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Il pellegrino, il narratore, l’autore

Nei primi tre canti di ciascuna cantica della Commedia ci si trova in limine, come

all’inizio di un romanzo, e, rispetto al viaggio di Dante nell’aldilà, all’inizio di ciascuno dei tre regni. Il poeta, perciò, vi compie tutta una serie di operazioni indispensabili per dare senso al mondo possibile rappresentato nel testo62, motivo per cui i primi tre canti di Inferno, Purgatorio e Paradiso appaiono dei luoghi privilegiati per osservare e

cogliere il ruolo dell’autore, narratore e personaggio Dante Alighieri.

Nella lettura del poema è immediatamente constatabile la prevalenza della funzione narrativa, per cui il narratore racconta in prima persona i fatti a lui accaduti al tempo passato, riportandoli attraverso il suo ricordo:

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant’è amara che poco è più morte;

ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai,

tant’ era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai.

If. I, 1-12

Mentre egli dice mi ritrovai riferisce inoltre al lettore che il ricordare è

un’esperienza dura. Si tratta, evidentemente, non soltanto del ricordo di una vicenda

oramai accaduta, ma di un’implicita riproposizione dell’esperienza che si ravviva alla memoria nel presente, che nel pensier rinova la paura.

Immediatamente, emerge il dato che chi racconta obbedisce a un compito di cui è stato investito; raccontare ha infatti lo scopo di trattar del ben ch’i’ vi trovai: perciò,

nonostante la fatica del ricordo e la difficoltà a dire, io non so ben ridir, il narratore

accetta l’avventura dello scrivere ottemperando al compito affidatogli.

62 Cfr. GIULIANA ADAMO, Riflessioni su inizi e fini di romanzi nella critica novecentesca, «The Italianist» XIX(1999), pp. 318-348.

All’inizio dell’opera il lettore si trova dinanzi a nient’altro che a una vicenda biografica eccezionale. Ma la novità assoluta del racconto si manifesta verso la metà del primo canto. Il canto I dell’Inferno consta di 146 versi e al v. 63 (chi per lungo silenzio parea fioco) si introduce sulla scena Virgilio. Prima, il racconto, sebbene singolare, non

essendo consueto l’incontro consecutivo con una lonza, una lupa e un leone, si era presentato nell’ordine di fatti possibili nella vita terrena; con Virgilio, invece, avviene un salto sul piano del significato, poiché fa ingresso dentro il tempo e lo spazio della vita terrena del personaggio la realtà soprannaturale. E le parole del protagonista lo presentono:

Quando vidi costui nel gran diserto, «Miserere di me», gridai a lui,

«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».

If. I, 64-66

L’intuizione che colui che egli incontra nel gran diserto sia uno spirito prende alla

sprovvista il lettore, poiché la vicenda è raccontata come realmente accaduta.

Sul piano temporale è rilevabile una prima differenza tra chi racconta in prima persona al tempo passato, dicendo vidi, gridai e il personaggio che dice Miserere di me,

/ qual che tu sii, od ombra od omo certo. L’uso della forma dialogica e

contemporaneamente del tempo presente, sortiscono l’effetto di generare una riattualizzazione della vicenda. Ed è proprio la veridicità del racconto a stabilire il nesso inscindibile tra chi narra e chi ha vissuto la vicenda inaudita della visione.

Il fatto peculiare consiste nell’essere il protagonista un poeta scriba Dei.

Ciò pone l’avvenimento della visione e del racconto su un piano assolutamente unico. È esemplificativo, in proposito, quanto Contini afferma sull’io del protagonista, a commento di un canto del Purgatorio fondamentale, per la vicenda poetica del

personaggio Dante, quale è il XXIV.

Il viaggio compete all’io storico che è io poeta, e tutta la poesia, l’abbiamo udito nella confessione a Bonagiunta, è poesia d’amore. Ogni tappa e sosta del suo viaggio oltreterreno è una modalità del suo io antico vittoriosamente attraversata, quei suoi interlocutori sono loro, storici, e sono altro simbolo e funzione. Anche in loro dunque si attua la duplicità di piano che qualifica Dante, e a suo specchio Beatrice. Se un’analisi strutturale è corretta, essa si riflette dal macrocosmo al microcosmo. La sua validità, verificata ora nel particolare, è una preziosa prova del nove all’interpretazione generale63.

63

L’io in cui ci si imbatte lungo il poema è l’io di un personaggio poeta e da ciò consegue una serie di fatti che rendono eccezionale l’analisi del testo della Commedia.

Si osservi l’alternarsi delle voci che parlano in prima persona nei primi tre canti di ciascuna cantica, quando anche si annoverino le sole occorrenze di io e della relativa

forma tronca, i’, a cui si dovrebbero aggiungere tutti quei casi in cui il pronome è

sottinteso64.

Anche minimi e sommari rilievi statistici sul testo permettono di affermare che il racconto che si svolge sul piano dialogico vede prepotentemente affermarsi l’identità di qualcuno che è contemporaneamente colui che ha vissuto la vicenda e che, inoltre, la rivive essendo emotivamente e affettivamente coinvolto con ciò che narra e riferisce per vocazione divina.

Per comprendere ciò, basta riflettere sulla tradizione del titolo del poema,

Commedia di Dante Alighieri. Né è trascurabile che già i più antichi commentatori

avvertissero la necessità di completare il titolo dell’opera con una determinazione aggettivale; come Guido da Pisa che la qualifica, altissima e profondissima Commedia,

fino all’edizione di Ludovico Dolce, Divina Commedia. Argomenta Lino Pertile a

proposito del titolo:

Ma dove sta scritto e chi ci garantisce che il poema s’intitoli semplicemente

Comedia? La titolazione data nell’Epistola a Cangrande (c. 28), come anche nelle

antiche rubriche dei manoscritti del poema, è Incipit Comedia Dantis Alagherii,

florentini natione, non moribus. La tradizione ha eliminato non solo il solito Incipit, ma

anche, come un semplice e ridondante genitivo d’autore, quel Dantis Alagherii con l’apposizione che segue. E se fosse invece quel genitivo, per lectio difficilior, ‘genitivo di attore’, o di personaggio protagonista, alla maniera, per esempio, di un jeu d’Adam o di un Roman d’Eneas? Dopotutto, più straordinaria della storia stessa è la sua pretesa di corrispondere in tutto e per tutto, specialmente dove potrebbe sembrare più inverosimile,

64 Nel primo canto dell’Inferno si dice io 20 volte, e in sole 3 occasioni si tratta di Virgilio, ai vv. 112- 113-125, le altre 17 si tratta di Dante. Nel secondo canto io occorre 29 volte, di cui 9 in relazione a Beatrice, ai vv. 65-66-69-70-87-91-95-99-101 e 7 in relazione a Virgilio, ai vv. 43-50-50-52-54-75- 111. Nel terzo canto sono 16 le occorrenze, di cui al v. 8, in riferimento alla giustizia divina che ha creato l’Inferno, 13 in relazione a Dante ai vv. 12-20-24-31-32-43-52-56-58-69-70-72-87, mentre una sola volta si tratta di Virgilio al v.16 e un’altra di Caronte al v. 83. Nel primo canto del Purgatorio, delle 10 occorrenze di io, 6 son riferite a Dante, ai vv. 17-22-28-39-109-126, altre 3, a Virgilio, ai vv. 61-63-67, e al v. 86 a Catone. Delle 15 volte nel secondo canto, 13 rinviano a Dante (vv.8-16-19-68- 76-84-85-92-92-93-106-115-130), le altre 2 a Casella (vv. 88-100). Nel terzo canto, delle 19 occorrenze 4 sono relative a Virgilio ai vv. 24-26-43-75, 4 in relazione a Manfredi, ai vv. 112, 114, 118, 119, me restanti 11 rimandano a Dante ai vv. 4-5-19-20-57-61-68-85-94-106-109. Delle 12 volte del primo canto del Paradiso (vv. 5-10-24-58-59-65-73-85-87-94-99-109) una sola, al v. 109, concerne Beatrice, le altre sono relative a Dante. Delle 8 volte del secondo canto ai vv. 7-22-27-46-59-63 si tratta di Dante, mentre ai vv. 63-83-124, invece di Beatrice. Nel terzo canto le occorrenze sono 11, ai vv. 45, 49, 112 si tratta di Piccarda, al solo v. 25 di Beatrice, mentre ai vv. 4-16-17-19-34-58-94 si tratta di Dante.

all’esperienza autentica di un uomo in carne e ossa, tuttora vivo e vegeto, che ne è protagonista e narratore, agens e auctor. Questa potrebbe appunto essere la duplice funzione del nome che il titolo latino catturerebbe con un solo genitivo65.

Gli altri io che si incontrano sono sempre funzionali al protagonista. È più marcata

la presenza delle guide che parlano in prima persona ma sempre funzionalmente al personaggio principale. Vi si aggiungono le altre anime che mai intervengono per raccontare una vicenda fine a se stessa, ma per rispondere e obbedire ad un piano divino predefinito, il quale vuole che Dante si salvi attraverso il percorso nei tre regni conoscendo lo status animorum. Negli incontri con le anime che conversano con il

pellegrino si evidenzia sempre che, nel caso dei dannati e dei purganti, è concessa loro una sosta dalla pena affinché dialoghino con Dante, perché la volontà divina lo ha previsto; così, anche in Paradiso, i beati interagiscono col poeta in virtù dell’amore di

Dio che a loro lo richiede e a cui essi obbediscono con letizia. Se si osserva la distribuzione degli interventi del narratore, dell’autore e dell’actor nei primi tre canti

delle tre cantiche, considerando narratore semplicemente colui che fa l’atto di ricordare, e personaggio colui che agisce in prima persona nel racconto, si rilevano le seguenti caratteristiche.

Nella prima cantica, metà dei canti I e II è occupata dagli interventi del narratore66, mentre nel canto II, tra la successione degli interventi del narratore e del personaggio si inserisce anche il racconto di Virgilio, narratore secondario67.

Alternando parti dialogate a parti narrate, il narratore raccorda il suo passato al presente, e tale raccordo è rappresentato da colui che ora dice al lettore, io vidi.

L’epigrafe sulla porta dell’Inferno, ai vv. 1-9 del canto III svolge un ruolo

interessante sul piano del tema specifico dell’autore. Nella famosa scritta, in tre terzine, è presentata la giustificazione dell’Inferno, regno voluto da Dio in quanto Giustizia.

65 Cfr. LINO PERTILE, Dante tra il dire e il fare, in Sotto il segno di Dante: scritti in onore di Francesco

Mazzoni, a cura di Leonella Coglievina e di Domenico De Robertis, Le Lettere, Firenze 1998, p. 246.

66 Nel canto I dell’Inferno, gli interventi del narratore occupano metà del canto (vv. 1-64, 136); cui seguono quelli del Dante personaggio (vv. 65-66; 79-90; 130-135) e quelli di Virgilio (ai vv. 67-78; 91-129). Gran parte di questo canto è pertanto occupata dal narratore che ricorda e racconta.Nel canto III dell’Inferno il ruolo del narratore è preponderante, trattandosi del canto d’ingresso nel regno e quindi di un luogo descrittivo privilegiato (vv. 10-13; 19-30; 52-72; 76-81; 91-117; 127-133); il resto del canto si svolge nel dialogo tra la guida Virgilio (vv. 14-18; 34-42; 45-51; 73-75; 118-126), Dante personaggio (vv. 12; 31-32; 43-45) e il nocchiero infernale Caronte (vv. 81-90).

67 La voce di Virgilio narratore secondario dell’antefatto che lo ha condotto in soccorso a Dante nella selva oscura è riscontrabile al v. 43, al v. 57 e al v. 75; oltre al dialogo fra i personaggi Virgilio e Beatrice, rispettivamente ai vv. 76-84; 115-126 e ai vv. 76-84, 85-114. Dante personaggio prende la parola solo a conclusione del canto per dare il suo nuovo consenso, mentre l’invocazione alle Muse (vv. 7-9) è da attribuire all’autore.

Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore;

fecemi la divina podestate,

la somma sapïenza e ’l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create

se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.

If. III, 1-9

Si tratta del primo incontro diretto tra il personaggio e la Giustizia divina che prima gli si è rivelata indirettamente attraverso Virgilio, garante, nella sua autorità di guida, del racconto della discesa di Beatrice nel Limbo e della premura delle tre donne benedette. I nove versi della scritta si presentano dunque come un’epigrafe ad opera di Dio. È la prima volta che Dante si presenta come scriba Dei, come colui che registra

parole scritte da Dio.

La scritta si offre al lettore allo stesso modo in cui si offre al personaggio. Non vi è nulla che la introduca; solo in un secondo momento il lettore scopre che si tratta di parole poste sulla sommità dell’ingresso dell’Inferno. L’impatto sortisce l’effetto di far

parlare in prima persona proprio l’Inferno. Il per me anaforico dei primi tre versi, che

significa attraverso di me, si riferisce alla porta del regno infernale, che dichiara la sua esistenza come voluta necessariamente dalla giustizia divina (Giustizia mosse il mio alto fattore al v. 4), come anche tutti i successivi pronomi personali si riferiscono all’Inferno

che giustifica la sua esistenza come voluta dalla Giustizia divina.

L’Inferno è un luogo che raffigura lo stato delle anime dannate, non è una persona

individuale; è Dio infatti ad avere scritto quel verdetto. La scritta è anche il primo tentativo di far ricadere l’esperienza del personaggio nell’esperienza presente del lettore. Ma ciò pone di fronte a tutte quelle occasioni in cui una verità ultima viene rivelata al pellegrino circa il mondo dell’aldilà e quindi circa l’uomo e la sua natura.

Di norma sono le guide a svolgere il compito di dare spiegazioni dottrinali al poeta sui tre regni, sull’universo o sulla condizione della natura umana. Le profezie sulla vita personale del poeta sono affidate anche ad anime a lui particolarmente care, nelle cui parole echeggia la parola dell’autore: le rivelazioni fatte a Dante provengono dalle anime dell’aldilà che non vedono più le circostanze terrene per speculum, come

dice San Paolo: Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò

perfettamente, come anch’io sono sconosciuto68, poiché nella morte eterna dell’Inferno

o nella vita eterna del Paradiso si vede direttamente la verità ultima secondo i disegni di

Dio. Le guide sono predisposte da Dio all’itinerarium del poeta e al suo percorso di

conoscenza che progressivamente si avvicina a Dio.

Ai vv. 10-12 di If. III è il narratore che accusa l’effetto sortito in lui dalla scritta

sulla porta, e sue son le parole di disappunto e interrogazione rivolte alla guida. Alla risposta di Virgilio, fino al v. 18, seguono i vv. 19-30, dove il narratore racconta l’ingresso nell’Inferno, come pure la domanda di Dante personaggio è affidata al

narratore.

Queste parole di colore oscuro

Vid’ ïo scritte al sommo d’una porta; per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro».

If. III, 10-12

Nella seconda cantica si susseguono, allo stesso modo, parti narrate a parti dialogate. Nel primo canto del Purgatorio, il proemio (vv. 1-12) è più lungo di quello

relativo alla cantica infernale; vi si proclama la materia del secondo regno e si invocano le Muse, in particolare, Caliopè, la musa dell’Epica69. Nel terzo canto, nel lungo intervento del personaggio di Manfredi sulla misericordia divina, in contrasto con quella umana, è ravvisabile il coinvolgimento dell’autore, che conosce come Dio la legge eterna.

Nella terza cantica la materia si innalza, perciò sono più frequenti i discorsi dottrinali, affidati per lo più alla guida di Beatrice ma anche ad altri personaggi, in cui è riconoscibile l’autore70.

68 1 Cor. 13, 12: Videmus enim nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem; nunc

cognosco ex parte, tunc autem cognoscam, sicut et cognitus sum.

69

Nel canto I del Purgatorio gli interventi del narratore sono ai vv. 12-39; 42; 49-51; 109-111; 115-136; si svolge poi un lungo dialogo tra Virgilio (vv. 52-84); e Catone (vv. 40-41; 43-48; 85-108). Nel canto II del Purgatorio, all’esordio del narratore (vv. 1-27; 37-59; 67-87; 112-119; 124-133) seguono le parti dialogate tra Virgilio (vv. 28-36; 61-66), l’anima purgante di Casella (vv. 59-60; 88-90; 94-105) e Dante personaggio (90-93; 106-111), e, infine, Catone (vv. 120-123). Nel canto III del Purgatorio, oltre agli interventi del narratore (vv. 1-21; 44-45; 46-51; 53; 55-60; 64-65; 67-72; 79-93; 106-111), Virgilio dialoga con Dante e i purganti (vv. 22; 52; 54; 66; 73-78; 61-63; 94-99; 100-102), mentre ai vv. 24-44, tratta della condizione delle anime del Limbo e del mistero dell’incarnazione. Ai vv. 103- 105; 110; 112-145 si trova il discorso di Manfredi mentre Dante personaggio interviene solo ai vv. 61- 63.

70 Nel canto I del Paradiso, all’esordio della voce narrante (vv. 1-12), segue, in 8 terzine la parola dell’autore circa l’opera e i suoi intenti. Ai versi 37-88; e 100-102, il narratore riferisce la sublime esperienza della visione del terzo regno e si interrompe solo ai vv. 70-72, in cui è piuttosto l’autore che

Tirando essenzialmente le fila dalle precedenti rilevazioni, si constata che la presenza del Dante narratore domina, ad eccezione che nel II canto dell’Inferno e nel I

del Paradiso. Nel caso del canto infernale, gran parte del racconto è delegata a Virgilio

e a Beatrice che dialoga con lui, la quale è a sua volta narratrice della scena celeste di cui sono protagoniste la Madonna e santa Lucia. Nel primo canto del Paradiso, invece,

la presenza del narratore si mescola a quella autoriale del proemio. I primi 18 versi di

Pd. II esprimono il monito dell’autore nei confronti del lettore, affinché questi prenda

consapevolezza del notevole innalzamento stilistico della materia, dovuto alla nuova fase della conversione a cui il personaggio è destinato. Dante avverte espressamente che la cantica è riservata a lettori privilegiati, che si siano cibati del pan degli angeli, mentre

chi presuma di inoltrarsi nella cantica in piccioletta barca è meglio che si faccia indietro.

In relazione alla presenza dell’autore in questi canti si può ancora osservare che di norma all’autore si attribuiscono quei luoghi del testo in cui si mostra più palesemente una volontà che ne architetta la struttura e che ordisce la materia, riguardo ai contenuti e ai relativi rimandi nei diversi luoghi del poema. In tante occasioni Dante autore prende il timone della sua poesia, paragonata ad una barca e la conduce, guidando anche il suo lettore. Si attribuiscono all’autore soprattutto i prologhi, in cui canonicamente egli invoca l’ispirazione delle Muse, gli appelli al lettore, le dichiarazioni di resa dinanzi alla materia che progressivamente si innalza, man mano che la visione del pellegrino si avvicina a Dio.

Nei prologhi, Dante autore manifesta la consapevolezza della sua impresa poetica, che cresce man mano egli si inoltra nei regni dell’aldilà. L’estensione dei prologhi via via nei tre regni corrisponde alla crescente impresa: nell’Inferno, il prologo occupa una

terzina (If. II, 7-9), nel Purgatorio due terzine (Pg. II, 7-12), nel Paradiso, otto terzine

si appella al lettore. Dopo i versi 37-45, che descrivono la posizione del cielo è -mezzogiorno e il sole in questo emisfero è allo zenith- al v. 46, inizia il racconto della visione del pellegrino avviene attraverso gli occhi di Beatrice che fissa il sole, svolto per via di similitudini: ai vv. 48-51, quella fisica, relativa al raggio riflesso e raggio d’incidenza, e ai vv. 67-69, quella mitologica, relativa a Glauco. Ai vv. 73-81, Dante narratore si rivolge a Dio, e nei successivi 82-88 descrive il luogo ove la visione lo ha condotto. In verità, Beatrice che spiega al pellegrino l’ordine dell’universo, ai vv. 88-93 e 102-142, coinvolge la voce dell’autore che rispecchia l’onniscienza divina nell’illuminare il lettore. Dante personaggio è unicamente rintracciabile ai vv. 94-97; 97-99. Nel canto II del Paradiso i versi 1- 18 sono attribuibili all’autore, mentre in quelli successivi è la voce del narratore a subentrare, specie ai vv. 31-45, dove si affronta il tema dell’incarnazione, mentre Dante personaggio affiora nuovamente appena, ai vv. 46-51; 58-60, come pure Beatrice, ai vv. 29-30, mentre ai vv. 52-58; 61-148, Beatrice coinvolge l’autore.Nel canto III del Paradiso sono riconducibili al narratore i vv. 1-24, 34-36; 42; 66- 69; 88-96; 121-130; a Beatrice, i vv. 25-33; a Dante personaggio, i vv. 37-41 e vv. 58-66, al personaggio Piccarda i vv. 43-57; 70-87; 97-120.

(Pd. I, 13-36), a cui si aggiunge un ulteriore prologo del canto II, di una terzina (Pd. II,

7-9), definito il prologo poetico ed intellettuale della terza cantica, con cui si ribadisce

che per la comprensione di una materia tanto ardua è necessaria un’ispirazione trina, che

Minerva spiri, che Appollo guidi il poeta, conducemi, e che le nove Muse gli indichino

la strada, mi dimostran l’Orse.

In tutti e tre i prologhi sono invocate le Muse quali ispiratrici della poesia. Nell’Inferno, egli si appella anche al suo ingegno e alla sua mente, riconoscendone la

limitatezza umana ma anche la necessità che essa si sottoponga alla fatica da sostenere, in quanto egli scrive ciò che vide: o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, / qui si parrà la tua nobilitate (If. II, 8-9). Le Muse, figlie della memoria, mettono in evidenza che tale

facoltà è particolarmente importante nell’atto della scrittura del poema. In tutte e tre le

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