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La parabola del partito di massa nella società industriale

Il partito di massa emerso a cavallo fra il XIX e il XX secolo si sviluppa seguendo l’andamento generale delle organizzazioni fordiste, caratterizzate da grandi dimensioni, elevati tassi di divisione del lavoro, rigidità del processo produttivo, delle prestazioni e dei costi della manodopera (Bonazzi, 2008).

La peculiarità di questo modello era essenzialmente quella di inglobare la totalità dei processi produttivi all’interno dei confini di un sistema chiuso, coordinando un elevato numero di sub unità secondo una logica di razionalità ed efficienza.

Operare all’interno di tali confini significava innanzitutto preservare il funzionamento della macchina organizzativa da qualsiasi perturbazione dell’ambiente. Nel caso dei partiti di massa, si trattava di gestire i rapporti con un ambiente estremamente mutato a seguito della rivoluzione industriale e della democratizzazione delle masse, dalle quali erano emersi nuovi segmenti della popolazione che necessitavano di essere socializzati alla politica.

Lo sviluppo organizzativo dei partiti portò alla creazione di colossi burocratici ad elevato tasso di differenziazione: 1) verticale, connesso al numero dei livelli gerarchici; 2) orizzontale, relativa al numero degli uffici del medesimo livello gerarchico. Come sottolinea Sartori (1966), “i partiti di massa- o di apparato- sono organizzazioni complesse dotate di una struttura permanente e differenziata, caratterizzata da un

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elevato grado di burocratizzazione e pervasività che si fonda sulla presenza di personale politico di professione, sarebbe a dire, di coloro che vivono di politica, che non hanno e non hanno mai avuto una professione privata alternativa e la cui formazione è strettamente legata alla carriera intrapresa nell’ambito del partito”. Questa definizione mette in luce come i partiti di massa, fossero vere e proprie burocrazie con esigenze di continuità organizzativa e di stabilità delle proprie gerarchie interne (Panebianco, 1982). Come tutte le grandi burocrazie pubbliche infatti, i partiti del ‘900 hanno strenuamente difeso “l’imparzialità dell’azione amministrativa” (Revelli, 2013, pp.75) attraverso la strutturazione di procedure standardizzate e di regole astratte allo scopo di proteggere le azioni dei funzionari sia dalle eventuali perturbazioni ambientali sia da determinati orientamenti soggettivi.

Il vantaggio principale è quello di rendere prevedibili i comportamenti e istituzionalizzare le aspettative negli utenti. La tendenza verso la creazione di strutture colossali è stata principalmente legata alle pratiche a cui i partiti di massa hanno fatto ricorso per disciplinare i procedimenti di ingresso della membership ai vari livelli delle gerarchie, alla loro organizzazione in segmenti funzionali (giovani, donne), e territoriali (relativi all’articolazione interna in sezioni, federazioni, cellule), nonché alle procedure di indottrinamento, tutte atte a disincentivare qualsiasi forma di creatività che potesse mettere l’organizzazione a rischio di pressioni centrifughe destabilizzanti (ibidem). Tutto questo ha accentuato il verticalismo di ogni singolo processo decisionale, assicurato dall’integrazione di tutte le funzioni svolte attraverso rigide gerarchie piramidali nelle quali l’elevato grado di formalizzazione dei ruoli lasciava pochissima autonomia alle scelte individuali. Bisogna comunque sottolineare che il riferimento alla suddetta tipologia di partito, definito di integrazione appunto, ha riguardato l’esperienza europea, poiché i principali partiti americani sono comunque stati caratterizzati da una strutturazione leggera, a basso grado di burocratizzazione e di

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specializzazione delle mansioni interne, proprio perché potevano già contare su un vivaio di competenze fornite da una cittadinanza supportata da una cultura civica più emancipata. La propensione dell’elettorato ad una maggiore volatilità rispetto ai partiti europei (Bartolini e Mair, 1990) ha contribuito notevolmente alla configurazione di organizzazioni “ad hoc” la cui attività si intensificava specifiche campagne tematiche. La differenza risiede dunque nella funzione aggregativa o di integrazione delle masse che i partiti europei –soprattutto socialisti e comunisti- hanno dovuto svolgere al di là di quella tipica della rappresentanza, che ha costretto all’incapsulamento (Katz e Mair, 2002) di ampi settori della società all’interno delle proprie strutture, fungendo da elemento ordinatore della vita di tutti gli aderenti. In questo senso il partito di integrazione europeo nelle fasi apicali della propria attività è stato portatore di una missione, quella di orientare e permeare valori e orientamenti, disciplinare aspetti rilevanti della vita privata come la gestione del tempo libero, secondo una rigida articolazione territoriale atta a garantire l’assoluta prevedibilità dei comportamenti di voto. Questo modello organizzativo entra in una fase di profonda crisi con la fine delle identificazioni partitiche che è concomitante all’affievolimento del cleavage di classe, alla riduzione della membership, ai mutati rapporti con lo stato e all’emergere di una cittadinanza informata e divincolata da limiti di fidelizzazione ideologica. Questi elementi si inseriscono nel più generale processo di disaffezione dei cittadini verso soggetti e modalità espressive della politica tradizionale ed è riconducibile al processo di indebolimento del linkage fra cittadini e attori politici un po’ in tutte le democrazie europee (Dalton, Farrell, Mc Allister, 2011)

In un articolo di Democrazia e diritto del 1983 Antonio Baldassarre forniva una riflessione interessante sull’origine di tale “crisi”, affermando che essa è avvenuta “quando i contesti sociali di appartenenza hanno cessato di usufruire di una serie di mediazioni di potere spontanee, ovvero “automatismi” socio-economici, propri di una

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società dominata dal libero mercato e da istituzioni disciplinanti come famiglia, scuola o l’impresa nei loro modelli tradizionali, il partito di massa è riuscito a gestire pressoché tutte le mediazioni politiche più rilavanti. Ma quando la parziale depoliticizzazione comportata da questi automatismi è saltata, la forma classica del partito di massa non ha più tenuto il ritmo e a trasformato silenziosamente il proprio modo di operare”. Questo può essere considerato una diretta conseguenza della trasformazione dello stato- sociale e assistenziale- verso un’articolazione sempre più complessa giustificata dalla necessità di assumere la gestione di numerose questioni di ordine sociale. Lo stato sociale si è distinto per aver sviluppato dei propri apparati, caratterizzati da agenzie di intervento specifiche atte a stabilire rapporti diretti con la cittadinanza per la risoluzione di problemi precedentemente affidati alla mediazione di partito.

La riflessione di Baldassarre, ha dunque sottolineato la correlazione fra il macroscopico mutamento del ruolo dello stato e la struttura organizzativa dei partiti. Secondo questa logica, la trasformazione del partito di massa verso architetture organizzative agili e snodate, può essere inoltre interpretata come il passaggio dal tradizionale partito-

organizzazione a partito-sistema “le cui relazioni reciproche non sono tanto affidate a

supporti organizzativi, quanto a rapporti reciproci di potere e di influenza, tanto da identificare il partito come sistema di potere”(ibidem:49).

Con questa affermazione lo studioso asseriva dunque che l’organizzazione partitica tradizionale fondata su una complessa articolazione territoriale e funzionale che serviva a conferire un carattere unitario allo stesso tempo, veniva sostituita da una nuova forma partito “il cui punto di equilibrio e di unità è dato essenzialmente dai flussi di potere e di influenza che provengono da vari elementi di una costellazione di soggetti politici di vario tipo”.

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