Pare opportuno occuparsi, a questo punto, delle varie leggi che negli anni si sono succedute per gestire il fenomeno migratorio. Lo si ritiene importante perché molti di questi testi sono alla base delle rappresentazioni giornalistiche e mediatiche dello straniero e, più in generale, dell’immigrazione e di conseguenza del sentire comune. Inoltre è da queste leggi che sono nati termini ormai molto diffusi, come “clandestino”, ed è sempre da queste leggi che possiamo ricavare una serie di diritti e doveri per gli stranieri a vario titolo presenti in Italia e che ci torneranno utili nel capitolo che se ne occupa espressamente.
Purtroppo l’Italia si è preoccupata tardi del problema immigrazione: la Costituzione si occupa solo nell’articolo 10 della condizione degli stranieri. Ciò è anche abbastanza normale
21 Il permesso UE per soggiornanti di lungo periodo può essere richiesto dallo straniero per sé e i suoi familiari in presenza di determinati requisiti: possesso di altro permesso valido da almeno 5 anni (sono comunque possibili assenze dal Paese inferiori ai 6 mesi continuativi e per un massimo di 10 nel quinquennio), reddito minimo, assenza di condanne (non pericolosità del soggetto per lo Stato), residenza idonea (solo nel caso in cui la richiesta venga presentata anche per i familiari). Dal 2010 è inoltre necessario sostenere un test di conoscenza di lingua italiana (sono esenti i figli minori di anni 14, le persone già in possesso di altri attestati di conoscenza della lingua superiori al livello A2 o di titoli di studio/professionali e le persone di cui sia attestata la limitazione dell’apprendimento linguistico). Dal 2014 anche i rifugiati e i titolari di protezione sussidiaria possono richiedere il permesso UE per soggiornanti di lungo periodo: i requisiti previsti sono gli stessi, a eccezione della documentazione di alloggio idoneo (è richiesta solo la residenza).
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se pensiamo che la nostra Carta è datata 1948, anno in cui si poteva parlare più di emigrazione (sia interna al Paese, con spostamenti da sud a nord, che esterna, con partenze verso altri Stati ritenuti più ricchi e avanzati) che di immigrazione.
L’articolo ricordato afferma:
L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della
Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.
Dunque nel trattare la materia degli stranieri il nostro Paese deve affidarsi a leggi a loro volta rispettose del diritto internazionale. Il problema deriva dal fatto che per lungo tempo, fino agli anni ’80, con i primi arrivi massicci di immigrati, non ci si è preoccupati di regolare nulla.
Anche il terzo comma sul diritto d’asilo sta ancora aspettando una regolazione: come visto nel paragrafo sui rifugiati, questi possono ottenere “rifugio politico” mentre chi abbandona un Paese in cui gli è divenuto impossibile esercitare in modo effettivo le libertà democratiche sancite dalla nostra Costituzione non ha molte speranze di ottenere tutela tramite l’asilo territoriale.
La prima legge di risposta alla Costituzione sarà la cosiddetta Turco – Napolitano del 1998 (legge 40/1998), poi confluita nel famoso D.lgs. 286/1998 (“Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero"). Prima di allora c’erano stati altri due testi: il primo, legge 943/1986, intitolato “Collocamento di lavoratori. Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine”, era specificatamente rivolto agli stranieri, allora la maggioranza, che si recavano in Italia per questioni di lavoro. Anche in base alla Convenzione OIL del 1975 si riteneva necessario garantire la parità di trattamento dei lavoratori stranieri e delle loro famiglie con i lavoratori italiani, prevedendo le medesime tutele e gli stessi diritti.
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Il 1990 è invece un anno speciale per quanto riguarda la libertà di circolazione delle persone e, conseguentemente, la moltiplicazione dei flussi migratori: viene firmata la Convezione di applicazione dell’Accordo di Schengen che sancisce una libertà assoluta di movimento all’interno dell’area attraverso l’abolizione dei controlli alle frontiere interne mantenendo invece quelli alle esterne. In questo clima l’Italia si dota della seconda legge pre Turco – Napolitano, la 39/1990, meglio nota come legge Martelli: il testo si occupa nel primo articolo di rifugiati (è uno dei pochi accenni che la legislazione italiana fa a questa categoria di persone) mentre successivamente passa a regolare la condizione degli “extracomunitari” (chi proviene da Paesi non appartenenti all’allora Comunità Europea), che potranno entrare in Italia “per motivi di turismo, studio, lavoro subordinato o lavoro autonomo, cura, familiari e di culto”, naturalmente se muniti di valido passaporto o documento equivalente, pena il respingimento alla frontiera22.
La legge Martelli è anche la prima a occuparsi di aspetti che i testi seguenti prevedranno in modo più specifico: si parla di “permesso di soggiorno” della durata di due anni e prorogabile ma anche dei cosiddetti “decreti flussi” (in base ai quali far entrare ogni anno in Italia un numero definito di lavoratori extracomunitari) e delle prime sanatorie per permettere agli stranieri extracomunitari già presenti sul territorio di regolarizzare la loro situazione. Si prevedono anche espulsioni per particolari reati o per violazione delle regole di ingresso e soggiorno ma manca ancora l’idea dello straniero come pericolo che si rafforzerà invece negli anni a venire, già a partire dal Testo Unico, che tratteggia una prima distinzione tra lo straniero regolare, pertanto accettabile, e l’irregolare.
Come già accennato, la prima vera legge a occuparsi di immigrazione in Italia sarà la 40/1998, nota come Turco – Napolitano, poi trasposta lo stesso anno nel Testo Unico (TU). Il primo articolo specifica l’ambito di applicazione della legge: straniero è, secondo una definizione in negativo, chi non appartiene agli Stati dell’Unione Europea e chi non è apolide. Di conseguenza il cittadino dell’Unione non può essere considerato straniero perché possiede la cittadinanza europea, riconosciuta dal Trattato di Maastricht, che lo equipara all’italiano.
Se allo straniero regolare vanno riconosciuti i diritti civili propri del cittadino italiano e la partecipazione alla vita pubblica locale, agli stranieri in generale, presenti alla frontiera o sul territorio, a prescindere dalla regolarità o meno del soggiorno, vanno garantiti tutti i diritti fondamentali della persona umana, sulla base, oltre che delle leggi interne, anche del diritto internazionale23.
22 Cfr. articoli 2 e 3
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È in quest’ottica che vige il divieto di respingere alla frontiera chi invece ha diritto a ottenere protezione (i rifugiati, i richiedenti asilo politico, i richiedenti protezione umanitaria), fornendo inoltre valida assistenza a chi eventualmente, non rispondendo ai requisiti richiesti, viene allontanato. L’espulsione24 è possibile, con decreto motivato del Ministero dell’Interno, per particolari categorie di soggetti, tra i quali troviamo coloro che sono entrati illegalmente in Italia senza essere respinti e chi è rimasto sul territorio oltre la scadenza del permesso di soggiorno. Nel caso in cui l’accompagnamento alla frontiera o il respingimento non siano immediatamente praticabili il soggetto sarà trattenuto in un Centro di permanenza temporanea e assistenza per tutto il tempo necessario: si tratta dei futuri CIE (Centri di identificazione ed espulsione), luoghi detentivi e limitanti la libertà personale degli stranieri ospiti, più volte accusati di ledere la dignità umana.
Per quanto riguarda la clandestinità, l’unico riferimento rinvenibile è all’articolo 12 (titolato “Disposizioni contro le immigrazioni clandestine” e non contro i “clandestini”) che prevede multe e reclusione per chi favorisce l’ingresso illegale di stranieri nel territorio.
Come nella precedente Legge Martelli anche qui si ritrova la disciplina dei “flussi”, in base ai quali fissare delle liste di stranieri intenzionati a entrare in Italia per svolgere attività lavorative subordinate. Questo meccanismo, macchinoso e difficile da applicare, non ha naturalmente avuto molta fortuna, favorendo, invece, l’immigrazione irregolare e ponendo dubbi sull’effettività o meno di una garanzia di diritto al lavoro.
Nel 2001 il Governo di destra guidato da Silvio Berlusconi affiancato dalla Lega Nord modifica il TU attraverso la legge 189/2002, famosa come Bossi – Fini. Tale legge sarà lo spartiacque che provocherà un vero e proprio cambiamento di prospettiva: se già la Turco – Napolitano aveva tratteggiato le prime distinzioni tra regolari e irregolari con quest’ultimi un gradino sotto i regolari per quanto riguarda la tutela dei diritti fondamentali e il rispetto della dignità umana, la legge del 2002 renderà completo il binomio clandestino = pericolo. Nonostante non compaia la parola specifica “clandestino” riferita allo straniero irregolare, l’inasprimento delle pene per chi si trova in questa condizione ha favorito l’idea che l’irregolare, in quanto arrivato in Italia violando le leggi o, peggio ancora, stabile sul territorio all’oscuro delle autorità, sia da allontanare.
La non accettazione dell’apertura delle frontiere e della libera circolazione delle persone hanno portato, nella legge, a una serie di previsioni tutte col fine di ostacolare l’integrazione dello straniero, sia regolare che non. Nel primo caso sono state previste delle strette ai
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permessi annuali per lavoro mentre, nel secondo, è stata modificata la materia dell’espulsione attraverso accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Questa modalità è disposta con decreto motivato immediatamente esecutivo nella maggior parte dei casi (a differenza del TU che prevedeva una serie di eccezioni): ciò ha contribuito a rafforzare l’idea del clandestino pericoloso, anche perché la Bossi – Fini ha previsto l’espulsione nel giro di 15 giorni di tutti gli stranieri con permesso di soggiorno scaduto da più di 60 giorni e non rinnovato, con la possibilità di accompagnamento immediato alla frontiera se si ritiene che la persona possa sottrarsi all’esecuzione del provvedimento
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Il concetto è stato rafforzato nel 2008 quando, con ancora Berlusconi premier, sono stati adottati una serie di provvedimenti denominati “pacchetto sicurezza”, che hanno ancora di più messo a dura prova la tutela dei diritti e della dignità umana. Il pacchetto è formato dalla legge 125/2008, dalla legge 94/2009 intitolata “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” e dal D.lgs. 159/2008 sul riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato. L’accusa rivolta al “pacchetto” è stata quella di aver mascherato sotto il grande ombrello della sicurezza norme che nulla avevano a che vedere con questo problema. Soprattutto è facile capire come, collegando disposizioni riguardanti stranieri, apolidi e rifugiati all’argomento della sicurezza e della tutela dei cittadini italiani, si sia rafforzata l’idea dello straniero come diverso e pericoloso a prescindere.
Inoltre il pacchetto ha preso di mira anche i cittadini dell’Unione Europea, da sempre una categoria privilegiata e equiparata, grazie al possesso della cittadinanza europea, al cittadino italiano. Le norme della legge 125/2008, spaventate dell’apertura dell’Unione ai nuovi Paesi dell’est, in primis la Romania, hanno infatti previsto l’espulsione o l’allontanamento non solo dello straniero ma anche del cittadino dell’Unione Europea, aumentando, nel contempo, i motivi che rendono possibile l’espulsione.
I centri di permanenza temporanea e assistenza realizzati successivamente alla Turco – Napolitano sono stati ribattezzati CIE – Centri di espulsione e identificazione, divenendo la forma concreta della violazione della dignità umana già più volte ricordata. In questi centri, che trattengono stranieri da espellere su convalida del giudice, sono stati più volte denunciati trattamenti degradanti e disumani, condizioni di vita precarie, soggiorni più lunghi del previsto. Non bisogna confondere questi centri con i già citati CARA, centri di accoglienza per richiedenti asilo, e coi “classici” Centri di accoglienza posizionati al Sud e nelle isole, spesso ricordati sui media perché è qui che lo straniero appena sbarcato sulle nostre coste deve farsi identificare, dimostrare la legittimità del suo arrivo ed eventualmente essere allontanato.
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La limitazione dei diritti è proseguita anche con la legge 94/2009 che, come fatto notare da alcuni studiosi, ha modificato norme apparentemente generali ma in realtà tipiche degli stranieri, come l’aggravamento delle pene per occupazione di suolo pubblico per attività abusive o maggiori difficoltà per il trasferimento di denaro all’estero (praticato da diversi stranieri per mantenere le famiglie rimaste in patria). Inoltre la stessa norma sull’acquisto della cittadinanza per matrimonio è stata modificata, come già visto nell’apposito paragrafo: non solo è stata aumentata la durata della permanenza in Italia prima del matrimonio ma è anche stata prevista un’imposta (generale per qualsiasi pratica di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza) di 200 euro.
Quello che preme sottolineare non è la totale inaccettabilità delle norme previste (alcune possono essere condivisibili, in tutto o almeno nell’intento, come quella sull’utilizzo di minori per accattonaggio) ma il fatto che la maggior parte hanno in realtà poco a che vedere con il fine che ci si era prefissati (la sicurezza), mirando invece a rafforzare l’idea dello straniero pericoloso o che, anche se regolare, per stare in Italia deve “contribuire”: dai 200 euro per l’acquisto di cittadinanza dopo il matrimonio alla somma prevista per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno.
Senza dimenticare che inizialmente si voleva trasformare l’ingresso illegale in un vero e proprio reato (il reato di clandestinità) pertanto sanzionato con la reclusione, l’arresto obbligatorio e il giudizio per direttissima: le numerose critiche hanno portato a un ammorbidimento, prevedendo una sanzione pecuniaria oscillante tra i 5.000 e i 10.000 euro (una cifra comunque alta per uno straniero, soprattutto se irregolare).
L’ultima modifica è stata prevista dalla legge 129/2011 per attuare le direttive 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e 2008/115/CE sui rimpatri dei cittadini irregolari di Paesi terzi. Quest’ultima non era mai stata applicata in Italia provocando problemi alla legittimità dell’articolo 14 TU, di conseguenza considerato dalla Corte di Giustizia UE inapplicabile e incompatibile col diritto comunitario. Se la prima direttiva ha cercato di abbassare i toni, limitando gli ingressi e i soggiorni solo per motivi di sicurezza, la seconda ha invece inciso in modo più decisivo sul rimpatrio, allungando fino a 18 mesi la possibilità di permanenza nei CIE e prevedendo anche forme di rimpatrio volontario e assistito.
In conclusione, si può affermare che la storia delle politiche migratorie in Italia è stata abbastanza turbolenta: non solo si è affrontato tardi il problema ma per certi aspetti si è ancora in attesa di una presa di posizione (si veda la legge sull’asilo territoriale). Inoltre le norme poste di volta in volta hanno rispecchiato chiaramente l’atteggiamento chiuso del Governo nei
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confronti del fenomeno migratorio: la sinistra, che ha aperto le danze nel 1998 con la Turco - Napolitano, si è mostrata all’apparenza meno dura, prevedendo inizialmente forme di integrazione degli immigrati salvo porre, contemporaneamente, misure più dure e tacere nelle brevi parentesi tra un Governo di destra e l’altro, senza prendere più una posizione netta.
La destra, invece, ha sempre mostrato idee chiare, adottando una linea particolarmente dura, senza troppe distinzioni tra immigrati regolari e irregolari e favorendo in questo modo la lettura mediatica dell’immigrazione in chiave negativa fatta spesso di stereotipi, luoghi
comuni e paura verso l’altro. Ricordando nuovamente che la sinistra ha sempre mostrato un
colpevole silenzio, favorendo e diffondendo, a sua volta, una chiusura della società italiana nei confronti degli stranieri, visti come pericolosi criminali. In campo migratorio le opposizioni politiche italiane sono sempre riuscite ad andare d’accordo e a trovare punti comuni: le manifestazioni di solidarietà per gli stranieri e gli appelli contro le discriminazioni sono numerosi ma i testi di legge adottati da ambedue le parti in gioco dimostrano tutt’altro.
La modifica del Titolo V della Costituzione nel 2001 non ha semplificato la questione, anzi, ha trasferito alle Regioni la maggior parte delle incombenze, quelle più criticate, perché riguardanti i diritti fondamentali dello straniero e la sua integrazione nella società mentre allo Stato è rimasta la competenza assoluta in materia di ingresso irregolare e di permessi di soggiorno.