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dei 119 pazienti in esame sono stati direttamente dimessi dalla Terapia Sub-Intensiva; 32 pazienti sono stati trasferiti in reparti di medicina

MATERIALI E METOD

Soltanto 19 dei 119 pazienti in esame sono stati direttamente dimessi dalla Terapia Sub-Intensiva; 32 pazienti sono stati trasferiti in reparti di medicina

46 Consultando il data base First Aid, sono stati ricercati, dunque, eventuali successivi accessi in Pronto Soccorso dei 67 pazienti (quelli dimessi o trasferiti in altro reparto), considerando un periodo di tempo limitato ai 90 giorni seguenti questo primo ricovero.

Ciò che risulta è che rientrano 11 pazienti, corrispondenti al 16,42% dei sopravvissuti del campione; inoltre 5 di questi presentano lo stesso focolaio infettivo causa del precedente quadro clinico di sepsi.

47 Abbiamo applicato il SAPS II e il MEDS score ai nostri pazienti. I risultati sono riportati nelle tabelle seguenti:

SAPS II SCORE

Numero dei pazienti N° pz sopravvissuti N° pz deceduti

(%) 0-10 0 0 0 (0%) 11-20 4 3 1 (25%) 21-30 16 13 3 (18,75%) 31-40 35 23 12 (34,29%) 41-50 26 14 12 (46,15%) 51-60 28 11 17 (60,71%) >61 10 3 7 (70%) TOTALE 119 67 52 MEDS SCORE

Numero dei pazienti N° pz sopravvissuti N° pz deceduti

(%) 0-4 3 3 0 (0%) 5-7 18 17 1 (5,56%) 8-12 57 32 25 (43,86%) 13-15 31 13 18 (58,06%) >16 10 2 8 (80%) TOTALE 119 67 52

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DISCUSSIONE

Da una prima analisi si può constatare come la nostra popolazione si distacchi in maniera significativa, per età, dalla popolazione presa in esame nei vari studi presenti in letteratura in merito a tale patologia. In questi, infatti, l’età media della popolazione si aggira intorno ai 60 anni - come negli studi di Rossi et al. e del gruppo EPISEPSIS - contro i 79 anni di età media, calcolata nel nostro campione.

Altra differenza fondamentale è il diverso setting di tali pazienti, essendo per lo più post chirurgici nei dati di letteratura e invece internistici nella nostra popolazione. Ciò rende conto della differenza di età tra i due gruppi di pazienti, che giustifica le numerose comorbidità presenti nella nostra popolazione in esame.

La nostra popolazione presenta in un’elevata percentuale dei casi ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco (prevalentemente su base ischemica), BPCO, encefalopatia vascolare ischemica cronica con grado variabile di decadimento cognitivo, fibrillazione atriale e sindrome da immobilizzazione con ulcere sacrali e calcaneari.

Dato di non poco rilievo è che 24 dei nostri pazienti risultano istituzionalizzati (residenti in RSA) e 16 sono portatori, già al momento dell’accesso in Pronto Soccorso, di catetere vescicale e/o catetere venoso centrale tipo PICC e/o gastrostomia endoscopica percutanea (PEG).

Per quanto concerne l’individuazione del focolaio infettivo, dall’analisi dei dati in Pronto Soccorso e in Terapia Sub-Intensiva, si può evincere come non

49 emerga alcuna problematica sulla diagnostica strumentale e invece importanti criticità sulla diagnostica di laboratorio: mentre è quasi sempre presente il dosaggio della PCT, risulta difficile, soprattutto in Pronto Soccorso, ottenere prelievi ematici per emocolture e campioni di urine per urinocolture prima di intraprendere antibioticoterapia empirica, come stabilito da protocollo.

Tale condizione viene confermata dalla netta prevalenza delle diagnosi, sia in Pronto Soccorso che in Terapia Sub-Intensiva, riconducibili a un focus infettivo facilmente rilevabile con metodiche di imaging (es. addensamento polmonare, colecistite acuta).

Una chiave di lettura dei dati sopra riportati può essere trovata nel fatto che risulta difficile riuscire attuare una diagnostica di laboratorio di secondo livello in Pronto Soccorso, dato il bacino di utenza dello stesso e la numerosità giornaliera degli accessi.

D’altra parte, alcuni studi presenti in letteratura confermano che in una percentuale variabile, compresa tra il 40 e il 70% dei casi, le emocolture dei pazienti settici risultano negative9, 62.

Per quanto riguarda il destino dei pazienti ricoverati in Sub-Intensiva, pochissimi vengono direttamente dimessi dalla stessa (solo 19 dei 119 pazienti in esame) mentre la maggior parte è trasferita in reparti di medicina interna (32 pz) e soltanto una minoranza (2 pz) viene trasferita verso reparti di intensità di cura superiore (U.O. di Rianimazione); questi ultimi hanno, rispetto alla media, un’età comunque inferiore (media di età pari a 57 anni).

50 Dallo studio qui condotto è emerso che la mortalità nel reparto di Terapia Sub-Intensiva per i pazienti con diagnosi di sepsi, sepsi severa e shock settico è di una certa entità (il 43,7% del campione), con percentuali proporzionalmente più elevate all’aumentare della gravità della diagnosi. Alla luce di questo e della diminuzione osservata negli ultimi anni del rapporto tra risorse offerte dal sistema sanitario e richieste di accesso in UTI/sub-UTI, è stata avvertita l’esigenza di utilizzare degli strumenti di valutazione complementari al giudizio clinico per quantificare lo stato di gravità dei pazienti critici.

Uno score di gravità del paziente potrebbe essere d’aiuto nell’individuare quei pazienti che necessitano fin dall’inizio di una Terapia Intensiva.

E’ necessario, comunque, aggiungere che nessun sistema di scoring è previsto né raccomandato - almeno per adesso - per la stratificazione del rischio del paziente in stato settico dalla Surviving Sepsis Campaign.

Abbiamo provato ad applicare a tutti i pazienti facenti parte della nostra casistica sia il SAPS II che il MEDS score. I dati ottenuti sono risultati sovrapponibili a quelli presentati in letteratura: l'outcome era favorevole nei pazienti con score più basso mentre la mortalità diventava maggiore in quelli con score più elevati.

Tuttavia non sono risultati di alcuna reale utilità per stabilire quali pazienti inviare subito in Terapia Intensiva e quali nei reparti.

I risultati sono in linea con la natura degli score stessi. Infatti, quando utilizziamo un sistema prognostico per un determinato paziente, sappiamo che la mortalità predetta non è riferita a quello specifico paziente ma a

51 individui con caratteristiche simili, precedentemente oggetto di studi clinici. Ciò significa che se, per esempio, un paziente con shock settico appartiene ad una categoria in cui la mortalità è pari al 40%, non possiamo sapere se lo stesso fa parte della percentuale dei pazienti che moriranno o di quel 60% di coloro che sopravvivranno.

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CONCLUSIONI

L'analisi dei dati riportati nella presente tesi ed il costante confronto con le evidenze scientifiche ha permesso di evidenziare punti di forza e aree migliorabili nella gestione della sepsi, a partire dal primo approccio in Pronto Soccorso, per proseguire nella Terapia Sub-Intensiva della Medicina d'Urgenza e nei reparti di destinazione.

L'applicazione delle linee guida suggerite dalla Surviving Sepsis Campaign sicuramente dà risultati buoni in termini di sopravvivenza, a patto che ciò venga fatto tempestivamente in Pronto Soccorso, prima, e Terapia Sub- Intensiva, poi, consentendo un'adeguatezza di trattamento e un risparmio di energie e risorse nell'esecuzione della diagnostica mirata, nei tempi e nei modi più opportuni.

Una importante considerazione deriva dal fatto che gli studi condotti e i protocolli di gestione della sepsi fanno riferimento, da un lato, a una popolazione completamente diversa dalla nostra, in termini di età e comorbidità, dall'altro, a un contesto, quello delle Terapie Intensive, con risorse maggiori rispetto a quelle in cui ci troviamo normalmente ad agire. A tutto questo possiamo verosimilmente ricondurre alcune incongruenze evidenziate. Tuttavia, è possibile anche prospettare un futuro in cui la sepsi possa essere gestita nel modo più adeguato in un setting nuovo, la Terapia Sub-Intensiva della Medicina d'Urgenza, e in una fetta di popolazione, quella geriatrica, che, comunque, non troverebbe risposta in una più elevata intensità di cura.

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