Pio Filippo Becchino
Ebbi occasione di collaborare, durante una sperimentazione didattica biennale ai fini dell'orientamento, con insegnanti della scuola dell'obbligo.
Visto l'impegno degli insegnanti menzio-nati ed i risultati ottenuti presso gli allievi, discordando da coloro che, senza accurata analisi, colpevolizzano i docenti, i discenti e la scuola (o perché troppo stagnante o perché troppo innovatrice), desidero, senza presunzione alcuna, mettere a parte delle esperienze vissute, tutti coloro che operano nel settore.
Le osservazioni degne di ponderazione, tratte dal lavoro in comune, sono le se-guenti:
1) La figura del docente è cambiata; ha as-sunto importanza primaria e determinante nella vita democratica.
L'insegnamento è un vero «potere» in quanto, soprattutto, prepara i giovani a partecipare alla vita sociale ed alla produ-zione: dev'essere quindi altamente profes-sionalizzato.
2) La partecipazione alla vita della scuola deve coinvolgere qualsiasi area adatta ad offrire spunti di vita reale, di organizzazio-ne amministrativa, di ricerca, di cultura. Analizziamo il punto 1).
Il verticismo scolastico ha lasciato il posto alla partecipazione; alla élite esigua dei fortunati iniziati alla cultura è subentrata la massa che deve essere non solo istruita ma indirizzata al costume democratico. In contrapposizione a tanto, l'attuale do-cente, pur avendo una preparazione di base di cultura specifica, manca di mezzi atti a dargli una concreta professionalità in quanto nessuna istituzione organizzata ini-zia all'insegnamento: in questo campo ognuno è autodidatta.
Non sono obbligatori, per chi siederà in cattedra, corsi universitari atti a preparare al magistero.
Le competenze e le attese nei confronti de-gli insegnanti sono tali e tante che ognuno di essi dovrebbe acquisire (oltre la discipli-na d'insegdiscipli-namento), nozioni psico-socio-pedagogiche atte al raggiungimento di una migliore qualificazione professionale. L'incuranza dei docenti meno sensibili e meno pronti a sopperire alle carenze delle strutture dello Stato con l'autodetermina-zione di didattizzarsi in senso democratico, può creare spazi vuoti ove discenti sbadi-gliami e incolti cominciano a negare la va-lidità dell'istruzione, imparano a diventare
assenteisti e, non potendo venire a cono-scere l'ambiente circostante nelle sue dina-miche, professano l'indifferenza, anticame-ra del qualunquismo.
I fondamenti dell'azione educativa si basa-no sulla perizia del docente che sa scoprire i rapporti fra la pedagogia e la società in cui sta operando, che insegna per fare ap-prendere e non per sfoggio di sapere, che allarga lo spazio delle conoscenze fuori dell'aula verso la comunità nei suoi molte-plici modi di svilupparsi (specie ponendo gli allievi a contatto col mondo del lavoro), che conosce i suoi discepoli uno per uno e cerca di orientarli uno per uno secondo le inclinazioni.
Tutto ciò comporta opera giornaliera di ri-cerca, di individualizzazione, di valutazio-ne di tempi e mezzi, di incontri interdisci-plinari. Comporta soprattutto aggiorna-mento e riqualificazione continua per la costante evoluzione della realtà socio-economica in cui si vive e in cui vive il di-scente.
Ben diversa si presentava la figura del «maestro» di un tempo da quella del do-cente di oggi.
All'erudito ricercatore di biblioteca, allo studioso individualista intellettuale si sosti-tuisce l'insegnante qualificato ma tanto poco individualista da avvalersi della col-laborazione di tutti: colleghi, esperti, allie-vi, genitori.
Infatti la sua funzione è prima di tutto so-ciale.
All'uomo colto, distaccato dispensatore di notizie, rispettato da tutti e facente parte di una certa élite sociale fa riscontro l'inse-gnante battagliero, professionalizzato in modo tale da desiderare d'innovare vecchie metodologie e da saperlo fare con tenacia, progressione e coraggio, pronto anche a trovarsi isolato se ricerca modi e mezzi inusitati per interessare, formare, maturare i suoi alunni, diversi dai ragazzini modello di un tempo, non più silenziosi ma irre-quieti, carichi di desideri di evasione, rin-tronati da fumetti e (sovente falsa) cultura di massa, non più inquadrati o coartati dalla famiglia patriarcale e da istituzioni d'altro tipo, ma liberi, abituati al gruppo, provenienti da classi sociali eterogenee, molto più difficili da socializzare in senso esatto affinché siano capaci di usare della libertà intesa come diritto-dovere.
Soprattutto al docente della scuola dell'ob-bligo si chiede di istruire non selezionando,
ma orientando e formando. Molte volte in-fatti la licenza di terza media è il solo di-ploma che il giovane ottiene: pertanto è in-dispensabile non sia un semplice pezzo di carta, ma sancisca una crescita di persona-lità capace di leggere la realtà circostante, di compiere delle scelte in campo produtti-vo e sociale.
Per tutto questo nella scuola di oggi nessu-no può chiudere l'aula, sedersi in cattedra, ignorare l'esterno e spiegare, interrogare, correggere compiti come un tempo. A ri-prova che ciò non ha più da essere, si è la-sciato da parte il voto sostituendolo con la scheda valutativa, scheda che rappresenta lo sfocio di un'operazione complessa ove gli insegnanti (e non l'insegnante singolo) giudicano tenendo conto dell'ambiente di origine, dell'individuo, del suo apprendi-mento e della sua personalità.
Se la valutazione è un atto positivo, essa è anche una prova della professionalità del docente, che può accorgersi delle lacune della sua preparazione psico-pedagogica, della sua scarsa adesione al nuovo metodo e del suo ancoraggio a vecchi criteri inagi-bili.
E qui salta all'occhio un'ennesima
diversi-tà tra il docente di ieri, giudice senza ap-pello nel dare un voto, e quello di oggi, mi-suratore di equilibri (insieme ai colleghi di classe) tra sapere e formazione.
Passiamo al punto 2).
Premesso che la scuola di massa ha indi-rizzo democratico formativo e orientativo, che i docenti devono avere una professio-nalità nuova, che il loro compito di educa-re è insostituibile, è logico che tutta la so-cietà abbia il dovere di collaborare affinché si compia un definitivo rinnovamento in seno alla scuola stessa.
11 momento educativo è così complesso che necessita di nuovi contenuti: gli aspetti del lavoro umano, l'ambiente, il territorio, l'economia, l'arte... nonché di rinnovati strumenti: organizzazione nuova della scuola, interdisciplinarità, abilità didattica (ricerche metodologiche inerenti alla realtà e conseguenti programmazioni), leggi per valide riforme e migliori strutture.
In alcuni testi che guidano gli insegnanti a nuovi indirizzi, vengono forniti suggeri-menti: abituare gli allievi a conoscere l'am-biente circostante, stimolare a «vedere» la realtà che ci circonda (nella sua struttura fatta di mille nessi sociali ed economici, di
aspetti tecnici e situazioni umane), condur-re ad analizzacondur-re ogni momento della dina-mica della realtà stessa. E a questo punto che le didattiche vanno rivedute in quanto non è facile compenetrare l'attuale grovi-glio di problemi ambientali, socio-culturali, socio-operativi: infatti nulla è at-tualmente visto in funzione del singolo ma tutto è in prospettiva di pluralità; l'uomo cammina da solo quando è avulso, perdu-to, diverso, altrimenti è parte di un tutto che è rappresentato dalla comunità ad ogni livello: familiare, scolastico, lavorativo, politico.
Educare oggi non vuol quindi dire sola-mente portare a leggere, scrivere, compren-dere oppure fornire nozioni di sapere, ma abituare contemporaneamente alla scoper-ta delle attività operative: so ed in conse-guenza opero.
Uscire dal nozionismo culturale — ed oggi non sono molti i docenti che ne sono usciti — vuol dire trasmettere non tanto la spie-gazione di un problema, ma la possibilità di porre problemi e di risolverli attraverso una ricerca di dati, un'analisi, un'elabora-zione ed interpretaun'elabora-zione di essi sino alla ve-rifica di tutto ed all'acquisizione definitiva. Il giovane è immerso in una realtà risolta in chiave tecnologica, ove i mezzi mecca-nici e i mezzi di comunicazione di massa sono i protagonisti: è giusto sappia rendersi conto di ogni aspetto di essa, affinché non si senta come un automa biologico sospin-to ed obbligasospin-to ad un tragitsospin-to di cui non conosce nulla, nel quale caso si spieghereb-bero la stanchezza, i disagi, le crisi e le ri-soluzioni sbagliate; solo la consapevolezza degli aspetti dell'attuale civiltà (della pro-duzione, del lavoro, del consumo e del profitto) porta alla maturità adeguata ai tempi: il soggetto, terminato il ciclo scola-stico scelto, sa come dirigersi, sia che trovi lavoro sia che non lo trovi subito. Conosce i limiti dell'attuale dinamica economica ed è eventualmente preparato anche a restare in attesa di prima occupazione.
È naturale pertanto si mutino didattiche: non si formano più giovani a romantiche gesta eroiche per gli ultimi drappelli della Cavalleria o destinati in futuro ad arringhe ben calibrate sul modello del «de oratore» o a diventare medici atti alla diagnostica con il solo mezzo della cultura scientifica, ma lavoratori cui si chiede di impegnarsi sempre meglio in occupazioni (subordinate od autonome) legate alle leggi della
con-correnza e dell'utilità, alla qualità, all'ori-ginalità, essendo o cercando di diventare sempre più professionalizzati. E neppure si debbono preparare giovani a sproloquiare, ma che si faranno intendere solo se useran-no un discorso dinamico, (in quanto il messaggio dev'essere conciso, persuasivo, senza sentimentalismi...).
Oggi si pensa e si opera in termini econo-mico-produttivi: c'è da risolvere il proble-ma della sopravvivenza sia nell'area del mondo industrializzato sia in quella del sottosviluppo, anche se con diversi deno-minatori ed ipotesi. La preparazione delle nuove leve deve tenere conto anche di que-sto, oltre che della robotizzazione della so-cietà postindustriale.
E allora quale scuola?
Sembra non sia più il caso di sentirsi rin-negati nelle radici se si lascia da parte il la-tino (e chi scrive lo ha studiato ed amato e tuttora lo rimpiange persino nella Messa) ma si ha da comprendere il nuovo volto del mondo, teso soprattutto a produrre tra-scurando le glorie della cultura pura di base per abbracciare quella tecnologica, scarna, scientifica, che non lascia posto alle rimembranze ed alle tradizioni della Crusca.
L'a.b.c. del sapere che più conta sta nel-l'approfondimento dell'ambiente che ci circonda, nel capire la sua funzione stori-co-geografica, soprattutto la sua economia in termini pratici: il lavoro ed i lavori, la produzione, la sua importanza nel mondo e anche il suo peso sulla bilancia commer-ciale, i suoi spazi e legami con la distribu-zione ed il consumo.
Per necessità quindi di adeguamento oggi l'insegnante non ha da essere soltanto un operatore sociale, o meglio socio-morale, ma dev'essere pronto a considerarsi e ad essere considerato un operatore economico di base (benché sui generis), che intende ad un lavoro di informazione e preparazione economica, in quanto deve saper fornire nozioni e le prime spiegazioni di economia (in geografia economica, in storia — col precisare cause ed effetti economici di de-terminati eventi — in educazione tecnolo-gica, in scienze matematiche e naturali) e deve in conseguenza sapere sviluppare nel discente la possibilità di leggere in termini d'economia una certa dinamica dell'am-biente.
Non si mira certamente ad iniziare un di-scorso pedagogico, ben lontano dagli
inten-ti di chi scrive, osservatore ed operatore nel campo dell'economia del lavoro, disci-plina che costituisce (con la conoscenza di cause ed effetti, di equilibri, di controindi-cazioni e limiti delle azioni umane correla-te al lavoro ed aventi senso economico) una delle basi portanti del benessere gene-rale. In questa chiave non può non soste-nersi che, se vi saranno giovani capaci di educare le loro attitudini verso il lavoro, capaci (debitamente istruiti) di analizzarle e di scegliere, esisteranno anche le premes-se per una miglior produzione, un consu-mo vigile e disincantato ed un solido co-strutto comunitario.
La scuola è vista in questo modo come mezzo ad un fine d'interesse generale an-che economico oltreché sociale.
La civiltà dei robot, delle energie alternati-ve, dell'economia linguistica e dei disinvol-ti consumi chiede alla scuola molto di più di quello che chiedeva la scuola gentiliana: esige più attenti apporti di base e di sapere tratti dalla vita reale del lavoro e della pro-duzione. La scuola ha esteso il campo della funzione del docente, obbligandolo ad oc-cuparsi non solo della sua branca di spe-cializzazione quale scienza da trasmettere, ma di questa in rapporto al mondo che ci circonda coi suoi nessi sociali ed economi-ci.
Il docente aggiornato e partecipe è sempre più destinato a vestire anche i panni dell'o-peratore economico, inteso come guida ai discenti per sviluppare la capacità di lettu-ra dell'ambiente e l'analisi delle situazioni e risorse del paese.
In attesa che ciò si compia, l'estensione e l'approfondimento del momento parteci-pativo potrebbero fruire di buoni risultati: molti sono gli ambienti esterni (aziende anche artigiane, strutture amministrative ecc.) atti a fornire ai docenti un aiuto (non per soffocare la loro libertà di scelte educa-tive ma al fine di attuare, per loro tramite, contenuti reali, aprire conoscenze sul mon-do del lavoro, della produzione, dello spet-tacolo, dell'arte, della ricerca scientifica, ecc.).
Anche molti uffici di stato, parastato, enti locali e servizi pubblici offrono spunti di lavoro validi a scopi orientativi e formati-vi; l'accordo fra docenti e funzionari e ad-detti può creare situazioni didatticamente proficue; infatti uscire dall'aula ed usare il mondo come libro aiuta a crescere.
mezzo per non isolarsi e ricadere in schemi sorpassati d'istruzione, in mancanza di nuove riforme, aggiornamenti e strutture. Concludendo, le sovracitate note vogliono essere incentivo per i neo-insegnanti a compenetrare il nuovo ruolo del docente, a valorizzarlo con una indiscussa professio-nalità, a rinverdire il secolare ceppo con esperienze e metodologia d'avanguardia, educando i discenti ai doveri costituziona-li, alle responsabilità sociali e ad una giu-sta scelta produttiva.
Le considerazioni esposte vogliono essere inoltre una idea-lavoro per docenti, giova-ni burocrati e tecgiova-nici d'azienda per una loro collaborazione, per un colloquio tra forze ed ambienti dissimili ma che debbo-no codebbo-noscersi in quanto parte della stessa società, perché vengano messe a servizio dei discenti culture diverse (in campi es-senziali per il buon funzionamento della comunità) e si aprano perciò tante porte sopra ogni realtà della vita organizzata con l'attuazione di un modo nuovo di ricerca e di studi.