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Parole piene, parole vuote L’idea di grammatica

Nel documento I bambini insegnano la grammatica (pagine 33-41)

Mariaconcetta Lucchi e Mario Zambotti

1. DESCRIVERE LA LINGUA

Come nel gioco della dama e degli scacchi, anche nella nostra lingua ci so-no dei pezzi - le parole - e delle regole con le quali modifichiamo la loro forma o le spostiamo e le ordiniamo.

Quando riflettiamo su queste regole e osserviamo l’effetto delle modifiche e degli spostamenti, facciamo grammatica.

Verso i tre anni e mezzo, quattro, i bambini mostrano di conoscere alcune di queste regole. Ne fanno uso, ma non sono consapevoli.

Quali sono, in una prima, le attività che i bambini possono fare per impa-rare a descrivere la lingua, classificare le parole e stabilire le regole per farle funzionare a seconda della situazione comunicativa?

I bambini a scuola si trovano frequentemente, in situazioni non struttura-te, a riflettere spontaneamente.

Ad esempio, i giochi di parole e le trasgressioni linguistiche intenzionali dell’insegnante provocano spesso una immediata reazione da parte dei bam-bini pronti a riconoscere come l’impianto formale sia stato messo in crisi. A volte l’effetto è talmente forte da distogliere l’attenzione dal contenuto della comunicazione e da innescare un gioco di trasformazioni che dimostra come i bambini siano in grado di comprendere quale regola sia stata violata.

2. DOPO DI ME VIENE UN NOME MASCHILE

Riflessioni in prima

La classe in cui stiamo lavorando ha già avuto modo di riflettere sulla lin-gua attraverso l’esperienza di approccio alla lettura e alla scrittura, con i giochi fonologici, le strisce, le paroline, il testo mascherato (Monighetti 1993).

Attraverso questi primi esperimenti i bambini hanno acquisito una compe-tenza iniziale nel classificare le parole.

Hanno individuato un gruppo di parole portatrici di significato. Sono pa-role di contenuto. Si tratta di nomi, verbi, aggettivi e avverbi, secondo la nota distinzione tra parole piene (portatrici di significato lessicale), e parole vuote (non portatrici di significato lessicale).

A questo secondo gruppo abbiamo dedicato la nostra attenzione. Per i bambini l’unica caratteristica che le distingue è quella di essere corte.

Poniamo così la questione:

Quelle che noi abbiamo conosciuto come “paroline” a che cosa servono?

Per rispondere abbiamo proposto ai bambini di raccontare brevemente una storia nota.

Seguiamo una modalità che i bambini conoscono. Si tratta di esporre in brevi sequenze i momenti significativi del racconto.

I bambini cominciano quindi con semplici frasi complete:

In una caverna viveva un mostro peloso Il re si perse nel bosco

Il mostro cattura il re

Lucilla era andata a comprarsi il lecca-lecca…

Ne scegliamo una e la scriviamo su una striscia

IN UNA CAVERNA VIVEVA UN MOSTRO PELOSO

I bambini, senza suggerimento da parte dell’insegnante, battono le mani scandendo le parole come sono soliti fare. Nel frattempo l’insegnante taglia la striscia in segmenti-parola.

Insegnante: Ora proviamo a prendere le parole una alla volta e raccontiamo cosa ci fanno venire in mente.

Le associazioni suggerite dai bambini vengono trascritte alla lavagna.

IN Le paroline I primi tempi Il bruco Silanoio

Evidentemente i bambini cercano giustificazioni legate alla loro esperienza di approccio alla lettura e scrittura.

Ricordano infatti il bruco sul quale venivano trascritte le paroline quando erano riconosciute all’interno di una striscia.(SI/LA/NO/IO).

UNA C’è una cosa sola

Dopo viene un nome femminile

Attraverso il testo mascherato i bambini hanno già incontrato l’articolo e ne conoscono la funzione.

CAVERNA Tana dell’orso

Mostro peloso Il Grufalò I primi uomini Un tesoro nascosto Paura, … brividi Freddo, pelle d’oca Buio

Quando ho visto le caverne di Frasassi Pipistrelli e ragni

Stalattiti e ghiaccioli Puoi perderti

VIVEVA Si parla di uomini

Il fantasma di Canterville Qualcosa di tanto tempo fa Di un tempo che è passato Qualcosa che non c’è più

UN Dopo di me viene un nome maschile

MOSTRO Nella “Spada magica” i mostri di ferro mi fan-no paura

La maestra cattiva di Matilde Fantasmi

Paura Grufalò

Quando ho paura del buio, come nella storia del coccodrillo sotto il letto

La cassetta di Anastasia

Scheletri e mostri che mi vengono nel letto, e io mi ficco sotto le coperte

Nella cassetta dei dinosauri il T. Rex mi fa paura

PELOSO Gatto

Tanti peli

Io, da piccola, ero pelosa Peluche

L’orso I capelli I primi uomini

Tutti alzano la mano per aggiungere altre associazioni alla parola peloso.

Insegnante: Bambini, ora basta, non ho più spazio sulla lavagna.

Lorenzo: Se ne avevi potevamo dire ancora tante cose!

Paola: Di certe parole non sapevamo quasi niente.

Francesca: Cosa vuoi che ti facciano venire in mente parole così piccole?

Seguono interventi che sottolineano una differenziazione in base alla quan-tità di associazioni che le parole suggeriscono.

È subito evidente che ci sono due gruppi: le parole sulle quali si può dire e quelle che non si associano a un referente in termini di significato; queste ul-time suscitano intuizioni legate alla loro funzione.

Prevale comunque l’osservazione che assegna maggior importanza alle pa-role di contenuto.

Insegnante: Proviamo a togliere le paroline?

CAVERNA VIVEVA MOSTRO PELOSO Luca: Non si capisce bene!

Giulia: Io capisco perché c’è il mostro e c’è la caverna.

Laura: Anche il mio fratellino parla così e la mamma lo capisce.

Lorenzo: Anche i robot nei cartoni.

La comprensione risulta ovviamente facilitata dal fatto che il contesto è già noto. L’insegnante ritiene perciò necessario proporre la riflessione su una frase nuova.

Insegnante: Proviamo a vedere cosa capite se io vi dico così:

MAMMA PORTÒ FRANCESCA MACCHINA

Davide: La mamma portò Francesca alla macchina… Vuol dire che l’ha ac-compagnata alla macchina della sua amica perché poi andavano in piscina insieme.

Federico: Io capisco: La mamma portò Francesca in macchina perché l’ha fatta salire e l’ha portata in un posto.

Insegnante: E se Francesca non fosse una bambina?

Anna: Allora potrebbe essere: Francesca porta la mamma in macchina… e guida lei.

Insegnante: E se fosse il compleanno di Francesca?

Luca: La mamma portò a Francesca la macchina… di regalo,… ma allora si doveva dire macchinina!

Insegnante: Mi avete spiegato tutto quello che siete riusciti a capire, ma ci sono idee diverse.

Paola: Senza paroline si possono capire cose diverse.

Giovanni: Le paroline ti fanno capire meglio.

Paola: Con le paroline capisci una sola cosa, non quello che vuoi tu.

I bambini scoprono che le paroline hanno una funzione: quella di far capi-re, e non interpretare in modo personale. Se ci sono le paroline la frase funziona in modo chiaro.

3. LE PAROLINE HANNO SUCCESSO

ESPERIMENTO IN UNA SECONDA

Cosa sanno di grammatica gli alunni in seconda?

Hanno praticato esperimenti sulla frase e sono in grado di formulare giudi-zi di accettabilità, superando il livello del contenuto legato alla realtà (succede, non succede). Posseggono una prima classificazione delle parole (articolo, nome, aggettivo), riconoscono la necessità della concordanza genere e nume-ro, attribuiscono al verbo la funzione centrale di parola che dice.

La situazione è volutamente il più possibile sperimentale, priva di un con-testo che rimandi ad esperienze condivise. Non si parte da una storia, ma si propone la frase come oggetto di riflessione linguistica.

La frase proposta è la stessa utilizzata nella esperienza precedente in una classe prima:

MAMMA FRANCESCA PORTÒ MACCHINA

La sequenza di parole campeggia su un cartellone.

I bambini attivano subito l’atteggiamento di chi vuole capire cosa non fun-ziona:

Davide: È una frase?

Lorenzo: No! Non si capisce.

Giulia: Ci deve essere un articolo.

L’insegnante chiede se la frase, così com’è scritta, può comunicare qualco-sa.

Manuel: Sì: La mamma di Francesca portò la macchina.

Ogni nuova riformulazione viene scritta sul cartellone.

Davide: Ma abbiamo messo gli articoli!

Francesco: Può essere: la mamma Francesca portò una macchina.

Giulia: È diverso! È una macchina qualsiasi.

Insegnante Possiamo cambiare l’ordine delle parole?

Nico: No!

Debora: Sì che possiamo: Francesca, la mamma, portò la macchina.

Manuel: La mamma portò Francesca con la macchina.

Giulia: Ma abbiamo spostato e aggiunto.

Davide: Sì, abbiamo aggiunto le parole piccole.

Francesco: Quando aggiungi le parole piccole cambia tutto!

L’insegnante sollecita gli alunni a ricercare e proporre trasformazioni che modifichino il significato.

Scrive sul cartellone le nuove frasi dettate dai bambini.

La macchina della mamma portò Francesca.

La macchina di Francesca portò la mamma.

Davide: Le paroline hanno successo!

Insegnante: Perché?

Davide: Hanno cambiato significato.

Insegnante: Cosa abbiamo fatto?

Manuel: Abbiamo spostato le parole di prima e aggiunto parole.

Nico: Ci vogliono parole che spiegano.

Lorenzo: Sono troppo piccole, non spiegano niente! Non stanno da sole, … ci vuole di chi si parla e cosa si dice!1

4. PROTAGONISTE NELLA FRASE

Vale la pena di osservare come la conversazione con i bambini si sia man-tenuta sul piano formale. I bambini propongono riformulazioni della frase e ne verificano ogni volta il funzionamento discutendo o ripetendo spesso la frase per valutare sia l’accettabilità, secondo i parametri formali conosciuti, sia il significato del nuovo testo.

1 Questa terminologia viene usata dai bambini nel loro gioco di costruzione delle frasi quando devono definire il soggetto e il predicato.

In classe c’è la scatola dove sono sempre state depositate le paroline. Stanno lì perché non si sapeva dove metterle. Non si capiva quale fosse il loro mestiere e non era possibile classificarle se non per esclusione.

L’affermazione di Davide le paroline hanno successo ha riscattato le parole strutturali dimostrando che, anche se vuote, sono “protagoniste della frase”.

Bambinacci e maestracce

Nel documento I bambini insegnano la grammatica (pagine 33-41)