L’opera di Hart e Honoré sulla causalità, pubblicata nel 1959, sconta
evidentemente il peso degli anni che la separano dal lettore odierno.
Così, l’affermazione iniziale, in base alla quale il nesso di causalità nel
diritto dovrebbe liberarsi dall’eredità egemonica della causalità naturale, suona
oggi quantomeno da ripensare. Sin qui si è infatti provato a dimostrare che i nodi
concettuali che oggi la responsabilità giuridica si trova a dover sciogliere sono
legati al progredire assorbente del sapere scientifico, con il quale non si può non
fare i conti. In questo senso allora, sembrerebbero maggiormente avvedute le
riflessioni di Maiwald, che negli anni ‘80 problematizzava la causalità a partire
dai processi per talidomide.
E tuttavia, nonostante fosse certamente estranea agli autori tanto l’idea di
fondare l’attribuzione di responsabilità su un concetto di causa naturalisticamente
descritto, quanto quella di comunque interagire con l’avanzamento scientifico e
tecnologico, quest’opera merita di essere ripercorsa
275.
Ciò sarà di aiuto non solo per la comprensione della biografia di uno dei
protagonisti del dibattito giusfilosofico della seconda metà del novecento, ma
anche delle vicende del positivismo giuridico cd. inclusivo
276, se è vero che le
posizioni sostenute da Hart in questo volume hanno generato non poca
confusione tra i suoi commentatori, che le hanno ritenute elusive di
275 È appena il caso di sottolineare che quest’opera ha ricevuto scarsa attenzione in Italia, rimanendo a cinquant’anni dalla sua pubblicazione poco conosciuta. Così anche F. SANTONI DE SIO, Causalità,
colpa e responsabilità: l’eredità di Hart e Honoré, in Rivista di Filosofia, 2, 2008.
276 Di positivismo giuridico inclusivo (o soft-positivism come nella dizione dello stesso Hart) iniziò a parlarsi all’indomani della pubblicazione del Poscritto a The Concept of Law, intendendo con tale espressione un approccio teso al superamento della totale separazione tra diritto e morale postulata dal positivismo giuridico di Bentham e Austin (nell’area anglosassone). Su quale sia poi il rapporto che i singoli fautori del positivismo giuridico inclusivo ipotizzano tra diritto e morale non è possibile dar conto in questa sede. Per una prima ricognizione si veda W.J. WALUCHOW, Inclusive Legal Positivism, Clarendon Press, Oxford, 1994; E. MITROPHANOUS, Soft Positivism, in Oxford Journal of Legal Studies, 17, 1997, pp. 621-641; J. COLEMAN, The Practice of Principle, Clarendon Press, Oxford 2001.
quell’autonomia del giuridico postulata da uno dei capisaldi del positivismo
giuridico
277.
Il tentativo di smarcare il problema della causalità giuridica dalla causalità
naturale, che per i due autori nasce dall’esigenza di far fronte all’inadeguatezza
della teoria condizionalistica rispetto alla sovradeterminazione causale, cade
infatti in un’altra fallacia, non meno insidiosa.
L’utilizzo di generalizzazioni statistiche, dunque di leggi scientifiche, non
si rivela adatto a descrivere il procedimento di individuazione della causalità
giuridica – di tipo individuale – nella misura in cui al diritto non è richiesto di
fare previsioni, dunque di operare un giudizio prognostico, bensì solo
diagnostico. Di talché, piuttosto che attingere al repertorio della scienza e della
filosofia, che sulla causalità si è spesso lasciata guidare da quanto il pensiero
scientifico di volta in volta acquisiva in termini di autocoscienza, si sarebbe
tentati di riconoscere la intima artificialità del diritto, che pure Hart aveva
professato qualche anno addietro introducendo nella riflessione
giuridico-filosofica di lingua inglese la teoria dell’ascrittivismo.
Eppure non è questa la strategia argomentativa prospettata dagli Autori. A
fronte cioè della difficoltà del pensiero scientifico di esprimere criteri funzionali
per l’attribuzione causale di un’azione al suo agente, il diritto dovrebbe
riconoscere l’operatività al suo interno di quei principi extra-giuridici condensati
nella formula ‘common sense’
278. Il senso comune, per ineffabile che sia,
277 In quegli stessi anni il filosofo di Oxford andava proponendo una versione, seppur aggiornata, comunque ‘militante’ del positivismo giuridico. Così, infatti, Wright: «Hart and Honoré’s attempt to treat the normative principles for attributing legal responsibility as principles of causation is at first glance quite puzzling, given the remarkable contradiction between that attempt and the strict positivist theory of law that Hart was simultaneously engaged in elaboratingand defending. During the same period that Causation in the Law was being written, Hart was writing his famous defences of legal positivism, which defended legal positivism in its strictest form». R.W. WRIGHT, The Nightmare and the Noble Dream, in AA.VV., The Legacy of H.L.A. Hart: Legal, Political, and Moral Philosophy, Oxford University Press, Oxford 2008, p. 166. In realtà anche prima del Poscritto, la nozione di positivismo giuridico che emerge è senza dubbio più ampia del formalismo di matrice kelseniana. Mario Cattaneo evidenzia come l’aver distinto tra norme primarie (norme che impongono obblighi) e norme secondarie (norme che attribuiscono poteri) abbia costituito una notevole presa di distanza dal formalismo. M. CATTANEO,
Premessa 1991, a H.L.A. HART, Il concetto di diritto (1961), Einaudi, Torino 2002, pp. viii-ix.
278 Ciò in omaggio al programma austiniano di analisi del senso comune. Così Nicola Lacey: «Many philosophers regard Causation, with its systematic application of linguistic philosophy to a specific issue,
consentirebbe di rintracciare, senza le difficoltà proprie della teoria
condizionalistica, nell’azione umana volontaria la causa giuridicamente rilevante
di un evento. L’investigazione della catena causale che i giudici operano
nell’accertamento del nesso causale è mutuata da quelle ‘forme-base’ di
relazione causale che individuano in ‘ciò che fa la differenza’ la causa di un
evento:
Analogies with the interference by human beings with the natural
course of events in part control, even in cases where there literally is no
human intervention, what is to be identified as the cause of some
occurrence; the cause, though not literal intervention, is a difference from
the normal course which accounts for the difference in outcome
279.
La posizione di Hart e Honoré consente di osservare con grande chiarezza
le possibili alternative sostenibili, con le conseguenti implicazioni giusteoriche.
Mettendo da parte la scienza, allora, il problema che resta è
l’individuazione dei soggetti deputati a fornire quel tanto di descrizione della
natura – nella forma della causalità – necessario a fondare il giudizio di
responsabilità. Da una parte, i minimalisti della causalità
280, come sono definiti
as representing the pinnacle of the Austin school’s published achievements». N. LACEY, A Life of H.L.A.
Hart. The Nightmare and the Noble Dream, Oxford University Press, Oxford 2004, p. 215. L’espressione
‘analisi del linguaggio ordinario’ si attaglia, nella ricostruzione offerta da Dummett, alla filosofia di J.L. Austin, colpevole di aver tradito le premesse antisistematiche di Frege, individuato come vero capostipite della filosofia analitica. M. DUMMETT, Origins of Analytic Philosphy, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1996, pp. 168-170. Per una dettagliata ricostruzione dell’influenza della filsofia di Oxford sul pensiero di Hart si veda M. RICCIARDI, Diritto e natura. H.L.A. Hart e la filosofia di Oxford, ETS, Pisa 2008, in particolare pp. 35 e ss. Sull’influenza di Cook Wilson sul lavoro di Hart, si legga sempre Ricciardi: «Come gli altri filosofi di Oxford, egli ritiene che l’uso linguistico sia rilevante in quanto stratificazione dei modi di pensare e di parlare che hanno superato la prova delle generazioni. Ignorarlo, come avvertiva Cook Wilson, sarebbe imprudente. Cercare di distorcerlo genererebbe confusioni. Studiarlo con attenzione può metterci a disposizione indizi utili per decifrare il mondo». Ivi, p. 175.
279 H.L.A.HART,A.M.HONORÉ, Causation in the Law, Oxford University Press, Oxford 1959, p. 29. «[I]n distinguishing between causes and conditions two contrasts are of prime importance. These are the contrast between what is abnormal and what is normal in relation to any given thing or subject matter, and between a free deliberate human action [intended to produce the effect that occurred] and all other conditions». Ivi, p. 33.
280 Gli Autori hanno bene in mente il bersaglio critico della loro teoria, ovvero il realismo americano, tacciato di nichilismo, che proprio sull’incertezza epistemologica costruisce la legittimazione dell’arbitiro
dagli Autori, ritengono del tutto manipolabile il nesso eziologico, prospettando
soluzioni – e non è un caso che gli autori richiamati, quelli della analisi
economica del diritto
281, facciano esclusivo riferimento al diritto civile – che
prescindano dal contributo causale dell’agente. Dall’altra parte vi è l’approccio di
chi considera, come Nagel
282, ‘immorale’ costruire dei sistemi di attribuzione
della responsabilità che prescindano dal ruolo causale esercitato dall’agente,
lasciando tuttavia inevasa la questione relativa ai soggetti autorizzati a definire
limiti e modi del giudizio di intensità del nesso eziologico. La posizione
intermedia assunta dagli Autori consiste dunque in una enucleazione di un
catalogo di principi extra-giuridici che nella sostanza delineano un modello
aproblematico di causalità, intesa come nozione riconducibile ad un’azione
umana volontaria, individuata quale segmento della catena causale.
These restrictions colour all our thinking in causal terms; when we
find them in the law we are not finding something invented by or peculiar
to the law, though of course it is for the law to say when and how far it
will use them and, where they are vague, to supplement them
283.
Ciò oltre a creare, come si diceva, un corto circuito con la teoria del diritto
professata da Hart
284(se non è il diritto a definire questi criteri, in che modo il
dei giudici: «It is fatally easy…to make the transition from the exhilarating discovery that complex words like ‘cause’ cannot be simply defined and have no ‘one true meaning’ to the mistaken conclusion that they have no meaning worth bothering about at all, but are used as a mere disguise for arbitrary decision or judicial policy. This is a blinding error… The proper inference from the fact that no common property can be found in all cases where causal language is used is that some more complex principle or set of principles may guide, though not dictate its use». H.L.A.HART,A.M.HONORÉ, Causation in the Law, cit., p. 3.
281 Hart e Honoré citano R.A. POSNER, A Theory of Negligence, in Journal of Legal Studies, 1, 1972, pp. 29-96.
282 T. NAGEL, Sorte morale (1987), trad. it. in ID., Questioni mortali, Il Saggiatore, Milano 2001, p. 36.
283 H.L.A.HART,A.M.HONORÉ, Causation in the Law, cit., p. 70.
284 Come osserva Wright: «Despite his protestations to the contrary, Hart initially was not merely a legal positivist, who insisted that there is no necessary connection between law and morality, but also a legal formalist. He insisted that the existing law consists solely of the core of plain or settled meaning of explicitly stated legal rules, which are applied deductively to resolve the great majority of legal disputes, and that for cases not falling within the core of settled meaning there is no existing law that constrains judicial decision-making». R.W. WRIGHT, The Nightmare and The Noble Dream, cit., p. 166.