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Il peso delle “reti” nella definizione della destinazione e dell’occupazione

LE ‘BADANTI TRANSNAZIONALI’: CAUSE, CONSEGUENZE E STRATEGIE MIGRATORIE

2.1 Il peso delle “reti” nella definizione della destinazione e dell’occupazione

Sulle reti per l’arrivo in Italia la letteratura ha già dimostrato il peso dei network di lavoratori migranti nella scelta della propria destinazione, iniziale e successiva, nel paese straniero181. Grazie alle reti, le migrazioni continuano anche in assenza di condizioni di mercato favorevoli, e si indirizzano verso determinati paesi o località “non in dipendenza di maggiori opportunità economiche, ma di punti di riferimento creati dall’insediamento di parenti, vicini e amici”182.

Anche la presente ricerca conferma questo dato: se è vero, da un lato, che molte intervistate sono partite dal proprio paese da sole, è altresì vero che, dall’altro lato, nella maggior parte dei casi, esse sapevano esattamente dove andare, o per lo meno chi raggiungere una volta arrivate in Italia o a Modena. Come spiega Inga, un’intervistata moldava di 38 anni:

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Si vedano i numerosi ed interessanti saggi sull’argomento contenuti in M. La Rosa, L. Zanfrini (a cura di), Percorsi migratori tra reti etniche, istituzioni e mercato del lavoro, Franco Angeli, Milano, 2003. Si veda altresì, tra gli altri, E. Abbatecola, Il potere delle reti, Torino, L’Harmattan Italia, 2001; M. Ambrosini e E. Abbatecola, Reti di relazione e percorsi di

inserimento lavorativo degli stranieri: l’imprenditorialità egiziana a Milano, in A. Colombo e

G. Sciortino (a cura di), Assimilati ed esclusi, Bologna, Il Mulino, 2002; F. Piselli, Il network

sociale nell’analisi dei movimenti migratori, in Studi Emigrazione, n. 125, pp. 2-16; E.

Reyneri, Sociologia del mercato del lavoro, Il Mulino, Bologna, 2002.

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“Sono partita da Chisinau per raggiungere un’amica che lavorava in Italia, a Varese. È lei che mi ha convinta a partire, che mi ha detto che c’era lavoro e che tramite la sua famiglia e le sue amiche a Varese mi avrebbe trovato lavoro. E infatti così è stato… e ho lavorato due anni lì! E adesso che sono a Modena io ho trovato lavoro a mia cugina, in dieci giorni le ho trovato un lavoro tramite la figlia della mia signora…”.

Occorre precisare che in molti casi Modena non ha rappresentato la prima destinazione sul territorio italiano. Le assistenti familiari dimostrano una forte mobilità: quasi un quarto del campione segnala di essere passato per Napoli183, in particolare come primo approdo sul territorio italiano184.

Come racconta Maryna, una donna di origine ucraina di 53 anni, in Italia ormai da dieci:

“No, non sono venuta a Modena subito! Prima sono stata a Napoli sei mesi, ma prendevo 300.000 lire e allora ho raggiunto un’amica che stava a Modena che mi ha detto che qui pagavano di più le badanti!”

Il ruolo giocato da alcuni membri della comunità è dunque decisivo nella scelta di emigrare e nella definizione della destinazione della propria migrazione.

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Analizzando il settore del lavoro domestico, Adelina Miranda ricorda come “Se già nel

corso degli anni Sessanta a Napoli e nella sua provincia si è attestato l’arrivo delle Eritree, è solo nel corso degli anni Settanta che le correnti migratorie in provenienza dalle Filippine, da Capoverde, dalla Repubblica dominicana e dallo Sri Lanka si sono consolidate per rispondere ad una domanda locale legata al settore domestico. A partire dagli anni Ottanta, il fenomeno è diventato visibile e, nel corso degli anni Novanta, si è confermato con ‘arrivo delle Polacche, a cui si sono poi aggiunte le Ucraine e le Rumene”. Inoltre, sottolinea l’Autrice, “All’interno del crogiuolo napoletano, le donne provenienti dai Pesi dell’Est occupano un posto particolare (…) Autobus piccoli e grandi collegano Napoli con le principali città della Polonia e dell’Ucraina”. A. Miranda A, Domestiche straniere e datrici di lavoro autoctone. Un incontro culturale asimmetrico, in Studi emigrazione, n. 148, 2002, p. 868 e p. 870.

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Provincia di Modena, a cura di C. Iori e M. Russo, Da Badanti ad Assistenti familiari, op.

Come osservato in letteratura, i collegamenti che la rete consente tra vecchi e nuovi migranti “aumentano la probabilità dello spostamento internazionale in quanto abbassano i costi ed i rischi del movimento ed aumentano l’utile netto atteso dalla migrazione”185.

Inoltre, è sempre attraverso la rete che le migranti possono rivedere i propri spostamenti e la propria localizzazione nel paese di destinazione:

“Sono arrivata in Italia per Napoli. Ma sono stata pochissimo, sono ripartita subito. Sono andata da un’amica a Gorizia, e ho lavorato 4 anni. Poi l’anno scorso sono venuta qua, che c’era un’altra mia amica, che prima lavorava a Napoli con me” (Larysa, 51 anni, ucraina).

Il ruolo del capoluogo campano come bacino di prima immigrazione, nel nostro caso molto evidente tra le assistenti di origine ucraina, dipende molto probabilmente dalla presenza di nuclei consistenti di concittadini che fungono da base di sostegno per la prima immigrazione in Italia e, con molta probabilità, da un canale di maggiore accessibilità e collegamento con l’est Europa. Molte intervistate, comunque, sono state a Napoli per periodi di tempo limitati, in genere alcuni mesi, addirittura alcuni giorni, e sono ripartite per altre destinazioni dove avevano collegamenti di connazionali, configurando il capoluogo campano quale fonte di primo arrivo e successivo “smistamento”. Sono in molte a sottolineare le pessime condizioni retributive incontrate a Napoli che le hanno indotte a raggiungere conoscenti in altre città.

In secondo luogo le interviste mettono in rilevo l’estrema mobilità che le assistenti familiari hanno anche sul territorio della provincia di Modena: più

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della metà del campione ha lavorato in altri comuni della provincia prima di arrivare in quello di riferimento attuale.

Anche la scelta di Modena è stata prevalentemente guidata dalla presenza di una rete di amici, parenti o conoscenti già consolidata nel territorio186.

La presenza di contatti preesistenti nella città di destinazione funge, ovviamente, da fonte informativa nella fase preparatoria del viaggio e da rete di accoglienza una volta in città. A volte può anche non trattarsi di una vera e propria “rete” relazionale, ma anche della sola presenza di uno o più contatti del territorio di origine.

Oltre che da un punto di vista emotivo e organizzativo, la rete è fondamentale anche per la ricerca di lavoro: in molti casi è il “passaparola” di amici e conoscenti che fa di questa occupazione una delle più frequenti possibilità esistenti sul “mercato informale” dell’offerta. In particolar modo, la capacità della rete di fungere da valido intermediario nella ricerca di lavoro è evidente nei casi in cui la migrante non sia in possesso del permesso di soggiorno; in questo caso è infatti chiaramente esclusa la possibilità di ricorre ai servizi pubblici presenti sul territorio che svolgono analoga attività, come i Centri per l’impiego, i sindacati, alcuni servizi rivolti agli anziani presso i Comuni. In questi casi la rete risulta dunque di fondamentale importanza per l’accesso al mercato del lavoro. Ma anche per chi è in possesso del permesso di soggiorno, ad ogni modo, gli uffici pubblici sono considerati essenzialmente un riferimento per sbrigare pratiche amministrative, per l’accesso ai servizi e per l’iscrizione a corsi di lingua e/o formativi, ed il “passaparola” di amici, conoscenti, informatori, intermediari è considerato uno strumento più efficiente e rapido di

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Dalla Ricerca emerge come la scelta di Modena da parte delle intervistate sia stata dettata dalla presenza di una rete amicale (43,3%) o parentale (33,3%) già consolidata nel territorio. A ciò si aggiunge la percentuale di donne giunte a Modena a seguito del ricongiungimento familiare è invece alquanto modesta (3%). Cfr. Provincia di Modena, a cura di C. Iori e M. Russo, op. cit., p. 54.

ricerca di un’occupazione rispetto al servizio offerto dagli enti preposti all’intermediazione187.

La rete, dunque, lungi dall’essere soltanto un canale informativo e logistico di prima accoglienza, è un vero e proprio agente volto all’intermediazione informale tra domanda e offerta di lavoro.

È importante però aggiungere che, assieme alle reti, si dimostra assai attiva ed efficiente nell’intermediazione lavorativa anche la struttura ecclesiale. Chi non ha contatti sul territorio, o fatica a trovare un’occupazione, trova spesso un valido supporto, a detta di molte intervistate, nella parrocchia, che svolge un importante ed efficace (per lo meno in termini di celerità del collocamento) ruolo di collegamento tra le lavoratici immigrate e le famiglie modenesi188. Come racconta Marya, una donna ucraina di 47 anni:

“Io ho trovato il mio primo lavoro con il prete. La parrocchia fa molto per noi badanti, c’è la mensa, ti dà da mangiare, se hai bisogno di vestiti, e poi ti trova lavoro subito nelle famiglie italiane, il prete ti raccomanda alle famiglie che cercano una badante… se sei brava con la parrocchia trovi in fretta, il prete ti raccomanda alle signore che vanno a messa da lui…”

È doveroso, infine, constatare come, assieme al canale informale dei conoscenti, e a quello più “solidaristico” rappresentato dalla parrocchia di riferimento delle assistenti familiari, le testimonianze di alcune intervistate chiariscono come

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Inoltre, le intervistate dichiarano di non avere affatto o di avere pochi rapporti con uffici pubblici con una frequenza del 40% dei casi. Cfr. Provincia di Modena, a cura di C. Iori e M. Russo, op. cit., pp. 68-69.

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Anche da altri studi si evince come, dopo il ruolo giocato dalle “reti” parentali e amicali, una delle istituzioni maggiormente attive ed efficienti nella ricerca di lavoro alle neo-arrivate sia la Chiesa. Cfr. B. Anderson, Overseas Domestic Workers in the European Union. Invisibile

Women, in J. Henshall Momsen (edito da), Gender, Migration and Domestic Service, Londra,

Routledge, 1999, p. 126. P. Zanetti Polzi, Intermediari della fiducia. I centri di incontro tra domanda e

spesso la ricerca occupazionale sia garantita dall’azione di “intermediari” meno disinteressati i quali, dietro pagamento di una cifra che oscilla da 200 euro ad una intera mensilità (in genere viene trattenuto dall’intermediario il primo mese di stipendio), mettono in contatto le donne immigrate e irregolari alla ricerca di un lavoro con le famiglie italiane.

Come racconta Myroslava, una ormai esperta ‘badante’ ucraina di 55 anni:

“Come si trova il lavoro di badante? Ah, o un’amica che lavora, una parente, oppure in Chiesa.. se no… paghi! (… ) In che senso? Se vai al parco ci sono uomini che ti trovano un lavoro, organizzano un incontro o portano lì gli italiani chi cercano una badante… alcuni te lo trovano anche per poco, anche 200-300 euro, oppure altri che gli devi dare il primo mese di stipendio”.

Colpisce la “naturalezza” con cui questa intervistata fornisce tali dettagli: che il “traffico” dei posti di lavoro sia gestito anche dalla criminalità, organizzata e non, sembra un’ovvietà a queste donne, che sottolineando come il fenomeno sia istituzionalmente tollerato – una sorta di vera e propria “convivenza” – non pensano certo di raccontare “segreti” descrivendo quanto avviene alla luce del sole, come chiarisce la stessa Myroslava:

“La polizia lo sa benissimo, ma non fa niente… tanto a loro non importa delle badanti, le badanti non fanno casino, e servono a tutti gli italiani, o a molti.”.

Interessante risulta la constatazione effettuata dall’intervistata in merito a due fattori: innanzitutto, il lavoro della “badanti”, anche se effettuato in nero da persone prive di regolare permesso di soggiorno, è non solo tollerato ma guardato con interesse perché necessario per la società accogliente; in secondo luogo, il fatto che, quella relativa all’occupazione di assistenti familiari, sia una

migrazione senza eccessive problematiche sociali e con scarsa conflittualità neutralizza il controllo delle forze dell’ordine. Necessità della forza lavoro e bassa conflittualità delle lavoratrici sembrano dunque fattori capaci di azzerare i controlli in merito ai canali informali di accesso al lavoro per questo gruppo migrante.

La ricerca di lavoro per le ‘badanti’ può così continuare indisturbata attraverso le veloci ed “efficienti” reti di contatti inserite nel territorio, minando qualunque possibilità di controllo e supervisione sulle condizioni cui le lavoratrici potranno andare incontro nell’inserimento domestico.

2.2 Il mestiere di “badante”: scelta passiva o strategia del progetto