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PROGRAMMA TERAPEUTICO-RIABILITATIVO DEL SOGGETTO OBESO E VARIAZIONE DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA IN RELAZIONE ALL'ETA' ED ALL'INDICE DI MASSA CORPOREA

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Indice

Introduzione.

...4

Capitolo 1: L’obesita’

1.1 Definizione e caratteristiche dell'obesità...7

1.2 Criteri internazionali per la definizione del sovrappeso e dell’obesità………..….…8

1.3 Patologie associate………....10

1.4 Aspetti psicologici ed emozionali del paziente obeso...13

1.5 Costi sociali...15

Capitolo 2: Approccio terapeutico

2.1 L'approccio multidisciplinare...17

2.2 L'efficacia dell'attività fisica...19

2.3 Modi e tempi...24

Capitolo 3: Bioimpedenziometria

3.1 Bioimpedenziometria (BIA AKERN)………..27

Capitolo 4: Percorso riabilitativo

4.1 Programma riabilitativo San Giuliano...33

Capitolo 5: Risultati

5.1 Premessa……...37

5.2 Scopo della tesi…...37

5.3 Materiali e metodi...38

(3)

Capitolo 6: Discussione

6.1 Discussione...46

Capitolo 7: Conclusioni

7.1 Conclusioni...50

Allegati

...51

Bibliografia.

...,56

Ringraziamenti

………60

(4)

Introduzione

Attività fisica & stile di vita

Negli ultimi dieci anni, l’interesse per migliorare l’aspetto fisico e per il mantenimento della salute fisica e corporea è aumentato notevolmente dando vita ad un fenomeno multimediale (internet, televisione, riviste ecc.) ed economico (centri fitness, di bellezza, di dimagrimento ecc) sempre più vasto. Come evento di massa, coinvolge anche il mondo scientifico, inducendo centri di ricerca internazionali o case farmaceutiche ad investire denaro e tempo su queste tematiche, per comprovare metodi e tecniche innovative allo scopo di rallentare o risolvere l’invecchiamento, la perdita di salute, il sovrappeso e l’obesità. Alimentazione scorretta, mancanza di esercizio fisico e stress influiscono negativamente sulla salute di milioni di persone. Tali condizioni determinano l’insorgenza di patologie croniche come l’obesità (seconda causa di morte mondiale dopo il fumo), diabete, osteoporosi, ipertensione, fino ai disturbi da alimentazione incontrollata, che sempre più spesso stanno diventando causa di disabilità e mortalità precoce.

Gli studi scientifici più recenti e i dati rilevati dalle compagnie di assicurazione sulla vita hanno dimostrato che i rischi per la salute provocati da un eccesso di grasso corporeo non sono solo legati ai gravi problemi dell'obesità, ma sono associati anche ad un aumento di peso relativamente ridotto.

Nella maggior parte dei casi l’obesità viene definita essenziale o primitiva ed alla sua insorgenza concorrono principalmente fattori ambientali e genetici. I fattori ambientali comprendono la riduzione del dispendio energetico individuale, favorita dal lavoro sedentario e dalla scarsa abitudine allo svolgimento dell’esercizio fisico, e la sempre maggiore disponibilità di cibo. I fattori genetici determinano

(5)

Pigri, sedentari, più pronti a sfidarsi in una gara ai videogiochi sul divano che in una partita di pallone o in una corsa all’aria aperta; i bambini, dove il problema dell’obesità è cresciuto molto a causa di una maggiore sedentarietà e di un’alimentazione meno sana con conseguenza a sviluppare un rapporto difficile con il proprio corpo e con i propri coetanei, al fine di isolarsi. In Italia se ne contano ad oggi 700 mila quelli in sovrappeso, 400 mila gli obesi(2). Numeri che preoccupano, per la salute di quelli che saranno gli adulti di domani e che rischiano di trovarsi a lottare con asma, diabete, ipertensione arteriosa e disturbi cardiologici anche molto seri.

Negli ultimi anni l'obesità e il sovrappeso sono diventati problemi gravi che costituiscono un onere finanziario enorme e crescente per le risorse nazionali. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nonostante il grado di malnutrizione esistente sul pianeta, l’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo. Siamo infatti di fronte a una vera e propria epidemia globale, che si sta diffondendo in molti Paesi e che può causare, in assenza di un’azione immediata, problemi sanitari molto gravi nei prossimi anni(1). Nel 2002 la Task Force americana ha dimostrato come lo stile di vita sedentario aumenti il rischio di malattia cardiovascolare di circa 1,9 volte (anche nel paziente normopeso) e come il governo avrebbe risparmiato 6,4 miliardi di dollari se tutti gli americani avessero svolto una modica e regolare attività motoria (6). Tutti questi elementi hanno portato alcune società internazionali ad inserire l’esercizio fisico come un cambiamento dello stile di vita necessario per ridurre il rischio cardiovascolare globale (7-8).

La battaglia per controllare il sovrappeso e l'obesità può essere vinta “monitorizzando” l’apporto alimentare e introducendo l’attività fisica nello stile di vita. Il mezzo più efficace per ottenere un buon dimagrimento è infatti rappresentato da una giusta combinazione di corretto comportamento alimentare (ridotte entrate caloriche) ed esercizio fisico (aumento del consumo).

(6)

paziente in ambito ospedaliero, risultino di difficile attuazione nella vita di tutti i giorni, nasce il progetto di reperire una struttura in cui i pazienti, dichiarati idonei alla rieducazione in seguito ad esami clinici eseguiti in ambito ospedaliero, possano usufruire di specifici servizi collocati in un ambiente che consenta loro di acquisire abitudini e modelli comportamentali facilmente attuabili nella vita di tutti i giorni.

Tutto questo ci permette di capire l’importanza della realizzazione di un percorso terapeutico-riabilitativo dove il soggetto obeso può conoscere e mettere in pratica modificazioni dello stile di vita da dover in seguito trasferire nella vita di tutti i giorni.

(7)

Capitolo 1

L’obesita’

1.1

Definizione e caratteristiche dell'obesità

Nel corso degli anni, l’obesità ha attirato l’attenzione del mondo scientifico e dei mezzi d’informazione per la sua crescente diffusione. Viene definita come una condizione cronica caratterizzata da un eccessivo peso corporeo, per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute. Rappresenta una condizione che favorisce la comparsa di numerose complicanze con conseguente aumento del rischio di mortalità; infatti, fra tutte le cause di morte legate a difetti comportamentali, l’obesità e la sedentarietà rappresentano negli USA la seconda causa di mortalità globale (4) (Fig. 1). I dati ad oggi disponibili mettono in evidenza come la precocità di insorgenza dell’obesità e del grado di eccesso di peso,riducano l’ aspettativa di vita(5).

E’ comunque ancora oggi discusso se l’obesità di per sé, valutata come eccesso di peso corporeo, rappresenti un fattore di rischio cardiovascolare indipendente o solo una condizione predisponente alla comparsa dei principali fattori di rischio con conseguente aumento del rischio di morbilità e mortalità (6).

(8)

1.2 Criteri Internazionali per la definizione del

sovrappeso e dell'obesità

Per quantificare l’eccesso di tessuto adiposo viene utilizzato il calcolo dell’indice di massa corporea (IMC), che deriva dal rapporto fra il peso espresso in Kg e l’altezza al quadrato espressa in metri

(Fig. 2). Questo indice tuttavia non differenzia la massa grassa dalla

massa magra, e non tiene conto della distribuzione del tessuto adiposo (8). A tale proposito è importante sottolineare che le diverse comorbidità, associate all’obesità, dipendono in parte dall’eccesso di massa adiposa e in larga misura dalla sua localizzazione.

Un’ipotesi attraente per spiegare la diversa distribuzione del tessuto adiposo è che, in ogni individuo, il tessuto adiposo nelle varie sedi, abbia una capacità più o meno limitata di accumulo energetico (teoria della “ripartizione”). Raggiunta questa soglia, il substrato energetico inizierebbe a depositarsi in sedi anomale, vale a dire organi e tessuti che normalmente non lo contengono o lo contengono solo in minime quantità. Il tessuto adiposo ,che si accumula a livello addominale, rappresenterebbe dunque un marker della relativa incapacità del tessuto adiposo sottocutaneo, ad immagazzinare appropriatamente l’energia in eccesso. L’accumulo di grasso in sede ectopica ha effetti metabolicamente sfavorevoli e aumenta l’espressione dei fattori di rischio cardiovascolare. Al contrario, quando l’energia in eccesso viene immagazzinata prevalentemente a livello del tessuto adiposo sottocutaneo, anche in presenza di un bilancio energetico cronicamente positivo, l’individuo sembra protetto dallo sviluppo di diabete e di malattie cardiovascolari (8). Questi dati possono spiegare come, dall’analisi della relazione tra IMC e mortalità cardiovascolare, emergano risultati non del tutto univoci. Queste discrepanze possono essere spiegate dal fatto che l’IMC è una stima grezza dell’eccesso di peso, che non tiene in considerazione la distribuzione del tessuto adiposo ed il cui calcolo è influenzato sia dalla massa grassa che da quella magra (7).

(9)

Ne consegue che anche modesti aumenti di IMC, ove determinati esclusivamente da un aumento dell’adiposità viscerale, si associano ad un aumento del rischio di eventi e/o mortalità cardiovascolare (9) mentre valori anche considerevolmente aumentati di IMC, qualora legati ad un incremento della massa muscolare, non si accompagnano necessariamente ad un aumento del rischio. Pertanto la stima dell’eccesso di peso identificata dall’indice di massa corporea deve essere integrata dalla valutazione della distribuzione del tessuto adiposo. Ad oggi è possibile utilizzare diversi esami strumentali che consentono di stimare con precisione la distribuzione del tessuto adiposo (Ecografia, TAC, RMN). Tuttavia non è possibile utilizzare tali metodiche su larga scala e pertanto è necessario identificare metodi meno costosi e più semplici. Nella comune pratica clinica, mediante il semplice metro da sarta, è possibile effettuare la misurazione di alcuni parametri antropometrici come la circonferenza della vita, la circonferenza dei fianchi ed il relativo rapporto (10). Sebbene questa metodica sia ben standardizzata è pur vero che la sua riproducibilità presenta alcune limitazioni, in particolare nella grande obesità. La circonferenza vita è una misura adottata sia dal National Cholesterol Education Program Adult Treatment Panel III (ATP III) (11) che dall’International Diabetes Federation (IDF) per definire la sindrome metabolica, il cui esatto ruolo nell’identificazione del rischio di eventi cardiovascolari, rimane peraltro controverso (12).

F

(10)

1.3 Patologie associate

L’obesità si associa a numerose complicanze, alcune determinate dalla distribuzione del tessuto adiposo ed altre maggiormente dovute all’entità di tessuto adiposo in eccesso.

Complicanze metaboliche e cardiovascolari: il tessuto adiposo è

un vero e proprio organo endocrino, capace di sintetizzare vari tipi di mediatori (adipochine, varie citochine e molecole pro-infiammatorie) che agiscono sia localmente sia per via sistemica nella patogenesi del danno vascolare e dello sviluppo di aterosclerosi (13). S’ipotizza che l’alterazione principale alla base della relazione fra obesità e rischio cardiovascolare consista in uno stato di ridotta insulino-sensibilità (14) in vari organi e tessuti. E’ oggi comunemente accettato che l’insulino-resistenza sia implicata a vari livelli nella patogenesi dei principali fattori di rischio cardiovascolare maggiore: come il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia, principalmente negli individui con obesità viscerale. Sono peraltro noti altri meccanismi coinvolti in vario modo nella patogenesi della malattia cardiovascolare del soggetto obeso:

- lo stato d’infiammazione sistemica (14) che può rappresentare un

elemento importante nella formazione e progressione della placca aterosclerotica sia direttamente che come promotore di insulino-resistenza.

- La disfunzione endoteliale (15) nella cui patogenesi entrano in

gioco sia meccanismi indiretti, quali l’insulino-resistenza e i fattori di rischio che ne derivano (diabete mellito, ipertensione arteriosa e dislipidemia), sia meccanismi diretti quali l’alterata produzione di adipochine e citochine pro-infiammatori che si traduce in un aumentato stress ossidativo e ridotta biodisponibilità di ossido nitrico (NO).

- Lo stato pro-trombotico (16) e l’aumento del tono simpatico (17)

che si associano a un aumento del rischio di eventi cardiovascolari principalmente nel paziente con obesità centrale.

(11)

Il tessuto adiposo appare strettamente correlato con malattie del

sistema gastrointestinale. Le maggiori evidenze sono con la gravità

della steatosi epatica, con la neoplasia del colon e con la pancreatite acuta. Recenti dati della letteratura indicano un ruolo dell’obesità anche in altre malattie del sistema gastrointestinale.

La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), oggi meglio

definita come “sindrome da reflusso gastroesofageo”, per la molteplicità delle sue manifestazioni cliniche, è caratterizzata dalla presenza di sintomi o dall’evidenza di erosioni a carico dell’esofago distale secondarie al passaggio di contenuto gastrico in senso retrogrado. Fra i fattori di rischio della MRGE recentemente è stata introdotta anche l’obesità e in letteratura sono oggi presenti numerosi studi che confermano la presenza di un’associazione diretta fra queste due condizioni morbose, anche se talvolta i report risultano contrastanti fra loro.

La colelitiasi rappresenta la patologia più frequente delle vie biliari:

tale affezione è per lo più asintomatica o paucisintomatica e sia l’obesità che il sovrappeso rappresentano i fattori di rischio più importanti.

Lo spettro clinico delle malattie epatiche legate all’accumulo di tessuto adiposo può essere così schematizzata:

- Steatosi epatica: è una condizione clinica relativamente benigna,

asintomatica, di riscontro occasionale all’ecografia e soprattutto non correlata esclusivamente all’assunzione di alcol ma secondario anche a forme di epatite da HCV o a danno da farmaci.

- Non Alcoholic Steato-Hepatitis (NASH): è una condizione clinica

caratterizzata da sviluppo di flogosi ed epatite secondaria all’accumulo di tessuto adiposo, che può evolvere verso forme cliniche più gravi come l’epatite cronica e la cirrosi epatica. Questa condizione clinica è definita tale in quanto non è assolutamente correlata all’assunzione di alcol.

- Non Alcoholic Fatty Liver Disease (NAFLD): si sviluppa anch’essa

in assenza di assunzione di alcol ed è considerata la manifestazione epatica della sindrome metabolica.

(12)

Ruolo del tessuto adiposo nella NAFLD/NASH: la presenza di tessuto

adiposo centrale (addominale) risulta essere un fattore cruciale per l’ingresso di acidi grassi nel torrente venoso portale con flusso epatopeto. La presenza di obesità giustifica un aumentato assorbimento di acidi grassi e, di conseguenza, può essere un importante stimolo al mantenimento d’iperinsulinemia ed insulino-resistenza.

Le complicanze respiratorie sono determinate sia dalla

disposizione, sia dall’eccesso come tale. La rigidità della cavità

toracica, indotta dalle pareti ispessite dal grasso sottocutaneo e dalle

ridotte escursioni del diaframma sospinto verso l’alto dalle masse adipose intraddominali, comporta una riduzione di tutti i volumi respiratori statici e dinamici sino a situazioni di ipoventilazione con deficit dell’assunzione di O2 e dall’eliminazione di CO2.

Esistono inoltre numerosi dati in letteratura che evidenziano una correlazione diretta fra presenza di obesità e alcuni tipi di neoplasie in particolare a livello del tratto gastro-enterico. In particolare sembra dimostrato un effetto del BMI e dell’attività fisica sul rischio di carcinoma colo-rettale. Inoltre l’obesità rappresenta uno dei fattori emergenti e fortemente associati con lo sviluppo di adenocarcinoma

dell’esofago. Chow e Coll nel 1998 hanno evidenziato che i pazienti

che presentavano un BMI appartenente al quartile più elevato, presentavano un rischio circa due volte superiore, se correlato con coloro che presentavano un BMI più basso.

Le complicanze osteo-articolari sono frequenti nell’obesità (March

e Bagga 2004), spesso difficili da disgiungere dall'intero quadro clinico, con tassi di prevalenza/incidenza e criteri di correlazione con il fattore obesità differenti da sede a sede. Anca, ginocchio, tibiotarsica e colonna vertebrale lombare sono i distretti più studiati sotto il profilo biomeccanico e sui rapporti più o meno stretti con il fattore obesità (Oliveira et al. 1999). Questi sono sottoposti ad un carico eccessivo durante le comuni attività tanto da determinare un danno.

(13)

agisce su una determinata superficie e che, in tal modo, esercita una maggiore pressione su un determinato distretto. Questo effetto compressivo locale viene in genere smorzato e distribuito dall'articolazione interessata con una conseguente limitazione dei normali movimenti articolari, per cercare di ottenere un adeguato sgravio articolare. Tuttavia la cronica conseguenza di questo, è l'esecuzione di movimenti limitati e non sempre corretti, tali nel tempo da provocare una patologia da cattivo uso, non solo a carico dell'articolazione interessata, ma anche delle altre coinvolte nell'esecuzione del movimento.

Un elemento che caratterizza la grave obesità, in modo crescente rispetto all’età, è il relativo e progressivo depauperamento della quota muscolare (Sorensen et al. 2001). Indipendentemente dal peso, la prevalenza della sarcopenia è di circa il 20% a 70 anni e di circa il 50% a 80 anni (Baumgartner et al 1998). In particolare è stata notata una stretta relazione tra degenerazione cartilaginea del ginocchio e perdita di massa magra (Toda et al 2000). La condizione di

sarcopenia ha effetti sia sul piano metabolico sia su quello della resa

funzionale.

1.4 Aspetti psicologici ed emozionali del paziente obeso

La natura della relazione tra obesità e disturbi mentali non è ancora stata chiarita: numerosi studi sostengono che più grave è l’obesità, maggiore è la prevalenza di disturbi dell’umore in senso depressivo (specialmente nelle donne), disturbi d’ansia, fobia sociale, disturbi di personalità e, in misura minore, disturbi da abuso di sostanze.

In particolare l’obesità, a esordio in età evolutiva, è stata associata con un’aumentata frequenza di distress emotivo e di sintomi ansioso-depressivi rispetto all’obesità ad esordio tardivo. Nel bambino obeso la valutazione soggettiva negativa del proprio aspetto fisico (18), il senso d’imbarazzo e la vergogna, che nascono dal confronto con i modelli culturali, che enfatizzano il binomio magrezza-successo,

(14)

possono determinare un senso d’inadeguatezza in grado di influenzare negativamente l’autostima e il tono dell’umore (19). L’insoddisfazione corporea costituisce, non solo uno dei criteri diagnostici dei disturbi del comportamento alimentare, ma anche l’antecedente che più spesso porta a voler intraprendere una dieta, la maggior parte delle volte, eccessivamente restrittiva, che può influire, a sua volta, su alcune caratteristiche psicopatologiche, così come dimostrato da uno studio sul semidigiuno del 1950 (20).

Nonostante alcune terapie dietetiche, particolarmente restrittive, possano determinare problemi psicologici è noto come il calo ponderale, specialmente se ottenuto con trattamenti basati sull’educazione a un sano stile di vita, sia in grado di determinare un miglioramento del tono dell’umore, dell’autostima e della capacità di relazione sociale (21).

Il rapporto causa-effetto tra obesità e depressione è oggetto di controversie (22). E’ possibile che esista un sottogruppo di adolescenti che sviluppa prima la depressione e poi l’obesità a causa dell’influenza dell’umore depresso sul comportamento alimentare (aumento dell’appetito con conseguente iperfagia o sviluppo di un DAI;disturbo da alimentazione incontrollata). Un altro sottogruppo potrebbe sviluppare prima l’obesità che, a sua volta, sarebbe la causa della depressione (Fig. 3)(23-24). La comprensione di questa relazione, potrebbe portare a una maggiore attenzione ai fattori biologici e sociali e ad un conseguente cambiamento delle strategie di prevenzione per entrambi i disturbi.

(15)

Fig.3 Rappresentazione grafica di precursori e conseguenze dell’obesità e dell’insoddisfazione corporea (modificato da: Stice E., & Shaw H.E., 2002)

1.5 Costi sociali

“Obesità, emergenza sanitaria globale dei prossimi anni”, un’evidenza condivisa da tutti gli addetti ai lavori, certificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha posto la prevenzione e la cura di questa patologia tra gli obiettivi più importanti da conseguire a breve termine. Non certo noto è invece il costo sociale dell’obesità, ovvero quanto pesino gli effetti negativi della patologia sulle condizioni di vita di chi ne soffre, dei suoi familiari e, indirettamente, sull’intera collettività, in termini di consumo di risorse economiche.

Uno studio congiunto, condotto dalla Scuola Superiore Sant’Anna e

Livello di obesità Restrizione Alimentare Comportamenti Bulimici (BED) Depressione Ansia Bassa Autostima

Insoddisfazione per il peso e per l’aspetto fisico

Livello di obesità Restrizione Alimentare Restrizione Alimentare Comportamenti Bulimici (BED) Comportamenti Bulimici (BED) Depressione Ansia Bassa Autostima Depressione Ansia Bassa Autostima

Insoddisfazione per il peso e per l’aspetto fisico

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dall’Università Bocconi relativo all’obesità e alla Chirurgia Bariatrica (in collaborazione con il Prof. Giuseppe Turchetti, docente di Economia e Gestione delle Imprese che ha curato i risultati di questa prima parte), presenta i dati relativi alla prevalenza dell’obesità in Italia, negli USA e in Europa e svolge una revisione sistematica degli studi internazionali sul costo sociale dell’obesità, che ha così permesso di stimare il costo sociale annuo di una “generica” persona obesa in 1700 Euro (1400 Euro di costi sanitari e 300 di costi non sanitari).

Secondo l’ISTAT “Health for All 2008”, dal 1994 al 2007 si è assistito, in Italia, ad un progressivo incremento del tasso medio di prevalenza dal 7,3% al 9,9%.

Infine, un altro dato che invita alla riflessione: in Italia, sempre secondo i dati ISTAT “Health for All 2008”, il costo sanitario pro-capite è di 1.703 Euro. Se a questo dato togliamo i costi sanitari connessi alla cura dell’obesità, così come calcolati nell’esercizio svolto, otteniamo un costo sanitario pro-capite di 1.565 Euro. Ciò significa che l’obesità peserebbe sulla spesa sanitaria pro-capite per circa 138 Euro e che un cittadino obeso costerebbe al SSN più del doppio di un cittadino normopeso.

(17)

Capitolo 2

Approccio terapeutico

2.1

L’approccio multidisciplinare

L’obesità richiede un’attenzione costante da parte di figure professionali coinvolte nell’inquadramento diagnostico e nel successivo trattamento, anche se il paziente obeso rimane comunque il principale attore nell’esecuzione del programma di dimagrimento e nel mantenimento dei risultati raggiunti. L’intervento multidisciplinare può consentire al soggetto di comprendere le cause del suo problema e di mettere in atto nella vita di tutti i giorni i comportamenti idonei a raggiungere gli obiettivi prefissati (3), modificando progressivamente i comportamenti disfunzionali che hanno contribuito alla comparsa dell’obesità.

Come condizione cronica l’obesità può beneficiare di programmi di rieducazione-riabilitazione, tali da favorire il cambiamento dello stile di vita (4). Risulta pertanto importante impostare un programma di rieducazione in ambito nutrizionale, comportamentale e motorio, dove l’attività fisica continuativa venga considerata il momento primario della rieducazione.

Pertanto, nell'identificare un programma terapeutico di carattere riabilitativo in un paziente affetto da obesità tutte le figure professionali saranno coinvolte nella sua attuazione.

I. Intervento nutrizionale finalizzato a:

a. ottenere un calo ponderale pari almeno al 10% del peso corporeo iniziale con una significativa riduzione della massa grassa e preservazione di quella magra;

b. ricostruire durevolmente corrette abitudini alimentari (qualità, quantità, ritmo) basate sui canoni della Dieta Mediterranea anche in una logica educazionale;

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raggiungimento degli obiettivi.

II. Programma riabilitativo motorio/funzionale (rieducazione funzionale, ricondizionamento fisico, riabilitazione motoria) finalizzato a:

a. riattivare strutture muscolari ipotoniche ed ipotrofiche per l’inattività;

b. recuperare mobilità articolare;

c. migliorare la performance cardio-circolatoria e respiratoria; d. aumentare il dispendio energetico;

e. aumentare il rapporto massa magra/massa grassa.

III. Educazione terapeutica e interventi psicoterapeutici brevi focalizzati : interventi psicopedagogici e psicoterapeutici, condotti da operatori abilitati e formati, diretti a:

a. riconoscere i reali fabbisogni dei pazienti;

b. correggere le convinzioni errate dei pazienti sull’alimentazione e l’attività fisica che talvolta rappresentano il primo vero ostacolo alla cura;

c. migliorare non solo le conoscenze, ma anche le competenze dei pazienti attraverso il passaggio dal “sapere”, al “saper fare” ed al “saper essere”;

d. allenare alla gestione e all’autocontrollo dell’alimentazione, dell’attività fisica, dei momenti di stress ed ansia (diario alimentare, automonitoraggio, controllo degli stimoli, problem solving);

e. migliorare il rapporto con il corpo e la sua immagine (danza-movimento-terapia, training autogeno e altre tecniche corporee di rilassamento);

f. affrontare le difficoltà psicologiche legate all’accettazione e/o al mantenimento del problema;

g. aumentare il senso di responsabilità nella malattia e nella cura (illness behaviour);

h. favorire la compliance terapeutica (intervista motivazionale, strategie di counseling motivazionale breve, etc);

i. facilitare non solo l’apprendimento cognitivo (attraverso la condivisione di argomenti specifici), ma anche l’apprendimento

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esperienziale (grazie all’uso di role playing e simulate) e quello intuitivo (attraverso l’uso di aforismi, metafore, storie);

j. insegnare il controllo di semplici parametri clinici (glicemia, pressione arteriosa).

IV. Nursing riabilitativo (rehabilitation nursing), interventi svolti da infermieri e diretti a:

a. migliorare le risposte dei pazienti a malattie croniche, disabilità e stili di vita patogeni;

b. potenziare i supporti ed i compensi ambientali e sociali;

c. proteggere e stimolare le capacità funzionali e relazionali al fine di migliorare la partecipazione alle attività riabilitative ed ai programmi assistenziali.

V. In casi selezionati può essere intrapresa o indicata anche una terapia farmacologica (compresi eventuali psicofarmaci), chirurgica, psicoterapeutica.

Anche questi interventi vanno sempre inseriti in una logica terapeutico-riabilitativa multidimensionale e interdisciplinare.

2.2 Efficacia dell’attività fisica nell’obeso

L’obesità può beneficiare di programmi di rieducazione-riabilitazione, tali da favorire il cambiamento dello stile di vita, attraverso l’acquisizione di comportamenti idonei a raggiungere gli obiettivi prefissati e il loro mantenimento nel tempo. Risulta pertanto importante impostare un programma di rieducazione in ambito nutrizionale, comportamentale e motorio, dove comunque l’attività fisica continuativa venga considerata il momento primario della rieducazione. Pertanto nel paziente con eccesso ponderale l’esercizio fisico di tipo aerobico rappresenta sicuramente un presidio fondamentale per ottenere un dimagrimento, soprattutto per mantenere nel tempo i risultati raggiunti. Inoltre l’esercizio fisico è un mezzo utile anche per migliorare le comorbidità legate all’obesità.

(20)

Il costo dell'esercizio fisico per gli obesi

Di fondamentale importanza è capire quali sono i problemi che comporta lo stato di obesità nell'attività fisica. Andando ad analizzare come reagiscono all'esercizio fisico, emerge che il rendimento dei soggetti obesi è nettamente inferiore a quello dei coetanei magri, causa di ciò è il più elevato costo metabolico dell'esercizio, conseguente al trasporto di una massa corporea maggiore. Durante l'esercizio fisico lavorano con percentuali più alte di frequenza cardiaca massima ed anche la pressione arteriosa è eccessivamente elevata rispetto ai magri di pari età, questo per le maggiori resistenze periferiche da vincere. Gli obesi sono sottoposti a un aumentato stress articolare soprattutto a carico degli arti inferiori, presentano delle masse muscolari non adeguate, rese meno toniche dalla minore propensione al movimento ed hanno un maggiore consumo di ossigeno. A questi si aggiungono i problemi dovuti alla ridotta stimolazione del sistema nervoso, che si evidenziano nella deficitaria coordinazione, nella minore capacità di risoluzione dei compiti motori e nella rallentata capacità di apprendimento motorio.

L'importanza dell'esercizio fisico nella cura dell'obesità

L'esercizio fisico praticato razionalmente, in maniera programmata e con continuità, oltre alla perdita dell'eccesso ponderale, apporta nel tempo degli adattamenti fisiologici molto importanti nella terapia dell'obesità. Tutti i tessuti, organi e sistemi si adattano agli stimoli esterni, ma con tempi diversi gli uni dagli altri. Gli adattamenti più immediati sono quelli a carico dell'apparato locomotore, con l'aumento del tono e della massa muscolare per una migliorata sintesi proteica, di seguito migliora la qualità del tessuto tendineo, c'è un aumento dell'idratazione, del collagene e della quota glicoproteica. Migliorando il metabolismo delle ossa e delle cartilagini, anche il tessuto osseo e le superfici articolari vanno incontro ad adattamenti. A livello osseo migliora il metabolismo del calcio, il che porta a un aumento della densità ossea e della capacità di resistenza meccanica.

(21)

Le articolazioni sono meglio nutrite e lubrificate dal liquido sinoviale (presente in ogni articolazione), dando luogo a un positivo inspessimento delle cartilagini articolari. Adattamenti a più lungo termine, ma di fondamentale importanza, si verificano a carico dell'apparato cardiocircolatorio e respiratorio. Aumenta la capacità contrattile del muscolo cardiaco, di conseguenza aumenta la gittata cardiaca e diminuisce la frequenza cardiaca a riposo. Aumenta il trofismo dei vasi che acquisiscono maggiore elasticità, migliora la capillarizzazione quindi c'è l'aumento del sangue in periferia e soprattutto una diminuzione delle resistenze periferiche e della pressione arteriosa. Migliora la capacità respiratoria, grazie all'aumento dell'ampiezza degli atti respiratori, dovuti a una migliorata mobilizzazione della gabbia toracica. Aumentano gli scambi gassosi al livello degli alveoli polmonari, aumenta la capacità di trasporto dell'ossigeno nel sangue e la capacità di cederlo in periferia agli organi.

L'esercizio per il calo ponderale

C'è da stabilire con che intensità di lavoro praticare l'attività fisica. Bisogna capire che non è utile per il calo ponderale un lavoro breve ad alta intensità, poiché stanca velocemente e non incide efficacemente sulla spesa energetica che risulta ridotta. I substrati energetici utilizzati con questa intensità provengono solo in minima parte dai grassi e in massima parte dal glicogeno muscolare ed epatico. L'intensità di lavoro da ritenersi ideale per il calo ponderale, quindi per bruciare i grassi, è un'intensità bassa, all'interno della soglia aerobica, tra il 60 e il 70% della propria frequenza cardiaca

massima. A questo livello si produce inoltre un lieve incremento del

tono muscolare e inizia l'adattamento cardiovascolare. Il tempo da

dedicare ogni volta all'attività fisica deve essere non meno di 30-45 minuti, per una frequenza settimanale di minimo tre volte, alternando un giorno di riposo e uno di lavoro. Questo ritmo di

lavoro è applicabile a qualunque attività si decida di praticare. Per migliorare la qualità e la velocità di dimagrimento, questo lavoro

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aerobico può essere integrato con un'attività anaerobica di potenziamento muscolare, soprattutto dei grossi gruppi muscolari. Con un incremento delle masse muscolari c'è un importante aumento del metabolismo basale, quindi aumenta la capacità di combustione delle riserve energetiche dell'organismo (in particolare i grassi). Altro aspetto positivo del potenziamento muscolare è la maggiore stabilizzazione delle articolazioni, in particolare per gli arti inferiori che sono i più stressati dal carico corporeo. Studi sperimentali

dimostrano che i soggetti sedentari, con l'incremento del livello di attività fisica, presentano una diminuzione dell'appetito. Esiste,

infatti, una soglia di attività fisica al di sotto della quale l'appetito non si correla con il grado di esercizio, mentre al di sopra di questa soglia, l'appetito sembra ricorrelarsi (aumentando la spesa energetica in maniera significativa, aumenta il fabbisogno energetico).

Criteri di scelta dell'attività fisica

Nella scelta di un’attività fisica bisogna tenere in considerazione il grado di efficacia di questa nella riduzione del grasso, la praticabilità e il divertimento. Il calo ponderale è tanto maggiore quanto maggiori sono le masse muscolari coinvolte, questo avviene per esempio in attività come la corsa, il nuoto e la ginnastica artistica. È da tener presente che esistono delle limitazioni fisiche e psicologiche per gli obesi in alcuni sport "di terra" come la corsa, il calcio e il basket. Specialmente nei primi periodi di attività, infatti, l'obesità rappresenta un limite per l'efficienza della prestazione, quindi comporta un danno psicologico e una sollecitazione eccessivamente gravosa per le articolazioni soprattutto degli arti inferiori. Ci sono sport come il nuoto e il ciclismo che sono sempre raccomandabili , poiché comportano una grande spesa energetica, ma non un altrettanto grande stress articolare. Con l'allenamento, gradualmente viene a crescere l'efficienza fisica dell'individuo, progressivamente scompaiono i limiti fisici alla prestazione. Il peso corporeo diminuisce e migliora la composizione corporea (rapporto massa magra/massa grassa), aumentano la forza, la resistenza e migliora

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l'abilità motoria. Tutto ciò porta all'abbattimento dei limiti psicologici spesso freno dei soggetti obesi, c'è una crescita dell'autostima e della fiducia in se stessi. A rinforzare questi risultati oltre alla migliorata capacità di prestazione, contribuisce anche il miglior aspetto fisico ottenuto con l'esercizio ed una corretta alimentazione.

Attività fisica di riduzione delle complicanze

Nel corso degli ultimi quindici anni, molti studi epidemiologici hanno mostrato una chiara e solida relazione fra l’attività fisica e la riduzione della mortalità globale, in particolare per cause cardiovascolari, mediante un effetto diretto sui principali fattori di rischio e in parte dipendente dal calo ponderale. Tutti questi elementi hanno portato alcune società internazionali a inserire l’esercizio fisico come un cambiamento dello stile di vita necessario, per ridurre il rischio cardiovascolare globale. I dati che derivano da studi epidemiologici e d’intervento hanno dimostrato che, un cambiamento dello stile di vita che includa un’attività fisica di tipo aerobico di moderata intensità e della durata di almeno 20-30 minuti al giorno o 150 minuti alla settimana, è in grado di ridurre l’incidenza di diabete mellito di tipo 2 e del rischio cardiovascolare in tutti i soggetti e in particolare in quelli con eccesso ponderale.

I meccanismi attraverso i quali l’esercizio fisico può migliorare il profilo di rischio cardiovascolare sono:

- il miglioramento della sensibilità insulinica, considerando che l’obesità, soprattutto quella viscerale, si associa frequentemente alla sindrome metabolica, cioè una condizione clinica caratterizzata da insulino-resistenza. Infatti, numerosi studi clinici hanno dimostrato come l’esercizio fisico di tipo aerobico, di media intensità e svolto in modo continuativo (circa 1 ora al giorno con VO2max fra 60-70%), sia in grado di ridurre la resistenza insulinica. Inoltre esistono evidenze che anche un esercizio continuativo di bassa intensità (50% del VO2max), come camminare a passo svelto, abbia un effetto positivo non solo sulla spesa energetica e sulla composizione

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corporea, ma direttamente sul profilo glucidico. Il miglioramento della sensibilità insulinica è spiegabile con l’aumento della massa muscolare, con la riduzione del grasso viscerale, con l’aumento del flusso ematico muscolare, con il miglioramento del metabolismo ossidativo del glucosio per aumento del contenuto di mitocondri e per l’aumentata translocazione di trasportatori del glucosio (GLUT-4) a livello della membrana cellulare, un effetto quest’ultimo che può essere indipendente dall’insulina.

- Inoltre l’attività fisica riduce il rischio cardiovascolare con un effetto positivo su altri fattori di rischio in quanto riduce la pressione arteriosa ed aumenta l’HDL colesterolo.

2.3 Modi e tempi

Pertanto sembra chiaro che, tutti i pazienti con eccesso ponderale, dovrebbero cercare di svolgere un’attività fisica in modo continuativo. Però indurre una persona obesa e in più cronicamente sedentaria alla pratica costante di attività fisica di tipo aerobico, è uno dei compiti più difficili per il medico, che si trova di fronte un paziente obeso. Inoltre non sempre il paziente è in condizione di effettuare qualsiasi esercizio di tipo aerobico anche di bassa intensità. L’obesità che ci troviamo ad affrontare è frequentemente associata a varie complicanze di tipo metabolico e cardiovascolare, ma anche di tipo respiratorio e osteo-articolare, che limitano fortemente la possibilità e la capacità del paziente obeso di effettuare anche un pur minimo esercizio di tipo aerobico. E’ pertanto di fondamentale importanza impostare una strategia a breve e lungo termine, così da cercare di promuovere un cambiamento radicale ma costante dello stile di vita. Nella programmazione dell’esercizio occorre prendere in considerazione l’intensità, la durata e la frequenza per produrre fenomeni di adattamento progressivi al fine di migliorare la tollerabilità all’esercizio.

Prima dell’inizio di un qualsiasi tipo di attività è necessario eseguire una valutazione clinica, così da essere in grado di impostare

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programmi mirati e adattati secondo il grado di obesità, dell’età e del quadro clinico globale. Sarà così possibile pianificare varie attività a seconda dei casi e da svolgere secondo programmi definiti, scelti in base alle caratteristiche del singolo soggetto.

Tenendo conto del grado di obesità e delle complicanze presenti è possibile consigliare un’attività fisica da svolgere in tre diversi ambiti:

- il lavoro in acqua, dove l’esecuzione dei movimenti è facilitata dall’azione dell’acqua, che consente di praticare esercizi dolci e intensi, ma soprattutto di eseguire grandi escursioni a beneficio dei distretti osteo-articolari e dell’allungamento della muscolatura ottenendo un iniziale potenziamento degli arti. Il tutto può essere eseguito anche utilizzando piccoli attrezzi e resistenze elastiche. - La palestra dovrebbe essere attrezzata con macchinari adeguati al paziente obeso. In particolare, si possono utilizzare specifici tapis-roulant (Cardio-Run), bike classica e reclinata (Cicloergometro classico e orizzontale), con seduta larga e schienale, al fine di mantenere un’adeguata postura durante l’esercizio, arm-cycling (Top) e, in alcuni casi, eseguire esercizi con la bicicletta ellittica (Synchro). Tutti gli esercizi dovrebbero essere eseguiti con il monitoraggio della frequenza cardiaca, cercando di non superare la soglia aerobica, e quindi lavorando a un massimo consumo di ossigeno (VO2max) < al 70% del massimale (solitamente VO2max compresa fra 40-65% del massimale), calcolato secondo la formula di Karvonen.

Gli esercizi dovrebbero essere intervallati da attività personalizzate di ginnastica defaticante (stretching), e/o attività aerobiche, in alcuni casi, condotte con un modesto carico di peso applicato agli arti. - L’esercizio all’aria aperta, che può iniziare con una camminata di durata variabile e incrementale, che deve contribuire a migliorare la funzionalità e la tollerabilità del movimento del paziente obeso. E’ preferibile effettuare il movimento su percorsi pianeggianti per non aumentare la possibilità di avere un infortunio.

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correttamente un programma continuativo di attività fisica, oltre che permettergli uno stile di vita più attivo nel quotidiano, determina un sicuro miglioramento della qualità di vita e della propria autostima e questo solo in parte legato al calo ponderale.

In conclusione possiamo affermare che l’esercizio fisico rappresenta un importante mezzo di prevenzione e cura dell’obesità e delle sue complicanze, e sebbene debba essere adattato secondo le caratteristiche di ogni singolo paziente obeso, è un approccio terapeutico simile alla terapia farmacologica, nel senso che dovrebbe essere eseguito in modo continuativo.

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Capitolo 3

Bioimpedenziometria

3.1 Valutazione Bioimpedenziometrica (BIA AKERN)

Attualmente l’unico metodo in grado di valutare specificamente l’idratazione in qualsiasi condizione clinica e indipendentemente dal peso corporeo, è l’analisi d’impedenza bioelettrica (BIA). Essa utilizzata e interpretata correttamente è in grado di cogliere variazioni d’idratazione tissutale d’interesse clinico per misura diretta e specifica di grandezze elettriche dipendenti solo dall’idratazione tissutale. La BIA è basata sul principio che i tessuti biologici si comportano come conduttori, semiconduttori o dielettrici (isolanti). Le soluzioni elettrolitiche intra ed extracellulari dei tessuti magri sono ottimi conduttori, mentre osso e grasso sono sostanze dielettriche e non sono attraversate dalle correnti utilizzate nei pletismografi d’impiego clinico. La BIA come metodo di analisi della composizione corporea, pur nascendo come metodo basato su una proprietà misurabile (impedenza) può essere classificata come metodo basato su proprietà e funzioni statistiche o come altri metodi combinati secondo la complessità delle assunzioni. Infatti, la misura dell’impedenza fornita dalla BIA può essere sfruttata seguendo due vie: la BIA convenzionale e la BIA vettoriale (25).

L’analisi vettoriale d’impedenza, tramite nomogramma Biavector® (“nomogramma” è la rappresentazione grafica di una funzione di due o più variabili; figura 4), offre al clinico uno schema interpretativo immediato circa lo stato d’idratazione e nutrizione del soggetto. I valori bioelettrici di Resistenza (RZ) e Reattanza (Xc) misurati dallo strumento sono divisi per l’altezza del soggetto (conducibilità/metro) e plottati sullo schema.

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trasformare le proprietà elettriche dei tessuti in un dato clinico. L’elettrocardiogramma (ECG) registra graficamente attraverso elettrodi di superficie il potenziale elettrico del cuore. L’anormalità di determinate forme d’onda, è determinata tramite il paragone con forme d’onda di riferimento della popolazione sana. L’applicazione clinica dell’analisi BIA è oggi possibile seguendo la stessa metodologia interpretativa di un ECG: questa nuova metodica prende il nome di Analisi Vettoriale Biavector® e permette di attingere a schemi interpretativi (nomogrammi) che consentono un’immediata diagnosi di stati di sovraccarico idrico, disidratazione, normo-idratazione, cachessia, malassorbimento, recupero muscolare, follow-up nutrizionale (26).

Figura 4

Per determinare lo stato fisiologico-nutrizionale tramite un'analisi della composizione corporea è fondamentale decidere quali parametri devono essere considerati prioritari e i loro valori di riferimento clinicamente fruibili. Sono necessarie alcune premesse. La totalità dei processi biochimici nell'organismo umano (nutrizione, assimilazione, respirazione, digestione, assorbimento ed escrezione) sono riassunti nel metabolismo. Il bilancio idrico è strettamente correlato al metabolismo e viene mantenuto in equilibrio attraverso la regolazione osmotica. Il corpo umano, se normopeso, è costituito per due terzi da fluidi suddivisi nei compartimenti extra (ECW) e

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intracellulari (ICW). Uno stato d’idratazione normale e bilanciata è la prima condizione per il corretto processo metabolico.

Il valore di normalità per l'acqua corporea totale (TBW) comunemente indicato, corrisponde al 60-70% del peso corporeo normale.

Tuttavia, indipendentemente da un peso più o meno nella norma, la maggior parte della TBW ( 73%) è contenuta nella Massa Magra. La classificazione dello stato d’idratazione non è ottenibile dalla stima dell'acqua totale (TBW) e neppure dalla sua ripartizione fra gli

spazi intra ed extra cellulari (ECW/ICW; ECW%). La normo

idratazione è presente solo se la massa magra contiene la corretta quantità di fluidi, identificata con un coefficiente prossimo al 73%. La corretta distribuzione dei fluidi negli spazi intra/extra cellulare può indicare solo anomalie ma non è in grado di classificare il reale stato d’idratazione.

Una cellula è composta per oltre 90% da acqua (intracellulare) ed è contenuta in una membrana semipermeabile che ne permette lo scambio insieme agli ioni dei sali in essa disciolti.

La massa cellulare (BCM) è responsabile di funzioni vitali fondamentali quali lo scambio di ossigeno, la fornitura di potassio ai tessuti e l'ossidazione del glucosio.

La massa grassa (FM) è composta da lipidi, grasso essenziale e tessuto adiposo.

A livello bioelettrico, la massa grassa è un peggior conduttore rispetto alla massa magra, poiché ha un minore contenuto di fluidi. La minore conducibilità della FM ne limita il flusso di corrente e per questa ragione, nessun impedenziometro può essere onestamente definito un analizzatore di massa grassa (o "Body Fat Analyzer"). Malgrado questa evidenza e ipotizzando arbitrariamente uno stato d’idratazione costante della massa magra del 73%, la stima dell'acqua totale viene trasformata in stima della massa magra (FFM= TBW/0,73) e successivamente la massa grassa è ottenuta per differenza dal peso corporeo (FM = PESO - FFM).

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quantità dei fluidi corporei, secondo l'equazione tanta acqua = poca resistenza e viceversa. Di conseguenza un organismo con tanta acqua, essendo un buon conduttore, viene "interpretato" come organismo contenente una grande massa muscolare. Tuttavia i fluidi corporei sono sempre soggetti a variazioni, che possono dipendere da una moltitudine di fattori e quindi non sempre sono interpretabili in composizione corporea. Impostare un'analisi di composizione corporea sulla sola massa grassa, non è utile, se non si ha a disposizione uno strumento in grado di individuare il reale stato d'idratazione e di nutrizione (obesi con imponenti masse cellulari o con poca struttura muscolare, obesi disidratati o edematosi...) (26). La misurazione si svolge con il paziente supino e lasciato in posizione per almeno 5’, per la normale ridistribuzione dei liquidi da posizione eretta a supina. Gli elettrodi cutanei utilizzati per l’analisi sono gli stessi usati per l’ECG e sono posizionati in due coppie (tecnica tetrapolare mano-piede): una coppia sul dorso della mano (preferita la destra), un elettrodo sull’articolazione metacarpo-falangea del 3° dito (elettrodo iniettore) e l’altro sull’articolazione radio-ulnare (elettrodo sensore); l’altra coppia è collocata sul dorso del piede omolaterale, un elettrodo sull’articolazione metatarso-falangea del 3° dito (elettrodo iniettore) e l’altro sull’articolazione tibio-tarsica (elettrodo sensore). Il paziente, non deve essere a contatto con elementi metallici, può tenere scoperti soli mano e piede omolaterali, con arti inferiori divaricati di 45° e arti superiori abdotti di 30° per evitare contatti cutanei con il tronco (Figura 5).

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Chiave di lettura del BiaVector (Figura 6)

Le variazioni di composizione corporea rilevabili su BiaVector sono associate a variazioni d’idratazione tissutale (variazione d’impedenza). Dalla validazione clinica condotta finora si può formulare una regola di lettura molto semplice:

- variazioni dell’idratazione senza alterazioni della struttura tissutale (tipicamente variazioni in acuto) sono associate a un accorciamento (iperidratazione) o un allungamento (disidratazione) del vettore impedenza, lungo l’asse maggiore delle ellissi di tolleranza (27-34). - A fronte di una stessa variazione d’idratazione, i vettori corti migrano poco, i vettori lunghi migrano molto. BiaVector è quindi più sensibile nella regione di disidratazione rispetto alla regione dell’edema. Questa proprietà è dovuta alla relazione non lineare (iperbolica) tra impedenza e acqua corporea (30). Un vettore è considerato corto se fluttua sotto al polo inferiore dell’ellisse di tolleranza al 50% (limite inferiore della mediana normale); è considerato lungo se fluttua oltre il polo superiore dell’ellisse di tolleranza al 50% (limite superiore delle mediana normale).

- Variazione dello “stato di nutrizione” dei tessuti (cellule e proteine strutturali interstiziali idrofile) (35), senza alterazioni dell’idratazione tissutale, sono associate a una migrazione del vettore nella direzione dell’asse minore dell’ellissi, con aumento progressivo dell’angolo di fase (obesità per i vettori corti, massa muscolare per i vettori lunghi) o con riduzione progressiva dell’angolo di fase (cachessia per vettori corti , anoressia per i vettori lunghi).

- Variazioni combinate d’idratazione e struttura dei tessuti sono associate a migrazioni del vettore lungo nella combinazione delle due direzioni principali.

- Variazioni ortogonali (solo R,o solo Xc ), ad analizzatore tarato (tester a R e Xc fisse ) sono errori di misura (cortocircuiti da contatto tra arti e tronco, elettrodi scaduti o poco adesivi, cute ricoperta di creme, circuiti instabili sulle connessioni dei cavetti).

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Capitolo 4

Percorso riabilitativo

4.1 Programma riabilitativo San Giuliano

Dal 2005 al 2012 la Sezione Centro Obesità dell’U.O. Endocrinologia I ha svolto presso la struttura termale “Bagni di Pisa” a S. Giuliano Terme il “percorso terapeutico-riabilitativo per il paziente obeso”. Tale percorso è stato attuato grazie all’accordo tra Regione Toscana e Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana che hanno individuato in “Bagni di Pisa”, Terme di San Giuliano l’ambiente considerato idoneo all’attuazione di questo programma sperimentale (D.G.R. 61/2004).

Il percorso si poneva come obiettivo primario, quello di far conoscere al paziente obeso abitudini e modelli comportamentali trasferibili nella vita di tutti i giorni, che consistevano nell’ottenere una graduale riduzione del peso corporeo e mantenere nel tempo i risultati raggiunti.

Il team interdisciplinare era composto da medici (endocrinologi e medico dello sport), psicologi, dietisti, operatore di fitness metabolico e fisioterapista che interagiscono in modo da ottimizzare e personalizzare il percorso di ogni paziente.

Il compito del Medico partiva da una visita preliminare all’inizio

del programma. Era opportuno definire il tipo di obesità, escludendo cause secondarie, cercare di individuare le eventuali complicanze associate mediante esami mirati anche al fine di ottimizzare l’eventuale terapia farmacologica in atto. Questo doveva comprendere la definizione del profilo di rischio cardiovascolare globale, al fine di individuare complicanze, che limitassero la performance del paziente e che richiedessero specifici accertamenti.

Il primo giorno del programma il paziente veniva sottoposto alla visita medica, dove oltre a prendere visione degli esami eseguiti,

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erano misurati i parametri antropometrici (relativi alla quantità e alla distribuzione del tessuto adiposo), era praticato un esame obiettivo comprensivo di misurazione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca basale. Erano infine eseguiti un ECG basale ed un esame bioimpedenziometrico (poi ripetuto al termine del programma).

Tutto questo permetteva al medico di redigere, insieme all’operatore di fitness metabolico, un programma di attività fisica che ottimizzasse il tipo, l’intensità e la durata dell’esercizio fisico in base alle caratteristiche di ogni soggetto. Ove ritenuto necessario, a completamento diagnostico, venivano eseguiti esami ematochimici ed accertamenti strumentali mirati. Il medico aveva poi il compito di seguire il paziente obeso durante lo svolgimento del percorso e durante le attività motorie, cercando di risolvere eventuali problematiche. L’ultimo giorno era infine eseguita la visita medica dove erano raccolti i dati finali sia per quanto riguarda i parametri antropometrici che per quelli clinici.

Il tutto veniva riassunto in una relazione clinica completa indirizzata al medico curante, alla quale erano allegati alcuni consigli, comprensivi di modelli di attività fisica che il paziente avrebbe potuto svolgere una volta ritornato a casa.

L’operatore di fitness metabolico seguiva il paziente durante lo

svolgimento giornaliero delle attività concordate fra l’operatore ed il medico e venivano svolte secondo programmi definiti, scelti in base alle caratteristiche del singolo soggetto.

L’obiettivo terapeutico consisteva nel recupero della forma psico-fisica del paziente, al fine di ottenere un cambiamento del suo stile di vita e una modificazione delle sue abitudini quotidiane.

Il dietista aveva il ruolo di rieducare il paziente ad una sana ed

equilibrata alimentazione. In collaborazione con le psicologhe, aveva il compito di ristrutturare il concetto di dieta, rielaborando le idee disfunzionali, che rendevano difficoltoso il rapporto con il cibo ed incoraggiando l'acquisizione ed il consolidamento di un comportamento alimentare appropriato. Spesso questi soggetti

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erano reduci da numerosi tentativi di dimagrimento intrapresi autonomamente o con l'aiuto di figure specialistiche per cui i vari approcci sperimentati in passato, uniti alle numerose informazioni non sempre fedeli alla realtà ricevute dai media, li portavano ad elaborare un'idea distorta del concetto di “dieta” oppure, non di rado, a sperimentare a tale proposito un senso di completo rifiuto. Dopo un primo inquadramento del paziente, volto a valutare tramite un'attenta anamnesi le abitudini dietetiche e l'eventuale presenza di disturbi del comportamento alimentare, il dietista aveva come compito quello di pianificare il menù dei pasti principali, concordando con gli chef del ristorante la scelta di pietanze gustose, e allo stesso tempo equilibrate dal punto di vista nutrizionale e calorico; le porzioni erano stabilite di volta in volta e modificate a seconda delle esigenze individuali e delle caratteristiche di ogni singolo paziente. Il dietista partecipava attivamente al momento del pranzo sedendosi a tavola con i pazienti e consumando il pasto insieme a loro. Il momento del pasto diventava fondamentale per rendere il paziente obeso consapevole del fatto che, un'alimentazione sana ed equilibrata, era gratificante, dal punto di vista gustativo e quantitativo e soprattutto non comportava la rinuncia a nessun tipo di cibo. Si aveva così modo di assumere un atteggiamento critico nei confronti delle precedenti abitudini dietetiche e di comprendere quelli che erano stati gli errori commessi quotidianamente. I pasti dovevano essere completi ed equilibrati dal punto di vista nutrizionale, nel rispetto delle Linee Guida per una Sana e Corretta Alimentazione approvate dal Ministero della Salute (36). Alle dimissioni, il dietista riassumeva e indicava nello specifico i comportamenti e le abitudini alimentari che avevano favorito il calo ponderale, suggeriva il modo per riportare nella realtà quotidiana i concetti ed i comportamenti appresi e forniva nozioni scritte di educazione alimentare, così da rendere il paziente consapevole ed indipendente nella scelta dei cibi.

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(che si svolge in seduta singola) e la somministrazione di test psicologici, consisteva nel guidare alcuni incontri di gruppo (psicoeducazione) al fine di valutare e incrementare la motivazione al trattamento (37-39), migliorare l’aderenza alle terapie e aiutare i pazienti a cambiare stile di vita.

L’intervento psicoeducazionale, a orientamento cognitivo-comportamentale, aveva come fine il superamento delle abitudini disfunzionali che avevano contribuito all’insorgenza dell’obesità o al suo mantenimento e la promozione di un corretto stile di vita. Gli argomenti trattati riguardavano la motivazione al cambiamento (39,40) e all’attività fisica, la ristrutturazione delle aspettative, la gestione del ciclo restrizione-disinibizione, l’apprendimento delle tecniche di controllo degli stimoli e un training di apprendimento di abilità comportamentali (skill training) (41,42).

Tra le tecniche di controllo degli stimoli erano insegnati i comportamenti più adeguati nel fare la spesa, nel cucinare e nel gestire le “situazioni a rischio”, come regolare l’alimentazione durante le occasioni sociali (40,42).

Fondamentale era, all’inizio del percorso, la gestione del ciclo restrizione–disinibizione. La restrizione dietetica eccessiva, in passato tentata più volte, era difficile da mantenere a lungo (43) e le aspettative connesse ai precedenti tentativi erano irrealistiche (44). Al fine di incrementare la motivazione a intraprendere e mantenere un livello di attività fisica adeguato era utile aiutare le persone a: 1) identificare le difficoltà nell’iniziare e nel continuare l’attività fisica, 2) fare un problem-solving per risolvere queste difficoltà; 3) porsi obiettivi realistici (45).

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Capitolo 5

Risultati

5.1 Premessa

In letteratura esistono pochi dati che valutino il rapporto fra attività fisica ed età e/o indice di massa corporea (BMI), in particolare nel paziente obeso, sia in termini di esecuzione dell’attività fisica, che dei suoi benefici. I dati esistenti sono spesso ottenuti in popolazione differenti e derivano da tipologie di studio non sempre omogenee con attività fisica auto-riportata e/o da programmi diversi in termini di tipo, intensità e durata (47). Comunque i dati, in particolare esistenti nei bambini (48) e nelle donne (49), sembrano evidenziare un rapporto inverso fra livelli di attività fisica con età e BMI.

Partendo da una precedente analisi, in cui avevamo potuto osservare che il programma di San Giuliano in una popolazione di soggetti di entrambi i sessi, era in grado di determinare un corretto dimagrimento ed un pur modesto miglioramento della composizione corporea, abbiamo voluto concentrare la nostra analisi solo su soggetti di sesso femminile cercando di individuare se l’età o il BMI all’inizio del programma potessero influenzare il risultato finale.

5.2 Scopo della tesi

Lo scopo di questa tesi è stato quello di valutare le modificazioni della composizione corporea, misurate mediante l’utilizzo di un Bioimpedenziometro vettoriale, in una popolazione di sole donne obese prima e dopo percorso terapeutico-riabilitativo di breve durata, dividendo la popolazione in fasce di età ed in fasce di obesità, per cercare di individuare se una sottopopolazione avesse un miglior risultato in termini di maggiore calo ponderale e/o miglioramento della composizione corporea.

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5.3 Materiali e metodi

Sono state reclutate le sole pazienti donne che consecutivamente dal 2008 al 2012 hanno partecipato al Programma Terapeutico-Riabilitativo, analizzando i dati di quelle che avevano eseguito in modo corretto la bioimpedenziometria all’inizio ed al termine del percorso.

L’esame bioimpedenziometrico veniva eseguito al mattino a digiuno il primo giorno del percorso, e ripetuto nelle stesse condizioni e allo stesso orario al termine del programma. L’esame era eseguito sempre con le stesse modalità, per rendere i risultati confrontabili ed analizzabili. Ogni paziente veniva mantenuta in posizione supina per almeno cinque minuti prima dell’esecuzione dell’esame. Gli elettrodi erano applicati alla mano ed al piede destro.

I dati venivano riportati su un database e successivamente analizzati. I valori bioelettrici di Resistenza (RZ) e Reattanza (Xc) misurati dallo strumento erano divisi per l’altezza del soggetto (conducibilità/metro) e riportati sullo schema.

L’analisi vettoriale d’impedenza, tramite nomogramma Biavector® offriva perciò al clinico, uno schema interpretativo immediato anche circa lo stato d’idratazione e nutrizione del soggetto. Attraverso l’esecuzione di questo esame è stato possibile ottenere, come meglio specificato nell’apposito capitolo, la stima di massa magra (FFM), massa grassa (FM) e massa cellulare attiva (BCM).

Criteri di esclusione:

- età < 18 e/ > 80 aa

- durata del percorso inferiore ai 12 giorni

- assenza di esame bioimpedenziometrico all’ingresso e/o al termine - BMI < 30 Kg/m2

Sono stati inclusi ed analizzati i dati relativi a 130 soggetti di sesso femminile di età (media+DS) 52,2±14,9 anni, peso 94,5±16,0 Kg, indice di massa corporea (BMI) 36,7±5,26 Kg/m2.

(39)

Le pazienti sono state suddivise in 3 diversi gruppi inizialmente secondo 3 diverse fasce di età come segue:

- 25 donne con età compresa fra 18 e 39 anni - 58 donne con età compresa fra 40 e 59 anni - 47 donne di età > a 60 anni.

Per ogni gruppo sono state rilevate le variazioni del peso e dei principali parametri dell’impedenziometria prima ed al termine del percorso ed analizzate le variazioni percentuali come confronto fra i 3 gruppi.

Successivamente abbiamo analizzato i dati suddividendo le pazienti secondo il grado di obesità determinato dalle tre diverse fasce di BMI all’ingresso come segue:

-60 donne con obesità di I° grado, cioè BMI comprese tra 30 e 34,9 Kg/m2

-37 donne con obesità di II° grado cioè BMI comprese tra 35 e 39,9 Kg/m2

-33 donne con obesità di III° grado o grave, cioè BMI > a 40 Kg/m2

Anche in questo caso sono state rilevate le variazioni del peso e dei principali parametri dell’impedenziometria prima ed al termine del percorso ed analizzate le variazioni percentuali come confronto fra i 3 gruppi.

Il percorso si poneva come obiettivo primario quello di far conoscere al paziente obeso abitudini e modelli comportamentali trasferibili nella vita di tutti i giorni, che consentissero di ottenere una graduale riduzione del peso corporeo e di mantenere nel tempo i risultati raggiunti. Inoltre il programma si poneva come obiettivo quello di migliorare la qualità di vita dei pazienti attraverso la riduzione del livello di inabilità/disabilità obesità correlate.

Per quanto riguarda il programma di attività motoria,il lavoro, differenziato a seconda delle caratteristiche cliniche di ogni soggetto, era impostato ed eseguito in tre diversi ambiti; in particolare in acqua all’interno di piscine termali, in una palestra appositamente attrezzata (cyclette a seduta larga e schienale, arm-cycling etc…),

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e all’aria aperta (allegati 1-3).

5.4 Risultati

Le caratteristiche dell’intera popolazione all’inizio e al termine del programma e i risultati dell’analisi biompendenziometrica sono riportate nella Tabella 1, come media±DS. I dati venivano confrontati mediante T test di Student per dati appaiati.

Al termine del programma si osservava un calo ponderale medio statisticamente significativo (p < 0.001) di circa 2,3 Kg, con conseguente riduzione significativa del BMI. Per quanto riguarda la composizione corporea, come rappresentato in tabella 1 e come ragionevolmente atteso dopo un programma di una durata di 12 giorni, si poteva osservare una significativa riduzione della massa grassa (FM), della massa magra (FFM) e della massa cellulare attiva (BCM). In termini percentuali la riduzione della FM era maggiore rispetto a quella della FFM.

Veniva inoltre calcolato il rapporto fra BCM e peso corporeo, all’inizio ed al termine del programma. Come possibile osservare in Tabella 1 il valore di BMC/Peso corporeo resta perfettamente invariato.

Questo risultato, in relazione al significativo calo ponderale ottenuto, può essere utile nel dimostrare un corretto dimagrimento grazie ad un pur modesto miglioramento della composizione corporea.

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