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Per una scheda catalografica del costume di scena

Gli studi sulla catalogazione del costume

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3.4 Per una scheda catalografica del costume di scena

3.4.1 I modelli esistenti

Dopo un’attenta analisi, risulta evidente come i tre metodi catalografici, presi precedentemente in esame, evidenzino reciprocamente i rispettivi pregi e difetti.

Mettendola a confronto con le altre due, possiamo affermare con certezza che la scheda VeAC può funzionare, così com’è, solo nel caso specifico di un abito storico, creato tra il XVIII secolo ed i giorni nostri che verrà inserito nell’archivio ministeriale. Catalogare con la stessa scheda un costume di scena significa perdere informazioni importanti, in particolare quelle che lo legano a doppio filo con lo spettacolo per cui è nato. In questo modo se ne documenta l’esistenza, ma esso perde la sua doppia identità di costume scenico ed “abito-oggetto” per diventare solamente un “abito-oggetto”. Ad esempio, si può riconoscere un costume scenico ispirato al periodo neoclassico, da un abito neoclassico, consultando pochi sottocampi contenuti nel paragrafo “OG” (oggetto)50.

Per quanto riguarda le altre due metodologie, invece, il legame del costume con il suo spettacolo è un presupposto fondamentale, ma si perde totalmente la sua analisi dal punto di vista sartoriale. Non solo: la scheda VAC-S è applicabile ai soli costumi conservati dal Teatro Comunale di Bologna (oppure può costituire un modello per un’altra realtà analoga); la scheda di precatalogazione è applicabile ai soli costumi della collezione Cerratelli.

50

Si tratta dei sottocampi: “OGTC” (categoria) dove si inserisce, ad esempio, la definizione “costume teatrale”; “OGTF” (funzione/occasione) e “OGTL” (finalità del costume/travestimento) da definire “spettacolo teatrale”; “OGTV” (soggetto del personaggio/travestimento) dove si inserisce solamente il nome del personaggio e non quello dello spettacolo.

Altra problematica della normativa VeAC è la mancanza, nel lemmario, di definizioni e tipologie di modelli precedenti, storicamente, il XVI secolo. Per quanto riguarda l’abito storico è raro che si siano conservati modelli precedenti a tale periodo, mentre per quanto riguarda lo spettacolo gli esempi si sprecano: dalla tragedia greca al Ruzante, alle ambientazioni antiche di spettacoli moderni e contemporanei, sentiero battuto soprattutto dal cinema.

La metodologia VAC-S non è stata in grado di risolvere questi problemi specifici, anzi, la situazione è complicata ulteriormente riducendo al minimo le tipologie di modello ed eliminando totalmente i campi riferiti alla struttura sartoriale del costume. Nella scheda di precatalogazione della Fondazione Cerratelli il problema è lo stesso ma la sua causa è opposta: per la mancanza di un vocabolario di riferimento che normalizzi il linguaggio utilizzato nelle schede, due costumi con lo stesso modello possono essere definiti con termini diversi, ogni schedatore è libero di inserire interpretazioni personali. Inoltre, la possibilità di introdurre ampie descrizioni del costume, spesso ridondanti, non permette la comprensione istantanea dell’oggetto che ci troviamo davanti (cosa che, invece, accade attraverso il paragrafo OG della scheda VeAC e attraverso il paragrafo Oggetto della VAC-S): in molti casi devono essere interpretate tramite il confronto con schede di altri costumi.

Prendendo singolarmente le tre metodologie di studio, vengono sempre perse delle informazioni importanti, mentre, queste informazioni si possono recuperare, cogliendo da ognuna delle schede i campi che meglio identificano il costume di scena, magari anche aggiungendone altri.

Come è già stato, giustamente, osservato da Charlotte Ossicini, per la scheda VAC-S, essendo la normativa VeAC già riconosciuta dal Ministero sarà utile attenersi ad essa nel progettare una scheda di catalogazione che possa essere adottata per il costume di

scena, << […] in modo da scongiurare la creazione di uno strumento non compatibile con gli standard abituali e, quindi, di limitata applicabilità.>>51.

Della VeAC andrà, sicuramente mantenuto il lemmario a cui, però, si dovranno aggiungere definizioni e tipologie di modelli che si pongono in evidenza durante lo studio di una collezione e che col tempo porteranno alla nascita di un vero e proprio vocabolario della moda e del costume di scena.

3.4.2 Proposta di un modello di catalogazione del costume di scena

Tenendo presenti le considerazioni fatte fino a adesso, possiamo proporre un modello di catalogazione che permetta una corretta analisi del costume di scena e che possa funzionare anche in realtà diverse da quella utilizzata come campione - in questo caso la collezione Cerratelli52. Sono state, quindi, sintetizzate in un unico schema le

ipotesi formulate dai tre studi che meglio si prestavano alla schedatura di un costume, che esso fosse per il teatro, per il cinema o per la televisione.

Per la compilazione dei campi ci atterremo a quanto stabilito dalla normativa VeAC, secondo quanto suggerito nelle Norme per la compilazione53.

Della VeAC andrà, sicuramente mantenuto il lemmario a cui, però, si dovranno aggiungere definizioni e tipologie di modelli che si pongono in evidenza durante lo studio di una collezione. In questo caso la collezione Cerratelli, grazie ad i suoi registri, ha dimostrato come possa nascere un vero e proprio vocabolario del costume di scena.

51

Paola Bignami, Charlotte Ossicini, Il quadridimensionale instabile. Manuale per lo studio del costume

teatrale, Bologna, Utet Università, 2010, p. 97 .

52

Oltre ai costumi andrà fatta attenzione alle informazioni fornite da bozzetti, cartamodelli, documenti, foto di scena, inventari.

53

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Vestimenti antichi e contemporanei. Scheda VeAC e

Lemmario. Strumenti di catalogazione per la conoscenza e la tutela di un Patrimonio, Polistampa,

Di Seguito viene riportato lo schema della struttura dei dati del modello di catalogazione per cui proponiamo il nome di Scheda di Catalogazione del Costume di

Scena (SCCS).