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La gestione della sepsi nel Dipartimento di Emergenza e Accettazione: il ruolo della Terapia Sub-Intensiva di Medicina d'Urgenza.

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Academic year: 2021

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INDICE

 Introduzione ………. pag. 2

 Definizione di sepsi, sepsi severa e shock settico ……….. pag. 4  Epidemiologia ……… pag. 10  Fisiopatologia della sepsi ……… pag. 12  Biomarkers ………. pag. 21  Clinica e principi di terapia ……….. pag. 25  Sistemi di scoring per pazienti critici ……….. pag. 37  Materiali e metodi ………. pag. 42  Risultati ………... pag. 43  Discussione ……… pag. 48  Conclusione ………... pag. 52  Bibliografia ………. pag. 53

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INTRODUZIONE

La sepsi è un insieme di condizioni cliniche causate dalla risposta sistemica dell'organismo ad una infezione, che possono causare la disfunzione di uno o più organi (sepsi severa) e condurre il paziente a morte.

Il medico di Pronto Soccorso si trova molto spesso a dover diagnosticare e gestire pazienti che presentano forme più o meno gravi di sepsi; la difficoltà maggiore sta nel fatto che la sepsi si presenta con sintomi talvolta sovrapposti a quelli di altre malattie e per questo non di rado viene scoperta in ritardo.

Negli ultimi anni, così come si è verificato per l'ictus e l'infarto miocardico, è stata riconosciuta l'importanza di una diagnosi precoce della sepsi per una altrettanto precoce terapia, documentando che il raggiungimento di precisi obiettivi emodinamici ne può influenzare positivamente la prognosi.

Una volta fatta la diagnosi e iniziato un trattamento aggressivo, il medico di Pronto Soccorso deve disporre il ricovero del paziente in un ambiente ad alta intensità di cura.

Oggi, accanto alle Terapie Intensive, il medico di Pronto Soccorso può contare, perlomeno negli ospedali più avanzati, sulle Terapie Sub-Intensive di Medicina d'Urgenza: qui, seguendo protocolli condivisi, basati sulle

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3 evidenze scientifiche, il paziente con sepsi prosegue il trattamento intensivo già iniziato in Pronto Soccorso.

Nella presente tesi, attraverso l'analisi dei pazienti con sepsi/sepsi severa/shock settico ricoverati dal Pronto Soccorso nella Terapia Sub-Intensiva della Medicina d'Urgenza, proverò a mettere in risalto le criticità e le aree migliorabili di una completa gestione del paziente settico nel Dipartimento di Emergenza e Accettazione.

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DEFINIZIONE DI SEPSI, SEPSI GRAVE E SHOCK

SETTICO

La sepsi è una risposta infiammatoria sistemica dell’organismo a un’infezione, qualsiasi sia la sua sede di partenza. Può essere auto-limitante o progredire allo stato di sepsi severa e shock settico1, che costituiscono

un’importante problematica per la sanità, affliggendo milioni di persone nel mondo ogni anno e portando a morte più di un paziente su quattro. La loro incidenza è destinata a crescere a causa, in primo luogo, dell’invecchiamento della popolazione2-6.

La reazione dell’ospite alla presenza del microrganismo patogeno coinvolge una serie di segnali e risposte tra l’agente infettivo e il sistema immune che vanno amplificandosi fino a sconfinare oltre il tessuto primitivamente invaso e dare un’infiammazione sistemica.

Sin dal 1914, con la definizione data da Schottmuller, i termini “sepsi” e “setticemia” furono usati come sinonimi per identificare un’infezione batterica generalizzata con batteriemia persistente2.

Nel 1989-1991, Bone et al. attribuirono alla sindrome settica una definizione più semplice basata sull’associazione tra sintomatologia clinica e presenza di una sorgente d’infezione documentata.

Nel 1991-1992 i membri dell’American College of Chest Physicians e la Society of Critical Care Medicine dettero la loro definizione di SIRS7 ossia

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5 come l’attivazione di una risposta infiammatoria sistemica, infettiva e non, la cui diagnosi si pone quando sono presenti almeno due tra i seguenti criteri:

1) Temperatura corporea >38°C oppure <36°C; 2) Frequenza cardiaca >90 bpm;

3) Frequenza Respiratoria >20 atti al minuto oppure PaCO2<32 mmHg; 4) Leucociti >12.000/mm³ oppure <4.000/mm³ oppure >10% di forme

immature.

Ne deriva che la sepsi è la presenza contemporanea della risposta infiammatoria sistemica associata a una presunta o accertata infezione. La sepsi grave condivide con la precedente la definizione e prevede in aggiunta una disfunzione d’organo (in genere di pertinenza dell’organo sede della primitiva infezione), ipoperfusione o ipotensione.

Lo shock settico intende una sepsi talmente grave da provocare ipotensione nonostante adeguata infusione di liquidi e la necessità quindi di fare ricorso a farmaci vasopressori e/o inotropi.

Nel 2001 (Levy et al.) si giunse a una più precisa definizione di sepsi, formulata da Society of Critical Care Medicine (SCCM), European Society of Intensive Care Medicine (ESICM), American College of Chest Physicians (ACCP), American Thoracic Society (ATS) e Surgical Infection Society (SIS), che sponsorizzarono l’International Sepsis Definitions Conference8, tenuta proprio con lo scopo di determinare se nuovi dati potessero convalidare e aggiornare i criteri stabiliti nel 1991.

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6 Da lì il passo successivo fu la fondazione della Surviving Sepsis Campaign (SSC) da parte della Society of Critical Care Medicine e della European Society of Intensive Care Medicine, lanciata poi al Meeting annuale di Barcellona della ESICM nell’autunno del 2002.

Secondo la SSC i criteri diagnostici della sepsi risultano adattati a quelli dell’International Sepsis Definitions Conference, i cosiddetti criteri di Levy, e sono la presenza di un’infezione documentata o sospetta + almeno uno tra i seguenti parametri:

VARIABILI GENERALI

 Febbre, T>38°C;  Ipotermia, T<36°C;

 Tachicardia: FC>90 bpm o >2DS sopra i valori normali per età (220-età);

 Tachipnea, FR>20 atti al minuto;

 Alterazione dello stato mentale (valutabile con il Glasgow Coma Scale, GCS);

 Edema significativo o bilancio dei liquidi positivo (>20 ml/kg nelle 24h);  Iperglicemia (glc>140 mg/dL o >7.7 mmol/L) in assenza di diabete

mellito.

VARIABILI INFIAMMATORIE

 Leucocitosi, GB>12.000/mm³;  Leucopenia, GB<4.000/mm³;

 Globuli bianchi normali ma con >10% di forme immature circolanti;  Proteina C reattiva plasmatica (PCR) >2DS sopra il valore normale;

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7  Procalcitonina (PCT) >2DS sopra il valore normale.

VARIABILI EMODINAMICHE

 Ipotensione arteriosa (pressione sistolica PAS<90mmHg, pressione arteriosa media PAM<70mmHg oppure riduzione della pressione sistolica >40mmHg negli adulti o >2DS sotto i valori normali per età);  Saturazione d’ossigeno venosa mista SvcO2<70%.

VARIABILI DI DISFUNZIONE D’ORGANO

 Ipossiemia arteriosa (PaO2/FiO2<300);

 Oliguria acuta (output di urine<0,5ml/Kg/h per almeno 2h nonostante adeguata infusione di liquidi);

 Aumento della Creatinina >0,5mg/dL (o >44,2mmol/L) rispetto ai valori basali;

 Alterazione della coagulazione (INR>1,5 oppure aPTT>60 sec);  Ileo paralitico;

 Trombocitopenia (conta piastrinica<100.000/mm³);  Bilirubina totale>4mg/dL (o >70µmol/L).

VARIABILI DI PERFUSIONE TISSUTALE

Aumento dell’acido lattico >1mmol/L;

 Aumento del tempo di riempimento capillare ungueale (>2sec) o marezzatura cutanea.

La definizione di sepsi severa, data dalla SSC che riadatta i criteri di Levy, prevede la presenza di uno stato di ipoperfusione indotta dalla sepsi oppure

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8 una variabile di disfunzione d’organo, quando si viene a creare una o più di queste condizioni riconducibili all’infezione:

 Ipotensione sepsi-indotta;  Lattato>4mmol/L;

 Urine output<0,5ml/kg/h per più di 2 h nonostante adeguata infusione di liquidi;

 Danno polmonare acuto con PaO2/FiO2<250 in assenza di polmonite come origine dell’infezione;

 Danno polmonare acuto con PaO2/FiO2<200 in presenza di polmonite come origine dell’infezione;

 Creatinina>2,0mg/dL (176,8 µmol/L);  Bilirubina>2,0mg/dL (34,2 µmol/L);  Piastrine<100.000/mm³;

 Coagulopatia INR>1,5.

Dal punto di vista eziologico la sepsi può essere causata da qualsiasi classe di microrganismi, più frequentemente coinvolti i batteri.

Circa il 20-40% dei pazienti con sepsi severa e il 40-70% di quelli con shock settico presentano emocolture positive per batteri o funghi. In particolare il 70% dei batteri isolati risultano essere Gram positivi (Staphyloccoccus aureus e Streptococcus Pneumoniae) e Gram negativi (Escherichia Coli, Klebsiella e Pseudomonas aeruginosa); il restante 30% sono miceti o associazioni di microrganismi. Quando le emocolture risultano negative, l’agente eziologico viene spesso stabilito sulla base della coltura o

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9 dell’esame microscopico del materiale infetto prelevato localmente. In alcune casistiche, parte dei pazienti con quadro clinico di sepsi severa o di shock settico presentava esami microbiologici sostanzialmente negativi9.

Le sedi di infezione più frequentemente responsabili di sepsi sono il polmone, l’addome e l’apparato urinario10.

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EPIDEMIOLOGIA

La sepsi è corresponsabile di oltre 200.000 decessi all’anno negli Stati Uniti. L’incidenza di sepsi severa e shock settico è andata aumentando negli ultimi 20 anni e il numero di casi per anno è ora >700.000, circa due terzi dei quali insorgono in pazienti con importanti malattie preesistenti9-11.

Le cause di tale aumento sono da ascrivere certamente alla maggiore consapevolezza diagnostica da parte della classe medica; in secondo luogo all’aumento della popolazione di pazienti a rischio e ciò potrebbe essere dovuto a:

o Maggiore impiego di procedure invasive;

o Aumento della sopravvivenza dei pazienti a rischio di sepsi;

o Invecchiamento della popolazione e sua crescente istituzionalizzazione;

o Aumentata sopravvivenza dei pazienti con malattie croniche;

o Maggiore ricorso a terapie immunosoppressive, chemioterapie e trapianti;

o Aumento delle infezioni da HIV;

o Aumento delle infezioni ospedaliere e crescente presenza di resistenze antimicrobiche9, 12;

o Miglioramento della tecnologia medica che, pur riducendo la mortalità, ha aumentato la morbilità dei pazienti.

Negli studi di Rossi et al. e del gruppo EPISEPSIS l’età media dei pazienti colpiti è di 61 anni.

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11 I più frequenti focolai di infezione sono localizzati a livello polmonare e intraddominale10.

Le colture microbiologiche sono risultate positive nel 58% dei casi13. Nel

corso del tempo è anche cambiata la frequenza dei microrganismi patogeni responsabili dell’infezione alla base della sepsi: negli anni ’80-’90 erano maggiormente coinvolti i Gram-negativi; dal 2000 in poi si è visto una progressiva incidenza delle sepsi da Gram-positivi (52% dei casi) oltre al progressivo aumento di infezioni fungine4, 14.

La proporzione di pazienti con sepsi che ha presentato un’insufficienza d’organo, marker di severità della patologia che infatti rientra nella definizione di sepsi severa, è aumentata nel tempo dal 19,1% nei primi 11 anni dello studio al 30,2% degli ultimi anni. L’insufficienza d’organo ha un effetto cumulativo sulla mortalità: fino al 70% dei pazienti con insufficienza multi-organo non sopravvive mentre approssimativamente solo il 15% dei pazienti senza insufficienza d’organo muore. Gli organi che vanno incontro più spesso a insufficienza sono i polmoni (18% dei pazienti) e i reni (15% dei pazienti); meno frequentemente si osservano insufficienza cardiovascolare (7%), ematologica (6%), metabolica (4%) e neurologica (2%).

La mortalità dei pazienti ospedalizzati è diminuita del 27,8% durante i primi 6 anni dello studio e del 17,9% durante gli ultimi 6 anni4.

Secondo lo studio di Martin et al. la cura dei pazienti settici costa $50.000 per paziente e circa 17 miliardi di dollari all’anno agli USA13. Questo anche per la

lunga durata dei ricoveri dei pazienti settici nelle Unità di Terapia Intensiva oltre che per i costi delle cure cui sono sottoposti, di per sé molto elevati.

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FISIOPATOLOGIA DELLA SEPSI

Negli ultimi anni si è acquisita una crescente comprensione di quelle che sono le vie molecolari coinvolte nella progressione della sepsi. Quello che è emerso è che si viene a creare una risposta infiammatoria, innescata da uno stimolo infettivo riconosciuto come non self, di proporzioni esagerate15, 16.

Andando oltre la natura e la reale patogenicità del microrganismo invasivo, è la stessa risposta dell’ospite, seppur nata con fini di protezione, a provocare i danni collaterali nei tessuti sani17.

La maggior parte dei casi di sepsi severa è innescata da batteri o funghi che normalmente non causano una malattia sistemica in ospiti non immunocompromessi11. Da un lato il deficit dell’immunità naturale dell’ospite

(attività fagocitica, complemento e anticorpi), dall’altro l’elaborazione di tossine e altri fattori di virulenza dei patogeni, risulta che l’organismo del paziente non è in grado di arrestare la progressione del processo infettivo nonostante la risposta infiammatoria esaltata che a sua volta contribuisce all’evoluzione verso la sepsi severa.

Meccanismi dell’ospite per rilevare la presenza di microrganismi Le

prime cellule del sistema immunitario a entrare in azione sono i macrofagi16.

Il recettore Toll-like 4 (TLR-4) espresso sulle loro membrane permette il legame e riconoscimento della porzione A del lipopolisaccaride (LPS, denominato anche endotossina), principale antigene dei batteri Gram negativi. La stimolazione del recettore induce l’attivazione a livello intracellulare del fattore nucleare kB (NF-kB) che a sua volta determina la

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13 fosforilazione e degradazione dell’inibitore dell’NF-kB (I-kB), permettendo dunque la traslocazione degli eterodimeri di NF-kB al nucleo: qui esercitano la loro regolazione trascrizionale sui geni pro-infiammatori codificanti varie citochine e molecole di adesione.

L’attivazione dell’NF-kB è la chiave per l’induzione di geni effettori come quelli del TNF-α, dell’IL1, di chemochine e molecole di adesione che, stimolando a loro volta le cellule T e B, implementano la risposta immunitaria adattativa18.

La capacità di riconoscere certe molecole microbiche può influenzare sia il potere di difesa dell’ospite sia la patogenesi della sepsi severa. Quando germi commensali o, facoltativamente, i Gram negativi invadono l’ospite umano, spesso attraverso la rottura delle barriere epiteliali, l’infezione è localizzata tipicamente al sottocutaneo. La batteriemia, se compare, è intermittente e di bassa concentrazione, in quanto questi germi sono efficacemente rimossi dal torrente ematico dalle cellule di Kupffer con espressione di TLR-4 e dai macrofagi splenici. Invece, d’altra parte, i germi Gram negativi che non formano il lipide esacilico A del LPS sono mal riconosciuti dal recettore Toll-like e, immessi nel corpo per vie non mucose (per esempio come conseguenza di morsi, tagli o inalazioni), provocano inizialmente una scarsa flogosi locale ma, diffondendo nel torrente circolatorio, inducono una sepsi severa. Da qui l’importanza del TLR-4 nel riconoscimento batterico di difesa dell’ospite9.

Risposte locali e sistemiche dell’ospite ai microrganismi L’interazione

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14 numerose molecole da parte dell’ospite che possono provocare o attenuare il danno tissutale. I loro effetti sono l’aumento del flusso sanguigno verso il tessuto infetto e della permeabilità del microcircolo, il reclutamento dei neutrofili in corrispondenza del sito di infezione e la stimolazione dei nocicettori, con conseguente induzione di dolore.

Tra le citochine proinfiammatorie troviamo:

o TNF-α: è una delle citochine protagoniste nella risposta dell’organismo alla sepsi. La sua azione è mediata dal legame con due differenti recettori (p55 e p75) localizzati su neutrofili, cellule endoteliali e fibroblasti. Potente mediatore dell’infiammazione locale, attiva l’endotelio vascolare, stimola la produzione di ossido nitrico che, determinando vasodilatazione, aumenta la permeabilità vascolare e l’espressione delle molecole di adesione sull’endotelio. Come risultato finale si assiste all’attivazione del complemento, dei linfociti T e B con produzione di immunoglobuline e al successivo reclutamento di cellule infiammatorie.

o IL-1: stimola la sintesi e il rilascio di prostaglandine, enzimi litici quali l’elastasi e la collagenasi; promuove inoltre la migrazione trans-endoteliale dei neutrofili e attiva le cellule endoteliali che rispondono rilasciando PAF e IL-8, che a sua volta è una citochina chemiotattica. TNF-α e IL-1 sono responsabili dell’inibizione della contrattilità miocardica e dell’aumento della permeabilità vascolare. Di contro l’IL-10 ha una potente azione antinfiammatoria e inibisce la produzione di citochine

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15 proinfiammatorie e chemochine. Il bilancio tra citochine proinfiammatorie e antinfiammatorie è cruciale nella risposta dell’ospite alle infezioni19.

I neutrofili, una volta attivati dai prodotti batterici, migrano rapidamente nel sito dell’infiammazione e lì provocano la distruzione dei microrganismi stessi mediante il processo di degranulazione (liberazione di sostanze litiche dai loro granuli primari e secondari). Tale processo può danneggiare l’organismo stesso e determinare una distruzione microvascolare.

Il danno endoteliale riscontrato durante la sepsi risulta imputabile al contatto con numerose sostanze nocive, le citochine prodotte durante la risposta infiammatoria. Questo danno è causa della trasformazione delle cellule endoteliali da superfici anticoagulanti a pro-coagulanti; della produzione di sostanze vasoattive con conseguente aumentata permeabilità vascolare e perdita delle funzioni di barriera e infine dell’induzione dell’apoptosi. A livello clinico questo si traduce in formazione di edema e ipotensione, conseguente alla massiva perdita di liquidi nell’interstizio. A complicare il quadro si generano fenomeni di microtrombosi che sono responsabili dell’insufficienza multiorgano, spesso fatale nella sepsi14-21.

Altri mediatori dell’infiammazione che giocano un ruolo importante sono: o Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) che, seppure nella loro azione

di difesa contro i microrganismi, possono determinare danno cellulare; o Il nitrossido (NO), responsabile della vasodilatazione resistente alle amine e della depressione del miocardio, caratteristiche dello shock settico;

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16 o L’acido arachidonico (AA), metabolizzato a prostaglandine e/o leucotrieni dalla ciclossigenasi (COX) o dalla 5-lipossigenasi, con potenti effetti pro-infiammatori;

o Il fattore attivante le piastrine (PAF), esercitando effetti diretti sull’endotelio (in quanto stimola l’adesione dei neutrofili), porta a cambiamenti nella forma delle cellule per rimaneggiamento del

citoscheletro. Il risultato finale è la perdita dei legami intercellulari che contribuisce al danno microvascolare con conseguente incrementata permeabilità, caratteristica della sepsi;

o Eicosanoidi, responsabili di innumerevoli effetti locali quali vasocostrizione, aggregazione piastrinica, infiltrazione dei neutrofili e aumento della permeabilità vascolare16, 18.

Nel corso della sepsi, l’alterazione del sistema della coagulazione rappresenta un indice di criticità importante: i pirogeni endogeni TNF-α, IL-1 e IL-6 hanno un’azione endocrina sul fegato e contribuiscono all’innesco della risposta di fase acuta, caratterizzata dalla produzione di sostanze ad effetto pro-coagulante in luogo degli anticoagulanti endogeni.

L’interleuchina 6 (IL-6) e altri mediatori promuovono la coagulazione intravascolare tramite l’espressione di Fattore Tissutale (TF) sulla superficie di monociti e cellule endoteliali vascolari. Quando tale TF è espresso, lega il fattore VIIa sulla superficie di membrana (piastrine attivate) per formare un complesso attivo in grado di convertire i fattori X e IX nelle loro isoforme enzimaticamente attive. Il risultato finale è l’attivazione di entrambe le vie della coagulazione, estrinseca e intrinseca, culminanti nella produzione di

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17 trombina da parte del complesso protrombinasico (fattore Xa e Va) e formazione di fibrina21.

D’altra parte il principale stimolo all’avvio del processo fibrinolitico è determinato dalla trombina stessa che, promuovendo il rilascio dell’Attivatore Tissutale del Plasminogeno (t-PA), consente, in presenza di fibrina, la conversione del plasminogeno in plasmina.

Il meccanismo deputato all’inibizione della fibrinolisi è essenzialmente rappresentato da sintesi e rilascio di un inibitore specifico del t-PA (PAI-1), anch’esso di sintesi endoteliale, in grado di complessarsi irreversibilmente con il t-PA, neutralizzandone l’attività fibrinolitica20-22.

Risulta evidente quindi che l’endotelio riveste un ruolo fondamentale sia nei processi coagulativi che in quelli fibrinolitici: provoca infatti amplificazione

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18 dell’infiammazione/coagulazione intravascolare da una parte e lisi degli stessi coaguli dall’altra23.

Tre sono i meccanismi fondamentali di cui l’organismo dispone per impedire il propagarsi del processo infiammatorio e coagulativo:

1. L’inibitore della via del fattore tissutale (TFPI), che inibisce la formazione di fattore Xa e IXa della cascata coagulativa24.

2. L’antitrombina (AT), che ha una potente attività anticoagulante perché blocca direttamente la trombina e inibisce gli enzimi coinvolti nella produzione della stessa 23. Inoltre l’azione dell’AT è aumentata di circa

1000 volte dall’eparina e dai glicosaminoglicani (GAGs) presenti sull’endotelio.

3. La Proteina C Attivata (APC), esplica un’azione anticoagulante bloccando in maniera selettiva i fattori Va e VIIIa: ne consegue la riduzione dei livelli di trombina; ha azione fibrinolitica, formando complessi stabili con il PAI-1 e inibendone quindi l’azione23; infine

possiede proprietà antinfiammatorie in quanto, bloccando l’NF-kB nei monociti e nelle cellule endoteliali, riduce la produzione della citochina TNF-α.

La trombomodulina (TM) nelle cellule endoteliali, legandosi alla trombina, ne modula l’azione: il complesso trombina/TM favorisce l’attivazione della Proteina C (APC) e il suo legame al recettore endoteliale.

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19 Pertanto le attuali conoscenze sulla fisiopatologia della sepsi permettono di affermare che infiammazione e coagulazione sono due facce della stessa medaglia.

Infatti l’attivazione dei processi infiammatori e coagulativi è sempre correlata alla produzione di molecole con attività antinfiammatoria, anticoagulante e fibrinolitica; quindi il tentativo di delimitare l’infezione dipende da un corretto bilanciamento dei vari componenti di questa rete. Nella sepsi si verifica uno sbilanciamento a favore dei processi infiammatori e coagulativi23.

Se quindi la trombosi intravascolare, caratteristica della risposta infiammatoria locale, può essere d’aiuto nel contenere l’invasione microbica e nel prevenire l’estensione dell’infezione e dell’infiammazione ad altri tessuti, la marcata attivazione del sistema della coagulazione determina una eccessiva tendenza alla deposizione di fibrina, alla trombosi e al sanguinamento (per drastica riduzione del numero delle piastrine) fino a

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20 esitare in coagulazione intravascolare disseminata (CID), con conseguente aumento della mortalità.

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BIOMARKERS

La maggior parte degli indicatori di infiammazione utilizzati di routine nella diagnosi di sepsi sono poco specifici e non consentono una sicura stratificazione prognostica.

Accanto agli indici più convenzionali quali conta dei globuli bianchi, valori della coagulazione, del lattato (il quale è moneta energetica, in particolare per miocardio ed encefalo, utile in situazioni di stress mediate dall’increzione catecolaminergica, restando comunque marker importante di ipoperfusione25) e della PCR, negli ultimi anni si è sempre più rafforzata

l’ipotesi che la PCT possa essere un buon indice prognostico, in particolare nella sepsi grave e shock settico.

o La PROTEINA C-REATTIVA (PCR) è una proteina di fase acuta, sintetizzata a livello epatico in risposta a stimoli infiammatori, come grazie all’induzione da parte dell’IL-6 (si ritrova infatti a valori elevati anche in corso di malattie autoimmuni) e infettivi26, 27. In

considerazione della sua cinetica di induzione (circa 2-3 giorni) e di eliminazione (emivita biologica di circa un giorno) non può essere utilizzata per una diagnosi precoce né come unico marker nel monitoraggio della risposta alla terapia intrapresa28, 29. Inoltre i livelli

sierici non correlano con la severità di malattia né con gli indici maggiormente utilizzati a tal fine (SOFA);

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22 o Il dosaggio dei GLOBULI BIANCHI (il cui valore normale è compreso tra 4.000 e 12.000/µL) si è dimostrato poco specifico nella discriminazione tra quadri infiammatori e propriamente settici30;

o IL-6, citochina proinfiammatoria. E’ sintetizzata da diversi tipi di cellule, in particolare dai monociti del sangue (in seguito a stimolazione acuta) e da cellule endoteliali (in corso di malattie di più lunga durata). La sua induzione avviene rapidamente (tanto da essere utilizzata come indicatore di sepsi postoperatoria dopo chirurgia oncologica)26, 27, così

come altrettanto rapida è la sua cinetica di eliminazione (poche ore). Possiede un ruolo centrale nell’indurre la sintesi di proteina di fase acuta, come già detto la PCR o la LBP (Lipopolysaccharide-Binding Protein). Non è specifica per la diagnosi di sepsi in quanto può essere indotta anche in caso di infezioni batteriche o virali, in corso di malattie autoimmuni e traumi tissutali31, 32;

o La CONTA PIASTRINICA (vn 150.000-450.000/µL), rappresenta un elemento molto importante da monitorare in corso di sepsi poiché si può assistere ad una precoce attivazione dei meccanismi che conducono a un loro maggiore consumo proprio in virtù dell’alterazione del sistema della coagulazione, elemento critico importante nella fisiopatologia della sepsi, fino a determinare quadri conclamati di CID;

o Il TEMPO DI PROTROMBINA o PT (vn 75-112%), indicando la quantità totale di protrombina presente nel sangue fornisce una misurazione indiretta dell’attivazione della via estrinseca della

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23 coagulazione. Numerosi dati in letteratura confermano33, 34 che

frequenti alterazioni del PT sono già presenti nelle fasi iniziali della sepsi a indicare una coagulopatia tipica che spesso compare anche prima della diagnosi;

o La PROCALCITONINA (PCT) è precursore, pro-ormone, della calcitonina ed è sintetizzata da tessuto neuroendocrino extratiroideo presente dell’organismo, a seguito dell’attivazione della trascrizione e traduzione del gene CALC-1 in corso di infezioni batteriche35, 36.

L’induzione della PCT può essere provocata da numerosi stimoli, sia in vivo che in vitro: più importanti per la sua produzione sono le endotossine batteriche e le citochine proinfiammatorie. In seguito all’induzione, concentrazioni plasmatiche significative vengono raggiunte dopo 6 ore, con valori di picco dopo 12-48 ore. L’emivita osservata è di circa 25-30 h 37 e tali valori diminuiscono rapidamente

nei giorni successivi.

Negli ultimi anni numerosi studi hanno confermato l’ipotesi che la PCT possa essere considerata un buon indice prognostico, in particolare nella sepsi severa e shock settico. In questi studi si è inoltre cercato di individuare un cut-off ideale per stabilire la gravità di malattia. Tale valore risulta essere uguale e/o superiore a 2µg/L. Si è infatti

riscontrato che spesso i pazienti con sepsi grave-shock settico in cui la patologia progredisce fino a condurre a un esito infausto,

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24 pazienti con prognosi favorevole e in netto rialzo durante il periodo di osservazione34, 37.

Di fondamentale importanza risulta inoltre in tale setting non solo il valore assoluto di tale biomarker, preferibilmente appurato prima dell’inizio dell’antibioticoterapia, ma il suo andamento nel tempo. Indice di successo della terapia antibiotica è rappresentato da una riduzione dei valori di PCT pari al 30-50% al giorno rispetto al valore iniziale nei primissimi giorni di terapia, fino alla sua completa

normalizzazione, guidando eventualmente la scelta di variare il dosaggio del farmaco o addirittura di sostituirlo.

Uno studio francese, realizzato nel 2004 su 75 pazienti affetti da sepsi severa o shock settico, ha concluso che dosaggi elevati di PCT hanno valore prognostico negativo in una percentuale significativa di casi38.

In confronto alla PCR, la PCT presenta caratteristiche di cinetica più adatte alla precocità della diagnosi, punto fondamentale nella gestione di tale patologia, inoltre rispetto a essa risulta più affidabile in termini sia di sensibilità che di specificità nella valutazione della severità, della prognosi e del decorso clinico nei pazienti con sepsi severa e shock settico39, 40.

Tale superiorità della PCT rispetto ai biomarker finora utilizzati di routine nella pratica clinica è stata confermata anche da recenti risultati ottenuti negli studi condotti da Meisner M. nel 2000 (indicava come valore normale della PCT<0,5µg/L)41, 42, da Harbarth et al. nel

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CLINICA E PRINCIPI DI TERAPIA

MANIFESTAZIONI CLINICHE

L’identificazione del paziente con sepsi in emergenza-urgenza mette il clinico davanti a una problematica di non facile soluzione. Infatti, se ricerchiamo quelli che sono i criteri di diagnosi sopra descritti, che uniscono obiettività clinica e dati di laboratorio, corriamo il rischio di sottostimare la condizione del paziente anche in presenza di una grave infezione sottostante in quanto la manifestazione della patologia può rimanere molto subdola. La velocità con cui la risposta settica aumenta può essere differente da paziente a paziente in base a spiccate variazioni individuali nella sua presentazione. Soprattutto in determinate categorie di pazienti (anziani, alcolisti, nefropatici cronici, immunocompromessi, defedati) la clinica rimane particolarmente silente. In questi casi è possibile registrare anche una normale temperatura corporea o la sola presenza di un’alterazione dello stato cognitivo come disorientamento e confusione. Nella sepsi grave le manifestazioni cliniche della disfunzione e/o ipoperfusione d’organo possono presentarsi ancor prima dei segni della SIRS.

A volte le manifestazioni della risposta infiammatoria settica si sovrappongono ai segni e sintomi della patologia di base e dell’infezione primaria. Avremo quindi disuria e dolore in regione lombare nell’urosepsi; tosse con escreato purulento e tachipnea nella polmonite; diarrea e dolore addominale in quella di origine gastroenterica.

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26 Celluliti, pustole, bolle, lesioni emorragiche e di altri tipi, di pertinenza dermatologica possono comparire quando batteri o funghi arrivano a cute e tessuti molli sottostanti per diffusione ematogena.

L’ittero colestasico, con elevati livelli di bilirubina sierica (per lo più coniugata) e di fosfatasi alcalina, può precedere altri segni di sepsi. La disfunzione epatocellulare o canalicolare sembra esserne in molti casi responsabile e i test di funzionalità epatica ritornano nella norma con il risolversi dell’infezione. Un’ipotensione protratta o grave può indurre danno epatico acuto o necrosi ischemica dell’intestino.

La concentrazione ematica di glucosio spesso aumenta, in modo particolare nei pazienti diabetici, anche se talvolta la compromessa gluconeogenesi e l’eccessiva increzione di insulina possono condurre all’ipoglicemia.

La risposta di fase acuta prodotta dalle citochine inibisce la produzione di transtiretina e incrementa la produzione di PCR, fibrinogeno e fattori del complemento che, come già spiegato, alterano l’equilibrio tra i meccanismi procoagulanti e quelli fibrinolitici, a favore dei primi.

Il catabolismo proteico è spesso notevolmente accelerato. Per questo motivo la pressione oncotica risulta ridotta (con valori alterati dell’elettroforesi delle proteine) oltre che per la discesa dei livelli sierici di albumina causati da diminuita produzione epatica, da un lato, e aumento del suo trasferimento negli spazi interstiziali (fenomeno promosso dalla vasodilatazione arteriosa), dall’altro. Ne risulta la formazione di edemi e il peggioramento dello stato volemico del paziente. (FONTE: Harrison, Principi di medicina interna, 17esima edizione)

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COMPLICANZE MAGGIORI

Complicanze polmonari L’alterazione distrettuale del rapporto

ventilazione/perfusione produce una caduta della PO2 arteriosa già nelle prime fasi della malattia. L’aumento della permeabilità capillare alveolare determina un accumulo del contenuto di fluido e proteine nel polmone che ispessendo la barriera alveolare ostacola il normale scambio gassoso. Infiltrati polmonari diffusi e ipossiemia arteriosa (PaO2/FiO2<300) segnalano lo sviluppo della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS, di 3 diversi gradi, come indicato dalla Berlin Definition, in base al rapporto PaO2/FiO2<300, <200, <100 rispettivamente ARDS di grado lieve, moderato, severo44). Altri meccanismi possono essere chiamati in causa:

uno stimolo tossico diretto, come nel caso di aspirazione di contenuto gastrico, l’inalazione di sostanze tossiche o trauma toracico chiuso; oppure da insulti sistemici (sepsi, trauma, politrasfusioni, pancreatiti) che determinano il rilascio di numerosi mediatori dell’infiammazione (TNF-α, NO, Polimorfonucleati PMN) responsabili dei danni polmonari45, 46. I criteri clinici

per la diagnosi di ARDS proposti dalla American-European Consensus Conference del 1994 sono i seguenti:

o Esordio acuto;

o Infiltrati bilaterali all’RX del torace;

o Pressione di incuneamento polmonare (PAWP)<18mmHg o assenza di evidenza clinica di ipertensione atriale sinistra;

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28 Da un punto di vista fisiopatologico e anatomopatologico è possibile distinguere tre stadi: il primo, definito essudativo, è caratterizzato da accumulo negli spazi alveolari di fluido, proteine e cellule infiammatorie provenienti dai capillari; il secondo, fibro-proliferativo, con deposizione di tessuto connettivo in risposta allo stimolo nocivo; il terzo, lo stadio della risoluzione e guarigione. L’esito è infausto nei casi non responsivi alla terapia o non prontamente diagnosticati, con una mortalità del 60%. Il pronto riconoscimento e l’adeguato trattamento di questa situazione limita dunque l’evoluzione in fibrosi e quindi in una sindrome restrittiva48, 49.

Complicanze cardio-circolatorie Le alterazioni cardiocircolatorie sono a

genesi multifattoriale, caratterizzate da ipotensione e tachicardia. L’ipotensione indotta dalla sepsi di solito è il risultato di una maldistribuzione generalizzata del flusso ematico e di una ipovolemia dovuta, almeno in parte e inizialmente, alla perdita di liquidi che stravasano per aumento della permeabilità vascolare, la stessa che determina l’imbibizione a livello polmonare. Altri fattori che concorrono all’effettiva riduzione del volume ematico circolante sono la disidratazione (anche antecedente l’instaurarsi della sepsi), le perdite come la perspiratio insensibilis, il vomito, la diarrea, la poliuria.

Con il progredire della severità della sepsi anche la riduzione delle resistenze vascolari sistemiche contribuisce allo stato ipotensivo del paziente. Gittata cardiaca normale o aumentata e basse resistenze periferiche distinguono d’altra parte lo shock settico da quello cardiogeno, ostruttivo extracardiaco e ipovolemico. In seguito può sopraggiungere anche una depressione del

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29 miocardio, dovuta al danno da citochine infiammatorie, testimoniata dall’incremento dei volumi ventricolari telediastolico e sistolico (elevate pressioni di riempimento) e dalla riduzione della frazione di eiezione. Tuttavia l’ipotensione refrattaria all’infusione di liquidi è solitamente da imputare, più che alla disfunzione miocardica, alle basse resistenze vascolari periferiche anche queste esito della tempesta citochinica.

Complicanze renali Sono frequenti oliguria, iperazotemia (urea; creatinina),

proteinuria e cilindri urinari non specifici. Molti pazienti sono poliurici in maniera inappropriata e l’iperglicemia può accentuare questa tendenza, specie se il soggetto è diabetico.

Nella maggior parte dei casi l’insufficienza renale è dovuta a necrosi tubulare acuta indotta da ipoperfusione (per ipotensione, disidratazione) o da danno endoteliale (per trombosi del microcircolo, tossicità da citochine e infine danno da riperfusione).

Coagulopatia Documentata da trombocitopenia, deficit dei fattori della

coagulazione, aumento dell’INR, aPTT, D-dimero, presenza di attivo sanguinamento, riflette il danno endoteliale diffuso, attivazione esagerata della coagulazione e trombosi microvascolare. E’ tra le manifestazioni più frequenti in corso di sepsi. Nei casi più gravi tali alterazioni possono evolvere fino alla CID, responsabile dell’exitus del paziente.

Epatopatia Alterazioni della funzionalità epatica con incremento della

bilirubina diretta (coniugata), imputabile a colestasi intraepatica, degli enzimi di lisi epatica e in particolare con AST e ALT >2.000U/L e incremento dell’LDH (>4.000U/L). Tale situazione si configura come un danno ischemico

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30 da necrosi centro-lobulare (“fegato da shock”), evenienza comunque rara con tale gravità. In genere, risolta l’infezione, i test di funzionalità epatica ritornano nella norma.

Complicanze neurologiche caratterizzate da confusione, letargia, fino al

coma per alterazioni del flusso cerebrale.

PROTOCOLLO DI TERAPIA

Come detto all’inizio di questa tesi, l’International Sepsis Definitions Conference del 2001, in cui sono stati presentati i criteri di Levy8 per la

diagnosi di sepsi, ha fatto sì che si muovessero i primi passi verso la fondazione della Surviving Sepsis Campaign nell’anno seguente. Riadattati i criteri di Levy, nel 200450 furono pubblicate le prime linee guida per la

gestione di sepsi severa e shock settico, aggiornate poi nel 200851, infine nel

2012.

Partendo dal presupposto che l’EGDT (Early Goal-Directed Therapy) è una modalità di trattamento più efficace in termini di outcome per questi pazienti rispetto alla terapia standard (come già dimostrato dagli studi di Rivers et al. e poi di Dellinger et al.50, 52), in quanto mira a raggiungere determinati target

nelle prime “golden hours”, la SSC riconferma l’importanza di ottenere la stabilizzazione dei parametri vitali entro le prime 6 ore dall’accesso in DEA. L’approccio del medico deve quindi basarsi, come per altre patologie in cui il fattore tempo è fondamentale quali ictus o ischemia miocardica, sulla precocità della diagnosi.

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31 I goal terapeutici della rianimazione consistono nell’ottimizzazione dei valori emodinamici e nell’individuazione e controllo dell’infezione sottostante:

A. Supporto emodinamico. Ha il fine di normalizzare i parametri di

perfusione ossia PVC 8-12mmHg, MAP≥65mmHg, output urine≥0,5ml/kg/h, ScvO2 (saturazione dell’ossigeno in vena cava superiore) >70% o SvO2 (centrale, in arteria polmonare) >65%, e di portare il livello del lattato a valori inferiori a 4mmol/L.

1. FLUIDI. I cristalloidi sono di prima scelta in presenza di ipotensione (PAS<90mmHg e/o MAP<70mmHg) e/o ipoperfusione (lattato>4mmol/L), partendo da un bolo minimo di 30ml/kg in 30-60 minuti. La fluid challenge è raccomandata finché c’è miglioramento emodinamico (basato su variabili come pressione di polso, gittata sistolica, pressione arteriosa, frequenza cardiaca).

Qualora dovesse persistere l’ipotensione, può essere necessaria la somministrazione di un maggior quantitativo di liquidi, per cui si procede all’infusione di boli di 500ml di cristalloidi ogni 30 minuti per mantenere una PVC di 8-12mmHg; in alternativa è consentito l’utilizzo di albumina.

2. VASOPRESSORI. Si rendono necessari quando il target di MAP≥65mmHg non è raggiunto nonostante l’adeguato riempimento volemico. Di prima linea l’uso di noradrenalina (NA) (al dosaggio iniziale di 5µg/kg/min ev). Di seconda l’adrenalina, in aggiunta o in sostituzione alla NA. La vasopressina (fino a 0,03U/min) può essere aggiunta alla NA ma non è raccomandata come singolo vasopressore

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32 per il trattamento dell’ipotensione indotta dalla sepsi. E’ indicata la dopamina come alternativa alla NA solo in pazienti altamente selezionati ossia quelli a basso rischio di tachiaritmia o con bradicardia. La fenilefrina è prevista solo come terapia di salvataggio quando la combinazione di vasopressori e inotropi e basse dosi di vasopressina non sia stata risolutiva nel raggiungimento del target. 3. INOTROPI. L’infusione di dobutamina fino a 20µg/kg/min (anche in

aggiunta ai vasopressori) è lo step successivo nel caso sia fallito il tentativo di mantenere adeguata la MAP con la sola infusione di liquidi oppure se sono presenti segni di disfunzione miocardica (elevata pressione di riempimento e ridotta gittata sistolica).

4. CORTICOSTEROIDI. Di ultima scelta per ripristinare la stabilità emodinamica nello shock settico non responsivo a vasopressori per più di 60 minuti. Si usano dosi di 200mg/die ev in infusione continua, preferibile rispetto ai boli in quanto si evita l’oscillazione della glicemia.

B. Terapia antimicrobica, nasce dal sospetto clinico di infezione cui segue

la ricerca del patogeno tramite effettuazione di colture da almeno due campioni ematici (uno per la ricerca di germi aerobi, l’altro per gli anaerobi) prelevati da vena periferica, più esami colturali da materiale prelevato su ogni accesso vascolare (solo se inserito da più di 48h), più ricerca sierologica di anticorpi contro la Candida, prima della somministrazione della terapia antibiotica. Questa verrà quindi instaurata entro un’ora dal riconoscimento di sepsi severa/shock settico, in modo empirico, basandosi su quelli che sono i più comuni responsabili di infezioni (batterici e/o micotici o virali). La

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33 titolazione del farmaco dovrà essere gestita con aggiustamenti quotidiani al fine di prevenire lo sviluppo di resistenze, ridurre la tossicità e anche i costi. A tal fine è suggerito (come sopra menzionato) l’uso della procalcitonina sierica, la cui riduzione maggiore al 30-50% rispetto al valore della giornata precedente è indice della buona risposta alla terapia empirica. E’ altresì suggerita la combinazione empirica di farmaci (che non dovrebbe superare i 3-5 giorni) per i pazienti neutropenici o con difficoltà di trattamento o con infezione da patogeni multidrug-resistant come Acinetobacter e Pseudomonas spp. In questi casi risulta anche utile la risposta dell’antibiogramma per correggere la terapia empirica. Sono spesso utilizzati beta-lattamici ad ampio spettro con o un aminoglicoside oppure un fluorochinolone per P. aeruginosa; invece beta-lattamici ad ampio spettro e un macrolide per Streptococcus pneumoniae.

In genere la durata della terapia si aggira intorno ai 7-10 giorni. La terapia antivirale deve essere anch’essa iniziata il più presto possibile se l’origine della sepsi è quasi certamente virale. In genere è condotta in pazienti con gravi manifestazioni di influenza o alto rischio di sue complicanze con inibitori della neuraminidasi (Oseltamivir o Zanamivir); in infezione grave o generalizzata dal virus varicella-zoster o disseminata da herpes simplex (Acyclovir).

C. Terapia di supporto

1. EMOTRASFUSIONE, intrapresa quando il livello di Hb è <7.0g/dL (più che per valori di ematocrito (Htc)<30% come precedentemente detto dalla EGDT52) per incrementare la capacità di trasporto dell’ossigeno

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34 soprattutto in presenza di una ScvO2<70% e/o lattato>4mmol/L, quindi in presenza di segni di ipoperfusione anche dopo l’aver ottenuto la normalizzazione di PVC, PAM e saturazione arteriosa di O2.

2. PLASMA FRESCO CONGELATO. Riservato ai pazienti con anomalie della coagulazione (INR>1,5 o aPTT>60sec) solo se in previsione di eventuali interventi chirurgici/procedure invasive e nel caso di sanguinamento attivo.

3. CONCENTRATI PIASTRINICI sono somministrati profilatticamente ai pazienti con PTL≤10.000/µL anche in assenza di sanguinamento. Il livello di trombocitopenia per cui è indicata l’infusione di piastrine è più alto se il paziente ha rischio significativo di emorragia (con PTL≤20.000/µL) o se necessita di interventi chirurgici/manovre invasive o ha sanguinamento attivo (con PTL≤50.000/µL).

4. CONTROLLO GLICEMICO è di fondamentale importanza in quanto l’iperglicemia è un potente stimolo per l’attivazione di PAI-1 (inibitore dell’attivatore del plasminogeno), cui consegue il blocco della fibrinolisi53. Il target glicemico dovrebbe coincidere con un limite

superiore ≤180mg/dL piuttosto che ≤110mg/dL. Diversi studi53-56

hanno infatti dimostrato una maggiore incidenza di ipoglicemia severa (≤40mg/dL) nei pazienti sotto terapia insulinica intensiva.

5. VENTILAZIONE MECCANICA è intrapresa in caso di ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome) con l’impiego di un volume tidalico di 6ml/kg di peso corporeo a una pressione inspiratoria di picco non superiore a 35cmH2O (può esitare in una minima ritenzione di CO2,

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35 definita “ipercapnia permissiva”). Come già detto l’ARDS è distinta in tre gradi dalla Berlin Definition44 in base al rapporto PaO2/FiO2≤300,

≤200, ≤100 rispettivamente indicanti il grado lieve, moderato, severo: è solo nei pazienti con ARDS moderata-grave che alla ventilazione meccanica si aggiunge una “pressione espiratoria esterna positiva” (PEEP) di 10-15cmH2O (per impedire il collasso alveolare in espirazione). Non in tutti i pazienti con ARDS, infatti, sono stati registrati benefici in termini di mortalità57.

6. ALTRE TERAPIE DI SUPPORTO. Profilassi delle ulcere da stress (inibitori di pompa protonica) in presenza di rischio di sanguinamento; profilassi della TVP in tutti i pazienti con sepsi (eparina a basso PM) e se controindicata (sanguinamenti, trombocitopenia, severa coagulopatia) è suggerito l’utilizzo di trattamenti profilatici meccanici (calza elastica ad es.); nell’eventuale esigenza di supporto renale, l’emodialisi continua e quella intermittente si sono dimostrate equivalenti secondo recenti studi di metanalisi58, 59

Riassumendo, i cosiddetti bundles, proposti dalla Surviving Sepsis Campaign, altro non sono che i target terapeutici da mettere in atto nel minor tempo possibile dopo una supposta o accertata diagnosi di sepsi. In particolare, devono essere completati entro le prime 3 ore i seguenti punti:

1) Misurazione della lattatemia;

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36 3) Solo successivamente, somministrazione di antibiotici ad ampio

spettro;

4) Somministrazione di cristalloidi (30mL/kg), se in presenza di ipotensione o lattato ≥4mmol/L.

Da completare, poi, entro le 6 ore:

5) Somministrazione di vasopressori (se assente risposta pressoria a infusione di liquidi), per mantenere una MAP ≥65 mmHg;

6) Se persiste l’ipotensione nonostante infusione di liquidi (shock settico) o lattato già inizialmente ≥4mmol/L:

- misurare la Pressione Venosa Centrale (CVP);

- misurare la Saturazione Venosa Centrale dell’Ossigeno (ScvO2). 7) Rimisurare il valore del lattato, quando inizialmente elevato.

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SISTEMI DI SCORING PER PAZIENTI CRITICI

Esistono molti sistemi di scoring validati nelle unità di terapia intensiva, anche con finalità diverse gli uni dagli altri: per la previsione dell’outcome, basati su variabili fisiologiche generali (APACHE, SAPS); per la valutazione della disfunzione d’organo (il SOFA - Sequential Organ Failure Assessment - score è il più utilizzato); score per i pazienti traumatizzati, che tiene conto dei distretti anatomici coinvolti (es. ISS); score radiologici che si fondano su numero ed entità delle anomalie riscontrate agli esami strumentali (ad esempio il BALTHAZAR per la pancreatite); score per la quantificazione del carico di lavoro del personale sanitario (più cospicuo è l’impiego di farmaci e l’intensità del monitoraggio del paziente, più grave è la sua condizione, con il limite intrinseco che questa definizione comporta, ossia la possibilità che la maggiore aggressività terapeutica di uno staff rispetto a un altro non coincida con uno status realmente peggiore del paziente).

Bisogna considerare che lo score ideale ha alta sensibilità e predittività, è rapidamente utilizzabile, disponibile ovunque, economico, oggettivo e non osservatore-dipendente. Attualmente nessuno score soddisfa questi requisiti. Ciò che più è ricercato in un sistema prognostico sono il potere di discriminazione e la calibrazione. Se il primo consiste nella capacità di distinguere tra i pazienti che sopravvivranno da quelli che andranno incontro a decesso, la seconda si identifica con la misura della concordanza tra la probabilità predetta (in questo caso la mortalità) e quella realmente

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38 osservata: un modello è considerato calibrato quando la mortalità della popolazione in osservazione si avvicina alla mortalità predetta dal modello.

Gli Score di Disfunzione d’Organo sono volti a descrivere il grado di insufficienza d’organo piuttosto che a predire la sopravvivenza del paziente. Il SOFA sopra menzionato, per esempio, prende in considerazione 6 sistemi (respiratorio, cardiovascolare, renale, epatico, sistema nervoso centrale, coagulazione) a ognuno dei quali è possibile dare un punteggio da 0 a 4, per un totale che oscilla tra 0 e 24. Si è osservato che un SOFA score maggiore di 15 correla con un tasso di mortalità del 90%60 pur rimanendo soltanto un

buon indicatore di prognosi senza avere una diretta conversione del punteggio in una percentuale di mortalità prevista.

Al contrario gli Score Predittivi dell’Outcome consistono di due numeri: il primo ottenuto dalla somma dei punteggi dati alle variabili che compongono lo score, il secondo ottenuto da una equazione di regressione lineare che trasforma lo score in una percentuale di probabilità di morte intraospedaliera. Uno dei primi score introdotti è stato l’APACHE, Acute Physiology And Chronic Health Evaluation, di cui oggi esistono 3 aggiornamenti, anche se il più utilizzato è l’APACHE II. Questo consiste di 12 variabili fisiologiche (prendendo in considerazione i valori peggiori delle prime 24 ore), più l’età del paziente e le eventuali comorbidità croniche (epatopatia; leucemia/linfoma; AIDS; neoplasia metastatica; insufficienza renale cronica).

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39 L’APACHE III si differenzia per il metodo statistico utilizzato e per differenti variabili, mentre l’APACHE IV utilizza altri dati, in più rispetto ai precedenti, come il numero dei giorni trascorsi in altri reparti precedentemente al ricovero in UTI, l’eventuale terapia trombolitica, la necessità di ventilazione meccanica, la diagnosi primaria di accesso in PS.

Altro importante score è il SAPS, Simplified Acute Physiology Score, sviluppato e validato in Francia nel 1984, oggi aggiornato alla seconda versione, che prevede l’utilizzo di 17 variabili così ripartite: 12 variabili fisiologiche (frequenza cardiaca; pressione arteriosa sistolica; temperatura corporea; rapporto PaO2/FiO2, ma solo se il pz è ventilato; flusso urinario/24h; livello ematico di urea o BUN; sodio; potassio; bilirubina; livello ematico di HCO3-; Glasgow Coma Scale; conta leucocitaria. Per ognuna di queste variabili, come nell’APACHE, si registra il valore peggiore delle 24 ore), età, tipo di ammissione (medica, chirurgica d’elezione o chirurgica d’urgenza) e 3 variabili correlate a sottostanti malattie croniche (leucemia/linfoma; AIDS; neoplasia metastatica). Per valori crescenti del SAPS si calcolano percentuali a loro volta maggiori di tassi di mortalità.

Un recente studio61 condotto su pazienti con sepsi severa e shock settico in

reparti di terapia intensiva ha messo a confronto APACHE IV e SAPS II: il tasso di mortalità predetto che più si avvicinava a quello reale della popolazione in esame era quello del SAPS II, facendo dunque apparire questo sistema il più calibrato dei due.

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40 Conclusione cui si giunge è la convenienza dell’utilizzo di uno score di rapido calcolo (vista la facilità con cui si ottengono i dati richiesti), quale il SAPS II, in reparti di Terapia Intensiva/Sub-Intensiva, se non altro per prevedere quello che sarà l’esito, favorevole o meno, per il paziente (anche se soltanto in termini probabilistici, senza avere reale certezza dell’irreversibilità di un processo o dell’impossibilità di sopravvivenza), come aiuto utile al clinico nella gestione del paziente, anche in virtù della sua aspettativa di vita e della qualità di vita residua, oltre che come strumento di gestione delle risorse finanziarie sanitarie, ovviamente sotto la costante guida del giudizio del medico che ne conosce benefici e limiti.

D’altra parte, nel 2003 Shapiro et al.62 hanno proposto l’adozione di un nuovo modello prognostico, definito Mortality in Emergency Departement Sepsis,

MEDS, con il fine di stratificare i pazienti afferenti al Pronto Soccorso con

sospetta diagnosi di sepsi. Caratteristica distintiva di questo rispetto agli altri score, è il fatto di essere stato pensato per l’uso in pazienti settici ricoverati in ambienti diversi dai reparti di Terapia Intensiva. In seguito a un’analisi multivariata delle cartelle cliniche, venivano individuati 9 fattori significativamente correlati al rischio di mortalità: malattia terminale, con morte entro 30 giorni; tachipnea o ipossia; shock settico; piastrine <150.000/mm³; forme immature nello striscio ematico >5%; età >65 anni; infezione delle basse vie respiratorie; provenienza da case di riposo; stato mentale alterato. Attribuendo a ciascuno di questi fattori un punteggio, si procedeva a una sommatoria convertibile in uno score, consentendo così

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41 l’individuazione di 5 classi di rischio di mortalità (molto basso 0-4 punti, basso 5-7 punti, moderato 8-12 punti, alto 12-15 punti; molto alto >15 punti).

Lo studio mostrava una buona correlazione tra il MEDS score e la mortalità a 28 giorni, ossia il suo outcome primario.

Secondo gli autori, l’applicazione di questo semplice modello, con parametri facilmente ottenibili in pazienti ricoverati in PS-MU, rende possibile l’identificazione dei casi con prognosi peggiore che giustificano un approccio terapeutico più aggressivo.

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SCOPO DELLA TESI

Lo scopo della presente tesi è stato quello di analizzare le fasi della gestione dei pazienti con sepsi/sepsi severa/shock settico che dal Pronto Soccorso vengono ricoverati presso la Terapia Sub-Intensiva della Medicina d'Urgenza. In particolare, è stata valutata l’applicazione delle linee guida secondo la Surviving Sepsis Campaign per la diagnosi e il trattamento precoce dei pazienti in Pronto Soccorso.

Sono stati calcolati, inoltre, per ciascun paziente sia il SAPS II score che il MEDS score con lo scopo di: 1) verificare l’eventuale sovrapposizione dei risultati con quelli presenti in letteratura; 2) valutare l’utilità degli stessi score per stabilire la gravità del quadro clinico e la collocazione del paziente nell’intensità di cura più appropriata.

MATERIALI E METODI

E' stata fatta un’analisi retrospettiva delle cartelle mediche dei pazienti ricoverati con diagnosi di sepsi/sepsi severa/shock settico nel biennio 2013-2014 fino al marzo 2015 presso il reparto di Terapia Sub-Intensiva della U.O. di Medicina d’Urgenza Ospedaliera provenienti dal Pronto Soccorso del Presidio Ospedaliero di Cisanello.

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RISULTATI

La popolazione in esame è risultata essere costituita da 119 pazienti: 61

donne e 58 uomini.

L’età media complessiva della popolazione in esame si attesta intorno ai 79

anni, mentre l’età media per sesso è pari a 75 anni per gli uomini e 83 anni per le donne.

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44 Nella stragrande maggioranza dei casi i pazienti presentano delle

comorbidità, distribuite secondo il diagramma seguente:

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45 Dopo l'accesso al Pronto Soccorso i 119 pazienti vengono ricoverati in Terapia Sub-Intensiva rispettivamente con diagnosi di: sepsi (38 pz), sepsi severa (26 pz), shock settico (55 pz), secondo l’applicazione dei criteri diagnostici di Levy (Levy et al Crit Care Med 2003).

La media dei giorni di ricovero in Terapia Sub-Intensiva è pari a 5,49 giorni; in particolare per i pazienti con sepsi si aggira intorno ai 5,76 giorni; 5,52 giorni per i pazienti con sepsi severa e 5,38 per quelli con shock settico.

I pazienti andati incontro a morte risultano essere 52.

I 52 decessi equivalgono, sul totale del campione di 119 pazienti, al 43,7% di cui: il 5,9% sono i pazienti (7 pz) a cui era stata posta la diagnosi di sepsi; il 7,6% (9 pz) quelli con sepsi severa; il 30,26% (36pz) sono pazienti in shock settico.

Soltanto 19 dei 119 pazienti in esame sono stati direttamente dimessi dalla Terapia Sub-Intensiva; 32 pazienti sono stati trasferiti in reparti di medicina interna; solo 2 pazienti hanno richiesto il ricovero in Terapia Intensiva.

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46 Consultando il data base First Aid, sono stati ricercati, dunque, eventuali successivi accessi in Pronto Soccorso dei 67 pazienti (quelli dimessi o trasferiti in altro reparto), considerando un periodo di tempo limitato ai 90 giorni seguenti questo primo ricovero.

Ciò che risulta è che rientrano 11 pazienti, corrispondenti al 16,42% dei sopravvissuti del campione; inoltre 5 di questi presentano lo stesso focolaio infettivo causa del precedente quadro clinico di sepsi.

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47 Abbiamo applicato il SAPS II e il MEDS score ai nostri pazienti. I risultati sono riportati nelle tabelle seguenti:

SAPS II SCORE

Numero dei pazienti N° pz sopravvissuti N° pz deceduti

(%) 0-10 0 0 0 (0%) 11-20 4 3 1 (25%) 21-30 16 13 3 (18,75%) 31-40 35 23 12 (34,29%) 41-50 26 14 12 (46,15%) 51-60 28 11 17 (60,71%) >61 10 3 7 (70%) TOTALE 119 67 52 MEDS SCORE

Numero dei pazienti N° pz sopravvissuti N° pz deceduti

(%) 0-4 3 3 0 (0%) 5-7 18 17 1 (5,56%) 8-12 57 32 25 (43,86%) 13-15 31 13 18 (58,06%) >16 10 2 8 (80%) TOTALE 119 67 52

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DISCUSSIONE

Da una prima analisi si può constatare come la nostra popolazione si distacchi in maniera significativa, per età, dalla popolazione presa in esame nei vari studi presenti in letteratura in merito a tale patologia. In questi, infatti, l’età media della popolazione si aggira intorno ai 60 anni - come negli studi di Rossi et al. e del gruppo EPISEPSIS - contro i 79 anni di età media, calcolata nel nostro campione.

Altra differenza fondamentale è il diverso setting di tali pazienti, essendo per lo più post chirurgici nei dati di letteratura e invece internistici nella nostra popolazione. Ciò rende conto della differenza di età tra i due gruppi di pazienti, che giustifica le numerose comorbidità presenti nella nostra popolazione in esame.

La nostra popolazione presenta in un’elevata percentuale dei casi ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco (prevalentemente su base ischemica), BPCO, encefalopatia vascolare ischemica cronica con grado variabile di decadimento cognitivo, fibrillazione atriale e sindrome da immobilizzazione con ulcere sacrali e calcaneari.

Dato di non poco rilievo è che 24 dei nostri pazienti risultano istituzionalizzati (residenti in RSA) e 16 sono portatori, già al momento dell’accesso in Pronto Soccorso, di catetere vescicale e/o catetere venoso centrale tipo PICC e/o gastrostomia endoscopica percutanea (PEG).

Per quanto concerne l’individuazione del focolaio infettivo, dall’analisi dei dati in Pronto Soccorso e in Terapia Sub-Intensiva, si può evincere come non

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49 emerga alcuna problematica sulla diagnostica strumentale e invece importanti criticità sulla diagnostica di laboratorio: mentre è quasi sempre presente il dosaggio della PCT, risulta difficile, soprattutto in Pronto Soccorso, ottenere prelievi ematici per emocolture e campioni di urine per urinocolture prima di intraprendere antibioticoterapia empirica, come stabilito da protocollo.

Tale condizione viene confermata dalla netta prevalenza delle diagnosi, sia in Pronto Soccorso che in Terapia Sub-Intensiva, riconducibili a un focus infettivo facilmente rilevabile con metodiche di imaging (es. addensamento polmonare, colecistite acuta).

Una chiave di lettura dei dati sopra riportati può essere trovata nel fatto che risulta difficile riuscire attuare una diagnostica di laboratorio di secondo livello in Pronto Soccorso, dato il bacino di utenza dello stesso e la numerosità giornaliera degli accessi.

D’altra parte, alcuni studi presenti in letteratura confermano che in una percentuale variabile, compresa tra il 40 e il 70% dei casi, le emocolture dei pazienti settici risultano negative9, 62.

Per quanto riguarda il destino dei pazienti ricoverati in Sub-Intensiva, pochissimi vengono direttamente dimessi dalla stessa (solo 19 dei 119 pazienti in esame) mentre la maggior parte è trasferita in reparti di medicina interna (32 pz) e soltanto una minoranza (2 pz) viene trasferita verso reparti di intensità di cura superiore (U.O. di Rianimazione); questi ultimi hanno, rispetto alla media, un’età comunque inferiore (media di età pari a 57 anni).

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50 Dallo studio qui condotto è emerso che la mortalità nel reparto di Terapia Sub-Intensiva per i pazienti con diagnosi di sepsi, sepsi severa e shock settico è di una certa entità (il 43,7% del campione), con percentuali proporzionalmente più elevate all’aumentare della gravità della diagnosi. Alla luce di questo e della diminuzione osservata negli ultimi anni del rapporto tra risorse offerte dal sistema sanitario e richieste di accesso in UTI/sub-UTI, è stata avvertita l’esigenza di utilizzare degli strumenti di valutazione complementari al giudizio clinico per quantificare lo stato di gravità dei pazienti critici.

Uno score di gravità del paziente potrebbe essere d’aiuto nell’individuare quei pazienti che necessitano fin dall’inizio di una Terapia Intensiva.

E’ necessario, comunque, aggiungere che nessun sistema di scoring è previsto né raccomandato - almeno per adesso - per la stratificazione del rischio del paziente in stato settico dalla Surviving Sepsis Campaign.

Abbiamo provato ad applicare a tutti i pazienti facenti parte della nostra casistica sia il SAPS II che il MEDS score. I dati ottenuti sono risultati sovrapponibili a quelli presentati in letteratura: l'outcome era favorevole nei pazienti con score più basso mentre la mortalità diventava maggiore in quelli con score più elevati.

Tuttavia non sono risultati di alcuna reale utilità per stabilire quali pazienti inviare subito in Terapia Intensiva e quali nei reparti.

I risultati sono in linea con la natura degli score stessi. Infatti, quando utilizziamo un sistema prognostico per un determinato paziente, sappiamo che la mortalità predetta non è riferita a quello specifico paziente ma a

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51 individui con caratteristiche simili, precedentemente oggetto di studi clinici. Ciò significa che se, per esempio, un paziente con shock settico appartiene ad una categoria in cui la mortalità è pari al 40%, non possiamo sapere se lo stesso fa parte della percentuale dei pazienti che moriranno o di quel 60% di coloro che sopravvivranno.

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CONCLUSIONI

L'analisi dei dati riportati nella presente tesi ed il costante confronto con le evidenze scientifiche ha permesso di evidenziare punti di forza e aree migliorabili nella gestione della sepsi, a partire dal primo approccio in Pronto Soccorso, per proseguire nella Terapia Sub-Intensiva della Medicina d'Urgenza e nei reparti di destinazione.

L'applicazione delle linee guida suggerite dalla Surviving Sepsis Campaign sicuramente dà risultati buoni in termini di sopravvivenza, a patto che ciò venga fatto tempestivamente in Pronto Soccorso, prima, e Terapia Sub-Intensiva, poi, consentendo un'adeguatezza di trattamento e un risparmio di energie e risorse nell'esecuzione della diagnostica mirata, nei tempi e nei modi più opportuni.

Una importante considerazione deriva dal fatto che gli studi condotti e i protocolli di gestione della sepsi fanno riferimento, da un lato, a una popolazione completamente diversa dalla nostra, in termini di età e comorbidità, dall'altro, a un contesto, quello delle Terapie Intensive, con risorse maggiori rispetto a quelle in cui ci troviamo normalmente ad agire. A tutto questo possiamo verosimilmente ricondurre alcune incongruenze evidenziate. Tuttavia, è possibile anche prospettare un futuro in cui la sepsi possa essere gestita nel modo più adeguato in un setting nuovo, la Terapia Sub-Intensiva della Medicina d'Urgenza, e in una fetta di popolazione, quella geriatrica, che, comunque, non troverebbe risposta in una più elevata intensità di cura.

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