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2. Gli anni dal 1934 al 1944: Perugia, Catanzaro, Livorno

2.2 Perugia 1937-1938

Quello di Perugia fu un periodo breve ma intenso, segnato da diversi eventi che misero a dura prova la professionalità di Massolo. Tuttavia fu anche un periodo vivace dal punto di vista dei rapporti e delle amicizie. Le numerose e continue richieste di permessi dal lavoro presentate al preside del liceo perugino255 testimoniano che durante il biennio scarso 1937-38 Massolo soggiornò a Perugia molto poco, in modo rapsodico e fugace. Egli trascorreva invece la maggior parte del tempo a Roma, dove oltre al fratello minore, Vittoriano, vi erano molti amici tra cui Guttuso.

A Perugia Massolo si affiliò ben presto al gruppo intorno a Capitini, il quale era da poco ritornato nel capoluogo umbro, poiché aveva lasciato il suo posto alla Scuola Normale Superiore di Pisa256, dopo essersi rifiutato di prestare giuramento di fedeltà al fascismo257.

254 Ivi, pag. 456.

255 Per il periodo di Massolo a Perugia è stata condotta una ricerca presso l’Archivio Storico del Liceo Classico Annibale Mariotti di Perugia. Il fascicolo da cui si ricavano i dati è il seguente: Serie Amministrativo; Fascicoli Personale Docente 1936-1937/1937-1938.

256 Aldo Capitini, dopo gli studi universitari condotti presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Pisa, ottenne nel 1929 il Diploma di Perfezionamento alla Scuola Normale Superiore discutendo una tesi su Giacomo Leopardi sotto la supervisione di Attilio Momigliano. A partire dal 1931 Capitini cominciò la sua attività di propaganda mediante la formazione culturale di veri e propri gruppi antifascisti i quali dovevano contribuire, negli intenti dell’intellettuale, alla diffusione di nuovi principi di vita religiosa e di azione politica ‘nonviolenta’. Dal 1930, dunque nel pieno periodo di quest’opera di formazione culturale e resistenza ideologica al fascismo, Capitini fu segretario presso l’Economato della Scuola Normale sotto la direzione di Giovanni Gentile. Capitini è tra i pochissimi intellettuali che nel 1933 rifiutò di prendere la tessera del Partito Fascista, motivo per cui venne sollevato dall’ incarico. Tornato a Perugia, Capitini si trovò a dover affrontare precarie condizione economiche e vivere in povertà. Per sostenersi cominciò ad impartire lezioni private, e tra il 1933 e il 1943 proseguì la sua opera di formazione al pensiero

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Massolo nel contesto perugino, nonostante perpetrasse i propri studi silenziosi e disordinati, era costantemente sollecitato dalle amicizie del gruppo di Capitini con il quale venivano sovente organizzati dibattiti su questioni filosofiche e venivano poste le basi per un vero e proprio centro di resistenza ideologica al fascismo, con lo scopo determinato di sconfiggere l’ideologia con la cultura e mediante un rinnovato approccio critico.

Così Capitini ricorda Massolo a Perugia:

«Massolo venne a Perugia negli ultimi anni del periodo fascista per insegnare filosofia e storia al liceo classico. Non so se egli avesse chiesto Perugia, come aveva fatto il suo collega Giuseppe Granata, sapendo che era un centro di antifascismo. Diventammo subito amici. Egli abitava a Palazzo Calderini, nella piazza della Prefettura. Aveva belle qualità di calda amicizia, di mite cortesia con gli amici intimi ed era, soltanto superficialmente, qualche volta burbero con gli estranei. Era anche festoso e di solito pronto a conversare; tanto meglio se si trattava di fare una discussione filosofica. Era stato scolaro di Fazio Allmayer, e lo ricordava sempre come un valentissimo professore. Egli entrò subito nel giro delle nostre amicizie antifasciste, e incontrava spesso le persone che venivano a Perugia per incontri politici. Si associò subito all'attività della sezione dell'Istituto di studi filosofici, che avevamo istituito per avere occasioni di incontro e di coagulo anche con gli studenti. Difatti facemmo riunioni molto belle, e Massolo vi parlava spesso nelle discussioni che seguivano le conferenze dei filosofi che invitavamo. Mi pare che in quel periodo studiasse prevalentemente l'esistenzialismo, ma non ne sono sicuro. Quanto ai suoi rapporti personali con me, posso dire che sul piano della più aperta amicizia, non ci furono mai contrasti, anche se esistevano differenze di temperamento e di impostazione ideologica, dato il mio orientamento al metodo non violento, al quale egli contrapponeva propositi che egli riteneva più rivoluzionari»258.

La testimonianza conferma l’inserimento di Massolo nel gruppo di studiosi e politici che gravitavano intorno alla figura di Capitini, nonché la partecipazione alle attività che costui organizzava nella sezione dell’Istituto di Studi Filosofici. Le ultime parole di Capitini risultano essere di un certo valore in quanto permettono di comprendere la posizione politica di Massolo in questi anni. Capitini, infatti, allude alla differenza tra l’impostazione del suo metodo volto alla non violenza nonché al superamento della forma partito, e la visione di Massolo, che invece secondo le parole di Capitini si orientava verso “propositi più rivoluzionari” e si approssimava maggiormente ad una organizzazione più strutturata delle forze e della lotta rivoluzionaria.

Se su questo aspetto specificatamente politico vi erano profonde differenza tra Massolo e Capitini, bisogna altresì sottolineare che il gruppo di Capitini era molto variegato al suo interno e che tali differenze di impostazione erano subordinate, almeno in questi anni, alla lotta comune nei confronti dell’ideologia fascista. Nel caso specifico risulta evidente che Massolo, antifascista per tradizione familiare e per indole personale, trovò immediatamente a Perugia un clima consono alle proprie inclinazioni e favorevole allo sviluppo della propria personalità politica e filosofica. Come

nonviolento e resistenza all’ideologia fascista. Tale opera andava oltre i confini del capoluogo umbro e si estendeva anche ad altre città italiane (tra cui Firenze e Roma).

257 Con il decreto regio n. 1227 del 28 agosto 1931, si imponeva ai professori la fedeltà oltre che alla patria (1924) anche al regime fascista.

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testimoniano gli scambi epistolari259, il legame tra i due intellettuali si protrasse nel tempo e continuò ad essere vivo anche sul piano più strettamente personale.

L’antifascismo perugino intensificò la propria attività a partire dall’anno 1936, nel periodo tra la guerra d’Etiopia e l’inizio della guerra di Spagna, momento in cui gli antifascisti trovarono occasioni di speranza nell’impegno internazionalista delle forze accorse in difesa del regime repubblicano spagnolo e nella partecipazione a quella guerra. A partire dal 1936, infatti, molti giovani ed in particolare studenti, insieme ad una nuova leva di intellettuali, vedevano definirsi sempre più chiaramente il volto del regime e sfumare le infondate prospettive e le apparenti possibilità sociali del fascismo: il corporativismo di sinistra, l’illusione di frange rivoluzionare all’interno del movimento dei Fasci, e le aperture al dibattito nei GUF e nei Littoriali. L’impresa coloniale in Etiopia, la proclamazione di un Impero, la guerra di Spagna, intorno al 1936, facevano dunque cadere definitivamente tutte le zone d’ombra e gli equivoci e mostravano sempre più chiaramente la natura reazionaria e prepotentemente aggressiva del fascismo, partecipe insieme al nazismo, dell’attacco mosso dalla nascente dittatura di Franco alla democrazia e alla classe proletaria spagnola260. Sicché, già a partire dal ’33, a ridosso del rientro di Capitini a Perugia, si creò ben presto intorno all’intellettuale perugino un gruppo di giovani e giovanissimi, tutti animati da una netta avversione al fascismo, i quali si aprivano a posizioni antifasciste attraverso un’attività culturale basata sulla lettura di testi opposti alla linea ideologica fascista. Tuttavia una vera e propria svolta per l’antifascismo perugino si può inquadrare tra il 1936 e il 1937, anni duranti i quali si andò formando un vero e proprio movimento politico, il liberalsocialismo, che diede di fatto un originale contributo alla storia dell’antifascismo italiano, e che fu elaborato a Perugia da Capitini e da un gruppo di amici aventi orizzonti culturali e politici condivisi261.

Questo movimento si andò nel tempo arricchendo di istanze differenti rispetto al proprio nucleo ideologico principale e venne largamente diffondendosi in seguito all’attività e alle idee di Guido Calogero, Carlo Ludovico Ragghianti, Ugo La Malfa, Piero Calamandrei, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Cesare Luporini, Norberto Bobbio ed altri intellettuali ed uomini d’azione.

Il liberalsocialismo, di cui Guido Calogero e Aldo Capitini si possono considerare a tutti gli effetti i promotori e fondatori, iniziò a prendere corpo clandestinamente nel 1936. Quello infatti era un «periodo di crisi che aveva acceso grandi speranze di liberazione dal fascismo e poi sembrò di nuovo deprimere gli animi di fronte all’inaspettato suo trionfo, pose per la prima volta di fronte alla coscienza di larghi gruppi di giovani il problema dell’avvenire politico dell’Italia e del mondo»262

.

259

In merito al carteggio tra Massolo e Capitini nell’ambito del presente lavoro è stata condotta una ricerca presso l’Archivio di Stato di Perugia. Ad oggi sono state rinvenute quattro lettere inviate da Massolo a Capitini. Di queste soltanto una lettera riporta la data (23 agosto 1946); le altre tre sono senza data. Per una di esse è possibile supporre, in base alle notizie riportate riguardanti il domicilio di Massolo che sia stata scritta intorno all’anno 1943-44.

260

Ottavio D'Agostino e Franco Giannantoni, Sono un fascista, fucilatemi!, Arterigere, Varese, 2004, pag. 149. 261 Cfr.: Aldo Capitini, Antifascismo tra i giovani, Célèbes, Trapani, 1966, pag. 97

262 G. CALOGERO, Ricordi del movimento liberalsocialista, “Mercurio”, 1 ottobre 1944, in Difesa del

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Cosa sia stato il liberalsocialismo è complesso a dirsi, date le molte correnti interne a esso, più coese nell’azione che non nelle istanze culturali e nei programmi politici263

. Molti degli aderenti e degli esponenti di spicco del liberalsocialismo si erano formati in ambienti culturali fascisti. Proprio la formazione politica di questi giovani, segnata dall’ideologia fascista e corporativista, consentì loro di avvertire i limiti di queste ideologie. Guido Calogero, ricordando Aldo Capitini e l’atmosfera del liberalsocialismo nascente, così analizza la critica fascista ai modelli liberali e socialisti:

«Il fascismo, allora, aveva buon gioco nel mettere in luce le insufficienze del liberalismo classico, liberistico o conservatore, da un lato, e del collettivismo marxistico, più o meno autoritario, dall’altro: e la grande maggioranza di coloro che pur non giovavano dei trionfi del «Regime» e vedevano come il mondo si avviasse verso una civiltà, o meglio verso una inciviltà, da caserma, non sapeva tuttavia da che parte voltarsi, tra un vecchio liberalismo che non soddisfaceva più e che comunque si era dimostrato incapace di difendersi, e un socialismo che per un verso era anch’esso uno sconfitto della storia e per altro verso si annunciava con una nuova fisionomia, i cui tratti autoritari erano piuttosto sconcertanti»264.

La scelta politica di Calogero e Capitini si basava sull’elaborazione di un ideale politico alternativo sia al liberalismo puro che al socialismo di tipo marxista. Essa si radicava in una riflessione che aveva al centro l’idea di una filosofia della prassi sostenuta da un’etica volontaristico-altruistica. Nel 1936 Calogero pubblicò un testo dal titolo significativo: La filosofia e la vita265, il quale non solo anticipava i temi centrali della Scuola dell’uomo del 1939, ma costituiva una dichiarazione programmatica di quello che nelle intenzioni dell’autore doveva essere il nuovo compito che la filosofia, e il filosofo stesso, doveva di necessità assumere come dovere etico in vista dell’instaurazione e della diffusione dei valori di civiltà. Tra essi primo fra tutti era individuato il dovere di riconoscere il diritto dell’altrui libertà, attraverso un etica dell’altruismo che reinterpretava in chiave laica la morale cristiana. Sulla stessa linea teorica è possibile collocare il testo di Capitini Elementi di un’esperienza religiosa (1937)266.

263 Per un’ampia ricostruzione teorica e storica del liberalsocialismo si veda il volume collettaneo I dilemmi del

liberalsocialismo, (a cura di M. BOVERO, V. MURA, F. SBARBERI), La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994; P.

BAGNOLI, Il liberalsocialismo, Edizioni Polistampa, Firenze 1997. 264

G. Calogero, Un educatore politico: Aldo Capitini, in Difesa del liberalsocialismo, cit., p. 119.

265 Questo libro di Calogero, in particolare l’epilogo, appare come una vera e propria dichiarazione di impegno morale e politico da parte del filosofo, il quale scende sul terreno della prassi non solo filosoficamente, ma concretamente e materialmente. Si legge: «Non esiste altro fine del mondo, cioè altro gusto mio, all’infuori di quello di secondare il più possibile il gusto degli altri; e siccome l’organizzazione della compatibilità dei gusti e della coercizione dell’incompatibile è l’organizzazione giuridica e politica, così l’interesse per questa organizzazione diventa per me precipuo e dominante. […]. In questo senso, la politica non è giuoco di ambiziosi o agitazione di irrequieti, ma il primo e più urgente dovere dell’uomo». (G. CALOGERO, La filosofia e la vita, La Nuova Italia, Firenze, 1934, pp. 84-85). 266

Pubblicato per la prima volta nel 1937 presso Laterza per interessamento diretto di Benedetto Croce, il testo di Capitini sfuggì alla censura fascista per una circostanza assai significativa: essendo per il regime la religione naturalmente conservatrice, esso ritenne che nulla vi fosse da temere da un libro di argomenti religiosi. Il libro di Capitini esprimeva, invece, una visione del mondo radicalmente antifascista. Partendo da un presupposto laico Capitini affermava i valori della nonviolenza, della responsabilità, del “farsi centro” in un momento storico in cui si concretizzava il trionfo della violenza nel tessuto della società civile. Gli Elementi, prima opera filosofica di Capitini, risultano essere in quest’ottica il punto di partenza privilegiato per approfondire la sua filosofia. Si veda al riguardo: Aldo Capitini, Elementi di un’esperienza religiosa, (prefazione di Norberto Bobbio) Cappelli, Bologna, 1990.

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Qui si innestano le radici teoriche dell’ideologia liberalsocialista le cui linee fondamentali saranno stese nel 1940 nel primo Manifesto liberalsocialista267 diffuso clandestinamente con il titolo Note sul concetto di Stato. Certamente la lettura dei testi crociani ebbe un influsso determinante sui giovani antifascisti degli anni ’40, tuttavia quando Calogero spedì a Croce lo scritto, questi non accolse benevolmente le tesi sostenute nel documento. Partendo da una base prevalentemente filosofica e giuridica, il liberalsocialismo di Calogero e Capitini si proponeva di rinnovare e diffondere nella società il liberalismo italiano, tentando di conciliare l’esigenza crociana di libertà, intesa come valore etico-politico universale, dunque apparentemente astratto, con il bisogno di giustizia sociale. Pertanto esso cercava di offrire una soluzione prima di tutto filosofica, politica e giuridico-istituzionale ai presunti limiti di Croce. Croce dal canto suo attaccò Calogero, dicendo che il liberal socialismo era un bisticcio di termini contraddittori tra loro268.

267

Come ricorda Guido Calogero, il Manifesto del liberalsocialismo, riassumeva le discussioni e i dibattiti avvenuti fra il 1938 e il 1940 sui temi della libertà e della giustizia sociale. Quelle discussioni si erano svolte a Roma, a Pisa, a Firenze e vi avevano partecipato molti di quelli che saranno i futuri protagonisti della vita politica e culturale italiana tra gli anni Cinquanta e Sessanta: Piero Calamandrei, Carlo Ragghianti, Paolo Bufalini, ecc... Calogero prese l’incarico di redigere un testo di sintesi di queste discussioni che intendeva costituirsi come uno strumento di divulgazione. Il testo riuscì a vedere la luce soltanto nel 1945, all’interno di un volume, intitolato Difesa del liberalsocialismo, il quale conteneva altri saggi e interventi dell’autore. Allorché ci si appresta ad affrontare il tema del liberalsocialismo, è inevitabile il riferimento al socialismo liberale di Carlo Rosselli; tuttavia parlare di una vera e propria continuità tra i due movimenti non risulta essere un’operazione semplice. Se infatti il socialismo liberale, nella linea di Rosselli, esercitò una profonda influenza sulla storia del socialismo italiano attraverso un programma ampio e complesso che si sviluppava su vari piani, dall’economia alla ristrutturazione dello Stato, al ruolo delle masse, al problema dell’unificazione europea, per parte sua il liberalsocialismo fu «un movimento di opinione, una organizzazione per la propaganda ed il chiarimento delle idee», come affermava lo stesso Calogero nell’edizione del ’45. Il Manifesto del

liberalsocialismo era il risultato di una lunga fase di formazione durante la quale si svolsero discussioni, convegni e

incontri, non solo fra uomini di cultura affine, ma anche tra esponenti di altre correnti politiche e intellettuali che conducevano la battaglia dell’antifascismo. Tale contributo della cultura dell’epoca fu certamente di fondamentale importanza per la definizione dell’ideologia e del programma del movimento. Tuttavia la collaborazione più intensa di tutte fu quella tra Calogero e Capitini. I rapporti con Capitini risalivano al comune impegno antifascista alla Normale di Pisa e «tra i due esisteva come una quasi perfetta complementarietà» (Cfr. Giovanni De Luna, Storia del Partito

d’Azione 1942–1947, Editori Riuniti, Roma, 1997, p. 6). Calogero e Capitini fin dall’anno 1937 avevano pensato di

precisare programmaticamente il loro impegno educativo verso l’antifascismo, individuando nell’incontro tra liberali e socialisti il modo migliore per orientare le coscienze dei giovani. Il Manifesto dunque rispondeva anche all’esigenza di definire ideologia e programma del movimento liberalsocialista. La storia della redazione di tale documento programmatico è stata ricostruita dallo stesso Calogero nell’edizione del ’45. Come si evince da una nota a piè di pagina, una prima bozza del Manifesto fu redatta da Tommaso Fiore, agli inizi del 1940. La stesura definitiva fu però realizzata a Roma, precisamente il 21 aprile 1940, durante una riunione tenutasi in un piccolo centro della costa laziale, Pratica di Mare. All’incontro erano presenti Wolf Giusti, Giacinto Cardona, Paolo Bufalini ed altri. Il Manifesto fu successivamente rielaborato durante l’estate dello stesso ano e le trascrizioni del testo, che recava il titolo di Note sul

concetto di stato, girarono clandestinamente per tutta l’Italia. Nel 1945 risultavano essere rimaste due sole copie, in

quanto, in seguito agli arresti subito dopo il 1940, le varie riproduzioni circolanti erano state distrutte dagli stessi aderenti al movimento perché non cadessero nelle mani della polizia, e per alcuni anni se ne persero perfino le tracce (Cfr. Guido Calogero, Difesa del liberalsocialismo, Roma 1945). Solo nel 1945 il Manifesto del liberalsocialismo fu definitivamente pubblicato, come “documento inedito”, nella già ricordata Difesa del Liberalsocialismo di Guido Calogero.

268 Sulla polemica tra Croce e Calogero si tenga presente: B. Croce, Scopritori di contradizioni, “La Critica” 20 gennaio 1942, rist. in Pagine sparse, Laterza, Bari 1962, pp. 15-18; G. Calogero, Liberalismo e liberismo, “Giornale del Mattino”, 2 febbraio 1942, rist. in Difesa del liberalsocialismo, cit., pp. 52-55; B. Croce, Libertà e giustizia. Revisione

di due concetti filosofici, Laterza, Bari 1944; G. Calogero, L’ircocervo ovvero le due libertà, in Difesa del liberalsocialismo, Roma 1945 ( pp. 26-36), pp. 30-32; G. Calogero, Benedetto Croce. Ricordi e riflessioni, “La

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La versione del liberalsocialismo di Capitini e del gruppo perugino era piuttosto lontana rispetto alla semplice coniugazione, in ottica moderata, dei due termini riecheggianti le classiche nozioni di liberalismo e socialismo. Per Capitini l’istanza di base era quella di fondare un socialismo economicamente radicale e giuridicamente concreto basato su forme di democrazia diretta, dunque aperto alla libera circolazione delle idee e mai conchiuso in rigide strutture burocratiche ed autoritarie. Esso non era affatto identificabile con il concetto di libertà tipico del riformismo della società borghese. Capitini definirà la sua idea di liberalsocialismo nei termini di «massima libertà sul piano giuridico e culturale e massimo socialismo sul piano economico».

Con tale programma teorico, Capitini faceva di Perugia, tramite il raccordo del Comitato clandestino, un centro propulsivo e di coordinamento in cui si elaboravano le prospettive ideologico-politiche del movimento liberal-socialista. A Perugia si andava dunque profilando una doppia linea che da un lato si costituiva nella più diretta propaganda dei gruppi liberalsocialisti e dall’altra si definiva nella costituzione di forze diverse (anche di più chiara ascendenza marxista), accomunate dall’antifascismo.

Queste due linee si intrecciarono e furono portate avanti a partire dal 1937, con un procedimento che tendeva ad accogliere anche posizioni non propriamente liberalsocialiste ma più generalmente antifasciste; l’azione di questo centro consisteva non solo nell’accogliere le giovani coscienze liberalsocialiste ed antifasciste, ma anche di istruire questi giovani a diventare a loro volta convertitori e formatori di ulteriori coscienze, mediante un’operazione capillare che si concretizzava in numerosi viaggi in giro per l’Italia. In questo modo Perugia diveniva il centro di coordinamento di una fitta rete di resistenza ideologica e gruppi di azione, sempre più collegati tra loro. Questi via via divennero sempre più autonomi, ma mantennero a Perugia un punto di riferimento fondamentale ed una base sempre più partecipata.

Era questa la situazione che si poteva vivere nel capoluogo umbro quando Massolo vi giunse dalla lontana Sicilia. Proprio tra il ’37 ed il ’38, soprattutto per il rilievo che la figura di Capitini andava

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