• Non ci sono risultati.

Il percorso a ostacoli per il riconoscimento della cittadinanza italiana: la legge 91/1992 e la

Nel documento Stranieri, informazione e giornalismo (pagine 31-35)

La materia della cittadinanza è molto importante: si potrebbe pensare che uno straniero arrivato in Italia non debba preoccuparsi di nulla se è giunto regolarmente nel Paese e se gli è stato riconosciuto lo status di apolide, rifugiato o beneficiario della protezione sussidiaria o temporanea. In realtà, ancora oggi, nonostante siano stati riconosciuti a diversi livelli (internazionale, europeo, italiano) dei diritti per gli stranieri in generale molte garanzie sono ancora legate al possesso della cittadinanza del Paese ospitante.

Si pensi alla stessa Costituzione che, se prevede certi diritti “per tutti” (ad esempio l’articolo 21 sulla libera manifestazione del pensiero, pur senza dibattiti in materia, come vedremo), altri invece li rivolge ai soli “cittadini” (l’articolo 4 sul diritto al lavoro, il 17 sul diritto di riunione o il 18 sul diritto di associazione). Ma anche le leggi non sono da meno: ecco che uno straniero, pur se regolare, non può ambire al ruolo di direttore responsabile di un giornale oppure, secondo la Bossi – Fini prima e il pacchetto sicurezza poi, all’irregolare possono essere limitati la libertà personale e i movimenti (attraverso la detenzione nei CIE) o addirittura essere impedito l’esercizio di diritti fondamentali, come il matrimonio.

Per questo motivo si ritiene importante analizzare l’acquisto della cittadinanza italiana, per cercare di capire se si tratta di un percorso semplice oppure complesso, in grado di fronteggiare una realtà fatta sempre più di giovani stranieri non più tali perché arrivati in Italia da piccoli o, più spesso, nati qui, e frequentanti le nostre scuole.

Solitamente si tende a suddividere l’acquisizione della cittadinanza in due categorie: ius sanguinis e ius soli. Nel primo caso si diventa cittadini “per sangue”, essendo figli di persone a loro volta cittadine oppure da queste adottate o riconosciute successivamente. Nel secondo la cittadinanza si acquista più semplicemente perché si nasce sul territorio dello Stato (è il caso degli Stati Uniti e dell’Inghilterra): in questo caso i cosiddetti “immigrati di seconda generazione” divengono automaticamente cittadini.

In Italia vige la regola dello ius sanguinis: per l’articolo 1.1 par. a della legge 91/1992, recante nuove norme sulla cittadinanza, diventa automaticamente italiano per nascita il figlio di padre o madre cittadino. È necessario ricordare, però, che la questione è stata sempre poco considerata: l’ultima legge a occuparsi della materia, prima di quella del 1992, era datata 1912 e conteneva una serie di norme discriminatrici, soprattutto nei confronti delle donne, come

33

l’impossibilità dello iure sanguinis ex matre, cioè la possibilità di ottenere la cittadinanza automatica per i figli di sola madre cittadina.

L’acquisto automatico, volto a impedire casi di apolidia e strizzante l’occhio, in questo caso, allo ius soli, è previsto anche dal paragrafo b e dal comma 2 del medesimo articolo: in questo modo la cittadinanza è prevista per nati in Italia da genitori apolidi o ignoti o che non seguono la cittadinanza già posseduta dai genitori. Lo stesso vale per il figlio di ignoti trovato in territorio italiano se non si riesce a provare l’esistenza di una diversa cittadinanza.

Gli ultimi casi di automaticità sono disciplinati dai successivi articoli mentre quelli ancora dopo si occupano di altre modalità d’acquisto come la naturalizzazione, lo iuris communicatio e la cittadinanza per gli stranieri presenti in Italia.

In base all’articolo 2 la cittadinanza è acquisita anche dopo il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale del figlio minore: nel caso di maggiorenni devono essere loro stessi a richiedere, se vogliono, la cittadinanza italiana, entro un anno dal riconoscimento o dichiarazione, conservando, nel frattempo, la propria cittadinanza. Anche nel caso di adozione (sia pre che post 1992, anno di entrata in vigore della legge), vale la regola dell’acquisto automatico di cittadinanza ma ancora una volta con la discriminazione dei maggiorenni: questi possono avviare l’iter per la naturalizzazione ma se la pratica di adozione era iniziata quando erano ancora minori e si è conclusa compiuti i 18 anni allora è possibile ottenere lo stesso trattamento dell’adottato minorenne.

A partire dall’articolo 4 cominciano le norme per noi più interessanti: finora, infatti, nessuna di queste si è preoccupata dello straniero presente in Italia, a parte la previsione sulle adozioni. In questo articolo i non italiani fanno finalmente capolino: la norma si occupa dell’acquisto di cittadinanza per beneficio di legge, in presenza di determinate caratteristiche, con l’ipotesi di filiazione o nascita sul territorio italiano. Si vuole in questo modo beneficiare un soggetto che, seppur straniero, ha però rapporti più stretti con l’Italia che col suo Paese d’origine.

Nel caso della filiazione (art. 4.1) è previsto che lo straniero o apolide discendente da un italiano per nascita (quindi in tutto e per tutto di stirpe italiana) possa ricevere la cittadinanza solo se la richiede e se ha prestato servizio militare per il nostro Paese oppure ha svolto un pubblico impiego alle dipendenze dell’Italia. Lo stesso iter è previsto anche per stranieri o apolidi, sempre discendenti di un italiano, che, compiuti i 18 anni e residenti sul nostro territorio da almeno due anni, richiedano, entro un anno dalla maggiore età, la cittadinanza.

Il comma 2 disciplina invece il caso di cittadinanza per beneficio di legge col presupposto di nascita sul territorio: lo straniero privo di legami di parentela con cittadini italiani ma nato

34

in Italia ottiene la cittadinanza se ha risieduto sul territorio senza interruzioni fino alla maggiore età e dichiara, entro un anno, di voler diventare cittadino.

Ancora diverso è il caso di cittadinanza acquistata per naturalizzazione: in base all’articolo 9 il Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato e su proposta del Ministro dell’Interno, può concedere la cittadinanza sulla base del possesso di determinati requisiti, generalmente la durata del soggiorno in Italia. Ecco così che allo straniero di origine italiana, da parte di madre, padre o di un parente di secondo grado, o nato nel territorio della Repubblica, bastano tre anni di residenza legale per avviare l’iter di naturalizzazione.

Il maggiorenne straniero adottato da un cittadino italiano, invece, deve risiedere legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni, successivi all’adozione, e sempre cinque anni di residenza legale servono all’apolide per ottenere la cittadinanza. Allo straniero che ha prestato servizio alle dipendenze dell’Italia non serve un quinquennio di residenza ma, appunto, di servizio. Decisamente meglio va al cittadino di uno Stato membro dell’Unione Europea al quale bastano solo 4 anni di residenza legale mentre allo straniero ne servono ben 10.

La cittadinanza per naturalizzazione, va ricordato, non è “certa”: si tratta di un atto pienamente discrezionale che prende in esame diversi elementi, dalle ragioni della richiesta alla capacità del soggetto di mantenere sé e la famiglia, da precedenti condanne penali al radicamento nella società. Tuttavia il decreto di concessione è privo di effetti se, entro sei mesi, la persona non presta il giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e delle leggi italiane.

Ultimo caso, previsto dall’articolo 5, la cittadinanza a seguito di matrimonio: la norma è stata inasprita nel tempo per limitare i matrimoni fittizi e di comodo organizzati appositamente per ottenere la cittadinanza italiana. La legge del 1992 ha modificato la precedente norma del 1912 che discriminava in base al sesso: mentre la moglie straniera di cittadino italiano acquistava immediatamente la cittadinanza lo stesso non valeva per il marito di un’italiana che, anzi, perdeva la propria cittadinanza per acquistare quella del marito. Inoltre, mentre questa legge prevedeva un acquisto automatico di cittadinanza, oggi, in caso di matrimonio, è l’interessato a dover fare richiesta anche se il provvedimento amministrativo che ne consegue è meno “discrezionale” di quello per la naturalizzazione e va quasi sempre a buon fine.

La formulazione originaria dell’articolo 5 prevedeva, per l’acquisto della cittadinanza, appena sei mesi di residenza legale sul territorio della Repubblica dopo il matrimonio: le modifiche introdotte dalla più recente legge 94/2009 hanno aumentato il periodo richiesto

35

proprio per evitare possibili matrimoni di comodo. Oggi, quindi, lo straniero che sposa un cittadino italiano potrà ottenere la cittadinanza solo se risiede legalmente da almeno due anni sul territorio o, se residente all’estero, dopo tre anni. Sempre nell’ottica di differenziazione tra matrimoni fittizi e reali,è previsto un dimezzamento dei termini richiesti in presenza di figli naturali o adottati dalla coppia.

Il non possesso della cittadinanza italiana provoca agli stranieri, soprattutto i più giovani, nati in Italia o arrivati qui da piccoli, una serie di disagi burocratici: tra i tanti l’impossibilità di viaggiare, anche solo per raggiungere Paesi vicini, come l’Inghilterra, oppure limitazioni importanti per quanto riguarda soggiorni studi all’estero, partecipazione a progetti come l’Erasmus o il beneficio di borse di studio previste per i soli italiani.

Per questo motivo si sono succedute, negli anni, una serie di proposte di modifica della legge 91/1992: l’ultima di queste (A.S. 2092), datata 2015, sembrava promettente dal punto di vista di un pieno riconoscimento dei diritti soprattutto per i giovani stranieri nati in Italia o frequentanti un ciclo di studi nel Paese ma, dopo l’approvazione alla Camera lo scorso 13 ottobre, ha finito per arenarsi al Senato.

Il testo, appoggiato dalla sinistra, ha visto i voti contrari delle opposizioni (Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia), mentre il Movimento 5 Stelle si è astenuto, ritenendo il ddl “inutile e vuoto”. Naturalmente, come ogni testo di legge, anche questa proposta di modifica presenta punti oscuri o migliorabili ma si tratta pur sempre di un passo avanti per il riconoscimento dei diritti di un gran numero di persone presenti sul nostro territorio e spesso prive di tutela.

Si prevede infatti un ampliamento dello ius soli attraverso la modifica dell’articolo 1 della legge 91/1992 con la concessione della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno in possesso di un permesso UE per soggiornanti di lungo periodo o titolare del diritto di soggiorno permanente. La dichiarazione di volontà va formulata dal genitore regolarmente soggiornante entro i 18 anni del figlio: nel caso in cui questo non avvenga lo straniero nel frattempo maggiorenne avrà due anni di tempo per fare richiesta, contro il solo anno previsto dalla legge 91/1992.

Il ddl presenta anche una innovativa modalità di acquisto della cittadinanza: lo ius culturae. Il minore straniero, nato in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, e che ha frequentato regolarmente e con successo in Italia un ciclo di studi di almeno cinque anni, ottiene la cittadinanza. Anche in questo caso è il genitore, entro i 18 anni del figlio, a formulare la richiesta, restando sempre valida la possibilità, per l’interessato stesso, di presentare domanda entro due anni dal diciottesimo compleanno.

36

I ragazzi arrivati in Italia dopo i 12 anni e non ancora maggiorenni potranno invece fare richiesta per la naturalizzazione se residenti regolarmente in Italia da almeno sei anni e dopo aver frequentato con successo un ciclo di studi o un percorso di formazione professionale.

I difetti della legge sono il totale disinteresse per gli adulti e per le pratiche di naturalizzazione che rimangono abbastanza restrittive. Inoltre il requisito del possesso di un permesso UE per soggiornanti di lungo periodo21, previsto nell’ipotetico nuovo articolo 1, riduce di molto il numero delle persone che potranno fare richiesta di acquisto di cittadinanza per i loro figli. Anche la naturalizzazione per i ragazzi sopra i 12 anni, sebbene positiva, è pur sempre soggetta alla discrezionalità di chi è deputato a rilasciare il titolo di cittadino. Tuttavia, la possibilità per i più piccoli o i nati nel territorio della Repubblica di diventare italiani grazie alla frequenza di un ciclo di studi è sicuramente un passo avanti per permettere a numerosi “immigrati di seconda generazione” (come vengono spesso chiamati) di avere una vita burocraticamente più semplice e simile a quella dei loro coetanei italiani. Nella speranza, naturalmente, che la discussione del ddl al Senato si sblocchi al più presto.

1.6 Dallo straniero lavoratore allo straniero clandestino: le politiche

Nel documento Stranieri, informazione e giornalismo (pagine 31-35)