2 Il protocollo di Kyoto, la normativa nazionale ed europea
2.5 I permessi di emissione
Si ha una esternalità, positiva o negativa, quando si manifestano, insieme, le due condizioni21:
• le decisioni di produzione o di consumo prese da un operatore influenzano, positivamente o negativamente, il benessere degli altri operatori;
• non sussiste alcuna compensazione monetaria tra operatori avvantaggiati e quelli svantaggiati.
L’inquinamento causato dall’attività di alcuni operatori determina esternalità negative per il resto della collettività. Il mercato, di per sé, in assenza di diritti di proprietà sui beni ambientali, non possiede strumenti (incentivi) adeguati per prevenire o correggere l’inquinamento. La politica ambientale deve, quindi, provvedere a bilanciare i costi sociali marginali (l’ambiente è un bene pubblico) e i benefici che derivano dal miglioramento della qualità ambientale.
Al di là delle definizioni e tradotta in applicazione normativa, la politica ambientale
reale deve, peraltro, confrontarsi, oltre che con il regime della normale
amministrazione e della gestione corrente delle informazioni, anche con l’esigenza di controllare il rispetto delle norme, individuare la responsabilità delle trasgressioni e comminare le sanzioni previste. Questa è stata l’esperienza del Command & Control dell’ultimo decennio: il bilancio è negativo. Alle attività di analisi, condotte soprattutto dagli organi della UE, non è sfuggito che gli strumenti tradizionali di applicazione della norma sono costosi e poco efficaci.
La strada intrapresa dalla più recente politica ambientale sfrutta invece i permessi e il relativo mercato. L’idea di permessi di inquinamento è stata introdotta da J.H. Dales22: come nel caso della definizione di uno standard, l’autorità preposta alla regolamentazione23 autorizza solo un certo livello di emissioni di sostanze inquinanti ed emette dei permessi (noti anche come diritti o certificati di inquinamento24) per
21
Turner K., Pearce D. – “Economia delle risorse naturali e dell’ambiente” - Il Mulino, 1991.
22
Dales J. H. - “Pollution, Property and Prices” - University of Toronto Press, Toronto, 1968.
23 In Italia la determinazione delle quote di emissione di CO
2, da assegnare ai singoli impianti, è
effettuata, di concerto, dai ministeri dell’ambiente e dello sviluppo economico attraverso lo strumento del PNA - Piano Nazionale di Allocazione - il cui avallo spetta alla Commissione Europea
questo livello; tuttavia, mentre la definizione di uno standard termina a questo punto, i permessi di inquinamento sono invece negoziabili, nel senso che possono essere acquistati e venduti sul mercato dei permessi.
Una volta realizzata l’allocazione iniziale, gli “inquinatori” sono liberi di commercializzare i propri diritti di emissione. Questa caratteristica di commerciabilità dei permessi costituisce la principale attrattiva del sistema.
Vi sono molte ragioni per attribuire al meccanismo dei permessi una maggiore efficienza rispetto agli strumenti autorizzativi e/o di controllo tradizionali, tra le quali:
• costo sociale minimo:
- la commercializzazione dei permessi non richiede che gli Organi competenti governino le tecnologie e i costi di abbattimento delle emissioni; - anche nel caso che le sorgenti di emissione siano molto numerose non è necessario il complesso e articolato apparato amministrativo e di gestione che sarebbe stato indispensabile, di contro, per determinare l’imposta ambientale ottimale, differenziata da sorgente a sorgente, in funzione dell’accertamento del valore del danno arrecato (inquinamento);
• effetto positivo del mercato sull’ingresso di nuove imprese:
- se gli Organi centrali decidono di bloccare il livello di inquinamento, non emettono nuovi permessi. Ma, nel contempo, l’ingresso di nuove imprese amplia la domanda di permessi e ne fa aumentare il prezzo;
- il caso alternativo è che le nuove imprese trovino più conveniente l’alternativa degli investimenti in nuove tecnologie che riducano le emissioni, ottenendo certificati di credito (ERU25s o CERs26) commerciabili; • libertà di acquisto dei permessi da parte di operatori e agenti economici.
L’effetto sul mercato è, analogamente al caso precedente, la diminuzione dei permessi di emissione in circolazione che induce, a sua volta, un effetto di contenimento obbiettivo delle emissioni.
La maggiore distorsione del sistema dei crediti sta nel fatto che, fino alla recente normativa “20-20-20”, sono stati i governi a stabilire la disponibilità/indisponibilità del bene (market cap & trade).
25
Emission Reduction Units, certificati di credito derivanti dai progetti di Joint Implementation (JI)
Significativa a questo proposito è stata l’esperienza dell’Emission Trading System europeo nel periodo 2005-2007 (primo periodo di scambio), pienamente operativo già prima che il protocollo di Kyoto entrasse in vigore. In questo triennio, ciascuno degli stati della UE ha stabilito un tetto di emissioni, inferiore al quantitativo di emissioni previste nello scenario “business as usual”, e allocato mediante il NAP (National Allocation Plan) i relativi diritti ad emettere (EUAs) per ciascun operatore interessato dal sistema ETS.
Tuttavia la cessione gratuita della stragrande maggioranza dei diritti e la notizia che alcuni Stati avevano immesso sul mercato un numero di EUAs superiore alle necessità dei propri operatori ha disincentivato le azioni di riduzione delle emissioni e provocato un crollo dei prezzi dei certificati sul mercato. Il risultato è stato un incremento delle emissioni di CO2 a scala europea di circa 2 punti percentuali27 nel
periodo 2005-2007.
Diviene, dunque, di fondamentale importanza la definizione di tetti di emissione: raggiungibili
corrispondenti a dati di emissione reali (alcuni stati, tra i quali la Germania hanno avuto allocazioni per impianti chiusi o in fase di chiusura)
equi per le diverse attività e per i singoli impianti (le aziende rischiano di essere sottoposte ad un livello di costo differente in paesi diversi per effetto di una diversa - più favorevole - applicazione della regolamentazione. Andrebbe, in tal senso, considerata l’efficienza energetica degli impianti);
equi, in relazione alle diverse specificità nazionali (azioni messe già in atto nel periodo 1990 – 2004);
tali da non gravare sullo sviluppo e sulla competitività del sistema produttivo di ciascun paese membro;
omogenei tra imprese già operanti e nuovi entranti; coerenti con i target di riduzione del Protocollo di Kyoto
In relazione all’ultimo punto - coerenza con gli obiettivi di Kyoto - la riduzione delle emissioni complessive dell’UE 15, sulla base delle proiezioni28 elaborate dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA), non riuscirà a superare nel periodo 2008-2012 l’1,6% rispetto ai livelli del 1990, a fronte di un impegno previsto dell’8%. Di contro, l’Europa si è assunta per il futuro un impegno ancora più gravoso, una riduzione del 20% delle emissioni entro il 2020, come ricordato in merito alla cosiddetta “normativa 20-20-20”. Osserviamo che questi obiettivi, divenuti obblighi per l’Europa, troppo stringenti potrebbero rischiare di non aiutare il sistema, ma, al contrario generarne il fallimento.
Ci limitiamo ad annotare i risultati conseguiti fin’ora da alcuni paesi europei.
Emissioni di GHGs (milioni di tonnellate equivalenti) Variazioni percentuali (%) Paese 1990 2000 2004 1990-2004 2000-2004 Target firmato a Kyoto Target concordato con UE UE 4252 4129 4228 -0,6 2,4 -8% Italia 519 554 582 12,1 5 -8% -6,5% UK 776 672 665 -14,3 -1 -8% -12,5% Francia 567 561 562 -0,8 0,1 -8% 0% Germania 1226 1022 1015 -17,2 -0,7 -8% -21% Lussemburgo 12,7 9,7 12,7 0 31,3 -8% -28% Bulgaria 132 64 67 -49 5 -8% Ucraina 925 395 413 -55 4,6 0%
Tabella 5: Quantitativi di gas serra emessi, misurati in tonnellate equivalenti di CO2\anno, e relative variazioni percentuali come riportato dal UFNCCC29. Questi dati differiscono da quelli riportati dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), poiché considerano anche gli altri gas serra.
Alcune osservazioni:
la UE è ancora lontana dagli obiettivi concordati a Kyoto;
l’Italia, pur avendo ottenuto uno “sconto” all’interno della UE, è lontana dal target prefissosi e l’andamento delle emissioni non appare incoraggiante;
28 European Environment Agency - “Projections of greenhouse gas emissions and removals” - May
2005, Assessment
la Germania ha ricevuto un target ambizioso, ma ha potuto sfruttare (al pari dei paesi dell’ex blocco sovietico, come la Bulgaria e l’Ucraina) una situazione al 1990 caratterizzata da una bassissima efficienza carbonica.