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Percorso riabilitativo

4.1 Programma riabilitativo San Giuliano

Dal 2005 al 2012 la Sezione Centro Obesità dell’U.O. Endocrinologia I ha svolto presso la struttura termale “Bagni di Pisa” a S. Giuliano Terme il “percorso terapeutico-riabilitativo per il paziente obeso”. Tale percorso è stato attuato grazie all’accordo tra Regione Toscana e Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana che hanno individuato in “Bagni di Pisa”, Terme di San Giuliano l’ambiente considerato idoneo all’attuazione di questo programma sperimentale (D.G.R. 61/2004).

Il percorso si poneva come obiettivo primario, quello di far conoscere al paziente obeso abitudini e modelli comportamentali trasferibili nella vita di tutti i giorni, che consistevano nell’ottenere una graduale riduzione del peso corporeo e mantenere nel tempo i risultati raggiunti.

Il team interdisciplinare era composto da medici (endocrinologi e medico dello sport), psicologi, dietisti, operatore di fitness metabolico e fisioterapista che interagiscono in modo da ottimizzare e personalizzare il percorso di ogni paziente.

Il compito del Medico partiva da una visita preliminare all’inizio

del programma. Era opportuno definire il tipo di obesità, escludendo cause secondarie, cercare di individuare le eventuali complicanze associate mediante esami mirati anche al fine di ottimizzare l’eventuale terapia farmacologica in atto. Questo doveva comprendere la definizione del profilo di rischio cardiovascolare globale, al fine di individuare complicanze, che limitassero la performance del paziente e che richiedessero specifici accertamenti.

Il primo giorno del programma il paziente veniva sottoposto alla visita medica, dove oltre a prendere visione degli esami eseguiti,

erano misurati i parametri antropometrici (relativi alla quantità e alla distribuzione del tessuto adiposo), era praticato un esame obiettivo comprensivo di misurazione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca basale. Erano infine eseguiti un ECG basale ed un esame bioimpedenziometrico (poi ripetuto al termine del programma).

Tutto questo permetteva al medico di redigere, insieme all’operatore di fitness metabolico, un programma di attività fisica che ottimizzasse il tipo, l’intensità e la durata dell’esercizio fisico in base alle caratteristiche di ogni soggetto. Ove ritenuto necessario, a completamento diagnostico, venivano eseguiti esami ematochimici ed accertamenti strumentali mirati. Il medico aveva poi il compito di seguire il paziente obeso durante lo svolgimento del percorso e durante le attività motorie, cercando di risolvere eventuali problematiche. L’ultimo giorno era infine eseguita la visita medica dove erano raccolti i dati finali sia per quanto riguarda i parametri antropometrici che per quelli clinici.

Il tutto veniva riassunto in una relazione clinica completa indirizzata al medico curante, alla quale erano allegati alcuni consigli, comprensivi di modelli di attività fisica che il paziente avrebbe potuto svolgere una volta ritornato a casa.

L’operatore di fitness metabolico seguiva il paziente durante lo

svolgimento giornaliero delle attività concordate fra l’operatore ed il medico e venivano svolte secondo programmi definiti, scelti in base alle caratteristiche del singolo soggetto.

L’obiettivo terapeutico consisteva nel recupero della forma psico- fisica del paziente, al fine di ottenere un cambiamento del suo stile di vita e una modificazione delle sue abitudini quotidiane.

Il dietista aveva il ruolo di rieducare il paziente ad una sana ed

equilibrata alimentazione. In collaborazione con le psicologhe, aveva il compito di ristrutturare il concetto di dieta, rielaborando le idee disfunzionali, che rendevano difficoltoso il rapporto con il cibo ed incoraggiando l'acquisizione ed il consolidamento di un comportamento alimentare appropriato. Spesso questi soggetti

erano reduci da numerosi tentativi di dimagrimento intrapresi autonomamente o con l'aiuto di figure specialistiche per cui i vari approcci sperimentati in passato, uniti alle numerose informazioni non sempre fedeli alla realtà ricevute dai media, li portavano ad elaborare un'idea distorta del concetto di “dieta” oppure, non di rado, a sperimentare a tale proposito un senso di completo rifiuto. Dopo un primo inquadramento del paziente, volto a valutare tramite un'attenta anamnesi le abitudini dietetiche e l'eventuale presenza di disturbi del comportamento alimentare, il dietista aveva come compito quello di pianificare il menù dei pasti principali, concordando con gli chef del ristorante la scelta di pietanze gustose, e allo stesso tempo equilibrate dal punto di vista nutrizionale e calorico; le porzioni erano stabilite di volta in volta e modificate a seconda delle esigenze individuali e delle caratteristiche di ogni singolo paziente. Il dietista partecipava attivamente al momento del pranzo sedendosi a tavola con i pazienti e consumando il pasto insieme a loro. Il momento del pasto diventava fondamentale per rendere il paziente obeso consapevole del fatto che, un'alimentazione sana ed equilibrata, era gratificante, dal punto di vista gustativo e quantitativo e soprattutto non comportava la rinuncia a nessun tipo di cibo. Si aveva così modo di assumere un atteggiamento critico nei confronti delle precedenti abitudini dietetiche e di comprendere quelli che erano stati gli errori commessi quotidianamente. I pasti dovevano essere completi ed equilibrati dal punto di vista nutrizionale, nel rispetto delle Linee Guida per una Sana e Corretta Alimentazione approvate dal Ministero della Salute (36). Alle dimissioni, il dietista riassumeva e indicava nello specifico i comportamenti e le abitudini alimentari che avevano favorito il calo ponderale, suggeriva il modo per riportare nella realtà quotidiana i concetti ed i comportamenti appresi e forniva nozioni scritte di educazione alimentare, così da rendere il paziente consapevole ed indipendente nella scelta dei cibi.

(che si svolge in seduta singola) e la somministrazione di test psicologici, consisteva nel guidare alcuni incontri di gruppo (psicoeducazione) al fine di valutare e incrementare la motivazione al trattamento (37-39), migliorare l’aderenza alle terapie e aiutare i pazienti a cambiare stile di vita.

L’intervento psicoeducazionale, a orientamento cognitivo- comportamentale, aveva come fine il superamento delle abitudini disfunzionali che avevano contribuito all’insorgenza dell’obesità o al suo mantenimento e la promozione di un corretto stile di vita. Gli argomenti trattati riguardavano la motivazione al cambiamento (39,40) e all’attività fisica, la ristrutturazione delle aspettative, la gestione del ciclo restrizione-disinibizione, l’apprendimento delle tecniche di controllo degli stimoli e un training di apprendimento di abilità comportamentali (skill training) (41,42).

Tra le tecniche di controllo degli stimoli erano insegnati i comportamenti più adeguati nel fare la spesa, nel cucinare e nel gestire le “situazioni a rischio”, come regolare l’alimentazione durante le occasioni sociali (40,42).

Fondamentale era, all’inizio del percorso, la gestione del ciclo restrizione–disinibizione. La restrizione dietetica eccessiva, in passato tentata più volte, era difficile da mantenere a lungo (43) e le aspettative connesse ai precedenti tentativi erano irrealistiche (44). Al fine di incrementare la motivazione a intraprendere e mantenere un livello di attività fisica adeguato era utile aiutare le persone a: 1) identificare le difficoltà nell’iniziare e nel continuare l’attività fisica, 2) fare un problem-solving per risolvere queste difficoltà; 3) porsi obiettivi realistici (45).

Capitolo 5

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