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Particolarmente dibattuta, specie nel panorama giurisprudenziale, è la valutazione della clausola claims made in ordine allo scrutinio di vessatorietà, alla

luce (del controllo formale) dell’art. 1341 c.c.

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: l’apposizione di tale pattuizione

al contratto di assicurazione infatti, limitando la copertura assicurativa ai soli

sinistri denunciati in costanza di polizza, ridurrebbe l’ambito di responsabilità

dell’assicuratore delineato dall’art. 1917 c.c. e, di converso, rientrerebbe nel novero

delle clausole di limitazione della responsabilità

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343 P. GAGGERO, op. cit., p. 421, il quale evidenzia “si tratta, invero, di un modello di controllo sulle manifestazioni dell’autonomia privata – e dell’autonomia contrattuale in particolare – che si giova di un’elencazione di clausole selezionate in base agli effetti negoziali che producono, ossia al loro contenuto; che riguarda quelle soltanto e solo se abbaiano natura di condizioni generali di contratto; a cui si associa la sanzione dell’inefficacia della (sola) clausola vessatoria per aprioristica valutazione legislativa ove non sia stata specificamente approvata per iscritto dall’aderente”. 344 In tema di clausole abusive nei contratti di assicurazione, non è dato rinvenire disposizioni specifiche. A tal uopo, si offre, senza alcuna pretesa di esaustività, una rassegna del tema in una prospettiva di ordine generale che interessa la contrattazione di massa ovvero per adesione, in cui il contenuto contrattuale è frutto della predisposizione di una delle parti, quale è il contratto di assicurazione in cui la relativa disciplina si realizza mediante la predisposizione unilaterale da parte della compagnia assicuratrice del contenuto contrattuale. Da qui, il pericolo di redazione di clausole inique o svantaggiose per l’assicurato o comportamenti degli assicuratori non corretti in merito alla trasparenza del contenuto contrattuale.

In relazione a quest’ultimo, si suole distinguere tra condizioni generali di polizza, la cui predisposizione risponde a una precisa esigenza di compensazione e neutralizzazione dei rischi di massa, e condizioni speciali di polizza volte a disciplinare in modo uniforme determinate tipologie di rischi. Il discrimen tra le due tipologie contrattuali si coglie sotto un duplice aspetto, ovverosia del contenuto e dell’origine. Quanto al primo, le condizioni generali di polizza interessano il rapporto contrattuale sia nel suo profilo fisiologico (ovverosia regolazione del premio, proroga, termine, denuncia dei casi assicurati) sia in quello patologico (risoluzione o recesso, contenzioso, variazione del rischio o decadenze dai diritti derivanti dal contratto assicurativo), laddove le condizioni particolari riguardano l’identificazione del rischio e i fenomeni assunti in polizza. Quanto al secondo, mentre fonte delle condizioni particolari sono l’autonomia e la consuetudine assicurativa, diversamente è a dirsi per le condizioni generali, che scaturiscono, oltre che dalla singola prassi, altresì da disposizioni di legge inderogabili in quanto volte a una corretta gestione del rapporto contrattuale.

Tanto premesso in ordine al contratto di assicurazione e spostando l’attenzione sulla tematica di ordine generale supra individuata, al precipuo fine di evitare che la diversa posizione assunta dai contraenti, nella contrattazione di massa, possa tradursi in una situazione di vero e proprio squilibrio a tutto vantaggio della parte più forte, interviene la normativa dettata in tema di condizioni generali di contratto, contratti conclusi mediante moduli o formulari nonché contratti col consumatore. Ai sensi dell’art. 1341 co. 1 c.c., le condizioni generali di contratto (intendendosi per esse le clausole predisposte unilateralmente da una delle parti al fine di uniformare il contenuto di tutti i rapporti aventi identica natura) sono efficaci nei confronti del contraente non predisponente, se questi, al momento della conclusione del contratto, le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. Su altro versante, l’art. 1342 c.c. precetta che nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari, predisposti per disciplinare in modo uniforme determinati rapporti contrattuali, le clausole aggiunte al modulo o formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario, qualora siano incompatibili con esse. Si tratta di fattispecie che si distacca da quella di cui al precedente art. 1341 c.c., posta la non essenzialità dell’iniziativa del predisponente. Invero, le parti ben potrebbero avvalersi, per uno o più contratti, di moduli o formulari predisposti da persone

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particolarmente competenti o messi in vendita per il pubblico (a titolo esemplificativo, si ricordano i bancali).

Quanto alle clausole vessatorie, intendendosi per esse quelle che rendono eccessivamente gravosa la posizione del contraente che aderisce alle condizioni predisposte dall’altra parte, la relativa disciplina è contenuta agli artt. 1341 co. 2 c.c. e 33 ss. cod. cons.

L’art. 1341 co. 2 c.c., pur non offrendo una definizione delle stesse, prevede una serie di clausole da considerarsi vessatorie: elenco, considerato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, tassativo, in ragione del carattere eccezionale della disciplina, ponendosi quale limite al principio di autonomia privata. Di conseguenza, è vietato, per ciascun tipo di clausola, il ricorso all’analogia mentre è consentita un’interpretazione estensiva.

Orbene, un tal tipo di clausola richiede, ai fini della validità ed efficacia, che sia specificamente approvata per iscritto da parte dell’aderente. In mancanza, sarebbe, per espressa disposizione di legge, priva di effetti, ancorché dottrina e giurisprudenza prevalenti propendano per la nullità, posto che per l’ipotesi di mancato rispetto della forma ad substantiam l’ordinamento commina una simile sanzione.

Con la direttiva 93/13/CEE (recepita in Italia con l. 52/1996 con cui sono stati inseriti, nel tessuto del codice civile, gli artt. 1469 bis ss., successivamente riprodotti nel codice del consumo con D.lgs. 206/2005) è stata introdotta, nell’ordinamento nazionale, la disciplina in materia di clausole abusive nei contratti stipulati tra professionisti e consumatori, al precipuo fine di scongiurare eventuali squilibri normativi tra le parti del rapporto contrattuale. Tale intervento riformatore è espressione di un’esigenza di uniformità e armonizzazione tra gli Stati membri della normativa in tema di clausole abusive contenute nei contratti con il consumatore. In tema di tutela apprestata ai consumatori, occorre, a tal uopo rilevare, che, differentemente dalla disciplina del codice civile che prevede, come già delineato, un controllo di tipo formale, il recepimento della direttiva in parola ha introdotto una vera e propria tutela sostanziale estrinsecantesi nel riconoscimento di un’azione individuale esperibile dinanzi l’autorità giudiziaria dallo stesso consumatore, per il tramite della quale viene inibito l’uso delle clausole contrattuali riconosciute abusive. Con essa, oltre ad essere tratteggiata una definizione di clausole vessatorie (nei termini di clausole che, malgrado la buona fede,

determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ex art. 33 cod. cons.), è sancito un divieto generale di utilizzo di clausole vessatorie,

pena la nullità delle stesse. La nuova disciplina è estesa oggettivamente a tutte le clausole del contratto (e non solo alle condizioni generali) mentre soggettivamente, affinché essa trovi applicazione, è necessario che le parti rivestano una specifica qualifica, ovverosia consumatore (persona fisica che agisce al di fuori della propria attività imprenditoriale o professionale) da una parte, e professionista, dall’altro. A tal uopo, è stato rilevato che simile contrapposizione, in ambito assicurativo, non risulta essere così netta così come in altri campi del diritto privato: si pensi, tra gli altri, a soggetti non persone fisiche (quali, enti, associazioni, fondazioni, società, imprese collettive) e persone fisiche (tra cui artigiani, imprenditori, professionisti) la cui assicurazione è stata stipulata a copertura di rischi inerenti all’attività.

Di particolare importanza risulta l’accertamento della vessatorietà di una clausola e, al riguardo, l’art. 34 cod. cons., indica taluni criteri in positivo e in negativo. E, precisamente, con riguardo a questi ultimi, il citato art. 34 stabilisce che “la valutazione del carattere vessatorio della clausola

non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto”, conservando in simil modo la sovranità

dell’autonomia privata, e che non può riguardare “l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei

servizi”, di guisa che lo squilibrio rilevante, ai fini della vessatorietà, non è di tipo economico bensì

giuridico. Tuttavia, l’operatività di tali criteri è esclusa allorché gli elementi cui si riferiscono (ovverosia prezzo e oggetto) “non siano individuati in modo chiaro e comprensibile”. Quanto ai criteri positivi, il legislatore prescrive che occorre prendere in esame non già la singola clausola bensì l’intero negozio in concreto posto in essere, avendo riguardo alla natura del bene o del servizio nonché alle circostanze di fatto e di diritto esistenti al momento della conclusione del contratto. Il legislatore, al fine di agevolare l’attività ermeneutica dei contratti, distingue due categorie di clausole vessatorie ovverosia all’art. 33 co. 2 (clausole il cui contenuto si presume vessatorio fino a prova contraria: la c.d. lista grigia) e all’art. 36 (clausole considerate nulle iuris et de iure, in ragione del loro carattere particolarmente afflittivo: la c.d. lista nera).

Orbene, come già precisato, non sussiste disposizione alcuna in punto di clausole vessatorie nel contratto di assicurazione, ad eccezione del Considerando n. 19 della citata direttiva 93/13, a mente del quale, nei contratti assicurativi, le clausole che definiscono o delimitano chiaramente il rischio

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Si tratta, invero, di un profilo da sempre indagato dalla giurisprudenza di