocandus ab atris | Flaminius nobis est sedibus: mentre per la seconda volta, dopo il v. 55, Paolo avverte Varrone di non ripetere gli errori di Flaminio, si profila all’orizzonte l’incapacità del console di replicare i successi di Fabio, lui sì capace in Sil. VII di impedire ai suoi di ‘contaminare’ altri luoghi con nuovo sangue

romano. In X 327s. insignis è detto del dies Cannensis, non del luogo: postquam eripuere furori | insignem tenebrae lucem.

65 Si chiude il discorso di Paolo: i due spondei iniziali conferiscono una composta solennità

all’immagine del console, prima che in due dattili, concatenati da una sinalefe, sia espresso il pianto in cui scoppia il console. L’immagine è complementare a quella dei v. 20-21.

haec Paulus: formula di chiusura più comune nei Punica che negli altri poemi: conta undici attestazioni, in due delle quali il pronome segue il dattilo indicante il soggetto o un suo attributo (V 165 turbidus haec e XII 104 Virrius haec). Per questo tipo di formule nel poema cf. Lundström 1971.

lacrimaeque oculis ardentibus ortae: un misto di affettuosa apprensione per le sorti dell’esercito e di profonda rabbia nei confronti del collega, ben espresso dall’ossimoro lacrimae - ardentibus: oculi ardentes è infatti giuntura associata principalmente a sentimenti di rabbia o a intenzioni generalmente minacciose (cf. Verg. Aen. II 210, V 648, XII 670, Lucan. VI 179 e, leggermente diversi, Verg. Aen. IX 703 ardentem oculis e XII 101s. totoque ardentis ab ore | scintillae absistunt, oculis mica acribus ignis). Su scala ridotta (l’emistichio) è riprodotto quello schema di dispositio conclusiva impiegato al v. 37 (chiusura della sezione relativa a Varrone).

66-177. Lo sceleratus error di Satrico e Solimo

Approfittando della notte, Satrico, legionario prigioniero degli alleati cartaginesi sin dalla prima guerra punica, fugge dall’accampamento nemico per fare ritorno a casa e spoglia delle armi il cadavere non identificato del figlio Mancino, morto il giorno prima. Nel frattempo, l’altro figlio Solimo, partito alla ricerca del fratello insepolto, dopo avere scorto Satrico avvicinarsi, gli tende senza riconoscerlo un agguato e lo ferisce mortalmente. Raggiuntolo, svela senza avvedersene la propria identità al padre, che al contempo comprende anche l’identità del soldato poco prima depredato. Rivelatosi all’incredulo Solimo come suo padre, Satrico cerca di lenire i sensi di colpa del figlio (che si è reso autore di un parricidium) e gli affida il mandatum di comunicare a Paolo la necessità di impedire che Varrone, assecondando le speranze del nemico, attacchi battaglia. Morto il padre, Solimo si uccide, non prima di aver lasciato per Varrone, scritto con il proprio sangue, un chiaro messaggio.

Nell’episodio, che è invenzione di Silio, sono rimaneggiati eventi storici di cui informa Livio. Oltre a Liu. XXII 15,3-10 che sembra avere diretto la scelta dell’antroponimo Mancino (cf. supra ad v. 13), la dinamica per cui un soldato italico, sfuggito dall’accampamento dove era tenuto in prigionia, giunge presso i castra Romana e fornisce ai consoli utili informazioni circa il

nemico si trova già in Liu. XXII 42,10-12. Come è stato notato (Fucecchi 1999,312-315), Silio, ridisegnando la base storica della vicenda, di cui mantiene «una peculiare finalità informativa» (Fucecchi 1999,313), la dota di una funzione differente: l’episodio notturno non solo anticipa quanto accadrà (cf. v. 178s. talia uenturae mittebant omina pugnae | Ausoniis superi), ma prefigura l’estremo pericolo cui l’error di Varrone, causato da uno squilibrio etico- psicologico più volte illustrato, rischia di esporre i Romani, vale a dire uno scellerato sacrificio di valore (quale nell’episodio notturno si avvera compiutamente).

Consolidano questa funzione prefigurante fattori diversi: dal punto di vista compositivo i v.

178-180 legano con duplice nesso i v. 66-177 a quanto precede (v. 1-65: la cieca brama di guerra

del console causa prima una scaramuccia in cui perde la vita il soldato Mancino e poi uno scontro interno con Paolo), favorendo in questo modo una lettura unitaria di v. 1-177; d’altra parte l’analogia tra la situazione nell’accampamento romano e la vicenda di Satrico e Solimo (esposizione a una dinamica di caduta dovuta a una difettosa capacità di giudizio, che nei v.

66-177 si fa carico di simboleggiare l’ambientazione notturna, in cui la luce lunare guida e limita

il campo visivo dei personaggi) è illustrata da richiami di lessico, di immagini o di motivi. A proposito di questo tipo di relazione tra cornice narrativa ed episodio chiuso in essa inserito, vale la pena di notare che la somigliante vicenda di Asilo e Beria narrata in XIV 148-177 (Asilo assale senza riconoscerlo il nemico ed ex-padrone Beria, che però lo riconosce e, riconosciuto a sua volta dall’assalitore, viene graziato) sembra in omologo rapporto (simbolico, prefigurativo) alla conquista di Siracusa da parte di Marcello, nella cui narrazione è calato come digressione (cf. Fucecchi 2010,237).

Rispetto alla fonte storica, tuttavia, Silio non solo arricchisce la funzione, ma introduce un pathos spiccatamente tragico, che si accorda d’altra parte con la natura stessa della trama, riconducibile alla casistica dei πάθη ἐν ταῖς φιλίαις (Arist. Poet. 1453b). Così procedimenti di drammatizzazione (e.g. la mobilità del punto di vista e l’ampio spazio dato ai discorsi [45 su 111 versi]), di teatralizzazione (frequente uso di elementi deittici e studiati effetti di euidentia) e di patetizizzazione (largo uso dell’ironia tragica, impiego del discorso nei momenti culminanti della vicenda, carattere improvviso e violento della peripezia, effetto di ἔκπληξις), uniti all’evocazione di circostanze e motivi tipici della tragedia (lo scontro tra consanguinei, la sepoltura clandestina del fratello, la problematica della colpa e la sua trasmissione agnitizia [la colpa del padre pregiudica fatalmente l’innocenza del figlio], il concorso di un avverso disegno degli dèi, l’ἀναγνωρισµός e la περιπέτεια) connotano fortemente l’episodio, con una chiara implicazione compositiva: l’azione complessa che vi prende luogo (con doppio errore, doppio riconoscimento

e doppia catastrofe) viene non a caso strutturata come unità drammatica dalla forma chiusa, cui si rende specificamente funzionale al v. 66 lo schema somma-dettaglio.

Il debito con la tradizione letteraria è del resto consistente: a parte la presenza massiccia del teatro senecano (primi tra tutti Oed., Phoen. e Herc.f.), l’episodio, per l’aderenza al topos della sortita notturna, reca tracce numerose di Hom. Il. X 272-468 e di Verg. Aen. IX 276-449, mentre affinità si trovano anche con quella di Stat. Theb. X 346-452 e maggiormente con XII 347-448 (Argia e Antigone). A svariate incursioni ovidiane (in episodi concernenti agnitiones come quelle di Procri e Cefalo in ars III 733-746 e met. VII 835-865 o di Teseo ed Egeo in met. VII 404-429) si affiancano allusioni a casi in cui un error, in una circostanza di ‘identità nascosta o ambigua’ (su cui nell’episodio di Silio cf. Dominik 2006,123-125, Marks 2010,137a e Dinter 2013,187) conduce al compimento inavvertito di uno scelus, come Verg. Aen. II 386-412, Aen. III 13-68 e Val. Fl. III 1-351, questi ultimi due perdipiù exempla di narrazioni epiche di forma e significato tragici. Infine, sono forti i legami che legano questo episodio a una serie di racconti di involontari scelera famigliari avvenuti durante le guerre civili di I sec. a.C. e d.C. e tutti costruiti secondo un riconoscibile canovaccio (che Silio comunque varia e semplifica: cf. infra ad v.

86-89 e 173) alla cui formazione avranno contribuito le scuole retoriche, dove - è stato ipotizzato

- tali racconti costituivano probabilmente materiale d’esercizio per le suasoriae (cf. Niemann 1975,175-176 che cita e discute Liu. per. 79, Val. Max. V 5,4 e Tac. hist. III 25 e 51, su cui cf. anche Woodman 1998,12-16, e Fucecchi 1999 per l’importanza di Anth. 462 e 463 Riese, sui cui fondamenti ideologici cf. Petrone 1996,43-46.

66 necnon et: popolare e del sermo familiaris, è introdotta come enfatica formula connettiva

in poesia (alta) da Virgilio (5x in georg. e 10x in Aen.): cf. Austin 1955, ad v. 140, Horsfall 2000, ad v. 521 e Hofmann-Szantyr 524. Necnon compare nei Punica 23x, di cui in sei seguito da et, prevalentemente all’inizio del verso (19x).

sceleratus… error: non prima attestata, la giuntura riflette un nodo tematico peculiarmente tragico, ossia la problematica della colpa, di cui si è fatta carico, anche su base sofoclea (cf. S. OC 265-272, 548s. e 982-998), la tragedia senecana (cf. Phoen. 451-454, 537-539, 553-555, Herc.f. 1097-199, 1237s. e 1300-1301 con l’ampia discussione di Mazzoli 2010) e che come motivo ricorre anche nell’elegia ovidiana dell’esilio (per una serie numerosa di passi cf. Luck 1967, ad 2,98s. e Luisi 2006, ad 89s.). All’inizio di sezione il termine error (qui con acuto bisenso a preannunciare sia la sortita sia l’illusione di una libera volontà destinata, invece che a conseguire il proprio, apprezzabile obiettivo, a compiere uno scelus) rievoca la miserrima caedes

di Troiani nell’ultima notte in Verg. Aen. II 386-412 (cf. v. 411s. oriturque miserrima caedes | armorum facie et Graiarum errore iubarum) e gli infanda proelia tra Argonauti e socii Dolioni in Val. Fl. III 1-351 (cf. v. 31 saeuis erroribus implicet urbem): tutti casi in cui, in ambientazioni notturne, una limitata capacità di giudizio e di orientamento (anche spaziale, nel caso delle Argonautiche) compromette uno svolgimento positivo e innesta un conflitto intestino (cf. supra ad v. 66-177). In questo quadro di generale pertinenza, Silio poteva individuare nei due intertesti specifici elementi d’interesse: l’episodio troiano è il primo dell’Eneide in cui l’uso di arma nemici si ripercuote negativamente sul personaggio (cf. Horsfall 2008, ad v. 370-401); quello di Cizico, invece, costituisce un importante precedente di trasposizione in epica di forme e contenuti di tipo tragici (cf. Franchet d’Espèrey 1998,214s. e più sistematicamente Manuwald 2015, ad v. 1-461). Bruère 1959,231 scorge un richiamo a Ou. met. III 141s. (è introdotto l’episodio di Atteone) fortunae crimen in illo, | non scelus inuenies; quod enim scelus error habebat?

polluit: cf. v. 169s. (Solimus loq.) «pollutae dextrae et facti Titania testis | infandi; più che da un error (in riferimento al quale il verbo non è mai attestato), la pollutio è un effetto scontato di uno scelus (Cic. Phil. 11 29, har. resp. 21, Mil. 85, leg. II 42, S. Rosc. 65, Sil. XIII 848s.). È così preannunciato il giudizio finale del v. 180 conscia nox sceleris roseo cedebat Eoo.

67-68 Xanthippo captus… | … Satricus: per Santippo, comandante spartano al soldo dei

Cartaginesi durante la prima guerra punica e vincitore di Regolo nel 255 a.C., cf. le speculari rappresentazioni in II 432-434 (scudo di Annibale) e VI 681-683 (tempio di Literno) e la descrizione che ne fa Maro in VI 301-309; i suoi tre figli sono protagonisti di un’aristia contro tre giovani italici in IV 355-400. Per la disposizione dei nomi di due personaggi agli estremi opposti cf. Harrison 1991,288-290.

tolerarat… | seruitium: la giuntura, anche in Tac. ann. II 46,1, varia quella prosastica tolerare seruitus (Sall. Iug. e Colum. 1x; cf. in aggiunta Cic. Catil. 4 16 tolerabili condicione seruitutis e Liu. XXXVIII 37,3 tolerabilior seruitus), inadatta all’esametro per le caratteristiche prosodiche di seruitus. Seruitium, attestato 10x in Sil., indica per metonimia i servi solo in X 642. Sul tema della schiavitù nel poema cf. Dinter 2013, specie 185-193, in cui è evidenziata la caratterizzazione positiva di alcuni ex-schiavi.