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Partiti politici e associazionismo antifascista negli anni trenta

Fino al 1930 le adesioni degli emigrati italiani alle organizzazioni politiche e alle associazioni italiane antifasciste erano state modeste. Ad esempio la Lega dei diritti dell'Uomo ha raggiunto i 2000 iscritti nel 1930. Milza sostiene che al suo apogeo aveva 3000 iscritti, nel 1932,67e molti di

questi spesso erano aderenti ad uno dei partiti che formavano la Concentrazione; nella regione parigina i ligueurs erano circa 440.68Alla Concentrazione aderivano soprattutto i quadri, gli

62ACS, MI, PS, G1, Fratellanza Toscana, b. 311; citato in P. Gabrielli, op. cit., p. 112. 63 ACS, MI, PS, K1B, Comunisti estero, Francia, b. 53.

64S. Schiapparelli, Ricordi di un fuoruscito, Edizioni del Calendario, Milano, 1971, p. 74. 65Ivi, p. 124.

66 ACS, MI, PS, G1, UPI, b. 317. 67 P. Milza, op. cit., p. 228.

68 484 nel 1931, 389 nel 1932, 354 nel 1933 e 477 nel 1934, Aderenti alla LIDU secondo il carnet dei conti dell'organizzazione contenuti nel Fondo Campolonghi presso ISMLI, Milano, riportato in E. Vial, La Ligue italienne

intellettuali, i rappresentanti delle classi borghesi. L'organizzazione politica che ottenne maggiore successo fra gli emigrati, fu quella dei gruppi di lingua italiana del partito comunista francese, essi riunivano i militanti comunisti emigrati dall'Italia. La creazione di questi gruppi rispondeva, scrive lo storico Courtois, a due tipi di esigenze: i comunisti emigrati, a partire dal 1924/25, avevano l'obbligo, su direttive dell'Internazionale,69di iscriversi al partito comunista del paese dove

emigravano, era infatti accettata solo un'organizzazione comunista per paese, (come scrisse Angelo Tasca, il militante comunista 'porta con sé la propria patria, che è l'organizzazione mondiale alla

quale appartiene”);70inoltre l'Internazionale Comunista e l'Internazionale sindacale rossa attirarono

molto presto l'attenzione del PCF sulla necessità di difendere e organizzare le migliaia di lavoratori stranieri che costituivano una parte importante della mano d'opera in alcuni settori industriali (miniere, siderurgia, metallurgia, chimica). Fu così che il PCF creò dei “gruppi di lingua” a partire dal 1924 per organizzare le migliaia di militanti comunisti stranieri residenti o esuli in Francia, in particolare italiani, dopo il 1924, ed ebrei dell'Europa centrale, soprattutto polacchi di lingua yiddish. La presenza degli immigrati era già stata presa in considerazione a partire dal maggio 1923 dal sindacato comunista, la CGTU che aveva aperto a Parigi un ufficio della Main d'oeuvre

immigrée (MOE), e un altro nel Pas de Calais nell'agosto successivo.71 Al momento di massima

espansione, nel 1925, i gruppi di lingua del PCF ottennero l'adesione di 6.000 italiani in tutta la Francia,721/3 di questi risiedeva nella Regione parigina, e al loro interno prevaleva la linea

bordighista. Nel 1926 furono creati anche i 'Comitati proletari antifascisti' (CPA) sotto l'egida di organizzazioni comuniste francesi (PCF, CGT-U, ARAC), questi Comitati erano la replica, nell’emigrazione, dei Comitati operai e contadini d’Italia e in una certa misura dei Comitati d’unità proletaria del PCF. I CPA, erano una diretta applicazione della nuova tattica adottata dall’Internazionale, quella del fronte unico dal basso. Esso avrebbe dovuto raggruppare oltre agli

des Droits de l'homme de sa fondation à 1934, in P. Milza (a cura di), Les Italiens en France, op. cit., cit p. 420.

69La prima grande trasformazione a livello organizzativo avvenne nel 1923, in seguito al IV congresso dell’Internazionale comunista, in cui fu decisa la soppressione delle Federazioni comuniste di lingua straniera nei paesi ad immigrazione operaia, i cui membri dovevano iscriversi nelle sezioni locali dell’Internazionale.

70 A. Tasca, Per una storia politica del fuoruscitismo, in Itinerari (2), 1954, n. 9-10, p. 234.

71S. Courtois, Le PCF et la question de l'immigration, 1936-1938, in P. Milza, D. Peschanski, Éxils et migrations,

Italiens et Espagnoles en France, 1938-1946, L’Harmattan, Parigi, 1994, p. 217.

Dal 1934 la Main d'oeuvre étrangère, MOE, cambiò nome e divenne Main d'oeuvre immigrée, MOI. Il 6 maggio del 1932 il russo Gorgoulov uccise a colpi di rivoltella il presidente della Repubblica, Paul Doumer. L’opinione pubblica francese fu mobilitata da una stampa di destra e di estrema destra che trovava nel “terrorismo straniero” un eccellente occasione per riattivare le proprie campagne xenofobe e antisemite. Queste ultime sono ancora alimentate dallo scandalo dell’“ebreo rosso” Stavisky e dall’assassinio a Marsiglia, nell’ottobre del 1934, del re di Jugoslavia e del ministro francese, Louis Barthou, per mano di un terrorista croato. Il ritorno della xenofobia costrinse il PCF a modificare il nome MOE in MOI: il termine étranger era troppo utilizzato nelle campagne della destra; è stato sostituito con il termine immigré di connotazione più “obiettiva”. S. Courtois, D. Peschanski, A. Rayski, Le sang de l’étranger,

les immigrés de la MOI dans la Résistance, Paris, Fayard,1989 , cit., p. 29.

72 L. Castellani, Un aspect de l’émigration communiste italienne en France: les groupes de langue italienne au sein du

emigrati comunisti italiani, gli operai senza partito, come i militanti di altri partiti politici in esilio, massimalisti, anarchici, riformisti, attorno ad un programma minimo che comprendeva tra i suoi obiettivi principali: la lotta contro l’influenza fascista in Francia, la lotta contro l’Opera Bonomelli e contro la repressione del governo francese 'per il rispetto del diritto d'asilo e contro il regime di espulsione'.73Parallelamente fu portata avanti un’aspra lotta all’interno dei gruppi di lingua contro

l’opposizione bordighista che era particolarmente forte nell’emigrazione.74Scrive la storica Blanc-

Chaléard che i CPA sorti nel 1926 ebbero uno scarso successo nella Francia tranne che nella zona di Parigi est e che nella regione parigina nacquero 21 comitati.75

Dal 1926 la bolscevizzazione dei gruppi di lingua impose una integrazione più legata al partito francese, gli immigrati dovevano affiliarsi al partito (e parallelamente hanno la possibilità di organizzarsi in sottosezioni), e quindi si ebbe una evasione di molti militanti che non comprendendo la lingua francese, non potevano assistere alle riunioni del partito. Le stesse strutture sono previste per la CGTU dove è creato un ufficio centrale unitario della Main d'oeuvre immigrée, MOE e dei comitati intersindacali di lingua straniera. La MOE è costituita e lancia verso gli immigrati, dall'inizio del mese di ottobre del 1926, una prima importante campagna con la diffusione di un volantino redatto in 5 lingue (francese, italiano, tedesco, ungherese e russo) titolato 'Fraternité'. Negli anni successivi si formeranno anche i gruppi di lingua della MOE.

Nel 1928 gli effettivi dei gruppi di lingua italiana del PCF si erano sensibilmente ridotti, gli iscritti erano scesi a 2.200 aderenti in tutta la Francia, la zona col maggior numero di iscritti era quella parigina che raggruppava 350 militanti suddivisi in 47 gruppi.76 Occorre tuttavia sottolineare che

contribuì alla diminuzione delle adesioni a questi gruppi, oltreché la “bolscevizzazione”, l'iscrizione di molti italiani direttamente al PCF. Quest'ultimi non parteciparono più alle riunioni dei gruppi di lingua, segno di una loro maggiore integrazione nella società francese data anche dal fatto che il ritorno in Italia si faceva sempre più irrealizzabile. Secondo Loris Castellani, nel 1927 già un italiano su due, tra coloro iscritti al PCF, non partecipava più alle riunioni dei gruppi di lingua; citando un documento della sottosezione italiana della Main d'oeuvre emigrée del 1927, afferma che gli aderenti al PCF erano 3600 italiani ma soltanto 2500 facevano anche parte dei gruppi di lingua. Riguardo alla composizione sociale il 90% dei militanti comunisti italiani erano operai. Ha sottolineato Milza che nel giovane PCF, l'elemento proletario si è molto nutrito degli apporti degli stranieri, in particolare dei comunisti. In alcune regioni (Lorena, Nord Pas de Calais, Alpi del Nord)

73P. Guillen, Le rôle politique de l'immigration italianne, op. cit., p. 338.

74Spriano, Storia del partito comunista, Da Bordiga a Gramsci, II parte, P. Spriano, Storia del partito comunista, Da

Bordiga a Gramsci, II parte, Einaudi editore, Torino, 1990, p. 478.

75M.C. Blanc-Chalèard, op. cit., p. 232. 76L. Castellani, op. cit., p. 214.

l'emigrazione italiana ha veramente rappresentato la base operaia del partito. “Ed è proprio questa

che, alimentata poco a poco dall'apporto della seconda generazione, permetterà al PCF di radicarsi nella classe operaia della Francia.”.77

Riguardo invece ai CPA nel 1928, erano ancora lontani dall’avere raggiunto l’obiettivo per il quale erano stati creati, ne esistevano 125 ripartiti in 10 dipartimenti, e organizzavano soltanto 2720 emigrati italiani. Pajetta scrive che difficile e con scarsi risultati fu l’azione unitaria nei confronti delle masse e degli emigrati che si trovavano sotto l’influenza di altre forze politiche italiane, “L’organizzazione unitaria- i CPA- non assunse mai il carattere di una vera organizzazione di

massa. A limitarne i successi furono innanzitutto le debolezze di orientamento politico ed il settarismo che non erano allora una particolarità dei soli gruppi di lingua italiana o del solo PCF ma traducevano la linea prevalente in seno all’IC.”.78A questi motivi si aggiungevano anche altri

particolari, che riguardavano la situazione tipica dell’emigrato comunista. Le autorità di polizia, da cui dipendeva la possibilità di residenza e quindi di lavoro dell’emigrato, assumevano un atteggiamento persecutorio nei confronti degli attivisti comunisti, che durò fino a tutto il ’37.

Sottolinea la Blanc-Chaléard come nell'insieme del dipartimento della Senna nei primi anni '30, il XX e l'XI arr. di Parigi si distinguono per la particolare diffusione del giornale dei gruppi di lingua, essi sono le uniche zone, insieme al comune di Boulogne-Billancourt, dove vengono diffuse più di 150 copie.79

Ma fu soltanto negli anni successivi che gli emigrati aderirono in massa ad alcune strutture politiche e dell'associazionismo antifascista francese e grazie a questa partecipazione favorirono e realizzarono la loro integrazione nella società francese. In una Francia dominata dalla crisi economica e da un clima di xenofobia contro gli stranieri nel febbraio del ’34, sotto la spinta dello scandalo Stavisky, una truffa finanziaria di vaste proporzioni che coinvolse alti esponenti politici radicali del ministero in carica e provocò le dimissioni del governo Chautemps, scoppiò a Parigi una virulenta agitazione reazionaria e antiparlamentare promossa dalle ligues fascistes, quali l’Action

française di Maurras, la Ligue des patriotes o l’organizzazione terroristica Croix du feu del

colonnello de la Nocque. Il 4 febbraio, il governo in carica, presieduto da Daladier, decise di sostituire alcuni funzionari di polizia sospettati di simpatizzare per le destre, tra i quali il prefetto parigino, Jean Chiappe. Le leghe si mobilitarono il 6 febbraio in una grande manifestazione di protesta che sfilò sui Campi Elisi e la Concorde, fino a Palazzo Borbone quando i gendarmi spararono per evitare che la Camera dei deputati fosse invasa, e il giorno successivo ci furono

77 P. Milza, op. cit., p. 234.

78 G. Pajetta, L’emigrazione italiana e il Pcf tra le due guerre, in Critica marxista, cit., p. 149. 79 M.C. Blanc-Chaléard, op. cit., p. 248.

scontri sanguinosi. Daladier dette a sua volta le dimissioni ed in questo vuoto di potere il pericolo fascista si fece più acuto. Il 7 febbraio le ligues fascistes cercarono di assalire il palazzo dell’Assemblea Nazionale. In risposta partiti e sindacati di sinistra, inizialmente in modo non coordinato, indicevano manifestazioni di piazza. Quando un gruppo di deputati e senatori di estrema destra, guidati dall’ex socialista Pierre Laval, si recarono dal presidente della repubblica francese per domandare la costituzione di un governo forte, al di sopra e fuori dal parlamento, la banlieue operaia di Parigi insorse. Il PCF rimase ancora indeciso su come applicare la tattica del fronte unico nella nuova situazione. SFIO e CGT indissero uno sciopero generale di protesta a Parigi, per il giorno 12 febbraio, ma il PCF e la CGTU decisero di scioperare autonomamente il 9 febbraio, e la manifestazione che ottenne un successo mediocre, fu duramente repressa dalla polizia, ci furono 6 morti. Tuttavia il 12 febbraio, grazie all'intervento dell'Internazionale comunista , il PCF e la CGTU invitarono i loro iscritti a partecipare alla manifestazione promossa dai socialisti secondo la parola d’ordine della difesa delle libertà pubbliche e delle istituzioni della classe operaia. Sfilarono per le strade di Parigi 100.000 dimostranti tra i quali vi erano numerosi italiani antifascisti, i cortei separati dei socialisti e dei comunisti si fusero insieme e confluirono in Place de la Nation, e i cinque milioni di lavoratori che aderirono allo sciopero generale bloccarono il paese intero.80

All'unità della piazza seguì l'unità politica dei partiti della sinistra francese, il 27 luglio il PCF e la SFIO stipularono il patto di Unità d’azione, patto accolto con favore dagli emigrati italiani che accorsero numerosi alla sala Bullieux per festeggiare l’avvenimento. I due partiti s’impegnarono a lottare insieme per mobilitare le masse “contro le organizzazioni fasciste, per la difesa delle libertà

democratiche, contro i preparativi di guerra, contro i decreti legge, contro il terrore nazista in Germania e Austria”.81 All'unione della sinistra francese seguì nel maggio del '34 lo scioglimento

della Concentrazione antifascista. Essa, che riuniva dal 1927 le forze politiche italiane antifasciste non comuniste, si sciolse in seguito a disaccordi su come condurre la lotta in Italia tra il Partito socialista di Nenni e il movimento di Giustizia e Libertà guidato da Carlo Rosselli; venne soppressa anche la pubblicazione del giornale La Libertà. Nel luglio si arrivò prima alla firma di un manifesto redatto personalmente da Longo e Nenni,82e il 17 agosto 1934 fu firmato il patto tra le due forze

80La presenza di numerosi manifestanti a Parigi toglie l’iniziativa alle destre francesi, che non dispongono di formazioni di combattimento paragonabili a quelle fasciste e naziste, né di dirigenti che spingono all’iniziativa. Soprattutto non dispongono dell’appoggio dei grandi gruppi economici, che al momento decisivo in Italia e in Germania, hanno puntato su Mussolini e su Hitler, mentre in Francia ritengono di poter fronteggiare la crisi in atto senza sovvertire le istituzioni della democrazia parlamentare. G. Galli, Storia del Pci, il Partito comunista italiano

Livorno 1921, Rimini 1991, cit., p. 106.

81 Il testo del patto precisava anche che i due partiti si sarebbero astenuti da critiche e attacchi reciproci, e con questo intento crearono un comitato di coordinamento per organizzare le manifestazioni comuni. P. Spriano, Storia del partito

comunista italiano, Gli anni della clandestinità, II parte, cit., p. 389.

82 Nel manifesto si legge che: “Il partito comunista d’Italia e il Partito socialista italiano si opporranno con tutti i

politiche della sinistra italiana.83Dal giugno del ’35 fu patrocinato un Comitato internazionale che si

proponeva di aiutare gli antifascisti italiani perseguitati. Inoltre i due partiti si occuparono di difendere in Francia gli italiani minacciati d’espulsione. La crisi economica alimentava un clima di xenofobia verso gli stranieri, il nuovo governo Flandin adottò un piano di riduzione della manodopera straniera, che fissava per le varie professioni e per dipartimento, il tasso massimo d’impiego dei lavoratori e stabiliva che solo dopo dieci anni di soggiorno in Francia era possibile ottenere il rinnovo del permesso di lavoro. I partiti della sinistra si mobilitarono, occorreva organizzare la lotta dei lavoratori senza fare distinzioni di nazionalità. Il PCd’I e il PSI domandarono la revisione dei decreti di espulsione e di alcuni provvedimenti quali: “l’abrogazione

del divieto imposto agli operai immigrati di mutare dipartimento o la possibilità di rinnovare la carta di salariato senza presentare il contratto di lavoro e l’adozione di misure sociali quali il rimborso delle quote versate all’assicurazione sociale in caso di rimpatrio forzato”,84tali misure del

governo francese erano il frutto del miglioramento dei rapporti tra Italia e Francia.

Nel 1934 con la politica del Fronte Unico i CPA, che avevano raccolto 4.000-5.000 aderenti, e la stessa cifra nei successivi comitati contro la guerra scaturiti dai Congressi Amsterdam-Pleyel, mentre la LIDU nel ’32 aveva 3000 iscritti, vennero sostituiti dai Comitati di fronte unico e contro la guerra che sorsero un po' ovunque all'indomani del patto d'unità d'azione fra PCd'I e PSI, ed erano sostenuti anche dal nuovo giornale dei gruppi di lingua italiani, Il Grido del Popolo.

Tali comitati incontrarono maggior seguito rispetto ai CPA per l’attività concreta di aiuto agli emigrati come ad esempio: il rilascio o il rinnovo di carte di identità; l'organizzazione di una campagna per il riconoscimento di uno status giuridico per gli stranieri, ossia di un documento volto a garantire loro la libertà di stampa, di associazione e di opinione, l’eguaglianza dei contratti e dei salari per i lavoratori indipendentemente dalla nazionalità, il diritto di difesa davanti ai tribunali in caso di espulsione, ed il diritto di asilo per i profughi politici. Lo statuto trovò consensi fra il PCF, la SFIO e i radicali come pure la Ligue française des droits de l'homme, fu lo stesso PCF a presentare il 9 luglio del 1936 una risoluzione dove invitava il governo a 'deporre il più velocemente possibile un progetto di legge sullo Statuto giuridico degli immigrati'. Il testo, dopo avere ricordato le 'misure vessatorie e inumane adottate contro gli stranieri in seguito alla crisi economica, chiedeva uno

gli oppressori, quella degli sfruttati contro gli sfruttatori, quella che al di sopra delle frontiere affratella tutti i lavoratori che vogliono abbattere la ignominiosa dittatura fascista e capitalista. La nostra parola d’ordine è: né un uomo né un soldo per la guerra!”. P. Spriano, Storia del partito comunista italiano, Gli anni della clandestinità, cit., p.

393.

83 Per l’esistenza tra i contraenti di “divergenze di dottrina, di metodo, di tattica”, si riconosceva l’impossibilità di addivenire all’auspicata fusione organica, quindi si individuavano una serie di obiettivi immediati comuni quali ad esempio l’amnistia e la difesa delle vittime del Tribunale Speciale.

statuto concentrato su 4 punti: 'autorizzazione di soggiorno o carta d'identità, applicazione della legislazione sociale agli immigrati, regolamentazione delle espulsioni, istituzione di diritti civili e politici.'. Tuttavia nonostante la proposta di legge venisse accolta alla Camera nel gennaio del 1937, non si arrivò mai all'approvazione di uno Statuto per gli stranieri.85

La politica di unione tra i partiti comunista e socialista italiani condusse i due partiti, nell'ottobre del 1935, consci di quello che Mussolini avrebbe realizzato di lì a poco in Etiopia, a cercare di richiamare l’attenzione mondiale e convincere gli italiani, all'estero e non, a mobilitarsi contro la guerra. La disfatta militare era vista come l’elemento che avrebbe provocato la caduta del regime fascista e quindi il ritorno a casa degli esuli politici, dopo tanti anni di esilio, pareva sempre più vicino. Il PCd’I e il PSI, e gli altri partiti puntarono sull’attività all’estero, sulle mobilitazioni e sul coinvolgere gli istituti internazionali affinché facessero oppressione sul regime. Sull'esempio dell'esperienza del Comitato Amsterdam-Pleyel del 1932, si arrivò ad organizzare il 3 settembre 1935 la Conferenza internazionale per la difesa del popolo etiopico. Alla riunione, conclusasi con la nomina di una delegazione incaricata di recarsi a Ginevra, parteciparono tutti i rappresentanti dell’antifascismo italiano che elaborarono un documento unitario.86In considerazione dei risvolti

internazionali dell’affare etiopico, di ciò che la mobilitazione delle opinioni pubbliche straniere avrebbe potuto provocare su governi e istituzioni, e dei precedenti di Amsterdam e di Parigi, il PSI ed il PCd’I organizzarono un congresso degli italiani all’estero contro la guerra in Etiopia, aperto a tutte le associazioni e a tutti i gruppi decisi ad ostacolare la guerra con l’obiettivo di ottenere un largo consenso soprattutto fra le masse italiane. Vi aderirono la LIDU, i repubblicani, i massimalisti, i bordighiani mentre GL e anarchici non parteciparono. Il congresso si svolse a Bruxelles il 12 ottobre 1935 quando ormai la guerra di Mussolini con il popolo etiope era già iniziata da alcuni giorni. La due giorni congressuale si concluse con la formazione di un Comitato d'azione formato dalle forze politiche suddette che reclamava varie richieste fra le quali l'applicazione delle sanzioni all'Italia da parte della Società delle Nazioni, cosa che effettivamente avvenne il 18 novembre 1935.87

La speranza di una disfatta fascista in Etiopia non ebbe vita lunga e fu stroncata dalla proclamazione dell'impero tuttavia le forze antifasciste si trovarono coinvolte nella vittoria del Fronte popolare in Francia la quale rappresentò una frenata alle forze reazionarie e la speranza di

85S. Courtois, op. cit., p. 218.

86Nel documento affermavano la loro contrarietà alla guerra in Etiopia e la loro fedeltà al principio dell’autodeterminazione dei popoli, sicuri di interpretare anche il pensiero profondo di coloro che vivevano sotto il regime in italiana e additavano nel fascismo il solo responsabile. Si dichiaravano inoltre pronti a condurre la lotta e