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Parte prima Strategie

Nel documento La riforma dei controlli nel Regno Unito (pagine 59-125)

1Si consideri, ad esempio, il rapporto per la riforma della pubblica amministrazione

«Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato» che, nel 1979, il mini- stro per la Funzione pubblica Massimo Severo Giannini presenta alle Camere. Il rapporto sostiene, tra le altre cose, che è necessario introdurre attività di misurazione per rilevare la produttività dell’amministrazione pubblica.

2Art. 130, c. 2 della Costituzione, soppresso dall’art. 9, c. 2, della legge cost. n. 3 del 2001.

«In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito, nella forma di ri- chiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione».

3Art. 50, c. 9 della l. 142/1990.

4Cfr. Corte dei conti, delibera 7 2002 p. 3.

I. Il controllo di gestione nei comuni italiani.

Un’indagine empirica

di Carolina Raiola

1. Il quadro normativo.

La disciplina dei controlli nelle amministrazioni centrali e locali è stata soggetta, nel tempo, a ripetuti interventi da parte del legislatore. Concetti come efficienza, misurazione, obiettivi e valutazione – lun- go il corso degli anni – hanno trovato spazio nelle norme, ma la stra- da per la loro applicazione si è rivelata a tratti dissestata per le singo- le amministrazioni.

L’idea di introdurre sistemi che garantissero la misura della qualità dei servizi esisteva già prima degli anni novanta1, ma è attraverso la

riforma degli assetti contabili (dello Stato e delle autonomie locali) che si sono create le condizioni per lanciare i primi tentativi di rifor- ma dei controlli.

È la legge n. 142 del 1990 che apre la stagione dei primi cambia- menti dei controlli negli enti locali. Fino ad allora tenuti al controllo di legittimità e (eventualmente) ai controlli di merito nella forma della ri- chiesta di riesame degli atti da parte dell’organo competente dell’ente2,

gli enti possono dal 1990 prevedere nei propri statuti forme di con- trollo economico interno della gestione3. L’intento è sostituire pro-

gressivamente il modello di controllo preventivo di legittimità con il modello dei controlli gestionali, in modo da favorire il collegamento tra risultati conseguiti e obiettivi programmati4.

5Cfr. I. Borrello - P. Zanela, Gli enti locali, in A. Natalini (a cura di), L’esperienza dei

controlli interni nelle amministrazioni pubbliche, in «Quaderni Mipa», Istat, 2002, 5, p. 82.

6Per le sperimentazioni avviate dall’alto si fa riferimento al progetto finalizzato del Cnr

sull’organizzazione e sul funzionamento della pubblica amministrazione e al progetto Fepa, che sperimenta negli anni ottanta un sistema integrato di tecniche gestionali per l’innovazio- ne organizzativa delle pubbliche amministrazioni incentrato sulla programmazione per obiettivi. Il progetto Fepa si avvia per iniziativa del Dipartimento della funzione pubblica nel 1985 e coinvolge in fase di sperimentazione, oltre alle amministrazioni centrali, anche 5 pro- vince, 6 Comuni e 5 Usl; in fase di attuazione i Comuni coinvolti sono 260. Per i dettagli si vedano gli atti del convegno di conclusione e presentazione dei risultati del progetto Fepa e, in particolare, la Relazione introduttiva di Emidio Valentini, direttore del progetto. Più in generale, per i riferimenti alle sperimentazioni si veda A. Natalini, Lo Stato costi-rendimen- ti, in Aa.Vv., Le amministrazioni pubbliche tra conservazione e riforme. Omaggio degli al- lievi a Sabino Cassese, Giuffrè, Milano 2008, pp. 344-5.

7Art. 20, c. 2 del d.lgs. n. 29/1993. Il comma 4 dello stesso articolo prevede, altresì, che

«il risultato negativo della gestione può comportare, previe controdeduzioni degli interessa- ti, il collocamento a disposizione per la durata massima di un anno, con conseguente perdi- ta del trattamento economico accessorio connesso alle funzioni».

Lo slancio normativo incontra, a livello locale, un contesto in cui, di fatto, già si sperimentano forme di controllo e misurazione dei co- sti e dei rendimenti dell’azione amministrativa5. Si tratta di attività pio-

nieristiche, avviate spontaneamente o sulla spinta di progetti che, dal- l’alto, si proponevano di traslare alle amministrazioni pubbliche le tec- niche di gestione già consolidate nelle aziende private6.

Il dettato normativo della riforma è ancora molto generico e, so- prattutto, considera il controllo della gestione come una facoltà senza alcun rilievo di obbligatorietà. L’obbligo è introdotto, per le ammini- strazioni centrali, tre anni dopo: il d.lgs. n. 29/1993, disciplinando l’or- ganizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipen- denze delle amministrazioni pubbliche sotto delega della l. 421/1992, introduce nel sistema il concetto di «efficienza, efficacia ed economi- cità» e prevede che, per la verifica del risultato dell’attività svolta dagli uffici, le amministrazioni centrali si dotino di appositi nuclei di valu- tazione composti da esperti in tecniche di valutazione e nel controllo di gestione, interni o esterni all’amministrazione7. Più in generale, con

il d.lgs. n. 29/1993 il legislatore definisce l’impianto organizzativo per l’introduzione del controllo di gestione prevedendo, oltre ai nuclei di valutazione, la separazione di funzioni tra organi politici e organi am- ministrativi, la definizione degli obiettivi, dei piani e dei programmi per l’azione amministrativa e la gestione e delle responsabilità connes- se, nonché la funzione di verifica della rispondenza dei risultati del- l’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. L’ob- bligo, per gli enti locali, è introdotto successivamente: se nella l. 142/1990 il controllo di gestione era considerato facoltativo, nel d.lgs.

8D.lgs. n. 77/1995, artt. 11 e 12. Al fine di garantire la realizzazione degli obiettivi pro-

grammati e la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, il decreto obbliga gli enti locali a introdurre il controllo di gestione nelle forme previste dal d.lgs. n. 29/1993 e dal- lo stesso decreto 77/1995.

9D.lgs. n. 77/1995, art. 39.

10Come prescritto dall’art. 3 della l. 20/94, alla Corte dei conti viene affidato il compito

di svolgere «anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni, non- ché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione». Secondo lo stesso comma la Corte doveva anche «accertare, anche in base all’esito di altri controlli, la rispon- denza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa». Il compito di effettuare la valutazione del funzionamento del sistema dei controlli interni verrà poi attribuito dall’art. 7, comma 7 della legge n. 131 del 2003 alle Sezioni regionali di con- trollo della Corte.

11Cit. Corte dei conti, delibera n. 7 del 2002, Relazione, p. 1.

12«Questi dunque gli esiti principali della riforma del sistema dei controlli: la riduzione

del 90% dei controlli preventivi di legittimità; l’affermarsi dei controlli interni nelle loro di- verse articolazioni e lo sviluppo più generale dei controlli successivi sulla gestione o sui ri- sultati delle gestioni pubbliche; la trasformazione del ruolo e delle funzioni degli organi di controllo e in specie, l’affermazione del ruolo centrale alla Corte dei conti quale organo di n. 77/1995 trova una spinta nell’introduzione del piano esecutivo di gestione (di durata annuale, in cui l’organo esecutivo deve determina- re gli obiettivi di gestione ai responsabili dei servizi), nella previsione di una relazione previsionale e programmatica che copra il periodo del bilancio pluriennale e di un piano degli obiettivi8. Anche dal punto di

vista normativo, per gli enti locali, il controllo di gestione comincia a essere quella «procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e, attraverso l’analisi delle risorse acquisite e della comparazione tra i costi e la quantità e qualità dei servizi offerti, la funzionalità dell’organizzazione dell’ente, l’efficacia, l’efficienza ed il livello di economicità nell’attività di realizzazione dei predetti obiet- tivi»9. Il decreto introduce una prima scansione delle fasi del controllo

di gestione (predisposizione del piano degli obiettivi; rilevazione dei dati relativi ai costi e ai proventi e dei risultati raggiunti; valutazione dei dati in rapporto al piano degli obiettivi), svolto per singoli servizi e centri di costo dai nuclei di valutazione. In questo contesto, la legge n. 20/1994 attribuisce alla Corte dei conti la funzione di valutare il fun- zionamento dei controlli interni nelle amministrazioni pubbliche10: tra

i compiti affidati alla Corte dei conti dalla legislazione di riforma del 1994 e dalla successiva novella del 1996 (d.l. n. 543/1996 e relativa leg- ge di conversione n. 639/1996) rientra dunque anche la verifica dello stato di diffusione della metodologia del controllo interno11. Il con-

trollo di tipo preventivo viene limitato in questo modo anche per gli enti locali, a cui vengono estesi quelli successivi di tipo collaborativo12.

controllo «di garanzia» esteso a tutte le amministrazioni, comprese quelle regionali e locali; lo sviluppo dei controlli di risultato; l’affermazione del principio della valutazione e della re- sponsabilità.». Cit. in C. La Cava, I controlli, in Aa.Vv., Le amministrazioni pubbliche tra conservazione e riforme, Giuffrè, Milano 2008, p. 378.

13L’applicazione delle disposizioni da parte delle amministrazioni locali è da considerar-

si nel rispetto dell’autonomia degli enti e delle norme concernenti l’ordinamento finanziario e contabile. A tal proposito, si veda la prefazione di Franco Bassanini al volume di G. Az- zone e B. Dente (a cura di), Valutare per governare. Il nuovo sistema dei controlli nelle pub- bliche amministrazioni, Rcs libri, Milano 1999.

14Si veda, a tal proposito, M. L. De Carli, Gli enti locali tra controlli «vecchi» e «nuovi»,

in «Azienditalia», 2007, 9, pp. 651 sgg.

Successivamente, grazie al d.lgs. n. 286/1999, il legislatore rende più organica, perfezionandola, la disciplina dei controlli, definendo il con- trollo di gestione come uno dei quattro controlli interni (controllo di regolarità amministrativa e contabile; valutazione e controllo strategi- co; valutazione della dirigenza; controllo di gestione) da introdurre obbligatoriamente nelle amministrazioni pubbliche centrali e, even- tualmente, negli enti locali. Nei confronti delle autonomie locali l’in- tento non è disegnare l’organizzazione del controllo, ma tracciare un sistema flessibile, individuando le funzioni che i controlli interni de- vono assumere13. Le previsioni contenute nel d.lgs. n. 286/1999 diven-

tano prescrizioni per gli enti locali quando vengono accolte nel Testo unico degli enti locali (Tuel), con d.lgs. n. 267/2000. Il Tuel dettaglia le specifiche del controllo di gestione e gli strumenti per la sua realizza- zione, ma ribadisce – come il d.lgs. n. 286/1999 – che gli enti locali han- no la facoltà di disciplinare e organizzare i controlli interni in piena au- tonomia, anche esercitandoli in convenzione con altri enti. L’autono- mia degli enti locali è dunque considerata come prioritaria rispetto ai criteri minimi comuni, definiti magari dal centro, a cui attenersi per l’attività operativa del controllo di gestione14.

Considerati i dati relativi all’implementazione del controllo di ge- stione e, in generale, dei controlli interni nelle amministrazioni pub- bliche, la l. 15/2009 ha cercato di introdurre nel sistema dei controlli alcune leve per garantirne maggiormente l’applicazione e superarne le criticità. Con l’intento di esercitare una pressione sui risultati, la l. 15/2009 e il suo decreto legislativo attuativo 150/2009 incrementano il peso dei controlli esterni accentrando la definizione dei modelli di controllo di gestione attraverso la creazione della Commissione indi- pendente per la valutazione, l’integrità e la trasparenza delle ammini- strazioni pubbliche; introducendo nei singoli enti gli organismi indi- pendenti di valutazione; e definendo la trasparenza diffusa quale espe- diente di controllo della performance degli enti da parte dei singoli cit- tadini. Il d.lgs. n. 150/2009 dettaglia maggiormente le relazioni tra i

15Cfr. Corte dei conti, Delibera 16/2010 p. 124.

16«Il controllo interno concepito nel d.lgs. n. 286/1999 non si basa sulla partecipazione e

sulla trasparenza in nessuna delle sue articolazioni. I soggetti privati non sono consultati né in sede di individuazione degli obiettivi né di analisi dei risultati. Tra i suoi obiettivi non vi è quello di migliorare l’accountability. Mentre le direttive strategiche del vertice politico sono pubblicate sui siti web delle amministrazioni statali, le valutazioni intermedie e finali non do- vrebbero essere neanche accessibili». Cit. in A. Natalini, Lo Stato costi-rendimenti, in Aa.Vv., Le amministrazioni pubbliche tra conservazione e riforme, Giuffrè, Milano 2008, pp. 358-9.

17Così il prof. Luciano Hinna membro della Civit, in un’intervista ad hoc per la presente

ricerca. Una considerazione simile si trova in P. Barrera, Responsabilità disciplinare dei di- pendenti pubblici, in La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, a cura di F. Merloni e L. Vandelli, Passigli, Firenze 2010: «se l’autoreferenzialità è la causa principale del fallimento dei sistemi di valutazione e/o di controllo interno, e non è possibile rimedia- re con nuovi controllori esterni […], si deve imbroccare la strada del controllo diffuso».

18Art. 4, c. 2, lettere b), c) e h) della l. 15/2009.

controlli interni introducendo un ciclo di gestione della performance che, partendo dagli obiettivi attribuiti alle strutture e ai singoli dipen- denti, attraversa una serie di step che si risolvono nell’attribuzione di incentivi e premi alle risorse umane solo previo accertamento della completa aderenza dei risultati agli obiettivi, definiti tramite indicato- ri. Precedente alla valutazione della performance è dunque la misura- zione della stessa, svolta attraverso un sistema ad hoc che – tramite il piano e la relazione della performance – individua fasi, tempi, moda- lità, soggetti e responsabilità del processo di misurazione e valutazio- ne, nonché le modalità di raccordo e integrazione con i sistemi di con- trollo esistenti. In questa riforma dei controlli interni, incentrata mag- giormente sulla persona che sull’organizzazione, la valutazione della perfomance diviene il punto di riferimento e di raccordo per ogni al- tro tipo di controllo15.

Sotto il profilo della pubblicizzazione dei risultati, il cambiamento di paradigma16della riforma del 2009 sta, soprattutto, nell’idea che il

controllo diffuso delle attività dell’ente da parte di stakeholders e singo- li cittadini sia la cifra per aumentare l’efficienza dell’azione amministra- tiva: la cosiddetta «riforma Brunetta» (con la l. 15/2009 e la cosiddetta «Operazione trasparenza» avviata con la l. 69/2009) «parte dal presup- posto che, per creare pressione sui risultati, occorre garantire trasparen- za sui dati del controllo di gestione, anche traducendoli, se necessario, e coinvolgere il cittadino sui giudizi di qualità»17. La l. 15/2009 ha dunque

previsto l’obbligo per tutte le amministrazioni di rendere pubblici obiettivi, indicatori di produttività e dati sui servizi resi, in modo da po- ter consentire confronti pubblici annuali sul funzionamento dell’ente18:

non solo, dunque, informazioni relative all’organizzazione dell’ente, ma anche dati attraverso cui l’ente possa rappresentare in modo signifi- cativo l’efficienza e l’imparzialità della gestione, nonché l’utilizzo effi-

19Cfr. E. Carloni, La «casa di vetro» e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza

amministrativa, in «Rivista di diritto pubblico», 2009, 3, pp. 779-812.

20Cit. in Civit, delibera 6/2010, Prime linee di intervento per la trasparenza e l’integrità.

Una disamina delle implicazioni sulla trasparenza della nuova riforma è consultabile in F. Pizzetti - A. Rughetti (a cura di), La riforma del lavoro pubblico, Studi Cis Anci, Edk edi- tore, Roma 2010.

21Elencate nell’art. 16, c. 2 del d.lgs. n. 150/2009, le disposizioni prevedono l’introdu-

zione del ciclo della performance, la definizione degli obiettivi e degli indicatori, il ricorso ai sistemi premianti selettivi, la costituzione degli organismi interni di valutazione.

22E dunque le disposizioni richiamate dall’art. 16 c. 2. Si veda la delibera Civit n. 6/2011

del 3 febbraio 2011.

23Si vedano: art. 198 bis del Tuel, inserito dal decreto legge n. 168 del 2004; art. 148 del

d.lgs. n. 267/2000 ai sensi della l. 20/1994; Corte dei conti, delibera 16/2010, p. 124. ciente delle risorse pubbliche19. Facendo seguito ai principi della rifor-

ma, la Civit ha difatti inteso la trasparenza quale strumento essenziale per assicurare i valori costituzionali dell’imparzialità e del buon anda- mento delle pubbliche amministrazioni, per favorire il controllo socia- le sull’azione amministrativa e sul rispetto del principio di legalità20.

Relativamente all’ambito di applicazione, le prescrizioni conte- nute nel d.lgs. n. 150/2009 impattano integralmente soltanto sulle amministrazioni centrali; la riforma prevede infatti che, nel rispetto della propria autonomia, gli enti locali adeguino i propri ordinamen- ti a un novero ristretto delle disposizioni del decreto21 in un arco

temporale differito rispetto alle amministrazioni centrali, pena l’inte- grale applicazione delle disposizioni dei Titoli II e III del decreto.

Tendendo conto del principio di autonomia degli enti locali, la Civit ha espresso l’avviso che, in caso di mancato adeguamento, l’applica- zione avrebbe riguardato soltanto i principi specificamente previsti per gli enti locali22.

2. L’attuale governance.

Il quadro dei soggetti inclusi, anche se in diversa misura, nei controlli interni delle amministrazioni pubbliche è particolarmente articolato.

Gli enti locali hanno ancora l’obbligo di trasmettere alle sezioni re- gionali i referti redatti dalle strutture preposte al controllo di gestione e la Corte dei conti attualmente è l’unico organo che esercita un con- trollo esterno regolare sulla loro gestione23.

Attualmente, nel framework delle autorità che hanno un ruolo nei controlli, resiste il Comitato tecnico scientifico per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato, collocato presso la presidenza del Consiglio dei ministri

24Relativamente alle funzioni della Civit e, soprattutto, alle attività svolte, si veda la Re-

lazione «Una riforma per la crescita. L’attività della Civit (22 dicembre 2009-26 ottobre 2010)», presentata in occasione del Convegno organizzato a Roma il 28 ottobre 2010 dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione e dal ministero per la Pubblica ammini- strazione e l’innovazione.

25Cit. in Luciano Hinna, membro della Civit, in un’intervista realizzata ad hoc per la

presente ricerca.

26Cfr. art. 2, Protocollo ai sensi del comma 2 dell’articolo 13 del decreto legislativo 27

ottobre 2009, n. 150 tra Anci e Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, 16 settembre 2010.

(Dipartimento per l’attuazione del programma di governo) e istituito con il d.lgs. n. 286/1999. Il Comitato ha il compito – tra gli altri – di elaborare metodologie e strumenti per assicurare e migliorare il colle- gamento fra gli obiettivi strategici e l’allocazione e l’uso delle risorse nelle amministrazioni dello Stato, ma non ha alcun rapporto con co- muni ed enti locali.

La Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche si è inserita nel quadro de- gli organi esterni di controllo alla fine del 2009, quando è stata istitui- ta ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 150 del 2009. La Commissione, inse- diatasi il 15 dicembre 2009 ha tra i suoi compiti quello di indirizzare, coordinare e sovrintendere le attività di misurazione e valutazione del- la performance organizzativa e individuale24. Nell’esercizio delle sue

funzioni, il punto debole della Civit resta comunque l’assenza di po- tere sanzionatorio, che inibisce il suo ruolo nel caso in cui le delibere che emana non trovino applicazione: «la Civit si configura come un organismo di accompagnamento e non di controllo. Alla Civit sono stati dati pochissimi compiti di controllo e, nel quadro generale, man- ca ancora un organo che svolga un audit esterno sulla performance considerata nel suo complesso»25.

Occorre sottolineare che l’attività della Civit è prevalentemente ri- volta alle amministrazioni centrali. Il rapporto con gli enti locali, nel- l’emanazione delle delibere che dettagliano le prescrizioni dei decreti legislativi, viene mediato attraverso l’Anci e l’Upi, che raccolgono le istanze da comuni e province e le portano al centro. L’obiettivo di ta- li associazioni degli enti locali è sostanzialmente quello di rendere i dettati delle norme più conformi alle esigenze che provengono dal basso e il collegamento formale tra Anci, Upi e Civit è determinato dalla stipulazione di protocolli d’intesa, che nel caso dell’Anci ha da- to luogo a un tavolo tecnico permanente di confronto con la Com- missione su diversi aspetti dell’implementazione delle disposizioni della Riforma negli enti locali26:

27Cit. in Pietro Barrera in un’intervista realizzata ad hoc per la ricerca.

28Si veda la nota Civit del 7 aprile 2011 sull’accordo per l’invio direttamente all’Anci del-

la documentazione e delle richieste concernenti l’applicazione del decreto legislativo n. 150/2009.

29Cit. in Cesare Vaciago, intervista condotta ad hoc per la ricerca. Direttore generale del

Comune di Torino, Vaciago è coordinatore della Commissione nazionale Anci.

la Civit ha funzioni importanti e decisive per le amministrazioni dello Stato, ma per i Comuni le sue disposizioni sono mediate dalle associazioni delle au- tonomie locali. I protocolli d’intesa previsti dalla riforma potevano sembrare in un primo momento degli espedienti per favorire la diffusione dell’approc- cio statalista anche a livello locale, ma così non è stato. Il protocollo Anci-Ci- vit chiarisce in modo netto che è l’Anci che media gli indirizzi della Civit tra- sformandoli in diverse opzioni di indirizzo per i Comuni27.

Nell’ambito del Tavolo tecnico l’Anci ha il compito, tra l’altro, di provvedere alla raccolta e a un primo esame della documentazione inerente al ciclo della performance trasmessa dai comuni e di istruire preventivamente le richieste di parere provenienti dagli enti locali e

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