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I primi Resistenti italiani nella Parigi occupata, 1940 1942

La comunità italiana in Francia e i fuorusciti, tra il Patto Molotov-Ribbentrop e l'arrivo dei tedeschi

Il patto Molotov-Ribbentrop di non aggressione, firmato dai ministri degli esteri di URSS e Germania, il 23 agosto del 1939, mise in serie difficoltà l’emigrazione comunista italiana in Francia. La direzione del PCd’I, come la direzione comunista francese, vide il Patto come un “accordo che era volto a diminuire la tensione internazionale, a barrare la strada alla guerra, a

difendere oltre che la pace anche la libertà e l’indipendenza dei popoli”,157come si può leggere

dalla dichiarazione pubblicata il 25 agosto 1939 ne La Voce degli Italiani.158I quadri del partito

comunista francese e di quello italiano ebbero grosse difficoltà ad impedire la dispersione degli iscritti. La base accettò male la parola d’ordine della lotta alla “guerra imperialista”, che aveva espresso il Komintern per giustificare la posizione presa da Stalin. Il Consiglio dei ministri francese nella seduta del 26 settembre 1939 sciolse il partito comunista i cui dirigenti si erano rifiutati di sconfessare l'azione politica di Mosca e di rompere i rapporti con la III Internazionale. Vennero colpite anche tutte le associazioni paracomuniste da 'Amici dei Sovieti' a 'Soccorso Rosso Internazionale', venne proibita la stampa: anche il giornale La Voce degli italiani che aveva avuto notevole successo tra l'emigrazione venne chiuso. Oltre a sciogliere partito e associazioni affiliate, il governo francese procedette a una serie di arresti contro gli antifascisti, in particolare i comunisti non solo i leader ma anche operai e contadini, sia francesi che di altre nazionalità: italiani, polacchi, spagnoli, cecoslovacchi, ebrei. Per quanto riguarda i leader comunisti italiani, dopo la sconfessione del Patto Molotov-Ribbentrop da parte di Romano Cocchi segretario dell'UPI, venne arrestato Luigi Longo, il 31 agosto al suo domicilio, in piena notte, poi Palmiro Togliatti, seguirono Giuliano Pajetta, Eugenio Reale, Felice Platone, Leo Valiani, Mario Montagnana, Teresa Noce e numerosi quadri. Vennero portati tutti allo stadio del Roland Garros, luogo dove venivano destinati gli internati stranieri, e poi da trasferiti e lì rinchiusi nel campo del Vernet159nei Pirenei dove già si

157 P. Milza, Voyage en Ritalie, Paris : Plon, 1993, cit. p. 283.

158Cfr. E. Vial, L'Union populaire italienne, 1937-1940, une organisation de masse du Parti communiste italien en exil,

op. cit.

159Con il decreto legge del 1 settembre 1939 si stabilisce che gli stranieri fuorusciti da paesi che appartengono al nemico sono da rinchiudere. Il campo del Vernet è aperto nell'ottobre del 1939, quando vengono rinchiuse 915 persone, il loro numero è destinato ad aumentare in pochissimo tempo, nel febbraio 1940 supera le 2000 persone. Si trovano al Vernet comunisti stranieri insieme a militanti spagnoli trasferiti dai campi dei Pirenei, come anche fuorusciti tedeschi antinazisti o austriaci e fuorusciti per motivi razziali.

trovavano i reduci delle Brigate Internazionali. Togliatti, sotto falso nome, restò per sei mesi in un carcere parigino da dove uscì nel febbraio 1940.

Con la dichiarazione anglo-francese di guerra del settembre del 1939, gli emigrati italiani vengono pervasi da un forte senso di insicurezza e di malessere: nonostante la dichiarata non belligeranza dell'Italia, molti di loro emigrati da tanto tempo si sentono profondamente legati alla Francia. Dall’inizio del settembre del ’39, un decreto emesso da Daladier proibisce l'impiego di manodopera straniera su tutto il territorio nazionale, eccetto che per le occupazioni agricole. Inoltre per gli stranieri stabilì l'obbligo di presentarsi alle autorità di polizia per il controllo dei documenti, e in una nota dell'ambasciatore Guariglia al Ministero degli affari esteri si legge: “(esse) si servono di tali

mezzi per selezionare la popolazione straniera allontanando dalla Francia i sospetti e tutti coloro che non vogliono o non possono apportare un contributo efficace alla difesa nazionale. Molti connazionali che si presentano nei commissariati per far vistare i loro documenti di identità si vedono porre il dilemma o rimpatriare o contrarre un arruolamento volontario”.160

Per ovviare alla possibilità di essere rimpatriati o internati in campi di concentramento, migliaia di italiani si presentarono agli uffici di reclutamento. Ricorda Spriano che nello spazio di pochi giorni, si verificò la dispersione di decine e decine di quadri del partito comunista, diversi preferirono arruolarsi volontari piuttosto che finire in un campo di concentramento, perché almeno avevano un fucile tra le mani per sparare contro i nazisti.161Coi decreti Daladier162 erano stati aperti dei campi

d'internamento per stranieri al momento dell'esilio spagnolo, ma con l'inizio della guerra essi servono ad internare tutti gli stranieri pericolosi per la Francia: sovversivi, politici e cittadini dei paesi nemici. Nel luglio del 1940 saranno 20.000 gli internati nei campi che si trovavano soprattutto a sud della Francia.163

Per gli italiani adesso si poneva con forza il problema dell'arruolamento, arruolarsi per la Francia era divenuta una necessità di sopravvivenza. Nel frattempo Sante Garibaldi, nipote di Giuseppe Garibaldi, che aveva combattuto sul Fronte delle Argonne nel 1914-1915 si era fatto promotore fin

160Telegramma n. 3 del 9 settembre 1939 inviato da Guariglia al Ministero Affari esteri, in Archivio Ministero Esteri, Rappresentanza italiana 1861-1950 in Francia, b. 286.

161P. Spriano, Storia del partito comunista, I fronti popolari, Stalin, la guerra, op. cit., p. 328.

162La legge del 12 novembre 1938 che prevedeva l'arresto degli stranieri ritenuti pericolosi viene estesa anche ai francesi il 18 novembre 1939.

163E. Temime, Espagnoles et Italiens en France, in P. Milza e D. Peschanski, Exils et migration, op. cit., p. 23.

Col il decreto legge del novembre 1939 si estendono le misure di internamento nei campi: si trasferisce all'autorità amministrativa il potere, fino ad allora riservato solo all'autorità giudiziaria, di pronunciare una misura d'internamento immediatamente esecutiva. Con l'entrata in guerra dell'Italia, dopo il 10 giugno 1940, gli italiani sono arrestati e internati in modo imponente, al di là delle loro appartenenze politiche. Vanno ad ingrandire gli effettivi dei campi di Saint-Cypriens, Gurs, Argelès, Vernet, etc.., le donne vengono mandate a Reucros. Qui venne internata ad esempio Teresa Noce nella primavera del 1940.

A. Grynberg, A. Charaudeau, Les camps d'internement, in P. Milza, D. Pescanski, Exils et migration, op. cit., pp. 150-

dal 1937 dell'Association des Garibaldiens de l'Argonne, nell'agosto del 1939 a Parigi lancia un appello per la ricostituzione delle Legioni Garibaldine. Prende contatto con i partiti antifascisti italiani e apre in Place de l'Opera un ufficio di reclutamento e che riscontrò subito un grande successo tra gli emigrati della regione parigina, 4000 domande tra il I e l’8 di settembre. Nella stessa piazza parigina venne aperto anche un altro ufficio di reclutamento, promosso dal colonnello Marabini, che raccoglieva adesioni di volontari da mandare a combattere in Finlandia contro i russi, e ostacolato da tutti i partiti antifascisti.164

Il 9 settembre, Sante Garibaldi con la sua Associazione aderisce al Comité national italien (C.N.I.) creato dalla LIDU e da Giustizia e Libertà. Per evitare la dispersione, Campolonghi, in nome del C.N.I., prende contatto anche coi dirigenti dell’UPI, ormai interdetta dal decreto contro le organizzazioni comuniste, che finiscono per accettare il principio della collaborazione purché sotto forma di adesioni individuali. Tutte le condizioni sembrano esserci per la realizzazione di una potente legione italiana che avrebbe operato nell’esercito francese. Il 9 settembre Sante Garibaldi avvisa le autorità francesi che un primo nocciolo di 100.000 uomini può essere riunito e assemblato nelle caserme e nei depositi, che 100.000 altri sarebbero seguiti nei due mesi successivi.

In un promemoria dell'Ambasciata d'Italia a Parigi del 9 settembre 1939 si denuncia che “Agli

italiani emigrati in Francia che si presentano al Commissariato di Polizia della rue Sarrette per il rinnovamento della carta d'identità non viene concesso il rinnovamento se essi non si arruolano nei Garibaldini presso l'ufficio di reclutamento di Sante Garibaldi, Place de l'Opera”.165 L'11 settembre

l'ambasciatore scrive al Ministro degli esteri Bonnet che la Convenzione franco-italiana di stabilimento esclude ogni obbligo di servizio o prestazione militare per gli emigrati italiani,166e

diffonde specifiche note verbali ad ogni commissariato di polizia.167

Tuttavia l'arruolamento nei garibaldini continuò nei mesi successivi, ed è lo stesso Sante Garibaldi che il 13 dicembre scrive a Daladier “I volontari affluiscono a migliaia alla Legione italiana

garibaldina. Come nel 1870, come nel 1914 ogni volta che dei 'poitrines' francesi si levano, barriera invincibile, contro la forza per il diritto, contro la tirannia per la libertà, le camicie rosse italiane reclamano l’onore di essere presenti.”.168A metà ottobre, almeno quindicimila domande

sono registrate, ma il governo Daladier non le accettò, non voleva che gli italiani combattessero in

164Sarà lo stesso governo di Roma ad ostacolare l'attività del Marabini, si vedano i telegrammi dalla Regia Ambasciata di Parigi al Ministero Affari esteri del febbraio e marzo 1940; MAE, Affari Politici 1931-1945, comunismo 1940, b. 46. 165Promemoria contenuto in MAE, Rappresentanza italiana 1861-1950 in Francia, Conflitto europeo, situazione degli italiani in Francia durante il periodo bellico, b. 286.

166 Lettera, Ivi.

167Telegramma dell'Ambasciata di Parigi del 18 settembre 1939, Ivi.

168J.L. Crémieux-Brilhac, L'engagement militaire des Italiens et des Espagnols dans les armées françaises de 1939 à

unità distinte dall’esercito francese. I garibaldini, al contrario, come nel 1914, volevano mourir

pour la France, ma sotto la loro bandiera che era quella dell’antifascismo internazionale. Il governo

francese rifiutò l'impegno degli italiani, poiché dette ascolto agli avvertimenti prodigati da Palazzo Farnese da parte di François Poncet, ambasciatore francese a Roma. L’arruolamento di volontari italiani in delle unità specifiche, egli scriveva, “(…) offenderebbe vivamente il capo del governo

italiano, essendo considerati, i garibaldini, generalmente ostili al regime fascista”. L’Italia nel

settembre del '39 optò provvisoriamente per la non-belligeranza, ritenuta più utile che l’invio sulla linea Maginot di qualche decina di migliaia di combattenti.

Non ci fu quindi nessuna legione garibaldina, semplicemente e con il consenso del Duce, il governo francese autorizzò i transalpini ad arruolarsi a titolo individuale nella Legione Straniera. Ma su 33.500 stranieri che vi furono incorporati prima del giugno ‘40, si contano 15.000 spagnoli e soltanto 7000 italiani. Numerosi sono infatti coloro che, chiamati a raggiungere un deposito della Légion alcuni mesi dopo la loro domanda di arruolamento, rifiutano di farlo.

E' da sottolineare che se il governo Daladier si mostra comprensivo verso Mussolini nel rifiutare l’arruolamento massiccio degli immigrati in una legione italiana combattente sotto la propria bandiera, a differenza delle armées polacche e cecoslovacche create in seguito ad accordi conclusi con i governi interessati, tuttavia procedette alla vigilia del conflitto alla naturalizzazione di 73.000 stranieri. Tra questi vi furono più di 24.000 italiani: tale operazione venne poi rinnovata nel corso del primo semestre 1940, procedendo a ulteriori 43.000 naturalizzazioni, di cui 18.000 in favore dei transalpini.169

L'arrivo dei tedeschi in Francia e la rapida caduta di Parigi portano anche all'attacco di Mussolini alla Francia, il cosiddetto “coup de poignard dans le dos”, da allora gli italiani vengono considerati tutti dei traditori e degli alleati del nemico nazista. Molte testimonianze di emigrati italiani raccontano la falsa storia dei bombardamenti da parte dell'aviazione italiana sulla città di Parigi. Tale episodio mai avvenuto, data l'impossibilità tecnica dell'aviazione italiana,170è riportato anche

dall'ambasciatore Orlandini in un rapporto politico del novembre 1940: “si è perfino diffusa la voce

infondata che l'aviazione italiana si sia accanita, nello scorso giugno, in particolare contro le colonne dei profughi nelle strade”.171

169P. Milza, Voyage en Ritalie, op. cit., pp. 294-297; L. Rapone, I fuorusciti antifascisti, la seconda guerra mondiale e

la Francia, in P. Milza (a cura di ), Les Italiens en France de 1920 à 1940, op. cit., pp. 380-382; P. Weil, Les italiens et espagnoles en France de 1938 à 1946: la politique de l'Etat français, p. 103, in P. Milza, D. Peschanski (a cura di), Exils et migration, op. cit., p. 103.

170P. Milza, Voyage en Ritalie, op. cit., pp. 303-304.

171Rapporti politici dell'osservatore sociale Gino Manfredi per il Ministero Affari Rsteri, 15 novembre 1940,in MAE, Affari politici 1931-1945, Rapporti politici dalla CIAF, b. n. 48.

A soli 4 giorni dalla dichiarazione di guerra dell'Italia alla Francia, 10 giugno 1940, il numero di arresti di italiani è impressionante: Orlandini, in vari telegrammi inviati tra il giugno e il luglio 1940 al Ministero degli esteri, riporta la cifra approssimativa di 20.000 arresti. Egli descrive anche la sua attività, cominciata fin da quei giorni, per la liberazione degli internati a Parigi e per quelli rinchiusi nei campi di concentramento nei dintorni. Invia un proprio fiduciario, il direttore di una banca franco-italiana, presso il campo del Vernet, destinazione di numerose persone arrestate in quei giorni nella capitale. In una nota lo stesso Orlandini sottolinea il comportamento tenuto dalle autorità francesi “Sono andati alla caccia degli italiani con un eroismo sprecato (spietato) e con

una fretta rabbiosa tutta la notte del 10 e dell'11 e tutto il giorno 11 e 12, nelle strade e negli uffici, facendo scendere dal letto infermi ed addormentati.”.172

Alcuni italiani preferirono in quella circostanza difficile tornare in patria e con l'armistizio dell'Italia si avviò una fase di rimpatri. L'articolo 21 della convenzione del protocollo d'armistizio riconosce all'Italia il diritto di farsi consegnare tutti gli italiani che siano stati oggetto di misura d'internamento e di farsi consegnare dall'autorità francese la lista degli ex internati che hanno fatto appello al diritto d'asilo. In base a tali liste, la Commissione avrebbe poi scelto quali tra queste persone dovessero essere consegnate alle autorità militari italiane. I rimpatri nel 1940 raggiunsero la cifra di 45.700, metà dei quali avvenuti dopo l'agosto del 1940. Da Parigi non era facile rimpatriare, come testimonia il Console Orlandini in una nota del Ministero degli esteri del 14 agosto 1940: “Per il

momento è praticamente impossibile rientrare in Italia da questa zona. Il passaggio attraverso la Germania è stato recentemente e provvisoriamente vietato: le autorità tedesche di Parigi , (…) devono chiedere l'autorizzazione a Berlino non molto rapida ad ottenere. La Svizzera non concede il transito (...)”.173

Nel febbraio del 1941 è istituita una Delegazione italiana per l'assistenza ed il rimpatrio, con il compito di riuscire a portare in Italia un grande numero di persone. Fu attiva soprattutto nel sud della Francia dove la CIAF ebbe più libertà di agire rispetto alla zona occupata. Nel 1941 il numero dei rimpatri è ancora notevole, ed è dovuto alla scarsità di lavoro, alle difficoltà per ottenere dei permessi di soggiorno, alle condizioni economiche disagiate degli emigrati italiani che divennero insostenibili, al clima di xenofobia verso gli italiani. Scrive Pajetta che la volontà del fascismo di avere molti rimpatri rese meno attenti i controlli della polizia sugli emigrati, in questo modo molti comunisti e simpatizzanti poco noti riuscirono a rientrare in Italia. Anche se qualcuno fu arrestato alla frontiera i casi di detenzione furono rari, spesso si trattò di una residenza sorvegliata, che permise di esplicare un minimo di lavoro politico. Furono fatti rientrare nella penisola per prestarvi

172MAE, Affari Politici 1931-1945, Politica interna ed estera 1940, b. 46. 173Ivi.

il servizio militare e svolgere attività comunista nell’esercito italiano, giovani cresciuti in Francia e non soggetti alla chiamata alle armi.174I comunisti italiani si adoperarono in questi mesi per il

“recupero” di alcuni quadri con diversi stratagemmi dai campi di Gurs, Vernet, Les Milles, Rieucros, e l’immissione nel lavoro in Francia di quadri che provenivano dall’apparato illegale del PCd’I. Queste azioni resero più agevole la ricostituzione di una rete organizzativa, la pubblicazione e distribuzione della stampa illegale di partito dall'agosto del 1940. Dopo il settembre 1939 la difficoltà principale che il partito era chiamato a superare, non era tanto l’allineamento all’URSS, quanto la ricostruzione del suo nucleo dirigente che aveva praticamente cessato di svolgere le proprie funzioni. Togliatti dopo la sua scarcerazione nel febbraio 1940 provvide allo scioglimento del Comitato Centrale del partito e riorganizzò un Ufficio estero ristretto, composto da Roasio, Novella e Massola (che dal giugno è sostituito da Negarville) prima di partire per Mosca dove avrebbe formato un centro dirigente limitato del PCd'I.175Il Centro estero a Parigi pubblicò fino

dall'agosto del 1940, la Parola degli Italiani, il cui nome ricordava bene quello del giornale dell'UPI, La Voce degli Italiani, soppresso dall'agosto del 1939. Il giornale ebbe una tiratura di circa 3.000 copie. Fu stampato anche il foglio ciclostilato Le lettere di Spartaco. Altri esponenti del PCd'I, come Giorgio Amendola, raggiunsero Marsiglia, fin dalla vigilia dell'intervento fascista sulla Francia, qui si trovava già Schiapparelli e insieme riallacciarono i contatti con tutto il Centro-sud del partito, con Sereni, Dozza, Scotti, Nicoletto. Altri comunisti, internati al Vernet, ottengono un visto per il Messico dove già si trova Vidali e dove andrà Montagnana mentre Berti raggiungerà gli Stati Uniti. Gli altri utilizzarono il visto solo per farsi trasferire nel campo di Les Milles, vicino a Marsiglia. Da qui, come racconta nelle sue memorie Giuliano Pajetta, evasero con larghissima facilità per gettarsi nell'illegalità in Francia: chi nella regione lionese come Leone, chi a Grenoble come Bibolotti, Giuliano Pajetta è prima a Tolone e poi a Nizza, Parodi e Platone a Marsiglia come anche la Noce. Questi comunisti a sud della Francia furono molto attivi nel dare un contributo alla resistenza francese e furono una base importante per il rientro in Italia.176La diaspora degli

esponenti del partito comunista fu la stessa che colpì anche gli altri fuorusciti antifascisti. Molti tra i dirigenti di G.L. trovarono rifugio negli Stati Uniti, quali Garosci, Cianca, Chiaromonte, Valiani, poi arrivarono anche Lussu e la moglie Joyce (che accompagnò in Svizzera Vera e Giuseppe Modigliani) dopo avere in un primo tempo organizzato alcune evasioni di perseguitati politici a Marsiglia; Trentin rimase a Tolosa dove ospitò il vecchio Nitti. Negli USA andarono anche Carlo Sforza e Tarchiani, mentre Paolo e Piero Treves raggiunsero Londra. Riguardo al partito socialista, i

174G. Pajetta, L'emigrazione italiana, op. cit., p. 157.

175G. Amendola, Lettere a Milano, 1939-1945, Roma, Editori Riuniti, 1973, p. 24.

176P. Spriano, Storia del partito comunista italiano, La fine del fascismo. Dalla riscossa operaia alla lotta armata., p. 32.

dirigenti riescono a raggiungere il sud della Francia, la zona non occupata, Nenni negli Alti Pirenei Orientali, Saragat nell'Arège, Angelo Tasca, che sostituì Nenni nella direzione del partito dopo le dimissioni di quest'ultimo, sarebbe diventato un addetto dell'ufficio stampa del governo di Vichy.177

Si trovano a sud della Francia anche Buozzi, Facchinetti, Bocconi e Amodeo.178

L'arrivo dei tedeschi e i primi atti di disobbedienza nella capitale francese, sabotaggi, volantini, manifestazioni

Con l'arrivo dei tedeschi in Francia si ha l'esodo di migliaia di persone verso le zone non interessate dalle operazioni militari, il 18 maggio del 1940 erano arrivati nella città di Bordeaux nel sud della Francia 170.000 profughi di cui 18.000 italiani, gli altri erano francesi, belgi, olandesi e del Lussemburgo. Mentre i nazisti si avvicinavano alle porte di Parigi circa 3milioni di persone, tra cittadini francesi e stranieri, abbandonarono la città impauriti e sconcertati e fuggivano insieme all'esercito francese in completo sfaldamento. I quartieri parigini abitati dagli operai rimasero i più popolati mentre quelli della borghesia furono i primi a svuotarsi. “Difatto avveniva la disgregazione

dello Stato e di quell'apparato amministrativo di cui la Francia andava tanto fiera. Arrivarono macchine con ufficiali, soldati sbandati, si svuotarono i ministeri dal personale e dagli archivi. I combattimenti cessarono. Parigi si interrogava: la città sarebbe stata difesa? Avrebbe opposto resistenza? Si capì presto che non sarebbe accaduto niente del genere: automobili cariche di ufficiali traversavano la capitale dirette verso sud; file di camion lasciavano la città. Ogni parigino sapeva che trasportavano interi archivi di ministeri, della pubblica amministrazione e delle principali aziende- Seguirono i soldati in ritirata, sbandati, sena armi, senza scarpe, affamati e col morale a pezzi. Parigi, abbandonata a se stessa, si vuotò. Partivano tutti, con qualsiasi mezzo. Così decidemmo di partire anche noi. - racconta nelle sue memorie Nella Marcellino - E facemmo l'ultima delle sciocchezze che potessimo fare! Ormai i treni non circolavano più né si trovavano altri mezzi di trasporto. Partimmo alla disperata: a piedi, con le valigie in spalla. Sulla strada di Orlèans, con noi, c'erano centinaia di migliaia di parigini; chi trascinava fagotti o carretti, chi