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Il primo regno

La prima connotazione del regno infernale332 riguarda i dannati che Virgilio

definisce spiriti dolenti. Il regno è presentato secondo la condizione delle anime che lo

abitano:

ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, ch’a la seconda morte ciascun grida

If. I, 115-117

Ma l’impatto più forte è quello della porta infernale, la cui scritta dal tono perentorio immobilizza il pellegrino mettendolo da subito davanti alla realtà disperata e di non ritorno dell’Inferno:

Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore;

fecemi la divina podestate,

la somma sapïenza e ’l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create

se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch’ intrate.

If. III, 1-9

L’accento cade sulla parola dolore; si parla di città dolente, di etterno dolore e di perduta gente, ma si precisa che l’Inferno è stato creato per giustizia dalle tre Persone

Divine: la divina podestate, la somma sapïenza e ’l primo amore. L’Inferno sottostà,

quindi, alla podestà di Dio, quello imperador che là sù regna (If. I, 124), e la giustizia è

il motivo e lo scopo della sua esistenza, ciò che muove Dio a crearlo.

Superata la porta infernale, l’ingresso nel regno è descritto attraverso i suoni percepiti dal visitatore; essi riportano tutti a una situazione di terribile dolore, dove Dante privilegia i fenomeni uditivi rispetto alla vista:

Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai.

332 La parola Inferno ha 29 occorrenze nell’opera: If. I, 109-110; If. V, 10-12; If. VI, 84; If. X, 36; If. XVI, 33; If. XVIII, 1; If. XXV, 3; If. XXVIII, 50; If. XXIX, 96; If. XXXIV, 81; Pg. I, 129; Pg. VII, 21; Pg. XXI, 32; Pd. VI, 74; Pd. XX, 106; Pd. XXXI, 81; Pd. XXXII, 33.

Diverse lingue, orribili favelle,

parole di dolore, accenti d’ira,

voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s’aggira

sempre in quell' aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira.

If. III, 22-30

In seguito si parla ancora dell’Inferno come doloroso ospizio333, di dolenti note334, di luogo dove molto pianto mi percuote335, e più avanti di dolenti case336, trista conca337,

tristo buco338, doloroso regno339. Ma si dice anche, la trista riviera d’Acheronte340. Anche il Purgatorio sarà detto da Virgilio dolente regno341 e se ne registreranno i

lamenti feroci342, ma disperazione e dolore343 contraddistinguono l’Inferno, poiché si

tratta di un dolore sempre connesso all’assenza di ogni speranza, bandita per sempre.

Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate e poiché la pena e i tormenti saranno eterni, io etterno duro, quella speranza è invece caratteristica del Purgatorio, e vederai color che son contenti / nel foco, perché speran di venire alle beate genti344. Il luogo infernale è

definito dalle categorie del basso, del buio e della confusione. L’Inferno è una voragine

a cui si accede una volta attraversata la porta e di cui si avverte il poeta, non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!345 ovvero ìl cui sogliare a nessuno è negato (If. XIV, 86).

L’origine del luogo fisico, come si sa, è la caduta di Lucifero sulla terra dall’emisfero meridionale; caduta a cui Virgilio dà una spiegazione razionale che chiarisce gli effetti della ribellione dell’angelo sull’intera creazione, quale pretesa vittoria e antitesi del male da lui commesso sul bene. Nel momento della creazione il mondo è diviso in due 333 If. V, 16. 334 Ivi, V, 25. 335 Ivi, V, 28. 336 Ivi, VIII, 120. 337 Ivi, IX, 16. 338 Ivi, XXXII, 1-3. 339 Ivi, XXXIV, 28. 340 Ivi, III, 75. 341 Pg. VII, 22. 342 Ivi, XII, 114.

343 Nell’Inferno Dolor ha 12 occorrenze: If. V, 3; If. XI, 27; If. XIII, 102; If. XVIII, 84; If. XXIII, 98; If. XXVII, 12; If. XXIX, 46; If. XXX, 21; If. XXXIII, 5; If. XXXIII, 58; If. XXXIII, 75. Dolore 5 occorrenze: If. III, 2; If. III, 26; If. V, 121; If. XIII, 102; If. XIV, 39. Dolente 8 occorrenze: If. III, 1; If. VI, 46; If. VII, 17; If. IX, 32; If. XXII, 145; If. XXVII, 121; If. XXVIII, 9; If. XXVIII, 40. Dolenti 8 occorrenze: If. I, 116; If. V, 25; If. VIII, 120; If. IX, 126; If. XIII, 129; If. XXI, 135; If. XXXII, 35; If. XXXIV, 57. Doloroso 6 occorrenze: If. III, 17; If. V, 16; If. V, 114; If. XIII, 138, If. XVII, 53; If. XXXIII, 56; If. XXXIV, 28. Dolorosa 4 occorrenze: If. IV, 8; If. XIV, 10; If. XXX, 19; If. XXXI, 16.

Dolorose una volta; If. III, 17; e dolorosi una volta: If. XII, 108.

344 If. I, 118-120. 345

emisferi, di cui quello australe occupa la parte superiore sovrastata dall’Empireo. In esso si trovano l’Eden e tutte le terre emerse. La ribellione e la conseguente caduta di Lucifero comportano però un rovesciamento del creato: nell’emisfero australe resterà solo la montagna del Purgatorio, mentre le terre si inabissano, si apre la voragine

infernale e le terre emergono nell’emisfero boreale, al cui centro è Gerusalemme. Qui ha sede l’uomo che, in quanto peccatore, vive in un mondo rovesciato; ma questo luogo è anche lo spazio dell’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo. Fra la terra e l’Eden si è riaperta una via; lungo questa via si compie il viaggio di Dante che, coincidendo con il recupero dell’uomo, acquista un valore universale.

Qui è da man, quando di là è sera; e questi, che ne fé scala col pelo, fitto è ancora sì come prim’ era. Da questa parte cadde giù dal cielo;

e la terra, che pria di qua si sporse, per paura di lui fé del mar velo,

If. XXXIV, 118-123

Dall’emisfero meridionale, Lucifero cadde giù dal cielo, sì che la terra, prima emersa, per paura del contatto con esso, si rifugiò sotto il mare, emergendo di sotto al nostro emisfero nelle superfici attualmente abitate:

e venne a l’emisperio nostro; e forse per fuggir lui lasciò qui loco vòto quella ch' appar di qua, e sù ricorse».

If. XXXIV, 124-126

Di conseguenza, la terra emersa per allontanarsi il più possibile da lui, vi lasciò una cavità e si protese verso l’alto, dando origine al Purgatorio.

Luogo è là giù da Belzebù remoto tanto quanto la tomba si distende, che non per vista, ma per suono è noto

If. XXXIV, 127-129

In questo racconto, che sta all’origine della formazione fisica dei primi due regni, il poeta innesta un grandioso mito cosmico. Dalla Bibbia346 Dante sapeva della caduta di Lucifero dall’alto cielo, là dove la tradizione aristotelico-averroistica tramandava che l’emisfero australe fosse il più nobile e che i mari e le terre emerse si fossero nel corso

346

dei millenni scambiate le rispettive posizioni. A partire da questi semplici elementi il poeta immaginò il suo dramma cosmico. Collocato l’Empireo dalla parte dell’Emisfero più nobile, precipitando a testa in giù, Lucifero urtò la terra, che allora occupava quell’emisfero, e questa, spaventata, si ritrasse dinanzi a lui, rifugiandosi sotto le acque, e andando a riempire di sé l’altro emisfero. Lucifero restò confitto al centro, sì che la metà inferiore della sua persona restò nell’emisfero australe, e quella superiore nel nostro. Ma, per effetto della sua caduta, avvenne anche un altro grandioso movimento della terra. Pur allontanandosi questa da Lucifero quanto più le fu possibile, la sua parte estrema, muovendosi in direzione opposta, risalì verso la superficie dell’emisfero australe: questa materia formò l’isola del Paradiso Terrestre, dove poi ebbe sede il

Purgatorio, mentre il vuoto da essa lasciato nelle viscere della terra è appunto la grotta

in cui i due poeti vengono a trovarsi, una volta abbandonato il corpo di Lucifero. L’orrore che Lucifero desta ci è dunque comunicato, oltre e più che dalla rappresentazione diretta della figura, dall’immagine di tutta la terra che non vuole stargli a contatto; l’idea della sua immensità corporea è ribadita dal movimento della materia in opposta direzione, se una parte di questa basta a formare una montagna; l’enormità del suo peccato fa eco con spavento che egli comunica non solo agli uomini ma alla materia bruta. Nella concezione dantesca, Lucifero occupa il punto più lontano da Dio, lungo la linea ideale che parte dall’Empireo; passa per il centro dell’Eden, là dove Adamo, per suggestione di Lucifero, peccò, e costituisce poi l’asse del cono infernale, giungendo sotto a Gerusalemme, là dove Cristo morì, l’uom che nacque e visse sanza pecca (If. XXXIV 115). La cavità infernale, pertanto, è denominata con

definizioni riconducibili alla categoria del basso (tra cui la più frequente è valle, abisso, bassura coperta della selva347, lo fondo, selva fonda348, fondo d’ogne reo349, lo fondo che divora Lucifero con Giuda350, fessura351, tristo buco352, ’l punto / al qual si traggon d'ogne parte i pesi353), nella prima cantica, mentre nella seconda cantica è profonda notte, valle inferna, l'infernale ambascia. L’abisso, sia nel senso di oscurità che nel

347 If. XV, 50. 348 Ivi, XX, 129. 349 Ivi, XXXI, 102. 350 Ivi, XXXI, 142-143. 351 Ivi, XXI, 4. 352 Ivi, XXXII, 2. 353 Ivi,. XXXIV, 111.

senso di profondità imperscrutabile, è un’altra parola chiave354. Esso è descritto attraverso la gamma semantica del buio sin dall’aggettivo oscura con cui si designa la selva, e con perifrasi quali, l’aere sanza stelle355, l’aura sanza tempo tinta356, loco d’ogne luce muto357, o espressioni come il cupo, cieco mondo, luoghi bui, pozzo scuro e

in Purgatorio, profonda notte / che sempre nera fa la valle inferna358, buio d’inferno, profonda notte d’ i veri morti.

Vero è che ’n su la proda mi trovai de la valle d'abisso dolorosa che ’ntrono accoglie d’infiniti guai.

Oscura e profonda era e nebulosa

tanto che, per ficcar lo viso a fondo, io non vi discernea alcuna cosa

If. IV, 7-12

Un’altra parola chiave della prima cantica è la parola cieco359, con l’accezione di sotterraneo, in Pg. I, 40, e di tenebroso, col quale sostanzialmente si intende un luogo

privo della luce, che in senso morale sta per offuscamento intellettuale, dovuto alle tenebre del peccato. L’idea della voragine infernale, che man mano si procede, si restringe, fino al punto dove è conficcato Lucifero e, soprattutto, il concetto di una dannazione eterna vengono, inoltre, associati all’idea dell’Inferno come carcere360, ricorrente, in specie, in Purgatorio, la cui pena da scontare a scadenza, contrasta con le

pene eterne, la pregione etterna, carcere cieco361. Altre volte, le connotazioni fisiche si mescolano a quelle morali del regno del male: campo maligno, mal mondo, ’l cammino è malvagio, mar sì crudele, sucidume. I dannati sono gli spiriti dolenti, ch’a la seconda morte ciascun grida, il mal seme d’Adamo, quelli che muoion ne l’ira di Dio, le genti dolorose c’hanno perduto il ben de l'intelletto, spirti maladetti, gente maledetta362, mal creata plebe.

354

Ivi, IV, 8. de la valle d’abisso dolorosa; If. IV, 24 nel primo cerchio che l’abisso cigne; If. XI, 5 del

puzzo che ’l profondo abisso gitta; If. XXXIV, 100; Prima ch’io de l’abisso mi divella; Pg. I, 46 Son le leggi d'abisso così rotte?; Pg. VI, 121 O è preparazion che ne l’abisso; Pg. VI, 121 O è preparazion che ne l’abisso; Pd. VII, 94 Ficca mo l’occhio per entro l'abisso; Pd. XXI 94 però che sì s’innoltra ne lo abisso. 355 Ivi, III, 23. 356 Ivi, III, 29. 357 Ivi, V, 28. 358 Pg. I, 44-45.

359 If. IV, 13; If. X, 58; If. XXVII, 25; Pg. I, 40; Pg. XXII, 103; Pg. XXVI, 58. 360 Ivi, X, 59; If. XXXIII, 56.

361 Pg. XXII, 103. 362

Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti, ratto che ’nteser le parole crude. Bestemmiavano Dio e lor parenti,

l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme di lor semenza e di lor nascimenti.

Poi si ritrasser tutte quante insieme, forte piangendo, a la riva malvagia ch’attende ciascun uom che Dio non teme

If. III, 97-105

È questa la prima descrizione delle anime infernali, lasse e nude, atterrite, impotenti,

dinanzi a un destino improrogabile eterno.

Giunti sulla soglia del baratro infernale, che i due viandanti dovranno attraversare per entrare nel settimo cerchio, Dante e Virgilio sono costretti a fermarsi per il fetore che ne esala. La sosta è utilizzata dall’autore per descrivere la struttura complessiva dell’Inferno, con una spiegazione affidata a Virgilio. Il canto non si limita a una sola

funzione didascalica, ma serve a chiarire la visione integrale che Dante ha del mondo. Il quadro generale consente di comprendere che anche nel mondo del dolore e della disperazione esiste un riflesso di quell’ordine universale, sul quale si fonda l’intera creazione. Ma Virgilio spiega soprattutto a Dante i criteri dell’ordine morale, sui quali si fonda l’ordinamento dell’Inferno. La struttura morale dell’Inferno si basa sull’Etica

nicomachea di Aristotele, che, all’altezza della scrittura della Commedia, risultava di

recente commentata. Essa si fonda, dunque, sulla morale pagana, cioè propria dell’uomo in base alla sua natura, al cui vertice è la giustizia. Il Purgatorio, invece, sarà ordinato

secondo i peccati e le virtù propriamente cristiani. Alla base della sua costruzione vi è, infatti, una gerarchia di disposizioni al peccato che nel canto XVII del Purgatorio

designerà gli spiriti salvati. E l’ordinamento delle sette balze corrisponde tanto più all’armonia con cui sono ideati i nove cieli. Si discute se Dante si sia rifatto alla tripartizione dell’Etica in malitia, incontinentia, matta bestialitas o abbia ridotta questa

alla duplicità dei peccati d’incontinenza (eccesso nell’aderire a istinti in sé naturali come l’amore carnale, la gola, il desiderio di ricchezza, il desiderio di beni materiali) e peccati di malizia (violenza e frode), da cui resterebbe fuori la matta bestialità (o eresia, o violenza): la violenza sarebbe in tal caso inclusa nel peccato di malizia visto, tra l’altro, che Dante attribuisce l’epiteto di bestiale a molti peccati363. In particolare, la

363

struttura morale del basso Inferno si rifà ad un passo del De officiis di Cicerone364, per il quale i peccati di violenza e di frode sono distinzioni della malizia che ha per effetto l’iniuria: iniuria fatta per violenza e l’iniuria per via di frode, quest’ultima più grave,

visto che l’uomo vi fa un uso disordinato della ragione.

Più intrinsecamente, il cerchio settimo dei violenti è diviso in tre gironi nei quali sono rispettivamente puniti i violenti contro il prossimo, contro se stessi, contro Dio, natura e arte; mentre la frode può essere esercitata contro chi si fida e contro chi non si fida. La prima è detta semplice, perché infrange solo il naturale vincolo della solidarietà, ed è punita nell’ottavo cerchio (suddiviso in dieci bolge, corrispondenti ad altrettanti tipi di fraudolenti). Molto più grave è l’altra frode, perché distrugge anche il vincolo di parentela e amicizia: è il tradimento, il più grave di tutti i peccati, punito nel nono e ultimo cerchio, diviso in quattro zone. Dante chiede, dunque, al suo maestro perché gli incontinenti, cioè coloro che non hanno saputo frenare le proprie passioni, incontrati nel II, III, IV e V cerchio, si trovino fuori dalla città di Dite. Citando Aristotele, Virgilio gli risponde che i peccati che offendono Dio sono incontinenza, malizia e matta bestialità, di cui il peccato meno grave è quello di incontinenza, perché nasce da un eccesso della forza dell’istinto che travalica i limiti della ragione. Dalla spiegazione dottrinale di Virgilio emerge, quindi, il valore fondamentale della ragione nel primo regno, in base alla quale si opera la principale partizione dell’imbuto tra coloro che stanno fuori e coloro che stanno dentro le mura di Dite:

Ma dimmi: quei de la palude pingue, che mena il vento, e che batte la pioggia, e che s'incontran con sì aspre lingue, perché non dentro da la città roggia

sono ei puniti, se Dio li ha in ira? e se non li ha, perché sono a tal foggia?». Ed elli a me «Perché tanto delira»,

disse, «lo ’ngegno tuo da quel che sòle? o ver la mente dove altrove mira? Non ti rimembra di quelle parole

con le quai la tua Etica pertratta le tre disposizion che 'l ciel non vole, incontenenza, malizia e la matta

bestialitade? e come incontenenza men Dio offende e men biasimo accatta? Se tu riguardi ben questa sentenza,

e rechiti a la mente chi son quelli che sù di fuor sostegnon penitenza, tu vedrai ben perché da questi felli

sien dipartiti, e perché men crucciata 364

la divina vendetta li martelli».

If. XI, 70-90

Il tradimento è il peccato più grave: la frode, ond’ ogne coscïenza è morsa, / può l’omo usare in colui che ’n lui fida / e in quel che fidanza non imborsa. L’inganno verso

colui che si fida perché lo si ama o lo si dovrebbe amare, è la condizione più disonorevole a cui l’uomo può decadere. Di conseguenza, nella ghiaccia infernale stanno coloro che hanno violato il supremo valore dell’Amore dell’uomo, suo valore peculiare quanto la ragione: l’amore, non di natura ma di libera elezione, gratuito e libero, alla pari di quello che governa tutto l’universo, il più prezioso dei beni per cui massima colpa è l’offenderlo365. I dannati sono però anche coloro che vedono come il presbite.

«Noi veggiam, come quei c’ha mala luce, le cose», disse, «che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce. Quando s’appressano o son, tutto è vano

nostro intelletto; e s'altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano. Però comprender puoi che tutta morta

fia nostra conoscenza da quel punto che del futuro fia chiusa la porta».

If. X, 99-108

La mala luce non è solo la vista difettosa dei presbiti, ma simbolicamente

corrisponde all’ingannevole sapere degli eretici, che si illudono di raggiungere la verità senza la luce della fede.

Qual io fui vivo tal son morto, dice Capaneo, in If. XIV, 51, una definizione valida

per tutti i dannati dell’Inferno dantesco366.

Un’altra caratteristica dell’Inferno è che esso è un luogo dove è passato il

Redentore. La discesa di Cristo agli inferi era un articolo di fede diventato dogma nel IV Concilio lateranense del 1215 e nel Concilio di Lione del 1274. Dante mostra di adeguarsi al dogma e introduce l’argomento con un interrogativo che pone a Virgilio nel Limbo in cui domanda se mai alcuno uscì dal Limbo per merito proprio o per merito altrui.

«Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,

365 Cfr. DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, con commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi,

cit., vol. I, If. XI, p. 334. Cfr. Cv. II, III, 11.

366

comincia’ io per voler esser certo di quella fede che vince ogne errore: «uscicci mai alcuno, o per suo merto

o per altrui, che poi fosse beato?».

If. IV, 46-51

La risposta di Virgilio prende posizione anche rispetto alle discussioni poco chiare degli stessi teologi circa le teorie sul Limbo, sui suoi abitanti e sulla liberazione dei patriarchi. Certo è difficile interpretare la domanda di Dante, uscicci mai alcuno, o per suo merto / o per altrui, che poi fosse beato? Per merito proprio o per merito d’altri?

Dice Dante. Con questa espressione egli identifica specificamente due categorie di anime da salvare? La risposta di Virgilio non fa che confermare la teoria di san Tommaso, per cui, con la discesa di Cristo, vennero tratti in salvo dall’Inferno le anime

degli Ebrei credenti nella redenzione futura, esclusi i pargoli innocenti o eventuali altre salvezze accreditate da leggende.

rispuose: «Io era nuovo in questo stato, quando ci vidi venire un possente, con segno di vittoria coronato. Trasseci l’ombra del primo parente,

d'Abèl suo figlio e quella di Noè, di Moïsè legista e ubidente; Abraàm patrïarca e Davìd re,

Israèl con lo padre e co' suoi nati e con Rachele, per cui tanto fé, e altri molti, e feceli beati.

E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi, spiriti umani non eran salvati».

If. IV, 52-63

La risposta di Virgilio che racconta la discesa vittoriosa di Cristo nell’Inferno dice

altresì che il Paradiso inizia a essere popolato da quando Cristo ha redento il mondo.

Prima di questo evento Virgilio sottolinea che spiriti umani non eran salvati. I nomi

fatti da Dante sono quelli di Adamo, Noé, Abele, Mosè, Davide, Israele, e Rachele, uomini dell’alleanza dell’Antico Testamento, che Cristo redense. Ma con loro anche

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