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Il “peso” dei giovani oggi

Nel documento Scenario dell’indagine (pagine 31-34)

2. Scenario dell’indagine *

2.3 Il “peso” dei giovani oggi

Prima di addentrarci nel percorso di ricerca, vogliamo approfondire ancora una tematica utile alla lettura delle interviste, ovvero le caratteristiche prin-cipali della condizione giovanile in Italia oggi. La giovinezza rappresenta una fase del ciclo di vita di un individuo caratterizzata da un fitto intreccio di sogni e bisogni, progetti e paure, opportunità e vincoli, con il quale egli è chiamato ad effettuare scelte relative alla sua vita attuale e futura. Tali ele-menti si inscrivono in una tensione tipica della condizione giovanile che oscilla tra cambiamento e continuità (Diamanti 2007). Da un lato quindi la spinta alla sperimentazione, alla ricerca dell’innovazione, dell’autonomia e della trasgressione. Dall’altro il legame con la tradizione tramite il processo di apprendimento, di acculturazione, di integrazione guidata da figure adulte. Nella società contemporanea, tuttavia, la forte presenza di fattori di rischio e incertezza - che permeano la sfera lavorativa, economica, relazionale degli individui - mina profondamente la capacità progettuale dei giovani. Con

conseguenze negative anche sulla loro capacità di essere risorsa per il mu-tamento e per l’arricchimento della società, caratteristica che invece è spe-cifica della generazione giovanile. Nel contesto italiano, e anche in quello bresciano, i giovani sono relegati in una posizione decisamente meno pro-tagonista se confrontata con quella dei loro “coetanei” di quarant’anni fa: non tanto dal punto di vista della visibilità sociale e mass-mediatica (i gio-vani di oggi sono protagonisti incontrastati dei programmi televisivi, dei video sul world wide web e delle campagne pubblicitarie) quanto in termini di peso economico, demografico e politico (Livi-Bacci 2005; Cavalli 2007). Questo, come è stato efficacemente sintetizzato da Rosina e Balduzzi (2008: 1-3), per via di alcune caratteristiche che contraddistinguono la situazione nazionale. Nello specifico, l’Italia – rispetto al resto d’Europa – è il Paese: - che investe meno sulle giovani generazioni in quanto la spesa per pro-tezione sociale sul Pil, togliendo la parte destinata alle pensioni, è un terzo in meno rispetto alla media europea;

- con più bassa scolarizzazione e più bassa occupazione giovanile, oltre che maggior divario tra disoccupazione giovanile e disoccupazione adulta;

- con salari all’ingresso tra i più bassi d’Europa;

- con età molto ritardata di conquista di una propria autonomia abitativa e di formazione di una propria famiglia;

- con sistema previdenziale più squilibrato e iniquo, ovvero con maggior divario di requisiti e trattamento pensionistico tra le vecchie e le gio-vani generazioni;

- con maggior debito pubblico ereditato dalle generazioni precedenti; - con età media più elevata della classe dirigente, in particolare quella

politica.

L’insieme di tali caratteristiche, qui sommariamente elencate, ha avuto nu-merose conseguenze sulle modalità di esperire la condizione giovanile. Tra queste, il fatto di spingere i giovani ad adottare sin dall’adolescenza un at-teggiamento decisamente più realista, disilluso e pratico, rispetto al passato, nei confronti della vita, e a rimandare a tempo indeterminato la realizzazione di scelte definitive, enfatizzando il processo di individualizzazione della pro-pria costruzione identitaria.

Riprendendo il contributo di Livi Bacci e De Santis (2007), gli aspetti prin-cipali del peggioramento economico e lavorativo giovanile possono essere riassunti in quattro punti. Il primo concerne la debolezza dei tassi di attività e di occupazione dei giovani sotto i 30 anni, nonostante la forte spinta alla

flessibilità introdotta nel mercato del lavoro. A tal proposito, il paragone con le altre nazioni pare piuttosto auto-esplicativo: il tasso di occupazione a 15-25 anni nel 2006 era del 15-25,8% e quello dell’Europa del 39,7%, mentre 10 anni fa il divario era nettamente inferiore (nel 1996: Italia 27,6%, Europa

36,7%13). Il secondo, riguarda il peggioramento delle retribuzioni, a partire

dai salari di ingresso e per i primi anni della carriera lavorativa (nelle altre nazioni - che pur stanno affrontando come l’Italia una fase di ristagno eco-nomico - il divario è decisamente più contenuto). Il terzo è specificamente legato alla diminuzione tra il 2001 e il 2008 dei guadagni reali dei laureati e dei diplomati con pochi anni di esperienza di lavoro (un’altra specificità del contesto italiano, laddove il reddito non è strettamente correlato al titolo di studio ottenuto). Tale dato ha favorito la diffusione di un crescente senso di frustrazione all’interno delle nuove generazioni, soprattutto per quei gio-vani che, insieme all’insicurezza delle prospettive di guadagno, vivono una

precarietà molto prolungata. Di conseguenza, nelle aspettative di mobilità

sociale dei giovani si è significativamente rafforzato il timore della «retro-cessione» rispetto alla posizione acquisita dai genitori, un fattore che ha ini-bito ulteriormente la propensione all’investimento e all’autonomizzazione (Cavalli 2007; Rinaldi 2007, 2008; Pasqualini 2012). Il quarto, infine, è lo scarso sfruttamento del capitale umano dei giovani, come risulta dal loro frequente inquadramento in attività non consone al grado di istruzione rag-giunto e il debole vantaggio retributivo per chi possiede un elevato livello di formazione. Se chi segue un percorso di formazione professionale è pro-babilmente meno esposto a un rischio di questo tipo, è comunque necessario monitorare il problema interpellando i diversi attori interessati (studenti, do-centi, datori di lavoro).

A fronte di questo scenario, l’opzione scelta da alcuni ragazzi è quella del-l’abbandono del sistema scolastico, al fine di evitare proprio lo spreco del capitale umano e investire su altre aree (come l’accumulo di un capitale eco-nomico attraverso l’inserimento precoce nel mercato del lavoro, anche sotto forma di lavoro in nero o lavoro in attività illegali14). Un percorso che la re-gione Lombardia cerca fortemente di ostacolare, in linea con gli obiettivi della strategia di Lisbona, alla ricerca di nuove pratiche che tutelino la

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13Fonte: elaborazioni da dati Istat e Eurostat, tratti da Rosina e Balduzzi (2008, p. 5).

14Per approfondimenti rimandiamo all’interessante convegno: “Un bene comune. I rischi di abbandono del sistema formativo nella provincia di Brescia” (svoltosi il 17 gennaio 2008 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia).

mazione dei giovani e al tempo stesso il loro inserimento e valorizzazione nel mondo del lavoro, finalità che stanno alla base anche del progetto “Buone pratiche per il lavoro del futuro”.

Nel documento Scenario dell’indagine (pagine 31-34)