L’integrazione della CPQR come “palliativo” alla riforma della seconda Camera?
Sulla questione della natura giuridica della commissione integrata influiscono una serie di fattori (quali le finalità che ispirano l’integrazione, le modalità di funzionamento dell’organo, la veste giuridica ed i regolamenti parlamentari) la cui attuale incertezza finisce per rendere altrettanto incerto qualsivoglia tentativo di compiuta qualificazione361.
Tuttavia, non sembra prematuro formulare alcune considerazioni, peraltro tenuto conto di una prima contraddizione emersa in sede di Giunta per il regolamento, ove si è affermato che “l’integrazione della commissione parlamentare per le questioni
regionali non costituisce comunque un’anticipazione della camera delle autonomie”, idea questa circolata anche in sede di lavori preparatori362 e diffusasi
anche tra parte della dottrina363.
Tale asserzione poggerebbe infatti su diversi elementi: innanzitutto, la circostanza per cui, attualmente, non figura ancora la componente autonomistica nella composizione della Commissione e, per quanto poi concerne lo status dei membri territoriali, non averli comunque ritenuti membri pleno iure della commissione 364.
In secondo luogo l’avere escluso che essa partecipi all’elezione dell’Ufficio di presidenza (introducendo una mera facoltà di intervento) la cui effettiva incidenza sulla programmazione dei lavori va verificata.
Ulteriore argomentazione è, come già descritto sopra, l’aver limitato alle sole ipotesi dell’articolo 11, comma 2, l’efficacia “super rinforzata”365 dei pareri, e ciò malgrado
un’interpretazione estensiva delle sua competenze di tipo consultivo.
361 Cfr. R.BIN, op.cit., p. 880. 362 Cfr. A. MANZELLA, op.cit.
363 E.BALBONI, La bicameralina non è un camerino (ma nemmeno un luogo equivoco), in
www.forumcostituzionale.it; S.MANGIAMELI, op.cit., p. 325.
364 Cfr. E.GIANFRANCESCO, op.cit., p. 105. 365 Cfr. S. CECCANTI, op.cit.
Ultimo ma non per importanza, l’aver accantonato, in sede istruttoria, la proposta diretta a configurare la Commissione integrata come organo distinto della Commissione “in versione” ristretta366.
V’è tuttavia da considerare che il fenomeno dell’integrazione di un organo collegiale con membri di diversa provenienza non rappresenta di per sé ne una novità, né tanto meno un vulnus per il nostro ordinamento costituzionale, ma anzi si verifica in ipotesi di assoluto rilievo, come l’elezione del Presidente della Repubblica o la sua messa in stato d’accusa.
Nelle suddette ipotesi, al Parlamento in seduta comune ed alla Consulta vengono aggregati soggetti esterni senza che con ciò venga snaturato l’organo stesso, con i rispettivi ordinamenti.
Analogamente, l’integrazione della commissione parlamentare per le questioni regionali non determinerebbe alcuna “metamorfosi”: nella sua composizione allargata la commissione non sarebbe un organo nuovo e diverso dalla commissione non allargata, restando piuttosto un organo interno delle (e alle) Camere, al quale vengono affiancati, limitatamente all’esercizio di determinate funzioni, componenti aggiuntivi di estrazione non parlamentare.
In altri termini, la Commissione non muterebbe la propria natura giuridica, né si trasformerebbe in altro da sé. Più semplicemente si andrebbe a sdoppiare nella sua composizione, in modo che lo stesso organo possa agire, ora in composizione non integrata - nelle ipotesi previste dalla disciplina precedente alla revisione costituzionale - ora in composizione integrata nell’ipotesi disciplinata dall’articolo 11 ed attualmente inattuata, e ciò secondo le modalità che devono necessariamente essere descritte puntualmente da novellati regolamenti parlamentari367.
L’articolo 11 rappresenta, dunque, l’emblema della distanza che si è venuta a creare tra il voler essere un ordinamento fondato sulle autonomie ed il suo effettivo modo
366 Cfr. E.GIANFRANCESCO, op.cit., p. 120. 367 Cfr. S.LABRIOLA, op. cit., p. 922.
di essere nella realtà, anche alla luce dei commenti che la dottrina ha espresso in relazione all’ipotesi di una integrazione della commissione parlamentare per le questioni regionali con i rappresentanti delle autonomie territoriali.
Si sono utilizzate locuzioni come “meccanismo pasticciato”368, passando per “scelta
strampalata timida e difficilmente attuabile”369, a “imitazione scadente”370,
“succedaneo”371, “miniriforma”372, “rattoppo”373: così le più alte definizioni che della Commissione integrata sono state elaborate dalla dottrina, divisasi tra coloro che hanno suggerito di abbandonare l’ipotesi di integrazione374, e quelli che
ritengono “necessario ed indifferibile”375, il completamento dell’organo, sia in punto
di competenze consultive sia per quanto concerne le modalità di funzionamento e deliberazione.
Ad ogni buon conto occorre interrogarsi sulle motivazioni sottese alla perdurante inattuazione dell’articolo 11376, inattuazione che, come è stato acutamente osservato,
è dovuta non certo alla sua “irrilevanza … ma alla sua estrema significatività” 377.
In realtà per cercare di comprendere il motivo per cui il processo di integrazione dell’organo collegiale si sia arenato, occorre fare riferimento ai lavori preparatori della l.c. 3 del 2001, ed in particolare capire perché non sia ancora maturata all’interno delle camere una concorde volontà di dare efficacia alla suddetta previsione normativa.
368
M.SCUDIERO, La legislazione: interessi unitari e riparto della competenza, in A. D’ATENA (a cura di), Regionalismo in bilico. Tra attuazione e riforma della riforma del Titolo V, Milano, 2005, p. 10.
369 B.CARAVITA DI TORITTO, Gli elementi di unificazione del sistema costituzionale dopo la riforma
del Titolo V della Costituzione, in www.federalismi.it, 2002.
370 G.AZZARITI, Audizione, in Indagine conoscitiva sul Titolo V della parte II della Costituzione, p. 92 371
U. ALLEGRETTI, Perché una Camera regionale per l’Italia, in Democrazia e diritto, 2003, 3, p. 125.
372 A. RUGGERI, Leggi statali e statuti regionali e la loro disposizione in “circolo” nel processo di
attuazione del Titolo V della Costituzione, in www.federalismi.it, 2002.
373 V.LIPPOLIS, Le ragioni che sconsigliano di attuare l’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001,
in Indagine conoscitiva sul Titolo V della parte II della Costituzione, 2006.
374 Cfr. G.M. SALERNO, L’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con
i rappresentanti delle autonomie territoriali: problemi e disarmonie costituzionali, in Rassegna
parlamentare, 2007, 2, p. 385.
375 N.LUPO, Le ragioni costituzionali che suggeriscono di integrare quanto prima la composizione della
Commissione parlamentare per le questioni regionali, in www.federalismi.it, 3, 2007.
376 U. ALLEGRETTI, op.cit., p. 124. 377 Cfr. N.LUPO, op.cit., p. 95.
Secondo parte della dottrina, la ragione potrebbe tutta concentrarsi attorno a questioni di opportunità e convenienza, dettate da esigenze di natura prettamente politica, peraltro confermate dal progressivo abbandono dell’entusiasmo con cui inizialmente si era avviata l’attività preparatoria all’integrazione della commissione, cui è subentrata la paralisi del processo attuativo378.
La prima ragione potrebbe essere data dal perdurante rinvio dell’esame delle modifiche regolamentari, protrattosi sine die, e ciò sino alla totale riscrittura dell’intera seconda parte della Costituzione: la battuta d’arresto dovuta, con tutta probabilità, alla paventata riforma della seconda Camera379, che avrebbe inciso
sull’assetto del bicameralismo, e al contempo vanificato il senso dell’integrazione della commissione380, visto che l’articolo 11 era da più parti considerato “il primo passo per capire come il progetto di un nuovo Senato potesse configurarsi”381. Il rapporto tra Commissione integrata da un lato e Camera delle autonomie dal’altro si inseriva già di partenza in un contesto sfavorevole, nel quale l’integrazione della commissione subiva una battuta d’arresto a causa di almeno due elementi: una divergenza tra la maggioranza che aveva approvato la riforma e quella che successivamente si era trovata innanzi al compito di attuarla, e la netta contrapposizione tra consigli regionali382 e Presidenti di Regione, i quali ultimi si
opponevano alla designazione dei primi in seno alla commissione integrata.
A ciò si aggiunga anche la scontata diffidenza della componente senatoriale ad attuare una riforma che pregiudichi il proprio ruolo, così completando il quadro che spiega le ragioni di spiccata natura politica sottese alla mancata attuazione regolamentare dell’articolo 11.
378 Cfr. S.MANGIAMELI, op.cit., p. 115.
379 Cfr. A.RUGGERI, La Commissione parlamentare per le questioni regionali tra le forti delusioni del
presente e la fitta nebbia del futuro, in www.federalismi.it, 2005, p. 10.
380 R.BIFULCO, Il bilancino dell’orafo: appunti per la riforma del Senato, p. 110. 381 Così A.MANZELLA, op. cit., p. 30.
Ora, il sistematico fallimento di tutti i recenti tentativi di riforma della seconda camera, dovrebbe indurre ad un revirement, ovvero l’abbandono dei grandi progetti di revisione istituzionale, privilegiando interventi più definiti e meno ambiziosi, quali l’effettiva attuazione della c.d. bicameralina, quale sede di concertazione tra i diversi soggetti del pluralismo ist/cost-ituzionale.
Se a ciò si aggiunge che il tenore letterale della norma – “sino alla revisione delle
norme del Titolo I della parte seconda della costituzione” – depone per
un’integrazione della Commissione, nelle more della revisione del sistema bicamerale, sarebbe auspicabile, come prescritto da autorevole dottrina383,
un’attuazione graduale della stessa, attraverso appunto meccanismi transitori, una sorta di “effetto passerella” sino alla riforma effettiva del Senato.
Peraltro, come acutamente osservato dalla dottrina384 la legge costituzionale n. 3 del 2001 introduce per la prima volta un raccordo di tipo parlamentare, rispetto al precedente sistema improntato esclusivamente a raccordi di tipo governativo, tra esecutivi, o per la precisione, rappresentanti di esecutivi (si pensi al sistema delle conferenze385): ciò che viene rilevato è che il sistema antecedente la legge
costituzionale in esame, escludeva in toto il Parlamento dall’elaborazione di testi legislativi che, ad ogni buon conto, avrebbero inevitabilmente inciso sul riparto di competenze tra Stato da un lato e Regioni ed enti locali, dall’altro.
383 Cfr. A.MANZELLA, op. cit., p. 30.
384 E. GIANFRANCESCO, Problemi connessi all’attuazione dell’articolo 11 della legge costituzionale n.
3 del 2001, in Rassegna parlamentare, 2004, 1, p. 305.
385
Su cui, inter alios, F.PIZZETTI, Il sistema delle Conferenze e la forma di governo italiana, in Le
Regioni, 2000, 473; I.RUGGIU, Conferenza Stato-Regioni: un istituto del federalismo“sommerso”, in Le
Regioni, 2000, 853 ss.; A.PAINO, L’attuazione del federalismo amministrativo, in Le Regioni, 2001, 677 ss.
Se a ciò si aggiunge che la riforma costituzionale del 2001386 ha intensificato e
addensato le maglie del già complesso ordito riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni – esclusive, concorrenti e residuali – si comprende l’indubbia importanza che potrebbe rivestire il processo di integrazione della Commissione per le questioni regionali, unico e vero momento di raffronto tra centro e “periferia” (si passi il termine) per la costruzione di norme che rispecchino adeguatamente l’intento del legislatore del 2001387.
Infatti, soltanto il procedimento di decisione che passa attraverso una risoluzione parlamentare soddisfa la ratio partecipativa delle minoranze388.
La CPQRI (conosciuta anche come Bicameralina) è stata da alcuni ritenuta una sorta di “stanza di compensazione politica” che potrà essere utilizzata per comprendere meglio come comporre e strutturare la Camera delle Regioni389.
Possiamo, dunque, affermare di trovarci di fronte ad un’antiCamera delle Regioni, un vero e proprio “disimpegno” (tanto ne è facoltativa l’integrazione) che come il dantesco Caronte ci traghetterà (seppur) lentamente, ma inesorabilmente, verso la sponda del bicameralismo differenziato?
Ciò in considerazione del fatto che dietro l’esigenza di riforma non sta soltanto un lavoro di maquillage istituzionale o un puro completamento del disegno ordina mentale a tendenza fortemente federale espresso nelle diverse ipotesi di riforma del
386
Sul punto, ex multis, C. DI ANDREA, L’attuazione del nuovo Titolo V in Parlamento. La verifica
della “competenza legislativa” nel procedimento di approvazione delle leggi statali, in Le Regioni, 2002, 1, 250; A.D’ATENA, Diritto regionale, Torino, 2010, 327; R.TOSI, La legge costituzionale n. 3 del
2001: note sparse in tema di potestà legislativa ed amministrativa, in Le Regioni, 2001, 1233 ss.; G. FALCON, Modello e transizione nel nuovo Titolo V della Parte seconda della costituzione, in Le
Regioni, 2001, 1252; G.PAGANETTO, Potestà legislativa regionale e “limiti” alle competenze esclusive
statali, in Giur. Cost., 2002, 3347; P. CARETTI, L’assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale
e regionale, alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione: aspetti problematici, in Le Regioni, 2001, 6, 1223, A. RUGGERI, La riforma costituzionale del Titolo V e i problemi della sua attuazione con
specifico riguardo alle dinamiche della normazione e al piano dei controlli, in Quaderni regionali, 2001, 2, 565 ss.; A. CORPACI, Revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, 2002, 6, 1305 e ss.
387 C.FUSARO, Lontani surrogati e nuovi pasticci, op.cit. 388 E.GIANFRANCESCO, op.cit., 305.
389 C.VIZZINI, La Bicamerale allargata. Per il completamento della riforma costituzionale, in
Titolo V e ad oggi (incompiutamente) realizzato nella forma transitoria di cui all’art. 11 della l.c. n. 3/2001390, bensì la consapevolezza che la trasformazione di un
ordinamento costituzionale in federale, implica automaticamente una revisione radicale dei meccanismi legislativi e della componente parlamentare stessa, non più espressione della sola volontà centrale e nazionale, bensì delle plurime articolazioni territoriali, diversamente rappresentate e portatrici di interessi fra loro fortemente diversificati.
Il dubbio che ora sorge deriva da un’intrinseca contraddizione che permea il processo di integrazione della Commissione per le questioni regionali, ovvero un organo che è e rimarrà comunque bicamerale, espressione di entrambe i rami del Parlamento, e successivamente integrata da rappresentanti di Regioni ed enti locali. Ma l’opera di integrazione non muta nella sostanza ciò che la Commissione rappresenta: una miniatura del bicameralismo perfetto, ancorché allargata (ma sempre in composizione paritetica) a Regioni ed enti locali.
E allora, possiamo dire di trovarci innanzi ad una riforma del bicameralismo perfetto, laddove ci si limitasse all’integrazione della CPQRI, dilazionando o addirittura omettendo di compiere il “grande passo” che vuole riformata non già una Commissione parlamentare, ma l’intera Seconda Camera? Così argomentando non può che venire rafforzata la tesi a mente della quale il processo di integrazione della Commissione per le questioni regionali è solo il preludio ad un’operazione riformatrice di più ampio respiro, una soluzione transitoria che certo non può considerarsi palliativa di un intervento strutturale ed istituzionale quale la revisione del bicameralismo perfetto.
Addirittura vi è chi ha sostenuto391 che la previsione transitoria di cui all’art. 11
potrebbe costituire una grave ipoteca per ogni serio progetto costituzionale teso a
390 NICOTRA V., Sulla nuova commissione bicamerale per l’attuazione del Titolo V. Ipotesi e problemi,
in www.astrid-online.it.
391 R.BIFULCO, In attesa della seconda camera federale, in T.GROPPI – M.OLIVETTI (a cura di) La
realizzare uno dei possibili modelli federali di seconda camera, auspicando così che la norma da provvisoria non divenga uno stato definitivo ed irreversibile.
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Conclusioni
Come visto, l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali – seppur disposizione ad oggi inattuata – giusto il tenore letterale della norma, lascia presagire ad un intervento futuro del legislatore costituzionale in punto di bicameralismo, quasi a voler intendere che l’integrazione di una Commissione bicamerale rappresenti un primo passo, quasi un tentativo da parte del legislatore di “voler sondare l’irto terreno” di riforme istituzionali di più ampio respiro che involgano integralmente l’istituto del bicameralismo.
Seppur vero che, ad oggi, la Commissione (non integrata) detiene generali attribuzioni in tema di ordinamento regionale, non è tuttavia possibile poter equiparare quest’ultima ad una effettiva sede di rappresentanza e raccordo tra Stato centrale ed enti territoriali, sia per la sua composizione (esclusivamente parlamentare) sia per il suo potere (di natura meramente consultiva che non è in grado di incidere, pertanto, in maniera determinante sui testi e sulla portata dei progetti di legge sottoposti alla sua attenzione).
Carenza, questa, senza fuor di dubbio riconducibile, in primis, alla sua mancata integrazione, operazione che si rivela necessaria ed improcrastinabile, per almeno due ordini di ragioni, l’una collegata funzionalmente all’altra.
In primo luogo solo la sua integrazione con la componente regionale e locale potrebbe condurre all’affermazione a mente della quale si tratterebbe di una Commissione tesa ad incorporare interessi territoriali nelle decisioni assunte a livello nazionale: in caso contrario permarrebbe, al pari di qualsiasi altra Commissione, la sua natura prettamente parlamentare; inoltre solo un’integrazione vera e propria della stessa potrebbe fornire dati e riferimenti obiettivi in ordine al suo effettivo
funzionamento, dando più o meno conto così della opportunità e dell’adeguatezza delle operazioni di integrazione della stessa, in attuazione della legge costituzionale. La seconda ragione è legata inscindibilmente a quanto sin qui esposto, nel senso che solo dopo aver incluso la rappresentanza regionale e territoriale all’interno di una Commissione bicamerale, e solo dopo averne verificato e valutato l’effettivo operato, ebbene solo allora si potrebbe decidere con cognizione di causa di poter delineare un più complesso ed organico disegno riformatore dell’intero assetto bicamerale.
Il che potrebbe indurre a pensare che la “transitorietà” di cui parla il testo della legge costituzionale potrebbe essere letta non tanto nella sua accezione temporale – cioè in attesa di trovare una ampia maggioranza parlamentare chiamata a sostenere all’unisono i contenuti di una revisione costituzionale di ampio respiro in ordine alla differenziazione tra le due Camere – quanto nella sua accezione “funzionale”.
In tal caso si potrebbe ritenere che l’intenzione del legislatore sia stata quella di introdurre in via sperimentale una prima forma di contatto e raffronto tra le istanze territoriali e quelle nazionali, subordinando la predisposizione di un più ampio ed organico progetto di revisione costituzionale, all’andamento dei lavori della Commissione per le questioni regionali integrata: ecco allora che l’attesa potrebbe ricollegarsi ad un atteggiamento prudenziale del legislatore che, prima di addentrarsi in ambiziosi quanto impervi progetti di revisione costituzionali, avrebbe preferito “sondare il terreno” delle riforme, con un intervento più contenuto.
Ed anche in tale ipotesi si sarebbero potuti avere due scenari a seconda dell’effettività del funzionamento della Commissione in versione integrata: uno slancio, in caso positivo, verso un’avveduta riforma organica della seconda Camera, che facesse propria l’esperienza dell’organo bicamerale, recependone sia i limiti funzionali che i punti di forza; ovvero avrebbe subito una battuta d’arresto, nel momento in cui ci fosse accorti che parlare di revisione era prematuro.
Ciò che si evince da questo contesto è che, ad ogni modo, il processo di revisione del bicameralismo è un’operazione lenta e graduale, che deve essere ideato e realizzato con cognizione di causa, ovvero recependo ed eliminando tutti gli elementi di debolezza che hanno determinato sinora i fallimenti di tutti i progetti di legge avvicendatisi nel corso degli anni, nonché cogliendo i punti di forza che si sono di volta in volta ripresentati come una costante all’interno di ogni disegno di riforma.
All’elaborazione in linea teorica dei contenuti deve, però, necessariamente accompagnarsi una verifica della funzionalità del progetto, che ben può essere il frutto dell’analisi dell’operato della Commissione per le questioni regionali, una volta integrata, in precipua attuazione della legge costituzionale.
Si ritiene, infatti, che solo la compenetrazione tra il piano teorico e quello pratico (seppur in versione “ridotta”) possa condurre efficacemente ad un’operazione strutturale di revisione costituzionale.