2. La scienza davanti al diritto
2.3 Il pendolo della giurisprudenza italiana
In Italia l’eco della sentenza Daubert non ha tardato a farsi sentire
255. Se
con la sentenza Portomarghera
256nel 2006 la giurisprudenza italiana ha
espressamente aderito al canone della Daubert, in realtà al medesimo risultato
era in parte pervenuta la già citata sentenza Franzese. Nonostante, infatti, il
ricorso a nozioni mutuate dal positivismo logico di Carnap, la massima enunciata
dalle sezioni unite non ha impedito alla giurisprudenza di merito di diluire
l’accertamento del nesso, schermandosi dietro il giudizio di ‘probabilità
254 Ivi, pp. 52-53.
255 Già nel 1990 la Corte di Cassazione pronunciandosi sul disastro di Stava aveva affermato che le leggi della scienza devono «ricevere conferma mediante il ricorso a metodi di prova razionali e controllabili». Cass., Sez. IV penale, 6 dicembre 1990, n. 4793, Bonetti, in Cass. pen., 1992, p. 2726 ss. Sulla problematicità di tale affermazione vale quanto si è detto a proposito di Daubert.
256 Corte di Cassazione, sez. IV penale, sent. 17 maggio 2006, n. 4675, Bartalini et al., in Foro it, 2, 2007, pp. 550 e ss., con nota di R. Guariniello.
logica’
257. Con la significativa differenza, obliata dalla recezione italiana della
Daubert, che il caso statunitense veniva enunciato a conclusione di un giudizio
civile, dunque senza il limite segnato dal diritto americano del ragionevole
dubbio, ed entro il parametro condiviso del più probabile che no
258.
Uno dei settori della responsabilità penale maggiormente impegnato nella
ricerca di criteri per l’individuazione della ‘buona scienza’, in Italia ma non solo,
è stato quello della colpa del datore di lavoro, in caso di morte o lesioni personali
ai lavoratori provocati da esposizione a sostanze tossiche. In questo caso, oltre ad
essere in gioco il difficile equilibrio tra delimitazione della colpa, dunque lo
standard di esigibilità richiesto a chi riveste una posizione di garanzia, e la
misura del contributo causale dell’esposizione, si è rivelato preliminare
l’accertamento del sapere scientifico di riferimento, essendosi fronteggiate spesso
opposte teorie relative all’incidenza dell’esposizione al fattore tossico su
sviluppo e accelerazione della malattia.
Si diceva che nel 2006 la giurisprudenza italiana ha dato prova di conoscere
– accogliendolo positivamente – lo standard Daubert. In quell’occasione la Corte
di Cassazione ha posto fine ad una vicenda complessa volta all’accertamento
delle responsabilità per l’inquinamento della laguna di Venezia, e segnatamente
delle ripercussioni sulla saluta di chi aveva lavorato a Porto Marghera.
L’esposizione a cvm (clorulo di vinile monomero) e pvc (clorulo di polivinile
che si presenta sotto forma di polvere contenente cvm) era stata ritenuta
causalmente efficiente solo in alcune patologie. E la Corte di Cassazione, nel
confermare sostanzialmente la decisione dei giudici di prime cure, ha sviluppato
una diffusa riflessione sulla funzione della colpa e l’incertezza del sapere
257 «La giurisprudenza sulla causalità omissiva successiva alla sentenza delle Sezioni Unite, nel prestarvi ossequio formale (anche riprendendo le formule dell’ ‘alta probabilità logica’ o ‘alta credibilità razionale’) ha di fatto affievolito il criterio della certezza dell’impedimento. Una ragionevole applicazione del criterio della certezza dell’effetto impeditivo non può non tenere conto del carattere irriducibilmente ipotetico della causalità omissiva». D. PULITANÒ, Diritto Penale, II ed., Giuffrè, Milano 2007, p. 243.
258 Detto per inciso, la diversità dei criteri di accertamento dei fatti, a seconda che si tratti del processo civile o penale, dà la misura di quanto i differenti valori che permeano il processo civile e quello penale agiscano nel determinare il livello di accuratezza dell’accertamento dei fatti; in ultima istanza, restituiscono una diversa immagine della natura cui appellarsi.
scientifico, in questo settore particolarmente avvertita
259. I due punti, in verità,
non sono irrelati. È proprio cioè la perimetrazione della colpa a richiedere, nella
misura della prevedibilità degli esiti verificatisi (e che non dovevano verificarsi),
un certo tipo di leggi scientifiche che, nelle argomentazioni della Corte, se nella
fase di imputazione dell’evento devono sottoporsi ad un accertamento più
rigoroso, nel giudicare della esigibilità della condotta subiscono un legittimo
affievolimento. Questo perché, se nella fase di accertamento del nesso di
causalità i criteri codificati dalla sentenza Franzese valgono ad arginare eventuali
sconfinamenti verso una responsabilità oggettiva, la diligenza impone in ogni
caso di porre in essere tutte quelle condotte potenzialmente idonee a scongiurare
un evento, anche quando il legame logico tra questo e il comportamento non
diligente ricada sotto leggi scientifiche non sufficientemente ‘certe’.
Purché cioè, e questo è il punto di maggiore interesse ai fini di questo
lavoro, gli studi invocati per dar conto dell’incidenza causale del comportamento
dei datori di lavoro sulle malattie sviluppate abbiano il carattere della
scientificità, anche quando non siano «patrimonio scientifico consolidato», essi
saranno idonei a fondare un giudizio di colpevolezza. Così la Corte si esprime a
proposito di alcuni studi ritenuti affidabili dai giudici, seppur non condivisi
unanimemente dalla comunità scientifica: «la ricerca di Viola non costituiva
infatti una congettura inaffidabile ma era stata (…) condotta con metodo
scientifico e aveva fatto sorgere una plausibile probabilità o possibilità di un
effetto cancerogeno anche sull’uomo»
260. E quanto alla scientificità del metodo,
259 «Basti pensare – afferma la Corte – alle sottolineate divergenze tra le conclusioni delle agenzie internazionali; alle contraddizioni all’interno degli studi effettuati dalla medesima agenzia (Iarc); alle differenti conclusioni cui sono pervenuti, su alcuni temi relativi alla causalità, gli stessi consulenti tecnici del pubblico ministero per avere conferma come le conclusioni della corte di merito non potessero discostarsi da quelle assunte, non essendosi raggiunta la soglia dell’inesistenza del ragionevole dubbio ritenuta necessaria dalla giurisprudenza di legittimità anche prima dell’introduzione legislativa ad opera della legge 46/06». Corte di Cassazione, sez. Pen. IV, sent. 17 maggio 2006, n. 4675, Bartalini et al., in
Foro it, 2, 2007, p. 559.
260 Ivi, p. 569. E ancora «la serietà di questi studi, e la plausibilità dei risultati raggiunti, non è confermata soltanto dal riconoscimento, anche a livello internazionale (formò oggetto di comunicazione in convegni svolti in stati stranieri e fu pubblicata su un’importante rivista medica che si occupava di studi sui tumori), che gli studi di Viola ottennero all’epoca ma dalla condotta dei dirigenti Montedison
la Cassazione non esita a richiamarsi, come si anticipava, al precedente
statunitense, censurando il fallace richiamo al «patrimonio scientifico
consolidato», che, se interpretato alla stregua di «consenso generalizzato della
comunità scientifica», «non viene più ritenuto l’unico criterio utilizzabile
neppure dalla giurisprudenza nordamericana, come emerge dalla notissima
sentenza 28 giugno 1993 della Corte suprema federale degli Stati Uniti, relativa
al caso Daubert»
261.
I meno cogenti criteri cui assoggettare il sapere scientifico in questo
particolare caso di addebito a titolo di colpa – non, dunque, nell’accertamento del
nesso eziologico – sono testualmente ripresi da Daubert, che appunto relega a
funzione sussidiaria il previgente parametro del consenso generale da parte della
comunità scientifica.
Come si diceva, il consenso della comunità scientifica – letto alla luce della
mutata consapevolezza epistemologica – nulla dice della eventuale fiducia nella
rispondenza della teoria oggetto di generale accettazione alla ‘realtà’. Cosicché
tornare oggi ad identificare il consenso generale con quel canone della certezza –
utopia ricorrente – non sembra convincente. Eppure è quanto la più recente
giurisprudenza di legittimità pare aver fatto in un caso analogo, dando prova di
quell’oscillazione perenne di cui si diceva.
I principi di più recente conio giurisprudenziale (è sempre la IV sezione
penale a statuire) impongono al giudice di accertare:
1. Se presso la comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su
solide ed obiettive basi una legge scientifica in ordine all’effetto
acceleratore della protrazione dell’esposizione dopo l’iniziazione del
processo carcinogenetico.
2. Nell’affermativa, occorrerà determinare se si sia in presenza di
legge universale o solo probabilistica in senso statistico.
che affidarono al prof. Maltoni un approfondimento della ricerca, evidentemente perché ritennero che gli studi del dott. Viola avessero un fondamento scientifico». Ibidem.
3. Nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia solo
probabilistica occorrerà chiarire se l’effetto acceleratore si sia determinato
nel caso concreto alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali.
4. Infine, per ciò che attiene alle condotte anteriori all’iniziazione
[…] si dovrà appurare se, alla luce del sapere scientifico, possa essere
dimostrata una sicura relazione condizionalistica rapportata all’innesco del
processo carcinogenetico
262.
Non è un caso che i commentatori parlino di un recupero dello standard
Frye
263, riproponendo da un lato il ritorno all’ideale del preponderante consenso,
dall’altro continuando a gravare il giudice della verifica della scientificità del
metodo. A leggere la sentenza Cozzini pare quasi che la Cassazione consideri
implicita una sorta di correlazione tra metodo e conseguente consenso della
comunità scientifica, come a dire che una volta accertata «l’identità, l’autorità
indiscussa, l’indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, le finalità per le
quali si muove» sia possibile inferire da questa l’accettazione della comunità
scientifica
264.
E un’identica fiducia nelle capacità previsionali della scienza pare espressa
da una recente sentenza di merito che ha condannato la Commissione Grandi
Rischi per non aver previsto gli eventi sismici che hanno interessato
drammaticamente L’Aquila nella primavera del 2009
265. La rappresentazione
mediatica della sentenza ha coinciso con una sorta di processo alla scienza,
incapace in questo caso di prevedere gli effetti nefasti del protrarsi dello sciame
262 Cass., sez. IV pen. 17 settembre 2010, n. 43786 imp. Cozzini, in Cass. pen., 2011, p. 1679 ss.
263 Così F. VIGANÒ, Il rapporto di causalità nella giurisprudenza penale a dieci anni dalla sentenza
Franzese. Relazione all’incontro dibattito svoltosi presso la Corte di Cassazione il 28 novembre 2012, in Diritto Penale Contemporaneo, 3, 2013, p. 386, il quale rileva come la diversità dello standard di certezza
richiesto derivi dall’essersi la Daubert pronunciata su un caso civile.
264 «Il problema è, allora, che dopo aver valutato l’affidabilità metodologica e l’integrità delle intenzioni, occorre infine tirare le fila e valutare se esista una teoria sufficientemente affidabile ed in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l’argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. In breve, una teoria sulla quale si registra un preponderante, condiviso consenso». Cass., sez. IV pen. 17 settembre 2010, n. 43786, imp. Cozzini, in
Cass. pen., 2011, p. 1679 ss.
sismico. E tuttavia, è stata proprio la autodichiarata capacità previsionale, la
fiducia pubblicamente esibita nella capacità di mettere a punto previsioni
affidabili, a fondare il giudizio di responsabilità penale. Al di là, infatti, dei rilievi
in punto di tipicità della fattispecie incriminatrice, la dichiarazione pubblica di
assenza di pericolo è valsa ad ingenerare una legittima aspettativa a ché gli eventi
disastrosi non si verificassero, agendo come causa (meglio sarebbe a dire
motivazione) della permanenza delle persone in casa, anziché – come verificatosi
altre volte – l’abbandono a fini precauzionali. Paradossalmente una dichiarazione
dei limiti del sapere scientifico nella previsione dei terremoti avrebbe esentato da
responsabilità la Commissione, che diversamente ha fornito una motivazione per
non adottare le cautele (l’abbandono delle case) idonee alla sopravvivenza. La
causalità individuale è accertata in questo caso facendo ricorso ad una singolare
legge di copertura che, accedendo all’estensione del parametro autorizzata dalla
sentenza Franzese, è rinvenuta nella legge «antropologica» in base alla quale
di fronte a situazioni ansiogene di grave rischio, l’essere umano –
inteso quale animale socioculturale – tende ad affidarsi istintivamente al
parere di soggetti qualificate per orientare i propri processi cognitivi e
volitivi. L’affidamento è maggiore quanto più credibile, scientificamente
razionale e autorevole è la fonte da cui il parere proviene
266.
L’affidamento risulta, poi, più intenso a cagione di una sorta di “prossimità
culturale” tra i soggetti della comunicazione: per il Tribunale «le vittime indicate
nel capo di imputazione erano per la maggior parte di elevato livello culturale, di
apprezzabile grado di istruzione». Esse, inoltre, «per formazione professionale
266 A riguardo, il Tribunale osserva che «le vittime indicate nel capo di imputazione erano per la maggior parte di elevato livello culturale, di apprezzabile grado di istruzione». Esse, inoltre, «per formazione professionale riconoscevano l’autorevolezza della Commissione Grandi Rischi e riponevano particolare affidamento in tale organismo tecnico-scientifico dello Stato».