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La partecipazione come strumento di gestione delle aree protette

Come visto ampiamente nei primi due capitoli, la partecipazione rappresenta uno strumento di gestione molto efficace, se implementata adeguatamente, ed adattabile a svariati ambiti, all’interno dei quali emergono le aree protette, dove la partecipazione rappresenta la base per uno sviluppo sostenibile, che tenga conto non solo della tutela dell’ambiente naturale e culturale, ma anche dei bisogni della popolazione locale.

In questa prima parte relativa alla gestione partecipata delle aree protette, si farà principalmente riferimento ad un’autrice (Quattrone); infatti, la letteratura relativa a questo tema si rivela piuttosto limitata e, all’interno di essa, si è ritenuto che l’opera di Quattrone fosse completa e consona ai fini del tema trattato nell’elaborato. Ad ogni modo, la letteratura viene qui affiancata a casi concreti di partecipazione all’interno delle aree protette, al fine di fornire un quadro maggiormente completo in merito a questa tematica174.

173 Verrà qui presentata solamente una parte del progetto, iniziato nel mese di maggio 2014, che si

concluderà con la candidatura del Parco alla Carta Europea per il Turismo Sostenibile nel mese di dicembre 2014.

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Per quanto concerne il tema della partecipazione nelle aree protette, si propongono alcuni materiali relativi a tale tematica: R. Gambino, “Parchi e paesaggio: l’applicazione della Convenzione Europea del Paesaggio nelle politiche dei parchi”, Atti del Convengo ”Parchi italiani: le sfide della qualità”, 2003; U. Leone, “Consenso e coordinamento nella politica dei parchi”, in Journal of Science Communication, Vol.

112 Quattrone fornisce un’ampia definizione in merito alla gestione partecipata delle aree protette:

Parlare di gestione partecipata delle aree protette vuol dire individuare un processo che presupponga che tutti gli attori interessati dall’utilizzazione e dalla protezione delle risorse naturali si concertino e prendano in considerazione i diversi interessi di ciascuna parte individuando le relative disposizioni (per la gestione). Presuppone inoltre che questi si impegnino in modo collegiale, ossia in partenariato per mettere in opera queste disposizioni. Così gli attori assumono la loro parte di responsabilità in caso di successo o insuccesso della gestione nonché dividono i costi e i benefici che ne risultano175.

Come affermato in precedenza, il ruolo della popolazione locale risulta fondamentale per uno sviluppo in chiave sostenibile dell’area protetta; tuttavia, ciò non risulta essere sempre attuabile, in quanto talvolta i residenti colgono unicamente i limiti che vivere in un’area protetta comporta, anziché le opportunità, e questo è riscontrabile anche nel caso del Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino, dove buona parte degli stakeholders intervistati conferma questa teoria. Quando ciò accade, è necessario rendere la comunità locale maggiormente partecipe, anche tramite l’utilizzo della comunicazione e dell’informazione, al fine di promuovere una collaborazione, anziché un conflitto.

Ciò si è visto nel secondo capitolo, dove si trattava il tema del conflitto come vincolo alla partecipazione; è inoltre necessario richiamare il caso del Parco Naturale Adamello Brenta, che dimostra nel concreto come i conflitti e la mancanza di fiducia della popolazione locale verso uno sviluppo di tipo turistico, possano limitare un rapporto cooperativo.

Ad ogni modo, è indispensabile far comprendere ai residenti che l’area protetta rappresenta un’opportunità in termini di sviluppo del territorio e di miglioramento della qualità di vita; naturalmente, il risultato dipende dal modo in cui il processo viene

3, No. 3, 2004; Valbonesi E., “Parchi e aree protette «laboratori» per lo sviluppo”, in Ecoscienza, No. 3, 2010, pp. 38-40.

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113 gestito. Se l’area protetta viene istituita/gestita tramite la partecipazione, anche la comunità locale potrà beneficiare di essa. È quindi necessario presentare sia le opportunità che i limiti, in modo che si intuisca che gli ultimi sono indispensabili per tutelare l’area protetta e anche le stesse popolazioni locali, che vengono salvaguardate da uno sviluppo, turistico e non, di massa.

L’area protetta viene definita da Quattrone come:

[…] un sistema, cioè un’entità costituita da parti interagenti; complessa (perché comprende tutte le forme di vita naturale in relazione a quelle di vita sociale, per cui generante incertezza), globale (perché interagente e non apprendibile isolando e analizzando in tempi differenti i suoi elementi costitutivi, per cui cangiante e dinamica), contingente (perché relativa e dipendente da molti condizionamenti, spazio-temporali, culturali, interpretativi, ecc), finalizzata (perché suscettibile a giudizi di valore, confronti, etiche ma soprattutto obiettivi)176.

Di conseguenza, la popolazione interpreta un ruolo chiave all’interno di questo sistema, che necessita di essere ampiamente basato sulla partecipazione, in quanto essa stessa traduce il concetto di area protetta in quello di sistema.

Accade talvolta che le aree protette siano gestite secondo schemi comuni, sebbene ognuna di esse rappresenti un’entità differente dalle altre e necessiti quindi di essere gestita non solo individualmente, ma anche con obiettivi specifici per l’area di riferimento. Per raggiungere tale finalità, la cooperazione con i residenti si rivela particolarmente utile, in quanto permette di cogliere le peculiarità dell’area interessata, creando una gestione ad hoc. Tra gli attori da coinvolgere, emergono gli agricoltori locali, i quali contribuiscono alla creazione e alla tutela del paesaggio.

In particolare, l’area protetta necessita di essere gestita attraverso la partecipazione della popolazione locale per tre motivi: efficienza, in quanto senza la partecipazione l’attenzione per la conservazione diventerebbe maggiormente dispendiosa; equità, poiché la popolazione affonda le proprie radici nell’area protetta ed ha quindi diritto ad essere partecipe alla gestione del territorio e a trascorrervi il proprio tempo libero; opportunità di dare potere ai residenti, il cui punto di vista è fondamentale nella

114 pianificazione e nella conservazione dell’area protetta. Il residente richiede quindi di essere coinvolto e di potersi esprimere, come compensazione per i vincoli che il vivere nell’area protetta impone177

. Naturalmente, dare vita ad una gestione partecipata, significa variare la lettura del concetto di conservazione, trasferendo in parte alla popolazione locale il ruolo di «custode» dell’area protetta. Ciò rappresenta un’opportunità per i residenti di avere un peso maggiore all’interno del territorio in cui vivono, anziché essere osservatori passivi.

Si evidenziano inoltre i vantaggi legati al coinvolgimento della popolazione locale, fra cui emergono: il miglioramento della qualità di vita, sviluppare un senso di comunità, informare i residenti e coinvolgerli attivamente, offrire uno sviluppo sostenibile locale che tenga conto delle esigenze della popolazione, utilizzare le risorse in maniera consapevole ed avviare rapporti di cooperazione fra comunità ed amministrazioni locali e regionali, che possono essere diffusi anche ad altri ambiti178. Questi sono solo alcuni dei benefici relativi alla partecipazione, la quale, come si è affermato nel secondo capitolo, ha anche dei limiti, che talvolta la rendono inefficace o particolarmente dispendiosa. Infatti, non sempre si può attuare la partecipazione nel caso delle aree protette, in quanto potrebbe emergere la necessità di assumere decisioni rapidamente, per la salvaguardia e la tutela del territorio, e la partecipazione si dimostrerebbe poco efficiente in questo caso. Ad ogni modo, quando possibile è positivo optare per un processo di gestione partecipata.

La partecipazione parte dal presupposto che la pianificazione sia caratterizzata dalle tipicità locali e si adatti quindi al contesto di riferimento, ogni attore può ricoprire un diverso ruolo all’interno del processo partecipato, basandosi sulle proprie abilità. L’idea di fondo è che nessun attore possiede singolarmente le competenze necessarie a gestire singolarmente l’area protetta, di conseguenza, la partecipazione rappresenta un punto di forza per il parco stesso.

IV.1.1 La gestione del turismo nelle aree protette

Se un tempo i principali rischi per le aree protette erano caratterizzati dalla caccia e dal rischio di perdita della biodiversità, ora a questi pericoli si aggiungono anche quelli derivanti da un turismo di massa irresponsabile e insostenibile. Infatti, come affermato

177

Ivi, pp. 86-87.

115 ampiamente, esso crea numerosi impatti, fra cui quelli sopraccitati; di conseguenza, i vincoli che l’area protetta impone non sono più diretti solo ai residenti, ma in larga parte agli operatori, ai visitatori e, più in generale, al turismo. Come si è visto nel caso del Parco Naturale Adamello Brenta, esistono aree protette nel cui territorio sono presenti impianti sciistici e ampie infrastrutture turistiche; turismo e area protetta possono convivere, ma necessitano di una regolamentazione e di una particolare attenzione verso il territorio ed i suoi abitanti.

I Piani dei parchi sono quindi strumenti che permettono di regolamentare e tutelare l’area protetta, ma anche i suoi abitanti, i quali devono essere compartecipi alla creazione dei suddetti piani. È quindi necessario sviluppare una strategia basata sulla comunicazione, per far sì che chi entra in contatto col territorio afferente all’area protetta comprenda le sue regole, e le motivazioni da cui derivano, e sia in grado di rispettarle. A conferma di ciò, Quattrone attribuisce quattro funzioni all’area protetta: conservazione, utilizzo a fini ricreativi, sviluppo economico e sociale dei residenti e comunicazione.

Cambiano dunque problemi, finalità, funzioni, procedure e, soprattutto, i criteri di efficacia della pianificazione. L’efficacia e la validità del nuovo parco dipendono dal consenso ed è su questo che va impostata la nuova pianificazione. È sul coinvolgimento delle amministrazioni locali insieme alle popolazioni, sulla mobilitazione collettiva insieme a quella di «esperti», che va impostata la nuova gestione del parco179.

Infatti, come già affermato in precedenza, la comunità locale possiede sia una conoscenza, che un’esperienza superiore rispetto a quella degli altri attori coinvolti, in merito al territorio in cui risiede e, di conseguenza, rappresenta lo stakeholder più adatto per la gestione, la protezione e la promozione dell’area protetta. Infatti:

[…] si presume che la comunità locale abbia una profonda conoscenza del proprio territorio, delle proprie tradizioni e cultura, per cui dovrebbe essere il soggetto più adatto per individuare la strategia appropriata per promuoverne l’immagine, senza passare attraverso una mercificazione del prodotto offerto. Si deve evitare l’errore,

116 infatti, di perseguire solo il compiacimento del turista, rischiando di perdere l’identità dell’area, e cercare, invece, di far apprezzare all’esterno le peculiarità della località da visitare180.

Risulta quindi necessario dare vita ad una gestione dell’area protetta partecipata, in grado di coinvolgere sia le popolazioni locali, che gli stakeholders legati ad essa, tramite lo sviluppo di una prospettiva integrata, che coinvolga quindi non solo gli operatori turistici, bensì tutti coloro che operano sul territorio dell’area protetta. Il settore turistico può in questo caso rappresentare una forza trainante per gli altri settori, ai quali viene richiesto di cooperare per ridurre le esternalità negative, che coinvolgono sia il territorio, che la popolazione locale181.

Se il turismo necessita quindi di essere gestito in maniera sostenibile, quando si fa riferimento ad un’area protetta i limiti a cui sottostare sono maggiori, in quanto è necessario tutelare l’area, che necessita di essere preservata per le generazioni future. Ad ogni modo, tale prospettiva è adattabile a tutto il settore turistico; nel caso delle aree protette, è però essenziale che anche la popolazione locale si renda custode del patrimonio che la rappresenta.